Parlare di quel qualcosa di sacro

Questa volta ci casco in pieno… ho riflettuto molto se postare questi pensieri dell’amico Giorgio Robino. Nientemeno che un paragone tra il percorso intellettuale di Reinhold Messner e… il mio!
Mi sono un po’ costretto, come succede ogni volta che qualcuno ti fa riflettere su cose che non hai mai voluto prendere in considerazione. Soprattutto non mi va che qualcuno mi faccia “vincere” un confronto.

Parlare di quel qualcosa di sacro
di Giorgio Robino

Che relazione c’è tra le due persone, RM e AG, e tra i due percorsi? Ci sono molti punti in comune!
Ad esempio entrambi hanno fatto un percorso di vita (alpinistica) che io vedo simile, e mi riferisco allo sfuggente “limite” di cui entrambi parlano spesso.
Ad esempio entrambi decidono un’operazione di comunicazione “semplificata”, anche se con mezzi mediatici ben diversi.

Giorgio Robino sulla cascata Ciucchinel in val Varaita: Foto: Pietro Godani
ParlareQualcosaSacro-GiorgioRobino-foto Pietro Godano

Reinhold Messner, abbiamo visto finora, utilizza i musei, mentre Alessandro Gogna utilizza un sito internet, il Gogna Blog. Entrambi fanno un’operazione culturale che consiste nella necessità umana della contemplazione del mistero.

Messner lo fa utilizzando i musei, uno strumento culturale novecentesco. Malgrado la recente pretesa museale di “multimedialità interattiva” (concetto generale di moda nei musei “moderni”) magari coadiuvata dai computer e da paventata realtà aumentata, i musei sono uno strumento comunicativo “antico”, statico (con programma predefinito da un regista), didascalico e soprattutto mono-direzionale: l’informazione è a senso unico verso un generico pubblico impersonale!

Messner ha evidentemente una cultura radicata nel secolo scorso. Se ho ben capito, non ha dimestichezza con i computer, per esempio, quindi credo che nemmeno conosca i mezzi relazionali che oggi permette internet (che ovviamente non sono solo la comunicazione esibizionistica di whatsapp e facebook!). Lui appartiene a una borghesia novecentesca che, sebbene ne abbia preso le distanze per quanto potesse per tutta la sua vita (gliene do grande merito, sia chiaro!), è la radice della sua cultura. E il museo, dopo i libri, gli appare come una novità comunicativa, quasi sua invenzione, ma ahimé invece è uno strumento obsoleto, il museo.

Gogna d’altro canto, su tematiche in parte comuni, fa qualcosa di simile, ma utilizzando uno strumento comunicativo “moderno”, bidirezionale, interattivo, che il blog su internet appunto permette, con i commenti e l’interazione tra autore e lettori, che possono diventare a loro volta autori, come forse è per me che scrivo questo testo.

Gogna fa una azione di provocazione culturale ad ampio spettro, sporcandosi forse più le mani nell’occuparsi di moltissimi punti nevralgici del vivere sociale e la montagna: batte molto sugli aspetti di tutela ambientale, sulla necessità di un alpinismo “by fear means” (anche lui), si arrabbia sull’abbrutimento del Club Alpino e delle Guide Alpine, e poi soprattutto ci parla del concetto di libertà e di limite (anche lui) e ogni tanto ci accenna a quello che c’è al di là del limite.

Personalmente, da informatico, e per via della mia generazione di appartenenza forse, apprezzo maggiormente il percorso di Gogna. Semplicemente il blog mi sembra uno strumento comunicativo più raffinato e intelligente del museo, perché permette di far comunicare gli individui velocemente, direttamente e alla pari. Quindi si tratta di un mezzo di crescita culturale tra singoli “individui”. Più interessante perché l’energia cerebrale viene distribuita e circola forse un po’ tra i partecipanti. Non più pubblico, ma individui interagenti!

Con scherzosa metafora alpinistica, direi che Gogna raggiunge lo scopo culturale in “stile alpino”, con il minimo dispendio energetico, un approccio individualistico, minimale. Mentre Messner utilizza la tecnica dell’“assedio della montagna” con i campi base che sono i musei. Grande potenza di mezzi economici e costose energie collaborative, compromessi sociali forse, quindi meno libertà, comunicazione interiore poco efficace, forse.

Infine, a prescindere dalla mia preferenza sulla “tecnica” usata da uno e dall’altro, concludo che Reinhold Messner e Alessandro Gogna ci dicono cose simili, parlandoci entrambi, tra le righe, di quel “qualcosa” di sacro, pur facendolo con mezzi comunicativi diversi.

Giorgio Robino

Reinhold Messner al campo 2 del Lhotse, 1975
Lhotse (Nepal), parete sud, 1975 sped. naz. CAI, R. Messner al campo 2

 

Considerazioni del sottoscritto
E’ vero, ho sempre visto i musei come qualcosa di estraneo a me. E’ famosa la battuta che faccio da una vita ogni volta che c’è anche la lontana possibilità (per il brutto tempo, in genere) che vada a visitare un museo: “Ai musei bisogna andare quando hai almeno ottant’anni!”.

Devo dire però che i pochi musei che mi hanno visto entrare in realtà comunque hanno suscitato in me qualcosa di notevole: o noia mortale o interesse estremo e inatteso, senza mezze misure.

D’altra parte è vero che non si vede dove potrebbero essere custodite altrimenti le super-assicurate opere d’arte o le meno considerate (ma secondo me ugualmente importanti) testimonianze di una qualche cultura. Dunque, il museo è meglio che una polverosa soffitta, o una cantina umida. Ed è anche meglio di un salotto privato di un qualunque riccone. Forse solo una chiesa, per la sacralità di cui è intrisa, può sostituire degnamente un museo. E’ mia convinzione che arte e cultura non possano essere a disposizione di pochi eletti, ma devono il più possibile essere esposte al pubblico.

Per quanto riguarda gli MMM, ho visitato solo Castel Firmiano. Credo però che la montagna e la cultura espresse dagli uomini che la frequentano o la vivono meritino l’opportunità di essere messe in mostra. Il sacro ha bisogno delle sue chiese (anche se non sempre).

L’idea di Messner va oltre l’arte, è il tentativo di dare dignità a una grossa fetta di mondo. Lui segue la sua visione.

Nel momento in cui realizzo di non essermi mai sognato un progetto così grandioso sono sicuro anche di essere contento che qualcuno l’abbia fatto. Non giudico i musei obsoleti solo perché non mi piacciono tanto. So che devono esserci. Non mi sento meno “novecentesco” di lui solo perché uso di più il computer. E quanto a borghesia, sono nato in città, dunque sono (o ero) più borghese di lui, nato a St. Magdalena di Funes.

Chi ha concepito il Colosseo o il Partenone non era certo meno bravo di Zaha Hadid che ha disegnato l’MMM Corones. Il problema è che i romani e gli ateniesi non avevano alcun motivo per contestare un’opera d’arte o criticarne la “location”: oggi invece l’arte vive giorni molto più difficili, deve farsi largo in mezzo a una marea d’ignoranza e di venalità spalleggiate da rigurgiti di mania colonizzatrice. Quindi, quanto a “sporcarsi le mani”, mi pare che Reinhold e io siamo sullo stesso piano.

Nella ricerca del proprio destino passano improvvisamente dei treni. Chi è più attento sente il fischio della locomotiva assai prima di altri. Non si può prenotare on line, occorre essere nel posto giusto al momento giusto. Funziona che, se il treno è “quello giusto”, bisogna salire in carrozza: e non importa se il tuo amico deve prendere un altro treno, magari un convoglio che va in direzione contraria.

Considerare sempre che, quando si è sullo stesso treno, non si arriva primi (non si “vince”) solo perché si è nella prima carrozza dopo l’elettromotrice.
Considerare sempre che, se si è su treni diversi, ogni “vittoria” è priva di significato.

Massimo rispetto. Massima libertà. Massima fiducia nelle idee degli altri e delle mie (quando ci sono). Riconoscere ciò che è sacro. Possibilità di critica costruttiva.

Alessandro Gogna

 

 

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Parlare di quel qualcosa di sacro ultima modifica: 2015-09-29T06:00:58+02:00 da GognaBlog

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9 pensieri su “Parlare di quel qualcosa di sacro”

  1. un confronto privo di senso! 🙂 me gusta.

    I miei due articoli non sono stati scritti avendo in mente come interlocutori dei bambini.

    Cervellotico che cosa significa: che ho usato il cervello ad cazzum ? Può darsi! 🙂

    Ma quando sento parlare di “modalità di utilizzo”, “prodotto”, “destinatari”, mi cadono le palle, perchè credevo che il livello di una possibile discussione fosse un cicinin più alto.

    Ho fallito.
    Amen
    😀

  2. confrontare un museo con un blog mi pare cervellotico, trattandosi di due oggetti incomparabili nella forma, nelle modalità di utilizzo nel prodotto che offrono, nei destinatari di questo prodotto. Trattano entrambi di montagna, così come le statue di Pericle, le tragedie di Euripide e la filosofia di Platone rappresentavano l’uomo greco, ma un confronto d’efficacia o addirittura di valore tra queste forme espressive sarebbe privo di senso. Un museo si può giudicare e criticare in quanto museo , oppure si possono nutrire dubbi sulle funzioni museali come forma culturale…bisogna però ricordare che i fruitori di un museo spesso sono bambini, ragazzi, o persone che mai consulterebbero qualsivoglia blog di argomento montano.

  3. Vittorie:
    non volevo far fare a gara, proclamando “the winner is…”! Si, magari ho una preferenza nel “modo” della comunicazione, ma sul “perchè”, gli agonismi sono risibili.
    Musei:
    la mia personale refrattarietà (espressa inizialmente nell’ articolo “A cosa servono i musei di Messner?”) è solo spunto per portarci a ragionare sui mezzi di comunicazione del contenuto “sacro”… Nealla pratica storica sono pure io d’accordo con quanto dicono: Alessandro, Giuditta e Sergio! (nell’articolo “Al luna ark della montagna”)
    Bussole e treni:
    paragono questi tragitti umani su rotaie con l’aiuto di una metafora: avete presente il film “The Truman show” ? E’ quel film dove il protagonista è il personaggio di un reality show, una città con tanto di colline, mare e montagne…, tutto chiuso in una calotta semisferica, che isola la città del reality dal mondo “libero” esterno.
    Allora io la vedo così: buttando dei nomi a caso che mi vengono in mente tipo giochino alla scientology… 🙁 :
    Gogna, Messner, Bonatti, e poi Bukreev, Moro e Simpson e migliaiaia di minori, uguali, superiori, chi ne ha e più ne metta, alpinisti, non alpinisti, molti, spinti da incomprensibile motivazione interiore individuale, prendono un treno per andare verso la parete della sfera, il “limite” del mondo dello “show”… a vedere che c’è là.
    Ora potrebbe essere che tu prendi un treno, dal centro della sfera che va da una parte ed un tuo amico prenda un altro treno che apparentemente va da una altra parte, ma poco importa! perchè tutti i treni vanno a sbattere contro il bordo della semi-sfera che racchiude la città finta del reality. Ma ecco vari tipi di diversi viaggiatori che sono arrivati al limite del piccolo mondo racchiuso:
    – qualcuno “ha voluto” trapassare la parete e non è più tornato (è uscito dallo show con grande scazzo/sorpesa del regista, così avviene nel film no? ;-), cose commoventi tra aldiquà ed aldilà del muro… cose “tra loro”. Forse eghi (ma come si scrive il plurale di ego?) smisurati ? sospendo il giudizio. Tanto chi esce non torna. Fine del “gioco”…
    – forse peraltro nemmeno “voleva” uscire… è che ha involontariamente aperto una porta di emergenza… è scivolato fuori, ed avendo realizzato che il mondo non termina alla parete… la produzione del reality non l’ha ovviamente più fatto entrare nel mondo al cui interno tutti credono di essere “reali”. Sennò il mega show finirebbe. Finirebbe il mondo.
    – qualcuno è tornato ed ha detto che non c’è nessun muro, nessun limite! macchè! fandonie!, ma quale Dio! Ma va là! è andato a raccontare che è stato un bel viaggio anche se passare la tempesta è stata cosa da superuomini, un gran culo che solo pochi possono, con molto allenamento e caparbietà!
    – qualcuno è tornato sgomento invece…. Ha detto di essere un non-coraggioso, ha paventato falsa modestia, ed ha cominciato poi il “martirio” della lotta dentro la sfera, a cercare di spiegare prima alle persone amate, infine a tutti… ha incominciato a comunicare qualcosa che non si può comunicare … una impresa disperata… chi scrivendo libri, chi facendo musei, chi facendo blog, chi ritirandosi ad allevare caprette, chi dedicandosi alla pesca …
    Ah! poi ci sono quelli che non lo hanno voluto prendere il treno, ma proprio “volutamente”, o perchè “dormivano” e non volevano rogne di alcun genere, che la vita nel quotidiano è già un tormento così e bisogna divertirsi, ai luna park, in montagna, nei reality ed al cinema (?!).
    Ecco io… tendo a provare empatia per quelli tra i sopra elencati, che si sono messi disperatamente a dirci, con l’uso sempre ambiguo ed ingannevole del linguaggio o addirittura dico di qualsiasi rappresentazione dell’arte… che il muro è intrapassabile, che i treni non portano da nessuna “parte”, luogo che si possa comprendere qui dentro la sfera …
    P.S. mi avrà fatto male il panino ch ho mangiato a pranzo ? 🙂

  4. Apprezzo ambedue i modi di comunicare, personalmente anzi mi muovo meglio in un museo che a leggere dei blog, al museo dedico del tempo quando ce l’ho, spesso ai blog dedico del tempo sottratto ad altre attività quotidiane, ingiustamente. Certo, non mi sogno di entrare in un museo che tratta argomenti che non mi interessano. Sarà cultura del secolo scorso ma l’esposizione dove si vede dal vivo e, spesso, si tocca con mano non può essere sostituita da nessun percorso sul web. Provare per credere, portate i bambini ai musei o nei teatri e ditemi cosa vedete. Qualcuno rimarrà stupito.
    Queste mie considerazioni non prendono assolutamente in esame il confronto tra i due personaggi, ma sono solo state motivate da quanto letto secondo cui il museo in sé sarebbe anacronistico.

  5. sarà che il teutonico soffre di mania di protagonismo e volendo essere sempre il primo poi si esagera e la si fa fuori dal vaso?

  6. Pardon, puntualizzo perché vorrei fosse chiaro il mio pensiero. Alessandro sta’ svolgendo un’opera egregia. Messner l’ha svolta e avrebbe dovuto, come in altre occasioni, fermarsi prima.

  7. Due modi diversi di comunicare, è vero. Personalmente preferisco quello scelto da Alessandro sebbene mi renda perfettamente conto che le modalità scelte da entrambi gli alpinisti non siano sovrapponibili. Rimane il punto in comune della “comunicazione” ma dietro a ciò c’è un universo di diversità.
    Messner è un personaggio molto controverso, difficile da analizzare, però c’è un aspetto di lui che non mi ha mai convinto o forse, sarebbe meglio dire, non mi è mai piaciuto. Non voglio addentrarmi in un’analisi psicologica, dico semplicemente che in varie cose che ha fatto è partito bene ma poi si è perso nell’eccesso. Come alpinista direi che la sua storia parli chiaro, da uno storico passaggio di VIII- al Sass dla Crusc (coi mezzi di allora) ad una competizione insensata per raggiungere tutti e quattordici gli ottomila, dai primi libri, che per me sono stati dei veri gioielli, agli utlimi scritti giustamente criticati da taluni anche aspramente, dal primo museo di Castel Juval all’ultimo obbrobrio di Plan de Corones.
    E’ come se tutte le volte che si cimenti in qualche attività Messner finisca per perdere la bussola. Assomiglia a quegli attori che dopo aver fatto un primo bel film cominciano a farne infiniti seguiti (il secondo, il terzo, ecc.).
    Se Reinhold avesse creato un blog come ha fatto Alessandro probabilmente ne sarebbe diventato padre padrone, probabilmente avrebbe iniziato in sordina ma prima o poi avrebbe fatto sentire la sua voce e avrebbe cominciato a zittire i vari partecipanti, probabilmente anche ad inibire l’accesso ai non graditi.
    Sovente ho invece apprezzato la modestia con cui Alessandro si pone, talvolta in situazioni in cui potrebbe ragionevolmente procedere con mano pesante (perchè talvolta si leggono dei commenti veramente sgrausi).
    Quanto sopra costituisce chiaramente una riflessione a livello umano perché se ci limitiamo ad un’analisi del prodotto entrambi, Reinhold ed Alessandro, stanno svolgendo un’opera egregia la quale, sebbene con modalità diverse, aiuta sicuramente ad elevarsi ad un piano più alto di coscienza.

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