A quando le 430 tonnellate di CO2 in meno?

Il 24 agosto 2015 il Club Alpino Italiano ed Enel hanno firmato un accordo per garantire alle Sezioni e ai rifugi del CAI la fornitura di energia elettrica proveniente esclusivamente da fonti rinnovabili, certificata dal sistema delle Garanzie d’Origine dal Gestore Servizi Energetici (GSE).

La notizia viene diffusa tramite un comunicato stampa congiunto CAI – ENEL.

Rifugio Federico Chabod, Gran Paradiso
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Enel e CAI hanno stimato che il consumo annuo di energia elettrica prodotta da fonti sostenibili da parte della Sede centrale del CAI, delle sedi delle 511 Sezioni sparse in tutta Italia e dei 774 rifugi e bivacchi alpini e appenninici eviterà di immettere nell’ambiente una quantità di CO2, uno dei principali gas responsabili dell’effetto serra, pari a circa 430 tonnellate annue.

Andreina Maggiore (Direttore del CAI): “Questa convenzione ci consente di muovere un altro passo concreto a supporto delle strategie di tutela e conservazione dell’ambiente montano, mission istituzionale del CAI”.

Nicola Lanzetta (Responsabile Mercato di Enel): “Abbiamo messo a disposizione del CAI consulenti preparati in grado di individuare la soluzione che si adatta meglio alle proprie esigenze. Crediamo molto nell’uso razionale dell’energia per questo abbiamo inserito nell’accordo la possibilità di individuare, assieme al CAI, soluzioni per migliorare l’efficienza energetica di sedi e rifugi, riducendo così i consumi di energia elettrica, sempre nel pieno rispetto dell’ambiente circostante”.

Considerazioni
Che il CAI assieme a Enel punti sull’energia rinnovabile è un intento che va nella giusta direzione. E’ giusto che sedi cittadine, ma soprattutto rifugi, bivacchi alpini e appenninici si preparino ad essere alimentati da energia pulita.

A denunciare uno dei più grandi problemi della società contemporanea, il riscaldamento globale, hanno già provveduto eminenti scienziati e le più grandi organizzazioni mondiali, dal WWF a Greenpeace passando per Legambiente, continuano a emettere segnali di SOS per l’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

Il rifugio San Leonardo al Dolo, Civago (RE)
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Occorre cambiare abitudini radicalmente e convergere verso l’utilizzo di energie rinnovabili e pulite.
Se gli Stati Uniti parlano del Clean Power Plan, programma che mira a ridurre le emissioni di gas serra del 32% entro il 2030, anche l’Italia deve correre ai ripari, e questo accordo è sulla linea giusta. Un gesto che dovrebbe mettere a freno i numeri da capogiro che, stando a quanto rivela l’Enel, parlano di un consumo annuo di energia elettrica pari a 1.100.000 kWh.
Una buona notizia dunque. Che però nulla ci dice riguardo alla tempistica. E sappiamo che senza un progetto ogni accordo rischia di diventare lettera morta.
Speriamo non sia questo il caso e che ci sia già da ora un team al lavoro.

Qualche molto ragionevole dubbio se lo pone Fabio Valentini (Mountain Wilderness): “Che i rifugi alpini smettano di utilizzare gli inquinanti e rumorosi gruppi elettrogeni a gasolio è di per sé una buona cosa; del resto piccoli generatori idroelettrici o impianti microeolici (ne esistono ad esempio ad asse verticale, visivamente poco impattanti http://www.greenstyle.it/pag/16432/minieolico-ad-asse-orizzontale-o-verticale), se ben inseriti nell’ambiente, possono risultare accettabili; naturalmente è utile anche il fotovoltaico/solare (http://www.infopannellisolari.com/380/pannello-solare-o-pannello-fotovoltaico-vantaggi-e-differenze.html), però acqua e vento girano anche di notte.

Altro discorso per quello che riguarda le sedi CAI, che sono in città e dunque utilizzerebbero l’energia di rete proveniente da rinnovabili.

Se l’ecosostenibilità di un rifugio porta a risultati come quelli visti nelle ultime realizzazioni (https://figliodellafantasia.wordpress.com/2013/08/09/e-il-green-building-arriva-anche-sul-tetto-del-mondo/), credo proprio che occorrerà stare attenti…”.

Aldo Cucchiarini, di La Macina Ambiente, commenta: “La notizia è in sé positiva, ma fa insorgere delle domande; dobbiamo intendere che il CAI si disimpegnerà (si fa per dire) in futuro dalle battaglie contro i parchi eolici sui crinali?

La nuova Monterosa Huette
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A quando le 430 tonnellate di CO2 in meno? ultima modifica: 2015-10-28T05:30:12+01:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “A quando le 430 tonnellate di CO2 in meno?”

  1. Enel e fonti rinnovabili non possono stare nella stessa frase. Come parlare di diesel ecologico, carbone pulito, fisco amico.
    Per dotare i rifugi di sistemi ibridi (rinnovabili, fossili, batterie) occorrono progetti ad hoc sviluppati da chi opera nel settore off-grid con agilità progettuale. L’opposto di quel che fa Enel, che produce GW da carbone e gas e gestisce 20 milioni di utenti – un burosauro da 70.000 dipendenti gestito con logica statale. Ovvia la scelta del CAI: chi si somiglia si piglia. Almeno avessero fatto l’accordo con Enel Green Power…

  2. Un po’ fuori argomento… ma neanche tanto…
    Riprendendo i dubbi di Giando che non sono solo suoi personali ma credo siano piuttosto comuni:
    Tempo fa ebbi a che fare con un professore universitario che si interessava proprio di situazioni relative alla desertificazione dovuta all’effetto dei gas serra.
    Ovviamente avendo a disposizione un esperto la conversazione si diresse immediatamente verso una risposta ai miei dubbi che erano gli stessi esposti da Giando: “Com’è possibile che si parli di desertificazione dal momento che ci manca poco e le Alpi saranno ricoperte di vegetazione stile tropici???”
    Ho scoperto così che proprio qui sta il problema e ciò che appunto gli esperti del settore denunciano come desertificazione… Il sistema naturale si trasforma con processi lenti ma inesorabili, una crescita fuori-misura della vegetsazione significa impoverimento dei terreni con conseguente loro inaridimento, il quale causa nel tempo un collasso del manto che possiamo osservare sempre più spesso in quei fenomeni definiti di dissesto idro-geologico (ampliati anche da interventi umani scellerati!) e quindi se oggi vediamo aumentare la vegetazione a causa di un innalzamento delle temperature (nel nostro caso anche grazie a leggi assurde sull’abbattimento delle piante che molti enti stanno tentando di by-passare visto che i boschi si stanno letteralmente mangiando i territori e ad un calo drastico dell’allevamento libero… ), non ci vorrà molto affinché si cominci a notare l’efetto contrario: terreni inadatti alla crescita della vegetazione con conseguente desertificazione.
    Se pensiamo che questo avvenga in tempi rapidi e quindi di trovarci il Sahara sotto casa ovviamente ci sbagliamo di grosso, il processo sarà lungo e probabilmente, anzi direi sicuramente, non sarà dato a noi contemporanei, di vederlo nella fase finale.
    Abbattere drasticamente perciò le emissioni di gas serra è uno dei sistemi per decelerare questo processo e forse, ma forse… arrestarlo, dando l’opportunità al sistema di ritirarsi e cambiare strada…
    Girando per i monti che sono probabilmente il posto migliore per osservare questo aumento esponenziale della vegetazone (colline e crinali che fino a pochi anni fa risultavano ricoperti da manti erbosi oggi sono ricoperti di piante) e specialmente a quote medie (più ricche di vegetazione, ho potuto osservare più volte che effettivamente il terreno, ricoperto spesso da strati intricatissimi di sottobosco, appare già arido e non è cedto una rarità vedere piante crollate, in quanto il terreno non regge il loro peso con conseguente distacco delle radici.

  3. Credo che siamo tutti d’accordo, o quasi, sul fatto che si debbano abbattere i gas responsabili dell’effetto serra (almeno secondo i più).
    Non sono uno scienziato e, pertanto, prendo atto di ciò che dicono i giornali e la TV sebbene le notizie in circolazione siano spesso e volentieri contrastanti. Pochi mesi fa ho letto da qualche parte di un incremento della vegetazione a livello mondiale. Ma come? Ci hanno sempre detto che ogni giorno perdiamo non so quanti campi da calcio di ettari di foresta tropicale e adesso qualcuno sostiene che la vegetazione è aumentata? Insomma, la sensazione di essere presi per il sedere è sempre presente.
    Nonostante ciò sono assolutamente d’accordo sull’impegnarsi a ridurre i gas, non certo salutari. Quando però si deve passare dal dire al fare nascono i problemi. Le pale eoliche impattano, soprattutto dal punto di vista estetico e pure i pannelli solari non sono sempre un belvedere (le fotografie postate ne danno una chiara idea).
    MW parla d’impianti microeloci visivamente poco impattanti, dipende! Cioè dipende dalla distanza perché magari da un chilomtero non li vedi ma da 100 metri sì e, pertanto, il purista che vorrebbe la montagna allo stato brado avrà sempre da ridire (ma costui avrà probabilmente sempre da ridire anche con riguardo al rifugio in pietra a vista).
    Quindi, come si risolve il problema? L’unico modo, a mio avviso (ma bisognerebbe poi entrare nel merito dei costi di realizzazione), sarebbe quello di puntare non solo sul risultato in termini di efficienza ma anche sul design.
    Come ho già avuto modo di evidenziare con riguardo al museo di Plan de Corones la cosa che urta la stragrande maggioranza delle persone è l’inserimento in natura di manufatti moderni, aventi perlopiù fattezze semplici e lineari privilegianti la funzionalità. Il rifugio San leonardo al Dolo, di cui alla foto postata, s’inserisce perfettamente nel contesto, molto meno il pannello solare (per quanto di modeste dimensioni).
    Pertanto, siccome la fantasia dell’uomo è pressochè illimitata, non credo sia impossibile realizzare delle strutture aventi determinate forme maggiormente in sintonia con l’ambiente montano ma il problema rimane alla fine quello dell’economia di scala perché se si dovesse spendere troppo per un prodotto personalizzato il gioco non varrebbe la candela.
    Insomma, come sempre sarà difficile trovare una soluzione facilmente condivisibile.

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