Addio a Ivo Mozzanica

Addio a Ivo Mozzanica

È mancato il 14 novembre 2020 all’ospedale S. Anna di Como dove era ricoverato per il Sars-Covid2 Ivo Mozzanica, 74 anni, alpinista e guida alpina, ma soprattutto esploratore delle rocce.

Presto avrebbe voluto anche festeggiare con i compagni di allora, i due cugini Peppino e Valerio Ciresa, i 50 anni della spedizione in Kurdistan sui monti della Cappadocia a ridosso del lago Van, ma la malattia se l’è portato via prima. Niente eventi in pompa magna, Ivo desiderava una semplice festa ai Resinelli.

Un’immagine recente di Ivo Mozzanica. Foto: www.trafoconsult.com

Figlio dello scultore Giuseppe Mozzanica, dal padre aveva ereditato l’estro e l’amore per le iniziative originali. Era un abilissimo “apritore” e cercava sempre situazioni inusuali in cui mettersi alla prova, a volte molto impegnative come l’invernale della Diretta Hasse-Brandler sulla parete nord  della Cima Grande di Lavaredo, oppure impensate come scalare e aprire vie sulle scogliere nella zona di Santa Teresa di Gallura in Sardegna a strapiombo sul mare.

Ivo Mozzanica sul Grande tetto del Buco del Piombo. Foto: Peppino Ciresa.

Ivo era così, se c’era una cosa straordinaria bisognava andare a metterci il naso: sulla Diretta (aperta dai tedeschi Dieter Hasse e Lothar Brandler nel 1958) lo fece d’inverno. L’amico Bruno De Angeli gli era compagno. Purtroppo, a circa 150 metri dall’uscita i due furono investiti da una tormenta di neve. Dopo aver atteso per capire se potevano comunque completare il percorso, vista l’impossibilità, ridiscesero la parete, lasciandovi tra l’altro tanti moschettoni ultraleggeri, allora una costosa novità tecnica.

E parliamo di Sardegna. Sì, perché Mozzanica fu tra i primissimi a portare l’alpinismo nell’isola, soprattutto nella zona dove si era trasferita la sorella Angela. Trovava che quelle pareti gli dessero la medesima soddisfazione di scoperta e avventura che normalmente pensiamo siano prerogativa di montagne molto più blasonate. E questo a prescindere dalle difficoltà tecniche. Studio del terreno e modifiche intelligenti all’attrezzatura facevano parte del suo bagaglio d’esperienza.

Questa sua genialità era contrassegnata da grande riserbo, pur essendo lui invece assai estroverso e dotato di entusiasmo comunicativo, a volte trascinante. Un riserbo che determinava la sua precisa scelta di non omologarsi, per esempio non essendo interessato ad appartenere né al gruppo dei Ragni né a quello dei Gamma, scelta che a Lecco, per alpinisti del suo calibro, era praticamente obbligatoria.

A un certo punto della sua vita aveva svoltato, dedicandosi completamente alla professione di guida alpina e lasciandosi alle spalle il lavoro di geometra nello studio dell’architetto lecchese Bianchi. Della sua vastissima attività escursionistica ci ha lasciato traccia scrivendo e pubblicando alcune guide escursionistiche sulle montagne che si affacciano sul lago di Como: Itinerari in Valsassina e Valvarrone, Itinerari sui Monti del Lario Occidentale, Itinerari nelle Prealpi Lepontine (Valsolda, Val Carvagna, Val d’Albano), Itinerari nel Triangolo Lariano, Itinerari panoramici dalle sponde del Lario, Escursioni in Brianza tra Adda e Seveso, Itinerari tra Lario e Ceresio.

Da anni abitava a Erba: lascia la moglie Mariangela e i figli Aldo e Lia.
Peppino Ciresa, suo compagno di alcune avventure più o meno importanti, conferma: “Era molto bravo in montagna, una classe eccezionale”. E aggiunge: “Come quella volta in Kurdistan, poco più che ventenni. Ivo aveva sentito parlare di quelle montagne bellissime e completamente vergini, ci erano arrivati solo degli inglesi”. Si erano organizzati ed erano partiti a bordo del Maggiolino di Peppino, “che giunto in Turchia dovette macinare bel 11.000 chilometri di strade sterrate in Anatolia, prima di arrivare in un angolo del Kurdistan dominato dal lago salato più grande del Paese, il lago di Van”.
Un’auto che non dovette passare inosservata in quel lontano 1970, perché Angela, la sorella di Ivo, l’aveva personalizzata dipingendovi ciglia attorno ai fari.

Punta Cugnana, Torri di San Pantaleo, Gallura, Sardegna. In rosso, Sentiero Mohawk (Luca Vallata, Ricky Felderer ed Elena Congia, 2020), in giallo Territorio Comanche (Marco Marrosu e Lorenzo Castaldi, 1999), a destra La bocca del Pescecane (Franco Ceppi, Mariangela Fontana, Ivo Mozzanica, 1978),

Aprimmo una via su una torre che battezzammo Lecco. Realizzammo due ascensioni a cime vergini. Fu una vera avventura senza telefoni satellitari in un territorio completamente disabitato, ma le vette (tutte poco al di sotto dei 4000) erano belle come le nostre Dolomiti, con ghiacciai”.
Ogni tanto s’incontravano pastori curdi, come quelli a centocinquanta metri sotto il campo base che ci fornivano latte e yogurt e che rimanevano meravigliati delle nostre corde” ricorda ancora Ciresa.

Alessandro Gogna e Ivo Mozzanica sulla via del Cannellone alla Parete di Luna (Capo Testa), 26 giugno 1980.

Le sue vie nuove aperte in provincia di Lecco, Como e Sondrio, non si contano.
In Sardegna, Ivo aveva iniziato la sistematica esplorazione delle montagne e scogliere di granito dell’intera Gallura: Rocca di San Pantaleo, Punta Cugnana, Scogliera di Capo Testa e tanti altri luoghi.

Capo Testa, Ivo Mozzanica sulla via del Cannellone, 26 giugno 1980.
Retrocopertina di 100 Nuovi Mattini. Capo Testa, Ivo Mozzanica sul passaggio della Cascata di Ghiaccio Fuso, sulla Fessura del Nido del Gabbiano (Torre del Gabbiano stanco), 26 giugno 1980.

Nel 1980 ebbi l’occasione e il piacere di andare a trovarlo nella sua casa sarda: stavo lavorando alla stesura dei 100 Nuovi Mattini e lui con me fu prodigo di notizie, informazioni e consigli. Assieme andammo a Capo Testa dove salimmo due sue creazioni, la via del Cannellone alla Parete di Luna e la Fessura del Nido del Gabbiano alla Torre del Gabbiano Stanco. Su quest’ultima gli feci la foto che scelsi per il retrocopertina.

Capo Testa, Ivo Mozzanica su Fessura del mio Sangue, 26 giugno 1980.
Capo Testa, Ivo Mozzanica all’uscita della Fessura del nido del Gabbiano, 26 giugno 1980
La moglie Mariangela con Ivo Mozzanica, l’ingegnere Claudio Grimoldi, le insegnanti Donatella Biffi e
Maria Grazia Bonalumi  e il sindaco di Bosisio Parini, Giuseppe Borgonovo. Alle spalle la statua del padre Giuseppe donata da Ivo per una mostra.
Ivo Mozzanica, Marco Marrusu e Mariangela Fontana in Gallura. Foto: Paola Dettori.

Una mente pioneristica
di Marco Marrosu

Ivo era un amico di tanti sardi e grande pioniere dell’arrampicata e l’alpinismo della Sardegna. Mi piace ricordarlo cosi, con questa foto esplorativa, mentre con la compagna di vita e di avventura Mariangela Fontana, cercavamo in Gallura nuove linee ancora da salire. Non possiamo perdere la nostra memoria storica. Quando molti in Sardegna non sapevano né cosa fosse una discesa su corda né un’arrampicata, Ivo sbarcava sulla nostra isola e la vedeva con occhi nuovi. Prima di lui in Gallura c’era stato solo Guido Cibrario (1921-22). Osservò quelle pareti leggendovi qualcosa in più di quello sguardo distratto dei suoi contemporanei e di quello dei sardi che vi abitavano. Nel 1971 apre “in continente” la superdirettissima sul seracco centrale della parete nord del Pizzo Roseg (1200 metri con un salto verticale di ghiaccio di circa 90 metri che ora non esiste più) e nel 1975 la Est del Mawenzi (nel gruppo del Kilimanjaro), una parete di roccia friabile e ghiaccio di 2000 metri di dislivello, già tentata senza successo da numerose spedizioni. Ma la sua ambizione non è la fama su famose montagne ma la ricerca dell’estetica, dell’esplorazione, della bellezza e rimane affascinato dai graniti sardi. Cosi, Ivo Mozzanica, sbarca sull’Isola e, senza avere i friend che ancora non erano stati inventati, né inserendo installazioni artificiali come spit/fittoni e arrampicando sovente con gli scarponcini, apre i primi itinerari.
E’ in questa maniera che diventa sua la scoperta della Valle della Luna di Capo Testa, con il primo itinerario della valle (Cresta dei Lecchesi, 1975, e poi Via del Cannellone, 1977), sua la prima salita del Monte Pulchiana (1975), del Monte Fraili ad Aggius (1978); e ancora suo il secondo itinerario ad Alghero (1972, Capo Caccia – placca inclinata di Cala del Belvedere), sue le prime scalate delle Torri di San Pantaleo (Punta S. Andrea (1974), Pelchia Manna (1975), Balbacana-Grande Opposizione (1976), Punta Muvrone e Punta Scala M’Predada-Bocca di Pescecane (1978), in alcuni casi nominando speroni rocciosi senza nome come Torre Mariangela e Torre Elisabetta.
Ha proseguito ad arrampicare ed aprire vie sino a pochi mesi fa. Un’etica incrollabile di cui diceva “per me non tutte le vie sono perfette ma alcune riescono così bene da farti sentire in simbiosi con la roccia tanto da pensare che sia stata plasmata per te e la traccia che disegni si trasformi in un’opera d’arte”.

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Addio a Ivo Mozzanica ultima modifica: 2020-11-16T05:48:45+01:00 da GognaBlog

8 pensieri su “Addio a Ivo Mozzanica”

  1. Caro Ivo, ci hai portati sulle pareti delle Dolomiti, in Sardegna, nella Grigna, nelle Alpes Maritimes, etc etc. Le abbiamo contate: 43 vie ! E’ stato magnifico per noi anche perche’ oltre ad essere una grande guida tu eri un grande amico ed una persona eccezionale……Grazie per quanto ci hai fatto fare e provare !  Niria e Pietro

  2. Addio Ivo, ti conoscevo come il papà di Lia e Aldo. Spero che dove sia tu ci siano pareti e sentieri nuovi da percorrere! Un abbraccio a tutta la famiglia 

  3. Lo conoscevo solo di nome, principalmente attraverso i libri di Gogna.
    Molto toccante questo testo, permette di ricordare il personaggio anche a chi non l’hai mai conosciuto di persona.
    Sarebbe interessante rielaborare un articolo, magari con foto, sul “viaggio” in Kurdistan: chissà…

  4. Nel suo fiume di parole rotolavano descrizioni ben definitite di critiche e nuove idee per andare oltre. Ma c’era dell’amore nei suoi gesti mentre diceva e raccontava, soprattutto nel viso, mai teso dal fiato dell’astio. Una luce aveva negli occhi.
    Il mio abbraccio Ivo.

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