Adotta una via

Adotta una via
di Gian Piero GPP Porcheddu

Quest’anno la direttrice del corso di arrampicata della Gerva (Scuola Nazionale Giusto Gervasutti di Torino) ha confermato l’usanza, oramai ventennale, di chiusura del Corso di Arrampicata, con l’uscita in Sbarua, luogo storico per tutti gli alpinisti del nord-ovest e torinesi in particolare.

E’ in quell’occasione, forse perché era da tempo che non venivo da queste parti, che mi sono reso conto del degrado di molte vie storiche e non, di questo sito.

Partito per andare a fare la via dei Rabdomanti, non ci sono arrivato per via di alberi caduti e sterpaglia varia all’attacco della via.

Il Monviso dalla Sbarua

Ho rimediato su Osteria del Viandante e Analcolica.

Sulla prima tutto perfetto, sulla seconda il muschio la fa da padrone e, su alcuni spit, è meglio non pensare troppo e andare via veloci.

Parlando con altri istruttori mi è sembrato di capire che situazioni come questa non sono eccezionali ma quasi la consuetudine, visto che oramai sono anni che non si fanno più lavori di manutenzione delle vie e dei sentieri che collegano le varie pareti.

Eppure il luogo è sicuramente tra i più frequentati del Piemonte, sito di eccellenza delle scuole di alpinismo, non solo piemontesi, con vie che hanno fatto la storia dell’arrampicata e che portano, tra gli apritori, firme illustri (non ultimi anche di alcuni istruttori della Gerva).  

Che fare?

Pensare di chiedere alla Provvidenza un miracolo mi sembra esagerato, ci sono cose molto più importanti al mondo che necessiterebbero di un intervento divino. Pensare che possa farlo l’istituzione CAI nei suoi vari livelli? Mi sembra di averne sentito parlare anni fa ma senza alcun risultato concreto. Pensare ad altri soggetti che si avventurino in questa impresa, se non incentivati economicamente, impossibile.

Riattrezzando Rio Plano

Faccio parte di coloro che sono convinti assertori che, ogni qualvolta si critica una situazione in essere, si debba anche proporre una soluzione e, soprattutto, non delegare ad altri quello che si può fare in prima persona, poco o tanto che esso sia.

Sarà l’arrivo dello spirito natalizio, sarà che al lavoro ho partecipato a un convegno su questo tema, sarà che al banchetto in piazza ho visto una raccolta fondi sull’adozione a distanza, mi è balenata un’idea che potrebbe essere un’occasione per scuoterci dal torpore che fa parte di questo periodo storico.

L’iniziativa si potrebbe intitolare “Adotta una Via” e consiste nello scegliere una via in “cattive condizioni” e rimetterla a posto cambiando il materiale in loco (spit e soste) ma, ovviamente, senza mettere mano all’itinerario se non in casi eccezionali e/o legati alla sicurezza.

Il lavoro sarebbe a totale carico degli alpinisti/arrampicatori che vogliono adottare la via e, tassativamente, dovrebbe essere preceduto da un assenso (se ancora in vita) dell’apritore della via.

Ne ho parlato con Claudio Battezzati e visto che da tempo mi parla di una via che gli piacerebbe ripetere, eccoci di fronte a una birra scura e allo schizzo della parete dello Sperone Cinquetti, la via che vogliamo adottare è Rio Plano. L’apritore, Celso Rio, una guida alpina cuneese, da me contatto nei giorni scorsi, ha dato il suo entusiastico consenso e nei prossimi giorni avvieremo il cantiere.

Riattrezzando Rio Plano

Arriva una settimana di alta pressione e scalare in Sbarua è uno spettacolo, la vista sul Monviso ti appaga più di qualsiasi mostra fotografica e salire con il solito zaino ciclopico appare meno pesante del solito.

Mentre scendiamo sulla via per capire come procedere vediamo che le soste sono state sostituite e pertanto procederemo solo al cambio degli spit. In settimana ho parlato di questa iniziativa ad altri amici arrampicatori, qualcuno è interessato, altri mi hanno quasi tolto il saluto… Niente da fare: sulla parola “etica” ci sarebbe, nel nostro piccolo  mondo, da scrivere una Treccani  perché ognuno se la gira come vuole… io per primo!

Ri-chiodare una via è sempre un azzardo: da una parte gli integralisti che nulla vorrebbero fosse toccato per rispetto alla storia e agli apritori, dall’altra gli esteti del gesto che richiedono la totale sicurezza dell’itinerario per provare e riprovare la “libera”, senza rimetterci le caviglie.

Riattrezzando Rio Plano

Nel rispetto di entrambe le visioni e delle varie articolazioni che le amplificano all’infinito, abbiamo deciso che buttare un “sasso nello stagno”, anche per dare la possibilità di risollevare dall’oblio un luogo che non è solo storico ma infinitamente bello per tutti, sia che si arrampichi sia che si gironzoli per il bosco.

Vi sono alcuni esempi in materia: la palestra di Roaschia (in Provincia di Cuneo) inventata e attrezzata dal compianto amico Ciano (Luciano Orsi) e poi ri-attrezzata  dalle Guide Alpine su incarico del Comune, l’associazione Arrampigranda che opera nel cuneese (la guida l’amico Giovannino Massari) attrezzando e rimettendo a nuovo vecchie falesie dimenticate dal tempo, oltre che promuovere corsi di arrampicata; la recente associazione RockcareE che opera nel torinese, e persino in Svizzera opera un ente – ReBolting – che rimette in sicurezza vie e siti storici (letto proprio su GOGNABLOG!).

Riattrezzando Rio Plano

Certo non spetta ai singoli risolvere il problema nella sua totalità, ci vuole un minimo di regole e di organicità perché il rischio che tutti facciano quello che vogliono senza alcun rispetto per chi li ha preceduti (si chiama “Storia”, anzi “Stories”) esiste eccome, però non fare nulla o non parlarne è peggio ancora.

Ci saranno altri istruttori e arrampicatori/alpinisti che si divertiranno a fare quello che Claudio ed io abbiamo fatto? Altri alpinisti e arrampicatori che si domanderanno se non è il caso di ragionare insieme e trovare soluzioni al problema?  Ci sarà qualcuno che, avendone la responsabilità istituzionale, si attiverà per trovare risorse e mezzi per qualcosa di più organico? Tutto può essere ma occorre che se ne parli, diversamente continueremo a lamentarci e basta.

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Adotta una via ultima modifica: 2025-01-31T05:20:00+01:00 da GognaBlog

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89 pensieri su “Adotta una via”

  1. La posa del resinato però, è molto più complicata, rispetto al fix. Ci sono dei dettagli tecnici che non possono essere assolutamente sottovalutati, per una buona e sicura riuscita del lavoro. Buco fatto in una certa maniera con tanto di scanalatura esterna per affogare l’anello, in modo da evitare che il golfare giri, pulizia del buco dalla polvere, umidità dell’aria e della roccia, oltre al trapano serve anche la pistola per la posa della resina che se non sei attento nel posarla, te la impiastri dovunque. Inoltre, rispetto al fix, il resinato non è subito usabile, alla resina gli va dato il tempo di indurire.

  2. Se la roccia non è compatta, sicuramente il resinato è da preferire rispetto al fix. Se all’interno, la roccia presenta  fessurazioni o alveoli, la resina li va a riempire, garantendo quindi una maggiore tenuta del fittone.

  3. Anche le resine hanno i loro punti deboli o fragili che dir si voglia.Nascendo per utilizzi in  settori edili sono studiate in genere per essere una volta indurite coperte da getti di c.s. il fatto che siano in pareti di roccia sottoposte in estate ed inverno a continui estremi e che anche il tondino porti in profondità le stesse temperature non rende i fix resinati eterni!purtroppo.
    Ciò non li toglie dai preferiti in casi di falesie con dolomie fragili e dove l ambiente preserva a lungo il lavoro se fatto di dovere…

  4. problema complicato, oltre ad usare i corretti materiali (fondamentale), andrebbe fatta una manutenzione periodica continua.

  5. Credo dipenda dal materiale Alberto.
    Se i fittoni sono inox 316L e senza saldatura si passivizzano esternamente (meglio sarebbe il duplex ma costa come un figlio stupido). Potrebbero presentarsi fenomeni di vaiolatura (pitting) e corrosione intergranulare, ma sono fenomeni superficiali con bassissima velocità di propagazione in profondità (indicativamente minore di 5 micron anno) e per minare significativamente la resistenza di un tondo diametro 15 mm ne passa di tempo.
    Naturalmente devono essere ben piazzati e la resina sigillare il foro e non essere permanentemente in contatto con materiali meno nobili (acciaio al carbonio o galvanizzato, alluminio, ecc.).
     
    Probabilmente andrebbero bene anche galvanizzati a caldo, ma sarebbe da studiare l’effetto sul lungo periodo del contatto e sfregamento con i moschettoni dei rinvii.

  6. L’unica cosa che da una certa tranquillità sono i fittoni resinati.

    mica vero…anche quelli vengono mangiati dentro come fosse formaggio groviera

  7. Certo Matteo Solo in questo caso repetita iuvant e magari salvano da sicurezze date per scontate. In altri casi orchite recidivante. 

  8. Caro Roberto, è un po’ superficiale e tirato via e cmq sono cose note e comunque in atmosfera salina si corrode anche il 316, se lo si trova opacizzato meglio stare attenti. Se poi ci sono tracce di ruggine sintomo di materiali differenti a contatto…
    L’unica cosa che da una certa tranquillità sono i fittoni resinati.

  9. Sarebbe carino, e ben più utile, tornare in tema, sempre se qualcuno tra “gli addetti ai lavori” abbia qualcosa di interessante da dire.
    Rileggere mila OT per capire a chi, e cosa, rispondere diventa complicato. Spero di non aver urtato la sensibilità di alcuno.

  10. Considerata la nostra morfologia montana, mi sembra francamente insignificante la superficie verticale attrezzata per l’arrampicata salvo zone o località particolari ma non diffuse. Le falesie più frequentate sono quelle vicine a strade e facilmente accessibili dove si crea meno disturbo all’ambiente o dove il disturbo è dato da mille altre attività umane più impattanti rispetto a quella di climbers e chiodatori i quali invece mantengono puliti e accessibili i sentieri d’accesso altrimenti abbandonati oltre che dare vitalità nei paesini frequentati. 

  11. “E’ proprio così necessario chiodare ogni parete sotto casa? Non basta quello che c’è?”

    Non c’è e non può esserci una risposta univoca a queste domande, va valutato il singolo caso. Prendiamo ad esempio Arco. Le falesie attirano climber da tutta Europa da 40 anni, la prima volta che ci andai le falesie erano già sature, ma erano relativamente poche. Le pareti nuove servono in primis ai local per arrampicare un po’ nella loro zona in tranquillità prima di darle in pasto al web, poi per ampliare e migliorare la distribuzione delle migliaia di arrampicatori che frequentano la zona. Quindi non vedo questo fenomeno per forza come negativo, quando vengano preventivamente prese tutte le informazioni sull’effettiva possibilità di chiodare.

  12. @ 74 Pasini 

    Condivido.

    Non tanto l’identificazione di cosa si la causa del fenomeno della bulimia da chiodatura, quanto l’aspetto inflattivo.

    Qui mi insegnate che alcune vie sono “opere d’arte” , io , senza arrivare a costruire il mito dell’apritore , trovo che alcune vie siano più “belle e interessanti” di altre.

    In alcune persone si scatena una produzione bulimica di narrativa , commenti , record senza senso , secondo me questo un po’ tende a rendere tutto uguale a se stesso , appiattendo bellezza ed emozioni.

  13. Roberto certe domande me le pongo pure io , il fienile ha la porta spalancata e a terra…da molto tempo.
    I famosi 15 minuti di celebrità danno ne fanno e danno alla testa.
    Meglio restare umili ,oggi ho trasformato l acqua in caffè e la legna in fuoco e non me ne faccio vanto a parte qui (solo) con te .
    Ciao buona domenica!

  14. Mereu. Io per dovere tendo a non esprimermi sulle intenzioni di chi non conosco e ad applicare un pre-giudizio ottimista, però ogni tanto ti confesso che mi chiedo se non ci sia una componente di egolatria in certe manifestazioni di over-fixing. E’ proprio così necessario chiodare ogni parete sotto casa? Non basta quello che c’è? Insomma non è che vogliamo un po’ troppo segnare il territorio con i nostri fix, il nostro nome e i nostri post invece che con i nostri fluidi come fanno gli altri esseri viventi?  Qualche domanda bisognerebbe porsela prima di scatenarsi con il trapano. Un po’ di presenza umana discreta non guasterebbe, anche per guadagnarsi il diritto di criticare certe più sfacciate aggressioni e “segnature” del territorio fatte da altri al di fuori della nostra comunità. Insomma guardarsi prima in casa propria sarebbe un buon esempio di consapevolezza autocritica, altrimenti nella notte tutte le vacche sono nere. 

  15. Infatti Roberto ed è per quello che ho inserito il link ,non sono un esperto e credo sia faccenda complessa con il carico da 11 dato dalla terra Sarda e le sue usanze come fa giustamente notare Antonio nel successivo commento.
    La mia opinione (per quel poco che vale) è che ovunque si metta mano è indispensabile cercare il più possibile un dialogo tra tutte le parti e assolutamente non indossare la divisa del colonizzatore padrone tipo il caso in questione dove le reazioni a lungo termine possono esser queste.Casi simili stanno affiorano quando e là segno che dialogo(ma non solo ovviamente) non c’è. 
    Per quanto concerne i materiali ;
    Una bella dispensa è sempre stata a disposizione anche qua sul blog è fatta bene e credo che chiunque voglia chiodare dovrebbe dargli un occhiata. 
    L esperienza non è trasmissibile, mantra del nostro caro Merlo in questo contesto è super valida,essendo un lavoro di carpenteria e che ha il principio della regola dell’arte molti anche in buona fede concepiscono il proprio lavoro perfetto ma mancando appunto un umile avvicinamento alle tante tipologie e stranezze della chiodatura si possono commettere (gravi)errori!
    Utilissimi i commenti e il dibattito fin qui letto💪.
     

  16. C’è poi da osservare che la ri/chiodatura dovrebbe essere fatta da persone che arrampicano su difficoltà analoghe per l’ovvio motivo che chi fa il 7c difficilmente percepisce la difficoltà di un 6b e pertanto a un corretto posizionamento della protezione.

    può essere vero anche il contrario, siccome faccio al massimo il 6a, allora metto un fix ogni metro. Nell’uno nell’altro è così che si fa. Una via facile, in caso di caduta può essere più pericolosa di una difficile, perchè appoggiata, quindi è facile che vada a sbattere. Un bravo chiodatore sa dove chiodare, sia che sia facile, o che sia difficile. Soprattutto all’inizio, dove, in caso di caduta, se gli spit non sono ad una giusta distanza, si arriva a terra.

  17. C’era una volta la chiodatura dal basso. E secondo me la riconoscevi. Immagino sia difficile applicarla da una certa difficoltà in su ma… quando salivi, opinione mia, lo capivi subito come era stats aperta la tal via ed entravi in contatto con l’apritore, con le sue emozioni di quel momento, con il suo stile. 
    Quando rinviavi, lo facevi da un “riposo”, proporzionato al grado,dal quale studiavi i passi successivi, ragionavi su dove sarebbe salito l’apritore e così facendo arrivavi “in catena”.
    Ho già sentito definire norme delle linee guida che norme non sono e francamente, personalmente credo sia un grande sbaglio. Non mi riferisco all’errore formale, ma di concetto e mi chiedo se servano più a tutelare l’arrsmpicatore dal farsi male o l’apritore.
    Mi auguro di non essere l’unico ad avere provato le emozioni sopra descritte. 
    Il nome dell’apritore era in molti casi una garanzia maggiore di tante regole.
     

  18. Molte attività non sono regolate da leggi; esistono le best practices ovvero procedure e regole che nel tempo sono state individuate dai migliori operatori alfine di produrre buoni risultati. Nella chiodatura ( di falesie) operatori quali GA, CAI e COSIROC hanno individuato regole uguali che sono di assoluto buon senso. Tali regole consentono di limitare il rischio di incidenti in falesia. Spittare, manutenere e curare una falesia è attività faticosa, impegnativa e costosa e non è pensabile che si possa correre il rischio di chiusura o divieto a causa di qualcuno che cerca il l’ingaggio in un terreno sbagliato. Dal punto di vista legale le best practices costituiscono l’unica arma di difesa a fronte di periti che, nominati dal giudice, devono esprimere pareri tecnici basati su le stesse regole. Per quanto attiene le rotture c’è da considerare che oggi spesso la qualità dei materiali di provenienza “incerta” è pessima. Nel mercato si trovano tasselli economici che si spezzano in fase di espansione; perciò è indispensabile l’uso di materiale di marca e  omologato. Non dobbiamo dimenticare che  la vita e l’incolumità di una persona dipende dall’opera del chiodatore che se vuole chiodare sa che dovrà usare materiale per 100/150 euro a via. C’è poi da osservare che la ri/chiodatura dovrebbe essere fatta da persone che arrampicano su difficoltà analoghe per l’ovvio motivo che chi fa il 7c difficilmente percepisce la difficoltà di un 6b e pertanto a un corretto posizionamento della protezione.

  19. Antonio, per continuare l’OT. Recandosi in una stazione dei carabinieri per sporgere denuncia contro ignoti, il signor Solari dimostra di aver trascorso anni in quei luoghi senza aver imparato i fondamentali, proprio come un perfetto estraneo. Gli consiglierei la lettura del Codice Barbaricino, nella versione scritta di Antonio Pigliaru, magari gli servirà in futuro.

  20. Mereu. Non è affatto fuori tema. È un altro caso dei problemi che stanno emergendo in varie realtà territoriali. Qui c’è in più l’esposto ai carabinieri. L’ipotesi del reato di danneggiamento ? Ma ci sono gli estremi?  Urge parere di coloro che hanno competenze in merito. 

  21. Un altra cosa da tenere in considerazione, è il consumo dell’ anello o moschettone di calata al punto di sosta, causato dal continuo attrito della corda in fase di calata. Spesso si vedono anelli e moschettoni consumati paurosamente e la gente ci si cala in moulinette. Anche qui durante la scalata bisognerebbe  tenere un comportamento diverso per consumare il meno possibile l’anello,  interponendo un nostro moschettone dove fare la moulinette.

  22. Angelo. Non sono un tecnico. Non saprei proprio cosa dire, Benassi ne sa ben di più di me e la sua considerazione è sicuramente da tener presente. In ogni caso ho citato il caso del Muzzerone per due motivi. Primo perché ricorda che non ci sono certezze assolute in questa attività: non c’è Fix che sia eterno, ne freno assistito che funzioni sempre se mollo la corda…..l’attenzione umana è sempre fondamentale e non può essere delegata a strumenti e materiali. Secondo,  perché solleva il grande problema dell’attrezzatura e della manutenzione dei luoghi più frequentati di arrampicata e delle connesse responsabilità. Tema molto caldo e sempre più caldo diventerà con l’aumento vertiginoso dei praticanti. Tema sul quale anche nella comunità arrampicante ci sono opinioni diverse. Di qui l’utilità di parlarne con serenità e buon senso avendo sempre bene in mente le conseguenze delle varie linee d’azione. Perché a volte la buona volonta’ è l’onesta’ degli intenti non basta. 

  23. Pasini, non sto gettando benzina sul fuoco, la mia è una normale e legittima richiesta di capire com’è possibile che nello stesso “mondo” (stesso, per così dire, passatempo e stesso teatro), con tutte le informazioni e con la quantità di volontari intervenuti, con un rifugio che, se non ho capito male, è l’unico dove andare a bere una birra e fare due chiacchiere, non ci sia stato alcun punto di contatto tra le due realtà. Tutto lì, semplice curiosita. Anche perché non stiamo parlano di due gruppi dove uno fa canottaggio sul Tirreno  e l’altro gioca a bocce a Bolzano.

  24. credo sia difficile che un dado, serrato a mano, possa arrivare a snervare la barra del fix. Caso mai potrebbe incidire sul filetto o sulla camicia che assicura l’attrito della barra con la roccia. Cosa diversa invece il serraggio dei vecchi spit che essendo dei bulloni, se serrati troppo, si poteva snervare la testa dal resto della barra filettata.

  25. 23.Pasini- La rottura della barra filettata potrebbe essere causata da una eccessiva coppia di serraggio esercitata sul dado. In questo caso si genera una trazione nella barra che può superare il limite elastico e raggiungere lo snervamento del materiale, portandolo prossimo alla rottura. Anche se all’ esterno tutto appare perfetto.

  26. Enea. Anche tu, guerriero, eroe controvoglia ma nell’animo contrario alla guerra! Che si parlino tra loro a casa Canada. Poi per documentazione va bene pubblicare i Dieci Comandamenti, sine ira et studio pero’. 

  27. Innutile fare gli gnorri: anche se non esplicito intuisco un certo attrito tra Conti e chi ha richiodato. Mi sovviene che volare sul fix ruggine della Gervasutti e tranciarlo è permesso perché immagino “da non toccare” mentre su una moderna si può saltare tranquillamente. Invito Marco Conti a postare pubblicamente il decalogo in questione. 

  28. PS. Visto che siamo in tema manzoniano: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Vale anche per altre aspre contese qui sul blog. Grande psicologo sociale Manzoni e grande metafora della vita delle comunità umane la sua. 

  29. Migheli. Caro figliolo non era una rampogna ma un tentativo di prevenire un’ulteriore rogna 😁 sai come si dice: anche il migliore ha la rogna….anche se qualcuno preferisce: molte rogne molto onore, oppure alla cinese: che molte rogne sboccino e molti rognatori gareggino. Buon weekend. Domani torna il sole. 

  30. Mi scuso col Padre Provinciale Roberto, non avevo letto la sua rampogna. Faccia come se non avessi scritto nulla!😊

  31. Non per difendere GPP, che non ha alcun bisogno di farsi difendere da me, ma entrando nello specifico dell’intervento descritto nell’articolo: è anni che Rio Plano versava in stato di abbandono (lo si poteva vedere salendo l’adiacente 50 Gerva). Ora scopro che aveva già le soste nuove: e chi le ha sostituite, perché non aveva pensato a sistemare l’intera via?
    Ben vengano interventi come quello di GPP e Battezzati, fuori dai paludamenti ufficiali e pagati di tasca propria, sia per riattrezzare vie sia per sistemare sentieri (vedi il caso della benemerita Associazione Roceja, i cui volontari a Borgone di Susa hanno riaperto oltre trenta chilometri di sentieri).

  32. No, No per favore…che poi ci tocca fare i pompieri pure qui. Sedare, sopire…non buttiamo benzina da fuori. Che comunichino tra loro. Privatamente però. I social sono la rovina delle relazioni personali e ingigantiscono le questioni. Via, via quando c’è qualche incomprensione. Tornare indietro, quando si parlava tra persone, magari davanti a una birra a Casa Canada. 

  33. Pare incredibile che di tutte le iniziative descritte da Marco Conti, che hanno coinvolto numerosi volontari, non sia arrivata voce a GPP. Possibile che non ci sia qualche conoscenza comune, o che questo decalogo non sia stato divulgato in modo più incisivo, in modo da evitare iniziative personali, per quanto queste possano essere realizzate nel migliore dei modi? 

  34. Ecco qua un altro esempio di conflitto “in seno al popolo”. Questa volta in terra sabauda. E’ vero che una regolamentazione formale che definisse compiti e responsabilità produrrebbe un mare di problemi, come dice giustamente Migheli, soprattutto in un paese dominato da una cultura burocratica e cavillosa che affianca un sostanziale individualismo che se sbatte delle regole. La situazione attuale del più o meno liberi tutti dove il coordinamento e il controllo sono lasciati ad accordi tra gentiluomini interni alla comunità arrampicatoria comporta tuttavia il serio pericolo di incendi più o meno gravi che possono scoppiare qui e là. Non è che la società civile sia più matura ed equilibrata, rispettosa, aperta e solidale della sovrastruttura burocratica. Che fare dunque? Bel dilemma. Intanto all’interno della comunità dovrebbe valere il principio di comunicare, comunicare, comunicare magari prima e non dopo, di persona e non sui social. Non risolve i problemi e le divergenze ma forse li dimezza. 

  35. 48) Completamente d’accordo. Non è avere la patacca che fa ti te colui che sa fare bene le cose .

  36. Questo articolo non solo mi tocca personalmente, ma schiaffeggia nell’animo svariati pinerolesi del CAI; in particolare i cosiddetti “anziani” della sezione, quelli che nel totale anonimato dedicano 60/80 giornate all’anno per la manutenzione dei sentieri e non solo; la sezione, che da oltre 40 anni versa un contributo per la manutenzione delle vie, poi le scuole, prima la “Guido Bosco” e poi l’Inter sezionale; non me ne vogliate, cari torinesi e non, ma la Sbarua è da sempre la “nostra” palestra per tradizione e vicinanza; dall’inizio secolo con gli Ellena, i Bianciotto, i Griva, i Ghirardi, sino alle prime vie moderne a spit; detto ciò e senza addentrarmi sulla ri-attrezzatura di Rio Plano, anche se è doveroso ricordare che qualcuno ci stava già lavorando (viste le soste nuove di zecca): ma non è di questo che voglio parlare, bensì della “leggerezza” di alcune affermazioni.
    Negli ultimi 5 anni la Sbarua ha subito 2 grossi incendi, una grossa frana sul Cinquetti (che ha devastato la base dello sperone) e due bombe d’acqua nella scorsa primavera… Chi non ha vissuto questi eventi, evidentemente ne ignora i danni e di conseguenza l’immane lavoro (di volontari) che ne è conseguito; sentieri completamente distrutti, centinaia di alberi abbattuti e frane ovunque. Casa Canada non ha mai smesso di lavorare grazie a loro! Ultimamente, con altre 20 giornate, sono stati rifatti il sentiero della Berg. del Ciac e l’omonima fontana, così come i sentieri alti dell’Aragno est e ovest e quelli verso i Tre Denti; oltre 100 giornate di sudore, picca e pala, ad opera di pensionati pinerolesi della sezione!
    In ultimo, l’esistenza di un decalogo scritto a diverse mani e firmato dalla sezione e dai rifugisti sulle modalità di richiodatura, con un elenco delle vie storiche da “non toccare” e di quelle più moderne; un decalogo che non è legge ma che vuole essere un ‘modus operandi’ anche per le generazioni future, a tutela anche di scempi fatti e futuri. Chiudo dicendo che ho trovato strano e anche poco simpatico che tutto questo “vissuto” (soprattutto pinerolese) e tutta la sua storia siano stati completamente dimenticati.

  37. Ma scusate le “norme” (che norme non sono, semmai è un vademecum..) emesse dalle guide alpine perchè dovrebbero avere valore? In base a cosa? Le guide alpine sono professionisti che accompagnano clienti, non chiodatori. 

  38. Sottoscrivo ciò che dice Antonio. Il rischio legale esiste, tuttavia le “norme”riguardano sostanzialmente i punti vicino a terra o cenge, dove c’è rischio di urto. Ovviamente in caso di perizia il perito dovrebbe utilizzare lo stesso delle norme emesse dalle GA, pertanto utilizzarle significa ridurre significativamente i rischi legali. Per quanto ne so, ad oggi, non ci sono azioni legali in corso ma il rischio non è da prendere alla leggera.

  39. Sulla parte tecnica credo che protocolli e regole siano abbastanza assodati ormai. Se prendiamo la rapida sintesi delle regole delle GA fatta da DM e la trasformiamo una lista di controllo dubito che tante falesie, comprese alcune di quelle storiche, passerebbero l’esame. Quindi tutto il resto è free, detto in altri termini, ognuno è arbitro del suo destino. Però….però….tizio, animato da buone intenzioni va ad aprire magari con qualche amico una bella palestrina in un posto nuovo oppure apre una nuova via in un posto classica o adotta con generosità quache reperto del passato come fosse figlio suo. Attrezza come è capace, con giudizio, anche se non è un professionista certificato e magari commette qualche erroruccio o risparmia un po’ sui materiali. Poi mette tutto in bella vista sui social con tante fotografie dei sorridenti e felici apritori. Cuoricini e applausi e un po’ di gente comincia ad andarci. Tutto va bene, poi ecco il Cigno Nero. Maledetto. Quel peccatuccio originale diventa un peccato capitale. Un ancoraggio cede e qui mi fermo….la famiglia devastata dal lutto e consigliata dal suo avvocato fa una denuncia, anche perché magari ci sono degli eredi che devono andare avanti anche concretamente senza il sostegno della vittima. Il giudice fa un po’ di indagini e vengono fuori i nomi e le belle foto degli apritori o dei adottanti e incarica un perito per capirci qualcosa…..il seguito non lo vedo per niente bello e rilassante,  anche se finisce diciamo “bene” per i generosi chiodatori dopo magari cinque anni. Certo non è che i cigni neri sono numeroso come le mosche o le zanzare ma si sa che “shit happens” per dirla in modo elegante.

  40. Da quanto ne so, non esiste la “certificazione” di una falesia/sito di arrampicata. Esiste materiale certificato, quello sì, ma la certificazione di un sito di scalata no, in quanto dovrebbe prevedere che ci si attenga a delle norme di buona tecnica o sia conforme a un decreto legge. E, per fortuna, nulla esiste di tutto questo. Non esistono attualmente nemmeno figure che possano avere una qualifica di legge in merito, guide alpine comprese, la cui professione è accompagnare la gente in montagna. Spesso si è fatto riferimento a coloro che posseggono la qualifica dei lavori in fune, ma, a mio avviso, nemmeno questo è il requisito. Tale qualifica/abilitazione infatti potrebbe essere il mezzo per operare, ma non è sinonimo di sapere, o di potere fare bene il lavoro (es. una ditta che pulisce o tinteggia una facciata di un palazzo con tale tecnica deve avere, nel proprio oggetto camerale l’ “ateco” corretto o campo di attività, ma la stessa non è detto che possa fare un intervento elettrico sulla medesima facciata con la stessa tecnica. Ovviamente i lavoratori devono aver seguito il corso per lavori in fune. Ma sono due cose diverse). 

  41. Il numero di falesie “ufficiali” e gestite è insignificante. Spesso poi i criteri di spittatura  consigliati e recenti (soprattutto nei casi di ri-spittatura) confliggono con la spittatura esistente (soprattutto nelle prime 4/5 protezioni ) dove c’e rischio di cadere a terra o su cenge. I criteri poi ( assolutamente logici e condivisibili) sono scarsamente applicati; in generale le falesie dove vengono applicati sono le piu frequentate e sicure

  42. Pasini, in Italia attualmente non vi sono regole per la quasi totalità delle falesie e probabilmente per la totalità delle vie lunghe. Nonostante ciò, per una forma di tacito gentlemen’s agreement (che non riguarda evidentemente i veronesi), gli scenari che tu paventi e hai elencato tendono a non accadere. Però. Proprio oggi parlavo con due arrampicatori e chiodatori storici del Torinese, assai più titolati di me. Si parlava di posizionamento di spit in falesia. Lo metti trenta cm più su o più giù e l’ingaggio e la protezione di quel passaggio cambia. A te magari riesce facile, poi lo ripete uno e si fa male. E che fa? Ti denuncia perché lo spit non proteggeva a suo dire il passaggio? E poi trova la GA nominata dal giudice come CTU, che magari ce l’ha con te per fatti vostri, e conferma che quello spit non era posizionato bene. E tutto questo in falesia, immagina su una via che chiodi dal basso, ti fermi a chiodare quando puoi o quando vuoi, il ripetitore che non ha il tuo grado si fa male e ti cita in giudizio, nonostante esista una scala S1, S2, S3 ecc..
    Il terreno del riconoscimento di responsabilità per un’attività in sé pericolosa è scivolosissimo. Se si vuole mantenere viva un’attività come l’arrampicata, meglio essere tutti uniti per non normare, credimi.

  43. Per quanto attiene l’inox (e perciò le falesie in ambiente marino) fino a una decina di anni fa era consigliato e utilizzato acciaio inox 304. Per effetto del “piting” o corrosione interstiziale o vaiolatura si è riscontrato il cedimento di materiale (fix o fittone resinato). Il problema è che tale corrosione NON è evidente o visibile, semplicemente se sollecitato il materiale si rompe. Una volta evidenziato il problema le case costruttrici hanno optato per inox 316L e specifico per ambienti marini. Da allora personalmente non ho evidenza di cedimenti ma bisogna chiedere a chi chioda in Sardegna. 
    Per ogni tipo di materiale è fondamentale DOVE è infisso (ovvero roccia grigia meno aggressiva, o gialla o rossa più aggressiva per presenza di sali che ossidano

  44. Tipo di materiale. Fino a pochi anni fa si vedeva di tutto poi pian piano, i volontari che chiodano e hanno chiodato la stragrande maggioranza delle falesie hanno iniziato a usare materiale certificato; chi oggi frequenta falesie dove c’e materiale artigianale o inadeguato ( es da 8mm)  deve semplicemente cambiare falesia. Nelle falesie NON in ambiente marino il problema della corrosione e dell’obsolescenza del materiale c’è solo se si utilizzano materiali NON certificati e NON in inox. Attualmente TUTTE le  principali case costruttrici, che costruiscono attrezzature sia in inox che in zincato prescrivono per il zincato l’uso esclusivo iodoor, anche se in termini di caratteristiche tecniche (salvo la corrosione)  l’acciaio zincato e migliore dell’inox. Il termine “zincato” è privo di significato poichè occorrerebbe sapere se zincato a freddo o caldo (differenti spessori di zinco) e considerando poi che nei punti di abrasione o martellati lo zinco salta via. Anche qui valgono le schede tecniche obbligatoriamente allegate ai materiali. Il problema e che spesso si vedono tasselli,  piastrine, catene di materiali misti (inox/acciaio) che creano problemi di correnti galvaniche che creano corrosione nei materiali meno nobili ( acciaio) e difficilmente individuabili nella parte interna alla roccia del tassello.

  45. DM. Grazie. Da quello, che dici mi pare di capire che molti dei luoghi attuali di arrampicata sono fuori da queste regole ufficiali. Quindi la deregulation di cui parla Migheli è più o meno quella oggi vigente, o mi sbaglio? Quale sarà la percentuale di falesie che hanno applicato quel protocollo?

  46. Via dei rabdomanti 6b+ 6a obblogatorio.
    Caspita, per essere l’uscita di un corso di arrampicata tanta roba.
    Certo la Scuola Gervasutti ha istruttori di valore, ma gli allievi? Chi scala sul 6b+ ha bisogno di un corso CAI? Certo tutto è possibile.

  47. Partendo dal poco delle mie competenze provo a dare qualche risposta (per quello che so e capisco ai quesiti di Pasini). Leggendo le “linee guida delle GA, ad oggi depositate presso il ministero del Turismo, un ente o qualsiasi operatore che a livello ufficiale voglia creare e gestire, manutenzionare una falesia deve: disporre di perizia geologica sulla stabilità del sito, avere le concessioni dei proprietari dei terreni, disporre di perizia di ingegnere civile per il tipo di ancoraggi e incaricare una GA per l’installazione. La GA certifica solo la corretta esecuzione del lavoro che vale, considerata l’azione degli agenti atmosferici, solo per un periodo limitatissimo. Poi in base alle schede tecniche del prodotto utilizzato ( che per essere omologato deve avere) si devono prevedere, eseguire e certificare le ispezioni periodiche. Il posizionamento delle protezioni è codificato in base al tipo di terreno ( avventura etc etc). Da ciò che so, in Francia, COSIROC dotata di fondi pubblici sta abbandonando la “gestione” delle falesie alla scadenza delle concessioni dopo una causa per danni persa.

  48. Migheli. Capisco le tue preoccupazioni sintetizzate nei tuoi quattro punti, tuttavia proviamo, con un esercizio un po’ estremo, anche a vedere cosa potrebbe con un totale liberi tutti senza responsabilità anche formali di chi attrezza rispetto alle proprie azioni.
    1. Chiunque con un trapano a batteria potrebbe andare in giro a chiodare qualunque cosa con una moltiplicazione sproporzionata delle chiodature, cosa che già in parte succede: già ora ti ritrovi dei fix nei posti più impensati. Ho trovato fix persino in un luogo classificato come di interesse comunitario.2. I criteri di chiodatura potrebbero essere i più diversi, compresi quelli ascellari in posti dove la natura della roccia e le difficoltà potrebbero essere tranquillamente gestite con  sicurezze rimuovibili. Quindi un overfixing non solo in orizzontale ma anche in verticale.3. L’unico freno a modificare vie storiche sarebbe solo quello etico e di controllo sociale della comunità arrampicatoria con il pericolo di snaturamenti massicci di pezzi di “storia” da parte di chi bellamente se ne fotte della storia. 4. Diatribe diffuse tra chiodatori e schiodatori con una generale e diffusa moltiplicazione delle Buruffe veronesi.5. Visto che nessuno sarebbe chiamato a rispondere della qualità dei materiali e del loro posizionamento se non sul piano morale e tutto sarebbe lasciato alla diligente e attenta verifica dei salitori un probabile iniziale aumento degli incidenti e successivamente un clima di diffidenza generalizzato con un positivo aumento delle vendite di martelli e chiodi tradizionali e la ripresa di antiche buone pratiche ma anche la fine di una relativa fiducia nel senso di responsabilità di chi attrezzando in modo fisso comunque si è assunto di fatto un qualche onere verso gli altri.Mi rendo di aver volutamente esagerato in questo scenario distopico ma insomma…La faccenda è dannatamente complicata perché parliamo di un’attività rischiosa e con implicazioni ormai massicce nei numeri dei praticanti e dei luoghi.
     

  49. Del tutto d’accordo con Massari. L’arrampicata è uno sport pericoloso, e chi sale un tiro o una via deve mettere in conto la possibilità del distacco di un appiglio così come della rottura di una protezione.
    L’assenza di normativa (in teoria) non dovrebbe produrre alcuna azione legale, visto che la responsabilità (in teoria) è di chi sale, non di chi chioda. Normare (e quindi definire una responsabilità giuridica) la chiodatura con una sorta  di albo di chiodatori certificati porterebbe a una serie di sicure conseguenze:
    1. si ridurrebbe drasticamente il numero di falesie/vie, in quanto gli apritori andrebbero a schiodarle per evitare grane legali;
    2. i costi per la manutenzione delle falesie sopravvissute sarebbero esorbitanti, essendo appaltate a figure professionali come le GA e nuove figure professionali, per i quali la manutenzione sarebbe una forma di lavoro e di guadagno.
    3. Con la drastica riduzione del numero dei siti di arrampicata, questi andrebbero incontro a usura accelerata della roccia e delle protezioni, con un possibile paradossale esito in aumento degli infortuni.
    4. last but not least, ridurre il numero di chiodatori significa anche ridurre la poesia, la fantasia e le qualità estetiche che stanno dietro all’apertura di un  tiro o di una via. La maggior parte delle vie sarebbe omologata secondo criteri di sicurezza, a scapito degli aspetti creativi.
     
    Per tutti questi motivi personalmente sono contrario a normare l’attività di chiodatura.

  50. Il problema delle responsabilità è e diventerà sempre più determinante per non incorrere in spiacevoli diatribe legali ma ancora di più per evitare incidenti 
    Molti comuni da noi stanno censendo le falesie sul loro territorio pensando ad una regolamentazione e ed una certificazione ma ovviamente si tratta di un lavoro improbo e dispendioso e che cozza con ben altre priorità e quindi, come dice Pasini, è molto più facile vietare per non avere problemi 
    il mio pensiero personale è che le uniche falesie a cui si possa attribuire ad altri una responsabilità sono quelle che sono state certificate (ad oggi pochissime) perché attrezzate su commissione o appalto da ditte appositamente dedicate e che hanno quindi emesso una conformità sui materiali, sulla pulizia della parete e che potranno godere in futuro anche di una forma di manutenzione.
    Per tutte le altre ad ogni quota (perché gli spit che si possono rompere sono certo al mare ma anche in montagna) per ora e, fino a nuova regolamentazione o divieto, liberamente “attrezabili” ma anche “schiodabili” credo debba essere il singolo che attraverso la sua esperienza si prenda le proprie responsabilità verificando il materiale su cui arrampica eventualmente anche rinunciando ad una scalata che ritiene non adeguatamente attrezzata.
    Nel caso specifico del Muzzerone se non si tratta di una chiodatura certificata la responsabilità andrebbe purtroppo allo sfortunato arrampicatore.
     

  51. Ciao Pasini,

    E’un terreno minato….

    Io credo che se un ente o un parco si prende la briga di manutenere certi itinerari, forse una quota di responsabilità è corretto riconoscergliela , ma un ancoraggio datato in apparente buono stato di conservazione su una via aperta da Pincopalla , che nel frattempo non c’è più o si dedica ad altro ?

    Io ho infisso degli spit ante trapano su vionze mie , che sono la da 30 anni , e io non mi sono mai preoccupato della manutenzione.

    Per di più, molte persone che non hanno avuto esperienze in ambienti “selvaggi” coltivano un determinismo che mi sembra fuori luogo nel pontificare su cause ed effetti.

    In un ambiente molto domestico, alla falesia di Montestrutto , mi è capitato di vedere l’ancoraggio più importante, il moschettone di calata , usurato ben oltre il tollerabile , ed ho concluso che se volevo fare moulinette , dovevo usare un mio base larga , come si raccomanda spesso.

    Penso sia fuori luogo nell’ambiente naturale, pretendere che terzi ci tolgano a loro spese le castagne dal fuoco, ma sarei disponibile a contribuire ad un fondo materiali / manutenzione.

    L’ internet ci ha illuso che tutto debba essere aggratis e che possiamo sempre fare i freeriders , ma l’avventura e la sicurezza non sempre lo sono.

  52. Expo. Nessuno ha attribuito la responsabilità a nessuno mi risulta nel caso del Muzzerone. Nel caso che ho citato io fu la famiglia a denunciare il Parco nel territorio del quale ci sono quelle attrezzature. E ora ha presentato appello contro la sentenza assolutoria di primo grado.  Mi è stato detto che il proprietario di un terreno è sempre responsabile di ciò che c’è sul suo terreno in particolare manufatti piazzati dall’uomo anche senza autorizzazione. Poi potrà’  eventualmente rivalersi su chi lo ha piazzato. Però non è il mio campo e quindi chiedo umilmente  a chi sa come stanno le cose. 

  53. Expo. Il Parco di Portofino è stato assolto per la morte di un giovane escursionista su un sentiero attrezzato perché la sua fidanzata ha dichiarato che è scivolato da solo senza toccare nessun manufatto. Però la guida alpina incaricata della perizia dal tribunale ha espresso numerose riserve sullo stato del sentiero, in particolare sull’adeguatezza e sul degrado degli infissi. Risultato: su indicazione del Parco il Comune di competenza ha fatto una bella ordinanza di chiusura con annesse sanzioni per i trasgressori, in attesa di capire cosa fare. Così vanno le cose. 

  54. Resta il fatto che dargli la responsabilità del tassello ammalorato secondo me è fantascienza.

    cioè??

  55. Quello della salsedine è un tema non troppo antico; direi che chi mette ancoraggi vicino al mare oggi abbia una certa scelta di prodotti e di informazioni.

    Resta il fatto che dargli la responsabilità del tassello ammalorato secondo me è fantascienza.

  56. Eh sì, da un lato ci sono i problemi tecnici che richiedono competenze adeguate e risorse adeguate ( un fix in inox 316 costa il 40% in più) ma dall’altro i problemi delle responsabilità prima, durante,dopo. Mi sa che questi secondi sono più complicai e controversi dei primi quando si agisce, magari spinti dalla buona volontà e dalla generosità. 

  57. Pasini, ci possono essere delle avvisaglie sulla condizione dell’ancoraggio. Vedi la piastrina se ha ruggine, effetto pitting sopratutto su roccia rosso-giallastra.  Ma la barra interna alla  roccia non la vedi.
     
     

  58. Expo,  ho scritto che si è SPEZZATO. Non ho scritto che è fuoriuscito.
    Si è troncata, la barra filettata del fix . Sicuramente dovuta ad un effetto di corrosione, negli anni, del metallo.

  59. Benassi. Alberto, avevo letto male la prima notizia. Effettivamente era un fix. Ma che tu sappia era un fix marino come quelli della Raumer specifici? Quando ho sentito via tam tam  la notizia ho pensato al peggio sia per il climber che per il Muzzerone: non è che qualcuno chiude ? Va beh dai per ora scampato pericolo per lui e per tutti però ho visto che hanno lanciato degli allarmi su stare attenti. Io resto sempre in attesa di illuminazioni competenti sul tema responsabilità. 

  60. @ Benassi 

    Scorrendo l’articolo sembra che non si tratti di un problema di posizionamento errato o uscita dalla sede , sembra che abbia ceduto il tassello per corrosione e usura.

  61. L’ancoraggio nella foto messa da Pasini,  che si è spezzato al Muzzerone nel settore della Polveriera, falesia strapiombante su roccia giallastra, NON è uno spit, ma un fix. La cosa è molto diversa.
    La rottura NON è avvenuta a causa di un volo, ma per semplice trazione mentre l’arrampicatore era appeso.
    L’ancoraggio spezzato era il secondo, causando l’arrivo a terra della persona.

    In questo ambito avere disponibilità di fondi, possedere un trapano ed essere armati di buona volontà non sono presupposti sufficienti a che un lavoro sia ben fatto

    Concordo pienamente quanto scrive Elio Bonfanti. Chi non ha le competenze, non dovrebbe improvisarsi in lavori di richiodatura. Non è così semplice come potrebbe  sembrare. Ci sono tutta una serie di dettagli tecnici estremamente importanti, altrimenti si rischia di fare un lavoro peggiorativo sopratutto in termini di sicurezza. Anche perchè in molti danno per scontato che certi ancoraggi siano assolutamente sicuri. Ma  posizionati male non lo sono affatto!
    Ad esempio il posizionamento dei golfari resinati, spesso e volentieri dopo un pò che sono stati messi, si muovono perchè posizionati senza mettere in atto la giusta tecnica. Quindi la buona volontà ci vuole, ma ci vogliono anche le competenze.

  62. In questo ambito avere disponibilità di fondi, possedere un trapano ed essere armati di buona volontà non sono presupposti sufficienti a che un lavoro sia ben fatto. La competenza che ognuno di noi si arroga è un fattore molto personale che spesso deriva dall’ aver imparato qualcosa dai propri errori. Purtroppo non tutti hanno l’umiltà di imparare dagli errori cosi  talvolta vi sono richiodature peggiorative rispetto all’ originale.  Credo quindi che dovremmo lavorare per far nascere delle linee guida comuni da rispettare sia per l’apertura di nuovi itinerari che per la manutenzione degli stessi.  Io ci sono 

  63. Expo. Non è un mio amico. Ho solo letto della notizia e visto una foto pubblicata dello spit che si è spezzato mentre penso stesse facendo un resting. Altro non so. La questione che mi interessa delle responsabilità riguarda un sentiero attrezzato molto frequentato esposto alla corrosione.  La manutenzione non era compresa nell’incarico. Ora molti ancoraggi sono arrugginiti e richiederebbero un intervento prima che succeda qualcosa. Gli enti del territorio si rimpallano la competenza e ogni anno che passa il rischio aumenta. 

  64. @ Pasini

    Comprendo la tua posizione, era una cosa che volevo menzionare anch’io.

    Quanto al tuo amico infortunato, trovo che nelle nostre aule  di tribunale si inceppino in un nulla di fatto anche su questioni di gran lunga piu ovvie della tua , per cui dubito che ne cavera’ un ragno dal buco.

    Scusa se mi faccio i cazzi tuoi , ma il tipo è volato per la rottura di un ancoraggio usurato , o perché qualcuno  aveva deliberatamente schiodato un tratto di via ?

    Io sono della”corrente” per la quale non esiste un “manutentore” della via con cui lamentarsi dei materiali , ma nell’altro caso sono più critico con chi fa’ queste cose…

  65. Expo. La questione che tu poni si aggiunge alla mia. Se la via o l’accesso sono stati attrezzati su incarico formale di qualcuno chi schioda cosa rischia? Una denuncia per danneggiamento? Speriamo che qualcuno che possiede le competenze risponda.Conto su MG oltre che per la competenza legale per la sua vicinanza al Muzzerone. 

  66. E se poi qualcuno , seguendo un suo pensiero anarchico , ha opinioni divergenti sulla richiodatura , e decide di schidarla ?

  67. Il Doc Migheli ha ragione , ne sono testimone, rimboccarsi le maniche e via ,a lavorare , alla fine è tutto allenamento 

  68. Come era già emerso a proposito del Park Act americano si sente in Italia la mancanza di un’associazione autorevole e riconosciuta dalla comunità montagnarda che coordini gli interventi nei luoghi di arrampicata. Qui però voi chiedere ha chi possiede le competenze e necessarie di chi è la responsabilità della manutenzione della messa in sicurezza di una via e/o dell’itinerario di accesso?  Di chi ha fatto il lavoro, anche se la manutenzione magari non era prevista nell’incarico ricevuto? Del proprietario del terreno? Ho visto che al Muzzerone è successo un incidente a un climber a causa di uno spit arrugginito che si è spezzato anche se all’esterno sembrava integro (penso non fosse di inox marino) posato più o meno dieci anni fa, così ho letto. Per fortuna le conseguenze sono state solo una frattura e non mi pare girino denunce, ma se fosse stato peggio e qualcuno avesse fatto una denuncia, cosa succederebbe? Grazie per la risposta. Ho un interesse personale e diretto al tema, ma non ne parlo per ragioni di discrezione. 

  69. Concordo con il primo commento: la metafora “meno soldi in Patagonia…” ben esprime il sentimento di chi vede sperperati i denari mille miglia lontani dalla nostra realtà. 

  70. Argomento spinoso e variegato che non si esaurisce con la semplice richiodatura di un itinerario ma fa scaturire al suo interno elementi etici, ambientali, storici e di competenza.
    Al di là della specifica qualifica che consente di operare professionalmente su una falesia (artigiano con qualifica per lavoro su fune o guida alpina) entra in gioco per la buona riuscita di una chiodatura/richiodatura l’effettiva esperienza e competenza (e soprattutto visione) di chi si avvicina alla roccia con un trapano in mano.
    Complimenti a GianPiero per aver sollevato un problema che sarà uno dei punti nodali dello sviluppo dello sport climbing Outdoor su monotiri e su multiptch nei prossimi anni ed anche alla Asd BeWood per la bella dichiarazione di intenti che condivido e che è già un ottimo punto di partenza.

  71. L’anarchia nelle riattrezzature ha due principali punti critici.
    Il primo da un punto di vista, diciamo, etico. Rispetto dello stile di apertura della via.
    Il secondo tecnico. Tutti hanno la giusta preparazione e conoscenza tecnica, nella fase di esecuzione e nella scelta dei materiali , vedi il problema delle falesie in ambiente marino,  per eseguire in modo corretto le riattrezzature?

  72. Migheli #9: penso anch’io che l’autogestione di noi arrampicatori sia la soluzione migliore (pur con tutti i difetti dell’autogesione: difficoltà nel reperimento fondi, programmazione inesistente, attriti fra gruppi diversi, anarchia nelle riattrezzature, nessuna rappresentanza “istituzionale” in caso di necessità, ecc.): meno istituzioni ci mettono il becco e meglio è.
    Però credo anche che sia corretto (doveroso?) che il CAI contribuisca in qualche modo, come già alcune sezioni fanno, alla manutenzione di quelle falesie che vengono regolarmente us(ur)ate per i corsi.

  73. […] che hanno investito passione, tempo e denari propri per ripristinare in totale autonomia[…]

    9@ è da tempo immemore che avviene così dappertutto.
     

  74. Ciao a tutti,
    Siamo una ASD che opera nell’outdoor (arrampicata, yoga, trekking e mtb) e organizziamo anche corsi in falesia e vie.
    Siamo assolutamente d’accordo con Porcheddu e pensiamo che il fatto di poter usufruire di falesie attrezzate non costituisca un diritto, ma un effettivo omaggio da parte di appassionati che erogano impegno e denaro. Il contributo deve essere un misto di privato, di enti e di pubblico.
    Ci stiamo interessando per fare un corso di chiodatura e partecipare a mantenere in funzione le falesie più o meno abbandonate (ovviamente affiancandoci a qualcuno che ne sa).
    Bisogna lasciare indietro il pensiero che tutto è dovuto allo scalatore. È anche un po’ fastidioso leggere recensioni di disapprovazione per falesie non curate come se ci fosse qualcuno pagato per farlo.
    A volte basta un chiave, una spazzola e dei cordini. A volte no.
    Sarebbe bello un progetto che unisce varie realtà e privati e ci si coordini per un mantenimento collettivo.
    Grazie a Gogna per la qualità sempre alta dei suoi articoli
     

  75. Faccio sommessamente presente che l’intero comprensorio di Caprie -con l’esclusione della falesia di Anticaprie data in salato appalto alle Guide- è stato riattrezzato negli ultimi 15 anni da un gruppetto di volenterosi, che hanno investito passione, tempo e denari propri per ripristinare in totale autonomia tutte (e sono davvero tante) le falesie e  vie lunghe dell’epoca di Grassi e C. 
    Non c’è bisogno della longa manus pubblica, men  che meno dei carrozzoni strombazzanti come il CAI.

  76. Sono pronto all’adozione(non ho ancora avvisato la moglie,pazienza se ne farà una ragione) poi sui 18 anni quando arriverà la nuova ruggine la lascerò “libera”ad altri tutori ,i genitori quelli che l han fatta nascere non ci saranno quasi sicuramente più… e forse nemmeno io!
    Bel tema ,bello scritto e complimenti per l impegno.
    Argomento più che mai attuale e che fa cordata con i vari articoli che il blog propone anche se a prima vista non sembra.

  77. Tutto : certificato, autorizzato, garantito, paraculato, sponsorizzato e naturalmente pagato da enti pubblici. E poi 3 articoli fa si parlava di libertà nell’arrampicata “libera”.
    Patetico, veramente patetico!

  78. Oppure tutto dovrà essere demadato a professionisti, esempio le guide alpine?

  79. La riattrezzatura/manutenzione di varie falesie, cosa sacrosanta,  potrebbe essere portata avanti dalle scuole del CAI con i propri istruttori (CAI !!!) disseminate su tutto il territorio nazionale. Falesie che le scuole del CAI frequentano per motivi didattici, quindi è cosa importante, per le responsabilità che ne derivano durante lo svolgimento dei corsi.  Bisognerebbe però che il CAI investisse un pò di più nelle sue scuole, magari finanziando l’acquisto di attrezzatura, che non costa poco, ma  NON mi sembra che questo avvenga. Si preferisce, piuttosto, investire in commemorazioni K2.
    Dopo questa piccola polemica, non fine a se stessa, visti i tempi che corrono, dove tutto va garantito e certificato, mi faccio alcune riflessioni e domande: quali potrebbero essere le responsabilità legali/penali derivanti da una riatrezzatura ufficiale di una falesia o di una via? Possono gli istruttori del CAI prendersi questa responsabilità? Ne hanno la qualifica?  Ne vale la pena di prendersi ufficialmente certe responsabilità, visto che non sono dei professionisti?
    O forse è meglio fare tutto in sordina?

  80. Ho avuto modo di lavorare per la sistemazione e la riqualificazione della falesia di Campo dei Fiori in provincia di Varese. Anch’essa una falesia storica per questa zona che stava andando in degrado e poteva diventare pericolosa per gli arrampicatori sia nella fase di avvicinamento che nelle fasi di arrampicata. In effetti io mi sono occupato solo dei lavori di disgaggio e rimozione di massi pericolanti mentre un gruppo di guide alpine ha riattrezzato completamente le numerose vie. Sono stati inoltre sistemati i sentieri che permettono l’accesso alla falesia che è divisa in diversi settori. Il progetto ed il lavoro è stato finanziato dalla Regione Lombardia, dal C.A.I., dalla Camera di Commercio e dall’Ente Parco Campo dei Fiori. Certamente Sbarua e Campo dei Fiori sono due tipologie di falesia ben diverse ma penso che l’interessamento delle istituzioni possa risolvere il problema, sempre con i tempi della burocrazia.

  81. Concordo pienamente con Ghibaudo!
    Essere soci CAI non comporta essere d’accordo con la Presidenza.
    Se poi il nostro riesce a trovare sghei per Patagonia e Sbarua, tanto meglio. Ma…
     
    Infine Giovannino Massari non mi risulta essere guida ma solo Istruttore di una qualche ASD. Comunque grazie a chi attrezza le falesie piemontesi.

  82. La moderna è completa riattrezzatura della Sbarua DEVE assolutamente rientrare nel progetto finanziato dal CAI di mantenere in vita almeno 1 importante falesia per regione. È ora di cominciare. Meno soldi in Patagonia, più per le montagne dietro casa. 

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