1978 – 1984, Scuola di Alpinismo a Torino – 2

Custa si l’ha fait el Ciangabam
(questa ha fatto il Changabang)
di Enzo Cardonatti (l’Alchimista)
(pubblicato su climbingpills il 27 maggio 2011)

1984, settembre.
Da qualche mese ho finito il militare o meglio la lunga convalescenza che mi ha accompagnato al mio ritorno dal Libano: Beirut ovest. Giovane studente di medicina, pensavo che il servizio militare servisse a distrarmi un poco dalla biochimica, bestia nera e sbarramento per il proseguimento degli studi. In realtà avevo presentato domanda per il servizio civile nell’Ospedale psichiatrico di Collegno (non ridete), dove da alcuni anni prestavo attività da volontario, ma la domanda venne respinta, forse per qualche trascorso diciamo… un po’ inquieto nella politica militante.
Morale: non solo mi ritrovo bersagliere, ma pure spedito obbligatoriamente, con tutta la mia compagnia, a Beirut ovest. Della storia di quei mesi ho già scritto, e forse un giorno vi farò partecipi; resta il fatto che dopo più di tre mesi torno in Italia con una epatite virale di tipo A, il fegato spappolato e il morale a terra. In più passo il resto della naia all’ospedale militare, reparto infettivi, dove a parte il sottoscritto gli altri ospiti erano tutti tossici… comunque simpatici.

Enzo Cardonatti

Decido quindi di iscrivermi alla mitica scuola di alpinismo Gervasutti, così mi rimetto in forma, trovo nuovi amici e riprendo ad andare in montagna aggiornato, sperando di dimenticare studi e militare.
Dovete sapere che a quei tempi la scuola aveva due anime ben distinte, quella dei giovani istruttori e aiuto-istruttori e quella dei “saggi” tutti ovviamente istruttori e accademici. Queste due anime convivevano con spirito tutto sommato competitivo ma simpatico; per noi allievi era più naturale scorrazzare con i giovani, tra l’altro molto bravi, che non con i “saggi”, anche perché avevamo un timore reverenziale nei confronti del milieu dell’accademico occidentale. Timore che diventava panico quando si parlava del mitico Pan e pera Manera. Ai tempi l’appuntamento per le uscite era alle 7 in piazza Castello, si consegnavano i tesserini e gli allievi venivano assegnati all’istruttore.
“Con… vanno…” questa era la frase di assegnazione, quando arrivava il momento di “Con Manera vanno…” calava un silenzio tombale, alla lettura degli assegnati si sentiva un “wiuuusssshh” di sollievo nella piazza, mentre due poveri tapini impallidivano prima di venire apostrofati dal Pan e pera con la storica frase: “T’las pialu l’ martel? (il martello l’hai preso?)” Mal gliene incoglieva se la risposta era un no.

Changabang da sud. Foto: Ugo Manera.

Una domenica, un amico finito nell’uscita di Finale Ligure come suo allievo si dileguò dalla piazza, continuavano a chiamarlo, ma lui lasciò il tesserino e non si fece più vedere.
Quell’anno fu il primo in cui divenne obbligatoria nella scuola l’uscita sulle cascate di ghiaccio, io mi attrezzai con una Super Courmayeur nuova, pensando di affidarmi come secondo attrezzo alla classica Camp da 65 cm. Ovviamente non si parlava di terzo attrezzo, non potevo permettermelo, a quei tempi la progressione era su due attrezzi con cordino all’imbracatura più un terzo attrezzo per piantare/levare i chiodi.
La domenica mattina ci trovammo all’appuntamento e… “Con Manera vanno. Cardonatti e…”
Azzzz questa volta l’ho beccato; il mio compagno di sventura mi guardò perplesso:
– Che si fa?
– Si va!
Destinazione l’anfiteatro di Novalesa.
Salimmo sulla sua auto bianca, se non ricordo male una Uno, e fino ad Almese non scambiammo una parola! Noi timorosi, lui assorto per i fatti suoi.
Poi improvvisamente ci apostrofò:
– Quante cascate avete fatto?
?????????????????????????
Aspettavo il mio socio sperando potesse vantare anche solo uno sputo di ghiaccio.
Silenzio.
– Nessuna, io.
– Neanche io.
??!!!!????!!!!!!§ç°*
A quel punto non era solo più timore, era panico e terrore puro.
Una persona normale, vista l’esperienza vantata dai suoi allievi, avrebbe iniziato con una facilissima cascata didattica. Ovviamente, non fu così… scelse un TD+ su candelotti, ma prima…
Arrivati a Novalesa, facciamo la conta del materiale:
– Che attrezzi avete?
Io tiro fuori orgoglioso la mia Grivel e l’alpenstock.
Stessa attrezzatura il mio socio.
???ç°*§§!!!!!??
Dopo aver ruminato qualche improperio, si china nel bagagliaio dell’auto e ne estrae una piccola Stubai color verde pisello e me la porge con gesto solenne:
Custa si ha l’ha fait el Ciangabam” [Changabang, famosissima e mitica cima himalayana, NdR].
Le gambe cominciano a tremarmi, afferro la reliquia di quella che è stata una spedizione mitica del CAI di Torino, non mi accorgo neanche che non ha né dragonne né cordino, so solo che la responsabilità è enorme, mi schiaccia come un macigno, ho in mano l’Excalibur delle piccozze, ma non sono io l’eletto.
La storia si ripete solenne con il mio socio, altra Stubai verde, altro:
Anche custa l’ha fait el Ciangabam.
Stessa reazione del socio, che però ci prova e mi dice:
– Se la scambi con la tua Grivel, così abbiamo le piccozze dello stesso tipo…
Bravo te! Dividiamoci il peso della storia!
Ci avviciniamo alla cascata, candele verticali ben formate, ora di partire mi accorgo che non ho nulla per tenere la Stubai, riesco a malapena a fare una sorta di anello con un cordino a guisa di dragonne, neanche della Grivel ho il cordino che la collega a vita, non lo so ancora, ma sono un antesignano della scalata senza cordini.

Ugo Manera in vetta al Ciangabam. Foto: Alpinesketches.

Mentre mille pensieri mi assalgono il buon Ugo sale fischiettando, fermandosi sui due attrezzi, tirando i cordini in tensione e chiodando con il terzo attrezzo comodamente appeso alle due picche, i chiodi sono cavatappi, snarg, e altre amenità del tempo. Arriva in sosta e, come d’abitudine inizia a canticchiare e poi tragico risuona un:
– Venite!
Ora, io sono sempre un tardo nei preparativi, nel realizzare e analizzare la situazione, il socio infame inizia a tranfiare su per i candelotti verticali e… bastardo, mi lascia i chiodi da levare.
Ora, lo dico per i giovani, avete presente cosa vuol dire levare dei chiodi a cavatappi che nel frattempo complice il gelo si erano cementati nel ghiaccio?
Non solo, ma alla partenza si imponeva una scelta: con che mano avrei impugnato Excalibur?
Se con la destra l’avrei avuta nel braccio più forte… ma dovevo poi schiodare con la sinistra; ma schiodando con la destra avrei dovuto impugnarla con la sinistra, braccio debole.
Vista l’alternanza dei chiodi da togliere scelgo di impugnarla con la destra, ma il bastardo socio mi frega, urlo e bestemmio dietro, ma lui piagnucola e mena fendenti a destra e a manca sul ghiaccio.
Parto, credevo peggio, mi sforzo di essere dignitoso, non abbiamo avuto grandi delucidazioni sulla progressione, andiamo a intuito. Arrivo al primo chiodo… cerco di piantare la Stubai e di tenerla, più che tenermi, il cordino mi lacera il polso, preferisco perdere la Grivel nuova di pacca, sapendo che non potrò più permettermene un’altra, piuttosto che far cadere la mitica del “Ciangabam”. Non voglio appendermi alla corda, se no mi boccia, allora con fatica incredibile, dopo una lotta strenua tolgo il primo chiodo. Il braccio è ormai in cancrena, ma ho anche esaurito le poche forze che avevo, così la progressione fino al chiodo successivo è un’agonia. Il bastardo davanti non solo non toglie i chiodi, ma mi bombarda continuamente, arrivo a rimpiangere Beirut ovest.
Man mano che salgo e che schiodo i tempi aumentano, non sento più le braccia, ho la nausea.

Il penultimo chiodo non vuol saperne di venire via, ricordo in un raro momento di lucidità di aver addirittura messo tra i denti la Excalibur, per usare la mano destra, così poi mi è rimasta attaccata alle labbra, ma almeno non la perdevo. Lotto ancora con il chiodo fino a che giunge dalla sosta un urlo:
Boia faus per gavé en ciò… Mezz’ora (in italiano)… Stuma sì tut el dì?!”(Boia falso, per tirar via un chiodo… mezz’ora… ci stiamo tutto il giorno?!)
Mi crolla il mondo, è finita, mi boccia non passerò al corso successivo, il suo giudizio è legge, scriverà che non sono portato per l’alpinismo (lo farà davvero e forse aveva anche ragione), mi lascio andare sulle corde, sfinito, metto Excalibur nel maglione, prendo la Grivel, infilo la becca nell’occhiello del chiodo e giro a due mani con forza, la becca si piega leggermente, ma riesco a togliere il chiodo.
Il bastardo colto da pietà tardiva toglie l’ultimo chiodo, il tiro mi sembra eterno pianto le picche sul terrazzino di sosta, il fegato mi scoppia, non riesco ad alzarmi mi trascino sulle gambe in ginocchio arrivo in sosta come un cagnolino e… vomito direttamente sugli scarponi del mitico Pan e Pera,
per fortuna con scafo di plastica. Mi guarda dall’alto disgustato:
Suma bin ciapà (Ah, siamo messi bene)!!”
Ma io sono felice: Excalibur è salva!… Anche se per un momento ho temuto che la impugnasse e mi finisse impietosamente passandomi da parte a parte, usando poi il mio misero corpo per pulirsi gli scarponi dal vomito.
P.S.
Il viaggio di ritorno si preannunciava greve, anche se poi dopo il mio vomito e la mia breve spiegazione sullo stato di salute, si placò e si convinse che forse qualcosa di facile magari… Così riuscimmo pure a divertirci sui primi salti del cascatone di Novalesa (credo), recuperando anche i cordini per legarci a vita le mitiche piccozze del Changabam.
Ma poi, non so come mi venne una domanda durante il viaggio, presi il coraggio a due mani e gli chiesi:
– Com’era Gian Piero Motti? (era scomparso da circa un anno).
Quel che ne seguì rimarrà uno dei più bei ricordi della mia storia con la montagna e l’alpinismo: il ritratto commosso che Ugo fece di Gian Piero a noi allievi sconosciuti e impreparati. Avrei voluto che quel viaggio durasse ore.
P.P.S.
Dopo l’esperimento del 1984, l’uscita obbligatoria sulle cascate di ghiaccio fu abolita e diventò facoltativa.
P.P.P.S.
Tornai a scalare una cascata di ghiaccio nel 2000 e mi divertii molto… si sa, la maturità…

Fonte
http://www.lafiocavenmola.it/modules/news/article.php?storyid=1988)

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1978 – 1984, Scuola di Alpinismo a Torino – 2 ultima modifica: 2019-10-17T05:51:54+02:00 da GognaBlog

7 pensieri su “1978 – 1984, Scuola di Alpinismo a Torino – 2”

  1. Verissimo Piero, ho colpevolmente volgarizzato la lingua piemontese, in origine doveva essere uno scritto per pochi amici, poi non ho provveduto a correggere quando si è sparso nel web.

  2. Enzo Cardonatti scrive benissimo e lo invidio ma scrive male in piemontese(ah le vocali u o ò). 
    Condivido Cominetti, però: 1 non ho avuto un maestro. 2 non ho fatto l’istruttore ma portavo second* dove mi divertivo solo io. 3 o non mi divertivo per niente(apertura 1maggio83 di Candelone Patrì), e andò bene al secondo che si risparmiò di salire per il ghiaccio troppo marcio.
    Quanto mi piacerebbe tornarci da 2o scanzonato. Spero che un 1o si faccia avanti! 😀😀

  3. Da noi a Castelfranco Emilia (dialetto misto modenese-bolognese) si dice: «Quasta ché la fāt al Ciangabang».
    … … …
    E si continua cosí: «Cusél al Ciangabang? Róba c’as magna?».
    «É té? Sèt fāt té?»
    «Mé? Mé a sàun stè sul Zimàun» (M.Cimone, 2165 m).
    «Sóchmèl!» [traduzione irriferibile: arrangiatevi da soli o chiedete a un bolognese]. 😂😂😂
     
     

  4. Grazie Emanuele, prometto che ti spiegherò quella della pastiglia e grazie per le belle parole, soprattutto nel ricordo di chi non è più con noi. Questo scritto ho ritenuto ormai molti anni fa di “regalarlo” al Web, come testimonianza e gratitudine a chi mi ha preparato a 35 anni di attività in montagna a cui ancora oggi sopravvivo, un po per fortuna e molto per la capacità a cavarmela che mi è stata trasmessa. Potremo definirla una didattica esperienziale, oltre a quella tradizionale. Ne migliore, ne peggiore di quella di oggi, semplicemente diversa, come diverso è il tempo che abbiamo attraversato in questi anni.

  5. l’alchimista prima della pastiglia è fuori come un balcone… non l’ho mai capita, ma in montagna, magari nei momenti di difficoltà, me la rammento per ricordarmi che ho scelto io di essere lì, e l’ho fatto perchè mi piace. Con affetto per Enzo e la sua combriccola, che hanno lasciato e lasciano tracce effimere sulla neve ma indelebili nei cuori.

  6. In qualsiasi attività credo che avere un Istruttore con personalità faccia la differenza e sicuramente Manera ne ha da vendere. Allo stesso tempo si nota il “limite” del dilettantismo. Infatti un approccio più graduale sarebbe stato migliore. Ma un alpinista che la domenica fa il capocordata vuole, giustamente, divertirsi un po’ anche lui e quindi porta gli allievi sulla via che vorrebbe fare, anche se non è quella adatta a loro, per non buttare via una giornata di montagna.
    Il racconto è bello.

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