101.mo Congresso Nazionale del CAI: la montagna nell’era del cambiamento climatico
di Carlo Crovella
Il 101.mo Congresso Nazionale del CAI (Roma, 25 e 26 novembre 2023), nell’ambito del tema generale La montagna nell’era del cambiamento climatico si propone di riflettere sul tema scottante dell’andare in montagna al giorno d’oggi: libertà, limite, responsabilità.
Qui sotto viene riportato il manifesto ideologico che costituisce anche la pagina iniziale dei sito dedicato al Congresso.
Mi si consenta di aggiungere alcune considerazioni. La triade citata costituisce il triangolo che, al nostro tempo, condiziona tutta l’esistenza degli individui, quantomeno di quelli occidentali. Non è quindi il perimetro del solo “andar in montagna”, ma di tutta l’esistenza, che ci piaccia o meno.
Troppa libertà sconfina in un eccesso di peso antropico sull’ambiente, a sua volta troppo provato dopo decenni e decenni di “abuso” umano.
All’opposto, la società sicuritaria, figlia indiretta (come fosse una “pena del contrappasso) della società libertaria, impone delle responsabilità che sono ormai inaggirabili. Infatti, anche se – in alcuni casi – tali responsabilità sono sempre esistite come principio giuridici, un tempo non erano all’ordine del giorno, mentre oggi sono chiare e ufficializzate da orientamenti giurisprudenziali consolidati e indiscutibili.
Il trait d’union fra questi due vertici estremi del triangolo è costituito dal terzo vertice, cioè il “limite”, concetto che va inteso non come divieto imposta dalle autorità, ma come capacità individuale nel sapersi limitare.
Il concetto di limite non è assoluto e oggettivo (altrimenti corrisponderebbe ad un obbligo di restare a casa), ma va modulato in funzione delle differenti situazioni. A sua volta, ogni situazione è frutto di diverse variabili che condizionano quella specifica giornata in montagna: caratteristiche dell’ambiente in cui ci si muove (per evitare di rovinarlo ulteriormente), ma anche condizioni niveo-meteo, lo stato di forma psico-fisico (proprio e dei compagni di giornata), composizione della compagnia di amici, ufficialità o meno dell’uscita, e così via.
Personalmente ritengo che il concetto di “limite” in montagna sia fondamentalmente conseguenza dell’intelligenza individuale. L’intelligenza permette a ciascun frequentatore della montagna di analizzare le variabili in gioco in quello specifico momento e di determinare le sue conseguenti scelte comportamentali.
Ci sono delle giornate in cui il limite sarà “un po’ più in là”, altre invece in cui il limite sarà molto “vicino”, con scarso margine di movimento individuale. L’intelligenza ci permette di capire, ogni volta, in quale situazione siamo.
A ciò va poi aggiunta la considerazione generale che è sempre meglio stare un po’ prima del limite (a volte, anche un “bel po’ prima”), per poter disporre di un “polmone di manovra” in caso di necessità.
Oggigiorno, l’alpinista maturo, oserei addirittura dire l’alpinista “bravo”, NON è quello che performa di più, ma quello che raggiunge la capacità di identificare coscienziosamente, ad ogni uscita, il “limite” al proprio agire.
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Ed ecco riportata qui la presentazione della pagina congresso.cai.it.
Libertà, limite, responsabilità
Per approcciare in maniera concreta e propositiva il tema posto dobbiamo tutti compiere un cosiddetto stop and go!
Stop: iniziare a collocarci in un ordine mentale differente dalla consuetudine, non attuare comportamenti di “evitamento” (vedi nota sotto) non limitarsi al racconto di ciò che è stato fatto sino ad oggi, non ritenere immutabili consuetudini e comportamenti che si basino su concetti anche moralmente elevati, ma non in sintonia con i tempi odierni e con le sensibilità dei giovani di oggi…
Go: “alzare il nostro sguardo dalla punta delle nostre scarpe”, mettersi in gioco svincolandosi dall’età anagrafica, essere fortemente propositivi, pensare a ciò che possiamo fare concretamente per le generazioni future che sono già dietro l’angolo, pronte a sfidarci sulle proposte.
Concretamente dobbiamo affrontare l’apparente e per molti aspetti voluto conflitto fra libertà e limite.
In un contributo attento e puntuale di Carlo Ancona al tavolo 2, con un proprio linguaggio raffinato e, perché no, in alcuni passi sofisticato, vengono posti interrogativi e indicate riflessioni non scontate soprattutto nella vita quotidiana dell’attuale CAI.
Di seguito alcuni estratti dal testo:
- Non è segno di novità, ma solo sintomo di disadattamento, replicare in un oggi che è drasticamente modificato gli schemi di ieri, fondati anzitutto sul valore della competizione, e della assenza di limiti e remore.
- E poi, bisogna fare scelte di rispetto del limite. Ogni epoca ha i suoi orizzonti, e molti si trattengono dentro di essi; solo alcuni cercano di superarli; ma oggi abbattere l’orizzonte comune è astenersi dall’eccesso, scoprire il mondo negli infiniti spazi dimenticati che ci stanno accanto, e da cui la vita umana, per effetto del tempo, si è ritirata come una marea.
- E così la montagna non è più il luogo della formazione, del confronto con sé stessi, della cooperazione con altri per un comune risultato, ma quello del puro godimento rapido, effimero e garantito, che non consenta troppi dubbi o riflessioni, anche in punto di valutazione del pericolo che si affronta.
Concretizzare queste indicazioni con la revisione e l’aggiornamento dei propri momenti formativi interni di ogni livello.
In questo CAI i rifugi giocheranno un ruolo fondamentale, ripartendo dalla storica funzione di “punto di partenza” e non di arrivo: partenza di percorsi di conoscenza, di formazione e di consolidamento delle coscienze dei nuovi frequentatori della Montagna. Partenza per sperimentazioni progettuali, esecutive e gestionali coerenti e vettori di reale sostenibilità.
A fianco dei frequentatori un ruolo essenziale lo svolgeranno i Gestori, che nella loro quotidiana preziosa attività di informazione e di indirizzo per i frequentatori potranno, se lo vorranno, essere la vera cinghia di trasmissione di questo cambio di paradigma.
Nota
di Carlo Crovella
“Evitamento” pensavo fosse un errore del testo sul sito e infatti ho aggiunto le virgolette (nel sito è senza). Non ero a conoscenza dell’esistenza di tale termine nella lingua italiana. In realtà il termine esiste. Credo sia un neologismo, di sicuro non lo usava padre Dante! Comunque ho cercato su google ed è venuto fuori che “l’evitamento è una strategia comportamentale che consiste nell’evitare tutte le situazioni che creano stati d’animo negativi e malessere: l’individuo si allontana da uno stimolo ansiogeno, rifiutandosi di fronteggiare l’evento, gli oggetti o le persone che generano angoscia“.
Grazie ad un noto software di analisi euristica ho verificato che nei 59 commenti precedenti sono presenti 8097 parole delle quali 4437, ovvero il 54.8%, postate da Carlo Crovella. Non essendo questa una eccezione bensì la norma, credo che ormai Alessandro Gogna debba rassegnarsi a rinominare la sua creatura con un nome che rispetti il vero mattatore/ammorbatore di questo blog.
Strepitosi Don Ciotti, Ferrari e Gogna! Molto bravo il Presidente Generale Montani, equilibrato e concreto. Velo pietoso su tutti i politici, più o meno. Affabile e a suo agio Licia Colò. Molto bravi alcuni docenti universitari con i loro panel sui disastrosi cambiamenti climatici anche in montagna. Questa sequenza corrisponde anche alla temperatura degli applausi. E con Don Ciotti tutti in piedi fragorosamente ad applaudire il suo lungo e articolato intervento che non ha risparmiato critiche e fatto sconti. Pubblicarlo qui sarebbe una cosa bella e utile…
“Questa è la differenza fra chi ‘vede lontano’ come me e i tacchini che beccano il mangone fra le loro zampe”.
Carlo dice che lui vede lontano e noi siamo tacchini.
E Carlo “è uomo d’onore”.
“vi sta sulle palle che sul blog ci sia spazio per uno come me”
assolutamente no…al massimo ci sta sulle palle che qualcuno abbia idee come le tue
“Ma le cazzate restano cazzate”
ed è proprio per questo che continuiamo a sottolineare le tue!
Mea culpa, mea maxima culpa, Alessandro.
Caro Alessandro, cerca di dare una regolata a Crovella: ogni suo logorroico scritto contiene insulti diretti o malcelati agli altri che qui intervengono. Non è giusto che si possa permettere tutta questa tracotanza e continui a trattare gli altri come delle merde, dei frustrati che non accettano la sua saccenza, degli ignoranti, dei retrogradi, dei semianalfabeti… Come dice lui, gli altri spariscono e lui resta sempre: mi dispiacerebbe che succedesse anche in questo spazio. Grazie
Mi appigliate a cazzate per dare una pennellata di nobiltà al fatto che vi sta sulle palle che sul blog ci sia spazio per uno come me. Ma le cazzate restano cazzate e non incidono minimamente sul contenuto delle questioni trattate. Questa è la differenza fra chi “vede lontano” come me e i tacchini che beccano il mangone fra le loro zampe
Sparito un altro commento, credo avrebbe dovuto essere il 52. Perché?
PS – Il povero Proust, 1000 pagine divise in 9 volumi… Vuol dire 110 pagine a volume, una bazzecola… Che poi in origine i volumi, scritti tra il 1906 e il 1922 (ma pubblicati tra il 1913 e il 1927) erano solo 7 e le pagine (Crovella hai sbagliato tutto! Incredibile!) erano 3724…
Vede Crovella, nella sua Weltanschauung (l’esatto opposto della mia, a cominciare dalla fede politica) e per effetto della sua compulsione logorroica, lei sente pure il didascalico bisogno di specificare che la Recherche è “uno dei capolavori della letteratura di tutti i tempi”. Ecco, si ponga qualche domanda (e ci risparmi le risposte).
Per inciso, il Tractatus di Wittgenstein da me citato consta di un’ottantina scarsa di pagine e ha posto le basi per svariate migliaia di ricerche su logica, linguaggio e coscienza umana.
“Uno dei capolavori della letteratura di tutti i tempi”
E’ vero, ed è quel capolavoro che nessuno ha mai letto!
Non si direbbe: “dono della sintesi”.
“Colui che potendo esprimere un concetto in dieci parole ne usa dodici, io lo ritengo capace delle peggiori azioni.” (Giosuè Carducci).
E chi ne usa tremila e le ripete fino allo sfinimento (nostro)?
Uno dei capolavori della letteratura di tutti i tempi, “Alla ricerca di tempo perduto” di M. Proust, e’ composto da nove volumi per un totale di circa mille pagine. Scrive tanto chi cantante idee, chi ne ha poche può esprimersi finché vuole ma gli usciranno quellevtre idee in croce.
#44 Fabio:
“tutto ciò che si sa, ciò che non si sia solo udito rumoreggiare e mormorare, può dirsi in tre parole.”
(Dalla prefazione del Tractatus logico philosophicus di Wittgenstein)
Se per democrazia intendi quella, c’è già.
Io lo so, grazie.
Dai tuoi interventi invece, pare proprio che tu non ne sia al corrente.
——— REWARD ———
Offresi ricompensa di UN MILIONE DI DOLLARI ($ 1.OOO.OOO) a chi riuscirà a zittire Crovella, il commentatore piú implacabile del West.
N.B. Non sono ammesse le revolverate.
O forse lo fa per i soci, non per l’organizzazione… Perché l’organizzazione è quella che non paga le corse agli istruttori d’alpinismo i quali, per passione e voglia di dare qualcosa agli altri, se le pagano di tasca propria (in Parravicini a Milano per anni). Magari quando la stessa organizzazione convoca un’Assemblea generale a Taormina (Taormina!), con annessi e connessi. La mia idea: rinunciare ai contributi statali e vedere quanto dura il CAI così come è…
@39. Se per democrazia intendi quella, c’è già. Io pensavo che la tua istanza di cambiamento fosse molto più profonda, cosa che presuppone la battaglia congressuale. Se inece il tema e poter semplicemente dire non sono d’accordo e tutto finisce lì… lo si può fare già ora, ma e’ assolutamente sterile. La dirigenza competente (nazionale o locale a seconda dei casi) tira dritto e non bada all’opinione del singolo socio, che si chiami Matteo o Carlo…
Se uno sta anni ed anni nel CAI e infonde energie tempo e soldi, significa che, alla fin fine, non sta così male… Per cui non è un falso socio. Mi sa che non hai focalizzato bene il concetto.
Socio vero e socio falso. Che vorrebbe dire? Nulla!!
Chi ti da il diritto di dire ad un socio del cai che ha pagato la sua quota regolarmente, che presta la sua opera a gratis nel cai, sei un FALSO. Solo perchè non è d’accordo con la linea di condotta della dirigenza centrale o di una sezione?? Nessuno ti da diritto, è pura arroganza. Anche perchè molti dei soci che definisci “falsi” , sono una vita nel cai e al cai hanno dato tanto: tempo, denaro, rischi, fatiche. Vedi ad esempio tanti istruttori, che pur non condividendo sempre le linee di condotta, continuano a prestare la loro opera nelle scuole del cai. Quindi hanno diritto di essere rispettati e riconosciuto il loro impegno.
Ancora?
Ti ho detto che la tua visione del CAI non mi interessa e peraltro la ritengo ininfluente nel CAI stesso.
Non ho alcuna intenzione di proporre visioni o impegnarmi nel CAI stesso, ma se un intervento (come quello di Ancona) mi pare vuoto o vacuo, lo dico.
Bene, se la mia posizione è “errata”, cosa perdi tempo a scornarti con me sul tema? agisci puntando ai tuoi obiettivi di svecchiamento del CAI…
Non puoi che agire seguendo l’itinerario statutario che ho descritto: non sarò certo io a impedirti la battaglia congressuale…
Anche volendo, io non potrei impedire la tua eventuale battaglia congressuale, sempre che tu sia attento a seguire a puntino le norme statutarie del CAI. Se non segue dette norme, si schianti ma non perché lo voglio io, perché sarà la conseguenza delle norme stesse.
Quindi… prego, non ti fermo certo io: tirati su le maniche e inizia a scaldare i tuoi motori. La prossima assemblea dei delegati sarà nel maggio 2024. Sei mesi forse non ti bastano neppure per acquisire il diritto (=nomina a delegato, in ambito della tua sezione), figurati il resto…
Ribadisco la chiusa del mio precedente intervento, inserita appositamente “Nota che non affronto affatto l’argomento di quanto la tua visione dell’andare in montagna e dell’essenza del CAI sia giusta, sbagliata o anche solo effettivamente aderente alla realtà del CAI” per ribadire che non mi interessa affatto discutere la tua concezione del CAI e dell’andare in montagna (assolutamente lecita, ripeto, ma non mi interessa)
Quello che mi premeva puntualizzare era, ripeto, la visione errata è di chi dice “il CAI è così” e dovete conformarvi, altrimenti siete deleteri, irrecuperabili e dovete andatevene, di chi pretende di essere depositario del vero spirito del CAI, di distribuire patentini di conformità, di vero o falso socio, di chi non ammette visioni differenti.
Per rispondere alla tua curiosità, rimango nel CAI un po’ per affezione nata dalla mia storia e un po’ perché gli riconosco di svolgere un servizio utile, almeno talora e in certi campi.
No, ribadisco il concetto che posizioni come la tua (che non solo tua) sono letteralmente sbagliate nel mondo delle associazioni. Nella realtà caiana torinese (due Sezioni indipendenti da 3.500 soci l’una, più un sacco di sezioni dell’hinterland, per un totale stimato di soci CAI di circa 10.000 unità), si registra un gran entusiasmo verso il CAI, intendo dire il CAI “tradizionale”, entusiasmo cui corrisponde un grandissima disponibilità verso il sodalizio (chi si occupa dei rifugi, chi delle manifestazioni, che della contabilità, chi delle pubblicazioni, chi delle scuole o delle gite sociali ecc ecc ecc TUTTO SEMPRE GRATIS E DEDICANDO TEMPO LIBERO, magari a scapito di scalate private, di tempo con la famiglia e altro) e un fortissimo senso di appartenenza alla comunità. Per chi ama il CAI è un vero piacere farne parte, non si associa storcendo il naso. Viceversa, nella realtà subalpina, non si registrano cani sciolti che si muovono in contrasto con la filosofia del Sodalizio. Quelli che, per errore, si associano e poi scoprono che non si riconoscono nello spirito del CAI, prima o poi se ne allontanano, perché è impossibile restare a far parte di un ambiente così compatto: o ti ci riconosci (e allora ci sta magari per 50-60-70 asnni di seguito) o non ci stai bene e te ne vai.
A parte ciò, ho già detto e scritto mille volte chi ritiene che il CAI “vada cambiato” (perché é un carrozzone vecchio e bacucco), non deve limitarsi a sterili prese di posizione, ma impegnarsi in vere battaglie congressuali. L’itinerario è previsto dalle stesse norme statutarie del CAI; uno si fa eleggere “delegato” alla relativa assemblea annuale, iscrive la propria istanza nell’ordine del Giorno (OdG), la illustra pubblicamente quanto tocca a lui, se è prevista una delibera occorre minimo la maggioranza assoluta (51%9, spesso, se trattasi di modifiche straordinarie, ci vogliono maggiornze qualificate (in genere i 3/4). Poiché i delegati sono un po’ meno di 1.000 (mille), per far passare le “nuove” idee occorre un lavoro preparatorio al fine di disporre di un pacchetto voti che sia, nella migliore delle ipotesi di 450-500 volti (in caso di maggioranza assoluta) o addirittura sui 600-700 voti (per la maggioranza dei 3/4). Senza tali maggioranze, la proposta NON viene approvata, a prescindere dal fatto che il contenuto sia sensato, moderno, addirittura utile al CAI.
Allora la domanda che rivolgo a tutti coloro che blaterano per maggior democrazia nel CAI è la seguente: i meccanismi tecnici del CAI sono indiscutibilmente democratici, ma occorre far approvare le relative delibere, sennò le proposte sono aria fritta e vasta. Far passare le delibere, che incamerano le “novità”, NON è giuridicamente impossibile (come ho dimostrato), ma comporta una faticaccia enorme. Avete voglia di farvi questo culo a capanna? A sensazione direi di no. Per cui si resta sempre al palo: chi vuole i cambiamenti blatera come oche isteriche, ma non si fa il mazzo (che non può competere che a lui) e lo status resta sempre “quo”, cioè non cambia. Ergo: la mancanza di democrazia in termini di novità concretizzate è solo colpa di chi non si impegna in battaglia congressuali, non degli avversari.
Avete invece voglia di impegarvi nella battaglia congressuale per svecchiare il CAI? Prego. La prossima asse,blea dei delegati sarà nel maggio 2024. prima però dovete farvi eleggere a livello locale “delegato”, sennò non avete neppure diritto di parola all’assemblea nazionale. I meccanismi che stabiliscono di quanti delegati ha diritto la vs sezione non ho coglia di scriverli, tra l’altro se non li conoscete siete ben lontani dall’iniziare il duro lavoro… Cmq, io vi starò a guardare: se arriverete a far approvare e rendere effettive le vostre idee, avrete vinto la battaglia congressuale e io sarà il primo a complimentarmi. Sennò, mi basta stare seduto in riva la fiume e prima o poi vi vedrò passare sul filo dell’acqua… Finora, in 55 anni di mia partecipazione, al CAI è sempre andata così…
Corollario: mi spieghi che cappero continui a stare nel CAI se lo consideri un carrozzone vecchio e stantio? Sembri uno che sta con una ragazza, di cui dice solo che è brutta e stupida: ma se ti disgusta, perché continuare a starci insieme?
Crovella, la visione errata della democrazia all’interno di una associazione non è certo di “noialtri” che diciamo (più o meno convintamente, più o meno motivatamente) che il CAI è un vecchio baraccone, non al passo, poco utile o quant’altro.
La visione errata è di chi dice “il CAI è così” e dovete conformarvi, altrimenti siete deleteri, irrecuperabili e dovete andatevene.
La visione errata della democrazia all’interno di un’associazione è la tua, che pretendi di essere depositario del vero spirito del CAI, di distribuire patentini di conformità, di vero o falso socio, che non ammetti visioni differenti dalla tua e addirittura dettare le azioni praticabili (impegnatevi nelle battaglie congressuali oppure andatevene)
Nota che nn affronto affatto l’argomento di quanto la tua visione dell’andare in montagna e dell’essenza del CAI sia giusta, sbagliata o anche solo effettivamente aderente alla realtà del CAI
Sei un lettore distratto. Ho già detto più volte qui sul GB, ripentendolo anche ieri in modo esplicito, che io sono favorevole all’assottigliamento del CAI dalle attuali dimensioni faraoniche di 326.00 soci totali a circa 150.000-massimo 200.000 soci: ciò significa che io non né scandalizzato né impaurito dall’ipotesi che 100.000-150.000 attuali soci possano “strappare la tessera”!
Discorso diverso, per mille motivi che mi sono chiari ma che non sto a ripetere, per quanto riguarda la posizione della dirigenza del CAI, intesa sia a livello nazionale che locale. Ma nei dibattiti io esprimo la mia idea personale e non sono l’ufficio stampa della dirigenza.
Sia chiaro un punto: la dirigenza CAI, almeno quella che conosco (sicuramente quella Generale e quelli ai area Nord Ovest), ha il mio massimo sostengo. Non è detto il contrario, almeno su certe posizioni, ma ci sta: neppure i dirigenti sono il mio ufficio stampa e quindi ognuno (in ciò sta il carattere democratico del CAI) esprime le sue esigenze.
Sul punto io sono fermamente convinto che sia meglio mettere in conto 100.000 tessere strappate, pur di liberarsi definitivamente di quelli che io chiamo i “falsi soci”: sono quelli che, non più tardi di ieri, ho descritto anche sul Blog (almeno nelle due categorie basilari), per cui non non mi ripeto.
Crovella il CAI per esistere ha bisogni di soci, per fare le sue attività ad esempio corsi habisogno che alcuni soci facciano gli istruttori. I soci e gli istruttori, per andare in montagna, per fare arrampicata e alpinismo non hanno bisogno del CAI.
Quindi andiamoci piano a dire che soci e istruttori devono sempre e comunque adeguarsi alle regole imposte dal club, come lo chiami te. Si può anche strappare la tessera. Di fame non si muore e in montagna ci si va ugualmente.
A prescindere dall’applicazione alla fattispecie del CAI, rilevo anche in questa occasione che è molto diffusa una visione errata del concetto di democrazia riferito ad un’associazione.
Un’associazione è democratica se le sue regole interne (Statuto, regolamenti, norme per elezioni ecc) sono democratiche, cioè consentono, a chi lo desidera, di poter “scalarla” al suo interno, seguendo appunto le norme statutarie. E il CAI è così: non c’è preclusione a carico di nessuno, se uno vuole puntare alla Presidenza Generale ha tutti gli strumenti per poterlo fare. Certo, dovrà vincere le battaglie congressuali (nel caso del CAI: le assemblee nazionali dei delegati, o a livello locale le elezioni per i vertici sezionali), non c’è nessuna norma che impedisca o intralci ogni tentativo di scalata. Certo, occorre “vincere” le elezioni, ma è proprio lì il senso della democrazia.
Discorso diversissimo sull’altro versante, dove molti soci (e quasi tutti i “non soci”) confondono “democrazia” con “ecumenismo”. Un conto è se nasci in uno stato e quindi hai cittadinanza di quello stato e allora richiedi una rappresentanza politica e istituzionale: in questo esempio, “democrazia” e “ecumenismo” tendono praticamente a coincidere.
Altro concetto, invece, per le associazioni, dove sei libero di associarti o meno. Se ti associ, “sposi” la filosofia dell’associazione ( e associandosi si firma l’accettazione delle norme interne dell’associazione), sennò – se non capisci questo concetto di fondo – la cazzata la fai tu, non l’associazione. Anche un vero partito politico è un’associazione a libera adesione: secondo il vs criterio (sbagliato) chiunque potrebbe associarsi a qualsiasi partito (da Sinistra Italiana fino a FdI) e poi pretendere di aver voce in capitolo in quel partito, anche se la sua personali idea è difforme o addirittura antitetica rispetto a quella del partito in questione. E’ questo l’equivoco in cui molti alpinisti scivolano con riferimento al CAI. (Nota: l’esempio del partito politico non sottintendente assolutamente che il CAI lo sia, ma l’esempio serve solo per spiegare che se ti iscrivi, puta caso, a FdI e hai una visione “comunista”, non puoi poi pretendere che FdI dia spazio anche alla tua visione… Se sei “comunista” e ti iscrivi a FdI la cazzata la fai tu, non il partito che poi non ti rappresenta….).
In ogni caso, va sottolineato che, proprio perché i meccanismi interni del CAI sono indiscutibilmente demovratici, a tavolino le nuove visioni – che siano tecniche, comportamentali, sociali ecc – hanno lo spazio per arrivare al vertice e quindi imprimere stewrzate anche profonde all’associazione. Ma non è l’associazione che deve pensare a questo: sono gli interessati alla nuove visioni che devono impegnarsi e andare a vincere le battaglie congressuali. Non mi ricordo (ma potrei avere delle amnesie) sterzate così profonde da aver mutato la natura del CAI: vuol dire che chi strilla per il “nuovo” spesso non si impegna nella battaglie congressuali (pigrizia? incapacità individuale? mancanza di attributi? irrilevante: quello che conta che la sterzata significativa non c’è) e/o il CAI, a latere delle norme prettamente giuridiche, in 160 anni ha elaborato un sistema collaterale di auto-conferma delle linee generali. E’ quella che ho già descritto in passato e che io chiamo “la palla di pongo” (o anche la palla di gomma). non avete idea di cosa sia? Provate a “scalare” il CAI elo scoprirerte sulla vostra pelle.
Grande Cominetti! Sono con te!
“Il CAI è una libera associazione e quindi non può negarmi l’adesione, anche se io ho una visione diversa …Poi però io rivendico la libertà di continuare a pensarla a modo mio, cioè non mi conformo…invece pretendo che il CAI cambi …”
Si chiama democrazia
“Ecco questi sono elementi deleteri per la vita di una qualsiasi associazione, in un qualsiasi settore, sportivo, polito o culturale.”
Non è vero, questi elementi sono il sale dell’associazione, se l’associazione è sufficientemente intelligente da non fossilizzarsi nello status quo.
Ci ha messo parecchi anni, ma anche la più retriva delle associazioni, che muove miliardi di euro ed è rappresentata da un sistema di potere che pare immutabile, la FIGC ha introdotto il VAR e il quarto arbitro per le proteste degli scontenti…anche se in abbondante ritardo rispetto al basket, per esempio.
Quando il CAI comincerà a smantellare tutte le ferrate che ha costruito negli ultimi 20 anni, comincerò a leggere cos’ha da dire. Anche se immagino si tratti delle solite fregnacce.
Benassi: il tuo commento vale come risposta ai commenti 6, 9, 10, 15, 17, 18, 23, 25, tutti solo di Crovella. Praticamente il 30% degli interventi, percentuali meloniane. E se guardiamo al totale delle righe che gli servono per esporre il suo roccioso e monocratico pensiero, siamo a livelli plebiscitari. Crovellablog!
15 non 25
25 Crovella.
Questa è proprio una cazzata. In una associazione che vuole stare al passo e si vuole rinnovare, c’è sempre bisogno che ci sia diversità di pensiero al suo interno. In modo da garantire un sano, rispettoso, democratico e costruttivo confronto tra diverse idee.
Ho già detto più volte in passato (nuova formulazione al posto di “è agli atti”, così nessuno potrà più fare obiezioni…) che io sono favorevolissimo allo smagrimento delle numero totale dei soci CAI. Devono restare nel CAI solo quelli che si riconoscono nel piacere di farne parte. Miei calcoli spannometrici mi portano a stimate che il numero complessivo dei soci genuini del CAI si aggiri sui 150.000-200.000, contro un totale nazionale attuale di 326.000.
Di conseguenza, ci sono circa 150.000 soci in eccesso, rispetto al numero di soci genuini. Chi sono questi “falsi” soci? Io individuo due principali categorie.
1) Quelli che concepiscono il CAI come una piattaforma di servizi, tipo coperture assicurative in montagna, sco ti suo libri, gadget, app, sconti in rifugio, sconti sugli impianti, gite sociali organizzate (della serie che telefoni per iscriverti e pensano tutto loro, ecc ecc ecc). Questi sono falsi soci perché sono dei “clienti” del CAI, e non degli associati che vogliono contribuire alla vita dell’associazione.
2) Un’altra grande categoria di falsi soci sono quelli che ragionano piu’ o meno in questo modo: “Il CAI è una libera associazione e quindi non può negarmi l’adesione, anche se io ho una visione diversa da quella che propaganda il CAI. Poi però io rivendico la libertà di continuare a pensarla a modo mio, cioè non mi conformo alla filosofia del CAI, e invece pretendo che il CAI cambi per spostarsi su posizioni simili alle mie o quanto meno che mi lasci fare come cappero mi va anche se il cappero che mi va e’ in contrasto con le linee programmatiche del CAI” Ecco questi sono elementi deleteri per la vita di una qualsiasi associazione, in un qualsiasi settore, sportivo, polito o culturale. Figuriamoci su temi oggi all’ordine del giorno, come andare in montagna in un contesto ambientale in vistoso degrado…
Conclusione: meglio liberarsi sia dei “clienti” del CAI (categoria 1) che dei piantagrane (categoria 2).
Le mie considerazioni valgono su numeri nazionali. Nelle realtà locali le situazioni possono anche esser molto diverse. Per es a Torino non mi capita di incontrare tanti falsi soci, ne’ della categoria 1 ne’ della categoria 2. Il sistema li pialla, nel giro di poco tempo si allontanano. Incontro invece frotte di gente che “ama” davvero il CAI e gli dedica catene di tempo libero (ovviamente gratis). Quedto sono i veri soci del CAI e di questi bisogna andare a caccia.
A me piacerebbe tanto che il CAI smettesse di ricevere contributi statali. Così vediamo come va davvero e quanti rimarranno attaccati al carrozzone. E’ come la presa per i fondelli della (ex) Rivista mensile: sei obbligato a pagarla se fai la tessera, ma poi va in edicola. Praticamente una coercizione mentre dovrebbe essere, visto che sei anche in edicola, una scelta del socio. Chiuderebbe dopo tre numeri… PS – Crovella, sempre a farti bello? Sono anni che collaboro con Gogna! 50 anni di CAI! E allora? Io per anni ho scritto sulla Gazzetta dello Sport, non lo sapevi? E per più di 40 anni sono stato iscritto al CAI! E allora? Tu stai sempre a tirartela, a dare degli analfabeti agli altri, a trattarli da ignoranti che non capiscono. Sei l’unico a farlo qui dentro, te ne sei accorto?
Riscriverei e, spesso cercando di sintetizzare al massimo, riscrivo quando non si può proprio non dire il concetto anche “oggi”, ma in passato il mantra diffuso fra molti bloggisti era proprio “Crovella, che palle, non fai altro che ripetere le stesse cose ogni giorno”…
Adesso sintetizzo, dove possibile, e per il resto rinvio agli atti e… anziché esser felici che NON riscrivo tutti i giorni le stesse cose, protestate lo stesso. Non è che ci sono “problemi di memoria?”
Quando non riscrivo tutto, il resto dovete cercarvelo voi, fate lo sforzo, se interessati. Se non interessati, non vale la pena che faccia io lo sforzo al posto vostro (tra l’altro le citazioni sono ormai decine, centinaia se non migliaia: ho scritto talmente tanti articoli in 7-8 anni di collaborazione con Gogna…)
Comunque, Carlo, non te la puoi cavare a buon mercato con un romanesco “È agli atti”.
Un vero sabaudo deve sempre fornire gli estremi dell’atto. Nello specifico: il titolo dell’articolo; la data di pubblicazione del medesimo; il numero e preferibilmente anche la data e l’ora del commento.
Altrimenti non vale. Altrimenti fai la figura di un usciere scansafatiche al Ministero della Pubblica Amministrazione.
P.S. Non arrabbiarti: lo dico per il tuo bene.
——— TERMINATOR ———
“Ascolta e cerca di capire. Quel Crovella è là fuori. Non si può patteggiare con lui, non si può ragionare con lui. Non conosce pietà né rimorso né paura. Niente lo fermerà prima di averti sfiancato. Capito? Non si fermerà mai.”
E’ impressionante come si possa riuscire a sostenere le proprie convinzioni fondate sul pregiudizio con affermazioni che prescindono da qualunque coerenza, ragione e in contrasto con la realtà dei fatti.
E non sbagliare mai!
Hahahaha e invece no?! Vai a dirlo ai dirigenti CAI. Se ascoltano te, tempo 10 anni e il CAI è finito. Uguale con la politica, FdI ha preso il 25% del 60% perché prometteva “niente più green pass”: se ascoltavano te, li votavano i soliti quattro gatti (fasci). Poi al prossimo giro FdI non potrà più fare finta di niente e tornerà a prendere il 10% (che a quel punto sarà il 10% del 50% perché metà abbondante degli Italiani avrà smesso di votare).
@16 in pochi decenni, forse addirittura in pochi anni, è cambiato il mondo. La causa è l’aggravamento della situazione ambientale e le prospettive in merito. Dobbiamo ragionare in modo diverso. La libertà di oggi e, soprattutto, la libertà di domani consiste non nel pensare “libero di andare dove voglio”, ma nel pensare “libero di individuare il limite ai miei movimenti”.
E poi: estremizzando, Messner e i top player di oggi potrebbero anche continuare ad avere quel modo di pensare, ma la grande massa di alpinisti non può più ragionare così.
Non è qui il giusto spazio per parlare di Green Pass, ma intervengo solo per segnalare che, ancora una volta, ci sono molte persone che non hanno capito una cippa. Ho scritto che il Green pass è stato uno spartiacque epocale, ma ciò varrà sempre più non in termini di programmi politici, bensì di consapevolezza dei singoli cittadini. Infatti è stata una misura estremamente ben accolta nella vita di tutti i giorni. A suo tempo ho fatto mille esempi qui sul Blog (e non li ripeto, “sono agli atti”!), mi limito a ripetere quello dei cagacazzo che rognavano sempre nella palestra che frequento, e che, senza g.p., per sei mesi non si sono visti (e tutti siamo stati più sereni), ai tre tecnici universitari del dipartimento sono insegna mia moglie, a loro volta tre individui che piantavano sempre delle storie e che, senza s.p., per sei mesi sono stati a casa e quindi non si sono visti ecc ecc ecc. La gente si è resa conto che è caduto un tabu: questo è il punto socio-politico del G.P. (cosa che NON ha niente a che fare con il suo risvolto sanitario). Un mio conoscente, gran sabaudo ma di quelli che io chiamo i “sabaudi di corte” (gentilissimi, ma falsi e cortesi), e, in quanto tale, elettore storico del Pd, ovviamente in un’ottica radical chic, mi disse esplicitamente “ma se che ‘sto G.P. è una vera figata! Vai in banca e non hai code, vai alle poste e non c’è nessuno, in ufficio non ti vengono a rompere quelli che magari tossicchiano (eravamo nella coda covid), ecc ecc ecc. Insomma meglio sta rottura burocratica che avere tutta sta gente fra i piedi”. Così mi disse. Ebbene, come lui, molti si sono accorti che, sia in bagatelle di ordinaria quotidianità sia in questioni di maggiori importanza, in fondo “regolamentare” i flussi non è poi ‘sta bestemmia istituzionale… ecco di cosa mi sono accorto, già nel 2021, e allora ho capito che quello è l’elemento chiave su cui si giocherà l’evoluzione politica non solo italiana ma anche europea. Non sul G.P in quanto misura sanitaria, ma sul concetto “io cittadino rinuncio a una fettina di mia libertà individuale, mse tu in cambio mi garantisci maggiori “sicurezze”. le sicurezze possono anche essere di spicciola quotidianità, non solo quelle strategiche (che stanno cmq diventando sempre più importanti). Non tutti i partiti di centro-destra hanno colto questa novità. Non è un caso che FdI sia circa al 30%, mentre Lega e FI (che si sentono più paladine delle “libertà”) siano sotto al 10%…
Descrizione del libro di Messner: La libertà di andare dove voglio.
La prima vita di Reinhold Messner: l’alpinista. Dalle Odle, le Dolomiti di casa, ai 14 ottomila, Messner racconta le sue imprese straordinarie dal punto di vista dell’alpinista che sa di aver cambiato per sempre il modo di andare in montagna: muovendosi con estrema agilità organizzativa e con una velocità fino a quel momento impensabile, riducendo al minimo i supporti tecnologici e rispettando al massimo l’ambiente. Come in altri libri «introspettivi», qualiLa mia vita al limite, Messner rende il lettore partecipe delle sue riflessioni: l’incontenibile bisogno di libertà e la continua necessità di mettersi alla prova, il mistero e l’imprevedibilità della natura, il peso della responsabilità, l’intesa con i compagni di cordata, l’amicizia e i litigi… La libertà di andare dove voglio è in primo luogo la straordinaria testimonianza di un uomo che ha sempre vissuto le imprese in montagna come altrettante tappe di un cammino di conoscenza.
L’errore di fondo, che è traversale a tutte le critiche (non solo rappresentate in questa conversazione) al CAI, critiche spesso addirittura differenti, le une dalla altre, in termini di specifico contenuto della critica, l’errore di fondo, dicevo, è che si pensa al CAI come la casa di TUTTI gli appassionati di montagna.
Questa impostazione è sbagliata e inoltre è fortemente antistorico. Forse forse, poteva starci, questa concezione ecumenica del CAI, fino agli anni ’70-inizio ’80, perché fino ad allora era difficile accedere alla montagna in maniera alternativa al CAI.
Ma da allora in poi, e in particolare dal 2000 in poi, c’è stata una specie di deregulation del settore. Oggi si accede alla montagna in migliaia di modi diversi, al limite attraverso i social (quanti gruppi “cerco compagni di cordata” !), per cui pensare che il CAI debba contenere nella sua enorme pancia TUTTI gli appassionati di montagna, ciascuno con la sua particolare visione dell’andar in montagna, non è cosa illuminata, anzi…
Il CAI è un club, cioè una associazione, che, nel contesto oggi in essere di poter approcciare la montagna anche senza il CAI, trova la sua ragion d’essere proprio nel fatto che esprime una SUA visione della montagna.
Il CAI non è più la casa di tutti gli alpinisti, ma è solo la casa di chi si riconosce nella filosofia del CAI. Caro appassionato di montagna, se ti riconosci, se ti trovi bene, se ti piace frequentare e conoscerci di persona per come siamo, ti accogliamo a braccia aperte: sei il benvenuto. Se invece ti iscrivi la CAI pur non condividendone la filosofia o, peggio, ti aspetti che ciascuno si possa iscrivere e poi possa fare di testa sua e quindi sclerare se la “comunicazione istituzionale” NON collima con l’ecumenismo che, erroneamente, hai accreditato al CAI… ebbene l’errore è proprio a monte (scusate il gioco di parole): l’errore è che, pensandola così, si sbaglia del tutto a iscriversi la CAI. Il mondo è grande, le strade sono infinite: il CAI non ha bisogno di quelli che io chiamo i “falsi soci”. anzi sono negativi, meglio non averli fra i piedi.
Cominetti, le promesse elettorali della destra italiana suonano certamente come la tua mamma quando diceva “vieni qui che non ti faccio niente”, però non credo che la libertà non possa essere, per certi versi, associata alla destra (es. politiche neo-liberiste). Per quanto mi riguarda, faccio mio il pensiero di Bakunin: “la libertà senza il socialismo è privilegio ed ingiustizia” (per l’appunto, l’esempio del neo-liberismo). Crovella pensa invece a una destra senza libertà (bingo).
E dunque, parafrasando Bakunin, la montagna senza libertà è privilegio ed ingiustizia. Chissà se quelli del congresso CAI sono d’accordo.
Cito direttamente da “Il programma per risollevare l’Italia” (FdI, politiche del 2022): punto 11, “Una sanità al servizio della persona”, (…) “Contrasto al Covid-19 e alle nuove minacce attraverso misure strutturali” (…) >> “nessun obbligo di vaccinazione” (…) e “nessuna reintroduzione del green pass”.
Le brochure promozionali si fanno così, Crovella, dicendo alla gente quello che la gente vuol sentirsi dire. Poi se si è coerenti si cerca di mantenere la promessa, altrimenti… altra corsa, altro giro, alle prossime elezioni i fascisti girano le spalle a Giorgia e tornano a votare Matteo (loro, si sa, non brillano per capacità d’autodeterminazione) e la gente normale si astiene. La vera tendenza del resto è quella: astenersi, non andare più a votare (e te credo).
Vuoi applicare al CAI le strategie di comunicazione che, bontà tua, condividi su questa piattaforma, come per il tuo partito di riferimento (e i tuoi amici di partito, per loro fortuna elettorale, si guardano bene dal secondarti) così anche per il CAI, ripetiamo tutti insieme la formula magica: lasciapassare >> sì, troppa libertà >> no, scarponi >> sì, scarpe da trail running >> no … ?!?
Associare alla destra la libertà mi fa venire in mente mia madre che, quando da piccolo avevo combinato qualcosa, mi diceva: vieni qui che non ti faccio niente.
Oltre a farmi rabbrividire.
Crovella, grazie per lo spiegone, che non cambia però di una virgola quello che penso (e certo, io sono un bambino dell’asilo). Giorgia Meloni ha preso i voti dai delusi della Lega che aveva sostenuto il governo del green pass, e del resto la campagna “basta green pass” l’ha lanciata e cavalcata proprio il suo/tuo partito: in pratica avete preso la gente per il culo, ma ci stava, altrimenti non vi avrebbero votato. Parlando di CAI e del suo congresso, quanti nuovi iscritti credi che potrebbe generare, da qui al 2030, una politica di limitazione delle libertà in montagna, contro gli sport “cannibali”, a favore di patentini come lasciapassare e restrizioni all’accesso di aree di montagna sempre più vaste?
@8 Il fenomeno socio-plitico che io (soggetivamente) chiamo “destrizzazione dell’Europa” è la conseguenza dell’esigenza di maggiori sicurezze individuali (con il corollario connesso per cui la cittadinanza è anche disposta a cedere piccole quote di libertà individuali in cambio di maggiori sicurezze). Si tratta chiaramente una mia analisi socio-politica, da osservatore attento e capace di coglier i segnali dei cambiamenti in atto. Tuttavia, non solo trovi conferme in molte fonti più autorevoli di me, ma, se aguzzi gli occhi, ne puoi vedere le conseguenze in una realtà che, dal Green Pass in poi, si sta evolvendo alla velocità della luce in quella direzione.
Tale fenomeno spiega non la conferma di voti alla destra di chi già la votava prima, ma lo SPOSTAMENTO elettorale in atto (che io prevedo sempre più consistente, proprio per il suddetto fenomeno del concambio sicurezza-libertà). Il Green pass da questo punto di vista è uno spartiacque epocale. Ho già scritto a suo tempo, per cui “é agli atti” e non spreco altro spazio. Ma tutto questo tema o è completamente incoerente rispetto all’argomento del giorno e solo chi vuole alzare polverone per distrarre i lettori mescola il tutto in un minestrone assolutamente illogico.
Ne approfitto però per precisare che il Popolo delle Libertà (PdL) appartiene ad una stagione politica ormai morta e sepolta: era frutto della volontà di Berlusconi e infatti il partito di destra (al tempo AN) confluì controvoglia nel PdL.
Quando il PdL è collassato, noi abbiamo tirato un sospiro di sollievo, riprendendoci lo spazio ideologico in cui ci riconosciamo (FdI), che non ha assolutamente la stessa visione del PdL, anzi. E infatti oggi i flussi elettorali più corposi convergono su FdI, ma non su Forza Italia (che era la spina dorsale di PdL): ecco la differenza che sfugge a molti commentatori e che porta a conclusione del tutto errate (tra l’altro chi oggi si sposta a destra in cerca di “sicurezze”, non risponde “col cazzo” quando gli diamo sicurezze e, al limite, gli chiediamo, implicitamente, di rinunciare a piccole quote di libertà individuali, cito ancora, a puro a titolo di esempio, il Green Pass. Non rispondono “col cazzo!” Ci rispondono “Evviva!”). Ti ho spiegato tutto ciò come se stessi parlando a un bambino dell’asilo, perché, sul quadro socio-politic, hai delle convinzioni davvero old view e bisogna darti una bella rinfrescata. Il mondo evolve alla velocità della luce ed esser fermi al PdL (collassato nel 2011-12, cioè dieci anni fa circa) significa esser fermi alla preistoria. Qui stop perché PdL ecc non c’emtramno con l’articolo di oggi.
Per quanto riguarda il mio contributo isituzionale al CAI, esso non si limita certo a questo articolo, che a se stante ha cmq un “suo” valore e una “sua” ragion d’essere (altrimenti Gogna non lo avrebbe pubblicato…). Non devo fare a te l’elenco di tutto ciò che ho fatto (per amore e non per convenienza) in 55 anni di CAI e 40 da istruttore e direttore di Scuola. I vari dirigenti CAI, sia di area che nazionali, sanno perfettamente cosa ho fatto e cosa continuo a fare per il CAI e stai tranquillo che non hanno le tue perplessità a riguardo.
Ma vedi che io ho ragione quando affermo che c’è uno zoccolo duro di gente che NON capisce con precisione (quello che dico/scrivo) perchè NON vuole capire. Eccone un altro esempio!!!!
Mai scritto che io ho “dovuto” resistere nel CAI. Ma figurati! A me il CAI piace e mi piace farne parte. Ci sono delle volte che vado ai Cappuccini (sede sociale torinese) anche senza un motivo preciso, ci vado perché so che là di sicuro incontro qualcuno (fra gli appassionati di montagna e del CAI) e posso far due ciance di montagne.
Figuriamoci tutto il resto, ogni tipo di impegno che si mette nel CAI, dall’impegno didattico a quello organizzativo, logistico e culturale. Io mi sento perfettamente a mio agio nel CAI (da 55 anni!) e mi “piace” proprio far parete del CAI (parlo soprattutto dei CAI torinesi, al plurale perché ci sono due Sezioni importantissime e diverse Sezioni dell’hinterland).
Così dovrebbe ragionare ogni socio CAI o aspirante tale: se al CAI ti senti a casa, sei il benvenuto, altrimenti… meglio che tu faccia la tua strada. Oggigiorno ci sono mille modi alternativi per andare in montagna: non è necessario passare attraverso una “autoimposta” associazione al CAI. Un socio che di forza ad iscriversi sarà infelice in prima persona e non darà un apporto di entusiasmo e gradevolezza, come invece un socio che, nel CAI, si sente a “casa sua”.
La difesa delle libertà individuali è, da sempre, cavallo di battaglia della destra (“casa delle libertà”). Hai scritto che “la società europea è disposta a cedere un po’ di libertà in cambio di sicurezza” per voler così giustificare, a tuo modo di vedere, una (presunta) tendenza a votare partiti di destra. Ma si tratta di una proiezione della tua testa, quella stessa testa che partorisce, coerentemente, slogan come “più montagna per pochi” e ideuzze di stampo autoritario come quella del “patentino”.
Su quello che hai fatto tu per il CAI non mi permetto assolutamente di giudicare, lasciami però dire che 55 anni di fedeltà non significano necessariamente amore, possono anche essere solo opportunismo. Del resto non è il massimo il servizio che rendi al “tuo” CAI con questo lavoretto di taglia e cuci: ne distorce il messaggio, riducendolo a conferma del tuo schema di pensiero, quando invece voleva essere solo un contributo (uno dei tanti) ad una discussione più generale.
Ti ostini a “dimostrare quanto poco comprendiate” (a chi ti rivolgi? io sono uno, rappresento solo me stesso) e quando sei messo all’angolo te la cavi con un “prendete farfalle” (di nuovo, rivolto a chi). Se vuoi discutere, scendi dal piedistallo e rispondi nel merito.
Crovella, se nel Cai hai dovuto resistere, non è una bella cosa.
Per amor di precisione, anche se il tema è collaterale all’argomento di oggi, specifico che la sottostante frase è sbaglaita
Crovella, in particolare, è quello che giorni fa scriveva, come seguendo una proiezione della propria testa, che l’elettorato di destra è “disposto a rinunciare a qualche fetta della propria libertà in cambio di maggiore sicurezza
NOn ho scritto e non penso questo. penso e sono arciconvinto di una cosa decisamente diversa: la società occidentale, europea in particolare, oggi è disposta a cedere un po’ di liberà individuale ub cambio di maggior sicurezza (in realtà io uso il termine “sicurezze”, al plurale, per indicare la pluralità di sicurezze, da quella di ordine pubblico a quella sanitaria professionale, reddituale…). In soldoni: non sono solo gli elettori di destra a esser disponibili a fare questo discorso, ma anzi sono spesso elettori che appartengono a strati socio-culturali un tempo feudo della sinistra. Gli operai di Mirafiori che un tempo votavano a mani basse per il PCI di Berliguer, oggi votano in maniera sensibile per las Lega o FdI.
La risposta “col cazzo” è un’invenzione di tutto punto e dimostra quanto poco conosciate il sentimnet della cittadinnza italiana.
Ho fatto questo excursus, che è del tutto fuorti dal tema del CVAI (e mi perdoni Quintino Sella in persona per l’invasione di campo per dimostrare quanto poco comprendiate di qyello che viene scritto.
Se prendete farfalle sul tema “sicurezza”, altrettanto lo fate sul tema CAI. Le interpretazioni che vengono elaborate sono spesso processo alle intenzioni (che cappero ne sa, il precedente commentatore, di quale cognizione di causa posso vantare io sul tema CAI, dopo 55 anni di mia associazione ininterrotta e convinta al suddetto CAI con 40 consecutivi da istruttore titolato ed educatore di frotte di giovani???). In ogni caso le sue sono pippe mentali senza alcun fondamento: accumuli esperienza e conoscenza del sodalizio di pario entità (ammesso che, con la sua mentalità, riesca a resistere per un arco temporale del genere…) e poi ne riparliamo.
Non so se per una svista o per scorrettezza, qui Crovella ci spaccia un post, pescato tra molti, come “presentazione della pagina del congresso CAI”, persino come suo “manifesto ideologico”. Parliamo del post, per la precisione, del 27 ottobre, intitolato “libertà, limite, responsabilità” ed inserito dentro uno dei tre tavoli di lavoro, il numero 2, “Il CAI, la frequentazione responsabile della montagna, i nuovi comportamenti consapevoli”, che come si vede dal titolo meriterebbe ben altra considerazione che l’essere piegato allo schema di pensiero di Carlo Crovella.
Mi chiedo a questo punto come abbia fatto Crovella a farsi scappare, sempre nell’ambito di questo tavolo di lavoro, un post precedente (pubblicato in luglio) in cui si affronta il tema dei “nuovi sport”, “e-bike, m-bike, skialp, extreme, parapendio, ciaspole” (sic), con un incipit di questo tipo: “la montagna è libera, la montagna è libertà, ma non anarchia!”
Questo era il manifesto perfetto. C’era dentro la parola “anarchia” come sinonimo di caos (e invece sarebbe tutto il contrario, perché anarchia significa, quasi letteralmente, capacità delle persone di auto-organizzarsi e di darsi regole di comportamento in maniera spontanea, senza bisogno di polizia e imposizioni di potere).
Ma ancora, dove è scritto “la montagna è libertà, ma non anarchia” il sottinteso sembrava essere (e così sarebbe arrivato a uno come Crovella) “libertà sì, ma fino a un certo punto però”, il che significa: nuove regole, nuove e più severe limitazioni, per l’appunto, alla libertà. Stando così le cose, potevano intitolare il tavolo di lavoro, anziché “frequentazione responsabile della montagna”, “frequentazione regolamentata della montagna”, col sottotitolo “teorie per un approccio autoritario alla frequentazione della montagna”.
Dal mio punto di vista, è chiaro che per gente dal pensiero schematico e semplice, come Crovella (senza offesa, eh), interventi di questo tipo sono come inviti a nozze. Crovella, in particolare, è quello che giorni fa scriveva, come seguendo una proiezione della propria testa, che l’elettorato di destra è “disposto a rinunciare a qualche fetta della propria libertà in cambio di maggiore sicurezza” (e dall’elettorato di destra si alzava un coro: “col cazzo”). Uno che scrive una cosa così, e che ha in mente null’altro che divieti e patenti, è chiaro che viva la realtà del CAI come opportunità di visibilità, o per meglio dire come opportunità da lacchè dell’autorità, lobbista della domenica che ha come obiettivo la regolamentazione di uno dei pochi spazi di vera libertà rimasti (la montagna).
Ovviamente dentro al CAI ci sono anche voci più raffinate, l’intervento di Annibale Salsa (non a caso, un antropologo) è lì a testimoniarlo, ma magari al CAI devono stare attenti, anche con le cose che pubblicano, a non dare troppa corda a gente come Crovella (gente che riesce con costanza ad affondare il dialogo, quasi in tutte le circostanze, all’interno di questo blog, e pazienza).
Nell’epoca dei cambiamenti climatici c’è un’analogia tra la montagna e la città, tra chi vive in montagna e chi vive in città: entrambi devono diventare custodi dell’ambiente e non padroni. Chi vive in città ospita volentieri i montanari in viaggio e viceversa. Entrambi hanno la responsabilità di curare per gli altri la parte del mondo in cui vivono senza compromettere né alterare il patrimonio che hanno eredito dalla storia o dalla natura.
Segnalo che NdA (nota dell’autore) è uno sbaglio, a meno che Crovella abbia redatto il manifesto del CAI.
Per il resto mi pare tutto alquanto vago.
A parte che non capisco bene il pensiero di Carlo Ancona, in particolare il senso dell’ultimo punto
Ascoltate il discorso di Salsa perché dice cose sagge e fondamentali.
Un presidente così ce lo sognamo. Ma questa è altra storia.
Perché il Cai non propone a tutti i suoi soci di non andare a sciare sulle piste?
Sarebbe un bel contributo all’ambiente, facilissimo da realizzare.