Ai tradimenti e alle guide alpine

Ai tradimenti e alle guide alpine
di Martina Guglielmi
(pubblicato su avevolevertigini.com il 27 marzo 2023)

Che partenza… ma voglio subito precisare che questi due concetti sono collegati solo da un nome, Marco Geri del CAI di Perugia, che ho avuto il piacere di incontrare oggi, sabato 25 marzo 2023, al convegno tenuto dal CAAI (Club Alpino Accademico Italiano) a Cittadella (PD).

Torniamo all’inizio: vi chiederete il motivo di questo titolo e che c’entra Marco. Ve lo spiego subito.

Durante l’assemblea, che precede il convegno sulla salute in montagna, Marco Geri prende la parola per un intervento di cui le prime parole mi stupiscono: “parlerò di un tradimento”. Non approfondisco l’argomento, ma lo voglio in sintesi condividere con voi per poi passare oltre: Marco parla di un tradimento da parte del CAI, utilizzando apposta un termine provocatorio, per sottolineare quanto il club stia oggi tendendo a tralasciare l’alpinismo puro e il vivere la montagna in senso stretto e autentico per “fare spazio a iniziative di carattere essenzialmente turistico, indubbiamente piacevoli, ma che nulla hanno a che spartire con la cultura e i valori dell’alpinismo”.

A favore o contrari, in molti condividono il pensiero di Marco.
Il dibattito sarebbe davvero ampio, ma il tempo è poco e dopo Marco interviene Alessandro Baù, (alpinista, accademico, atleta, guida alpina, ingegnere e chi più ne ha, più ne metta) con un altro tema caldo: ‘perché le guide alpine non possono entrare nel CAAI?’.

Faccio una premessa e cito il sito del CAAI dove è riportata una frase presente nell’editoriale dell’Annuario 1924-26, in cui il presidente Adolfo Hess afferma cercando di indicare la ragion d’essere dell’Accademico: “[…] oggi che il CAI è diventato una società numerosissima e complessa, sparsa in tutta Italia, con problemi nazionali e politici, con indirizzo di popolarizzazione, con scopi editoriali e commerciali […], oggi più che mai ha ragion d’essere una istituzione che si ispiri ai puri ideali del grande alpinismo e si preoccupi esclusivamente dei problemi della tecnica alpina e dello studio delle montagne”. 

E nella stessa pagina del sito si legge:
Fu grande merito di Umberto Balestreri aver indicato concretamente come esercitare questa funzione, intuendo l’importanza di un inserimento del Club nella struttura del CAI e invitando i soci a non limitarsi a esplicare un’attività alpinistica ragguardevole, ma a diventare “presso le varie sezioni del C.A.I. guide e centri di alpinismo specialmente tra i giovani” (Rivista Mensile del CAI 1931, 701)”.

Torniamo al dibattito. Ebbene sì, le guide alpine non possono diventare accademici del CAI e Alessandro solleva la questione animato da una situazione palese: “i miei amici e compagni di cordata, giovani e pieni di talento ed esperienza, sono quasi tutti guide alpine, ma avrebbero tutte le carte in regola per diventare accademici. Perché no?”.

[Alessandro Baù possiede entrambi i titoli perché è diventato guida alpina dopo essere entrato nel club accademico: un’eventualità prevista e permessa dallo statuto].

Uno statuto antiquato, una mentalità chiusa o cosa? Beh, la sua bella età lo statuto ce l’ha (1904), dobbiamo ammetterlo. Ma, tralasciando l’opinione che ognuno ha sulle guide alpine e il loro lavoro, la domanda che mi frulla in testa diventa ora una curiosità affamata di risposte.

L’assemblea finisce e lungo la strada verso il ristorante incontro casualmente Marco che non riusciva a trovare l’esatta posizione del luogo. È stato più forte di me: “Marco, scusami, ma perché le guide alpine non possono entrare nel CAAI?”.

Quando Marco inizia gentilmente a spiegarmi come è nata la questione, rimango ad ascoltarlo talmente assorta che dimentico pure la fame.

Marco Geri

Per rispondere a questa domanda devo tornare parecchio indietro nel tempo, addirittura prima del 1904, la nascita del CAAI. Già nell’’800 c’era chi voleva arrivare in vetta, ma erano persone che mai si erano approcciate alla montagna, quindi inesperte e senza conoscenze adeguate per poter salire anche in quota. Si affidavano allora a chi le montagne della zona scelta le conosceva bene. Ecco che boscaioli, pastori e altri lavoratori che ogni giorno vivevano la montagna, perché la abitavano e ci lavoravano, si sono proposti ai visitatori (soprattutto borghesi, benestanti che potevano permetterselo) di fare loro da accompagnatori in cambio di denaro.

In pratica queste persone sono state le prime ‘guide alpine’. 

Dopo oltre un secolo dalle prime grandi avventure in alta montagna (come l’ascensione al Monte Bianco, 1786), la conoscenza delle montagne e della tecnica necessaria per salirci sopra è ormai sufficientemente sviluppata per consentire agli alpinisti provenienti dalle città di praticare l’alpinismo senza ricorrere necessariamente al supporto delle guide. Viene anzi considerato particolarmente pregevole l’alpinismo fatto “senza guide”. Nasce così il CAAI (1904), esplicitamente identificato come l’associazione degli ‘alpinisti senza guide’. La separazione tra gli alpinisti accademici e le guide alpine ha questa origine e, pienamente comprensibile nel 1904, è poi rimasta nel tempo un po’ per inerzia e un po’ per spirito conservatore.

Quello di oggi però è un momento storico che vede moltissimi giovani alpinisti scegliere di essere guide alpine: una condizione che preclude al CAAI, con l’attuale statuto, di accogliere tra le sue braccia questi ragazzi”.

Ora voglio farvi leggere un testo tratto dal documento I fondatori dell’Accademico di Costantino Piazzo.

Sulla scia di qualche avventuroso che apre la strada, si comincia a pensare di poter fare a meno della ingombrante tutela della guida: per gustare così appieno il successo della conquista e non ultimo rivendicare totalmente a sé il merito della scoperta della via nuova, nasce in qualcuno l’idea di agglomerare i praticanti dell’alpinismo senza guida e contemporaneamente creare un terreno di cultura per la formazione alpinistica delle giovani generazioni per coltivare alpinisti in grado di sostenere l’invadente concorrenza degli stranieri.

Sentiamo lo stesso Ettore Canzio, uno dei fondatori del CAAl:
Non fu una ribellione dell’alpinista al montanaro; fu un lento scivolare fuori di tutela, conviene dire che nessun tutore fu mai così garbato, servizievole, accomodante come lo fu in generale la Guida: sentì la passione che animava il suo giovane compagno e, mentre se ne faceva maestro, seppe tenersi in una prudente penombra, quanto era necessario per non disturbare nell’allievo quell’impressione di intimo compiacimento per la vittoria che costituiva il più valido incitamento alla novella energia che spingeva l’uomo alla montagna. Per questa opera magnifica e qualche volta oscuramente eroica che la Guida ha compiuto dai primi tempi dell’alpinismo fino ad oggi, vada ad essa da queste pagine in cui si spiega il commiato che noi ne prendemmo, l’espressione della nostra riconoscente ammirazione e il nostro commosso saluto (Ettore Canzio, Annuario CAAl 1922-23)’”

[Invito a leggere l’intero documento: clicca qui!]

L’articolo 1 dello statuto del CAAI afferma:
Il CAAI si propone di coltivare e diffondere l’esercizio dell’alpinismo senza guide, affiatare i soci tra loro, unirne l’esperienza, le cognizioni e i consigli per formare la sicura coscienza e l’abilità indispensabili a chi percorre i monti senza l’aiuto di guide”.

Dunque ‘senza l’aiuto di guide’. Ma se fossero guide gli stessi accademici, prendendo della figura al centro del dibattito solo la parte della persona come alpinista e grande appassionato della montagna e della sua storia? 

Competizione? Orgoglio? Timore di perdere alcuni valori e ‘tradire’ la storia del CAAI?

Non sono nessuno per poterlo affermare o per scegliere la risposta corretta, certo è che, qualunque sarà il futuro di questo dibattito, pilastro e criterio di selezione degli accademici, oltre a capacità e talenti, deve essere la conoscenza della storia dell’alpinismo, delle vie e dei loro apritori: elementi che vanno oltre la prestazione in sé, che sorprendono, raccontano e soprattutto insegnano.

Elementi che chiunque, indipendentemente dal mestiere che fa, potrebbe avere nella mente e nel cuore.

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Ai tradimenti e alle guide alpine ultima modifica: 2023-07-06T05:07:00+02:00 da GognaBlog

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18 pensieri su “Ai tradimenti e alle guide alpine”

  1. @14 Caro Barbolini,
     
    conosco il procedimento di ammissione al CAAI, conosco Fulvio Scotto di persona, che si sta impegnando per svecchiare un po’ l’accademico proponendo tante persone ggggiovani e meritevoli. Compresi alcuni miei amici, per i quali sono estremamente felice.
    Ma so anche che qualcuno ha rosicato a vedere arrivare carne fresca, come se gli venissero a rovinare la piazza.
     
    Detto questo, sì, so di gente che spara cazzate pur di avere la patacca (come lo fanno anche alcuni che vogliono fare le guide alpine e mentono per essere ammessi alle selezioni).Il fatto che mentano non è detto che li faccia ammettere (proprio perché poi i curriculum vengono passati al vaglio dalla commissione), ma solo il fatto che ci provino, PER UN UNA TOPPA DA CUCIRSI SULLA GIACCA, a me fa abbastanza ribrezzo. 

  2. Mi pare che la discussione abbia virato da “perché le Guide no dentro il CAAI” a “associazionismo si/no”.
    Personalmente non trova ci sia nulla di male nel voler far parte di un’associazione. Sono socio CAI da quando avevo 19 anni (e adesso ne ho 63) e ricordo che all’epoca mi era sembrato del tutto naturale aderire al sodalizio alpino a seguito della passione per le “terre alte”. Oltre alla possibilità di frequentare corsi vari, e quindi di apprendere nozioni e tecniche utili all’andar per monti, c’erano motivazioni economiche (gli sconti in rifugio evocati in un commento) oltre all’importantissimo tema del seccorso alpino che può “fare molto male” al portafoglio se utilizzato da chi non è iscritto al CAI. Gli “accademici” li ho sempre ammirati “da lontano” non avendo un curriculum che possa anche solo lontanamente essere sottoposto all’iter valutativo descritto in precedenza (mi vien da ridere solo all’idea … di farlo valutare …).
    Ciò detto a chi va in montagna, per fortuna, non viene richiesta (per ora …) nessuna tessera o patacca. È un luogo libero frequentato da gente libera sufficiente ente ampio da contenere sia “gli associazionisti” che i “vade retro sodalizio”. C’è spazio per tutti e W la Montagna (“ora et semper”).

  3. Marcello, io preferisco 1000 volte l’inferno, vuoi mettere: lì, secondo me, ci si diverte anche. Il paradiso sai che due palle!!

  4. Barbolini, non lo sai che chi fa la spia non è figlio di maria, non è figlio di gesù, all’inferno ci vai tu?

  5. Cara Agnese,
    forse ti sfugge che la selezione delle domande avviene in modo abbastanza complesso: il candidato deve essere presentato da due soci CAAI che attestano la veridicità del suo curriculum e quindi ci mettono la faccia e che spiegano in assemblea il significato della candidatura che comunque deve sottostare a regole piuttosto precise non ultima il parere, non vincolante ma importante, di una commissione tecnica di gruppo. Durante la discussione in assemblea, i curriculum vengono sviscerati dai presenti e non è infrequente il ritiro da parte dei soci presentatori quando la candidatura viene messa in dubbio da qualcuno. Inoltre deve essere approvata con una maggioranza qualificata di 2/3 dei soci presenti. Poi viene valutata dalla commissione tecnica centrale ed infine dal Consiglio Generale del CAAI. Alla luce di quanto sopra esposto ritengo difficile, anche se non impossibile,  che ci siano curriculum inventati e/o falsi. Ti consiglio comunque di leggere le regole di ammissione sul sito del CAAI. Se poi hai notizie di curriculum farlocchi  ti prego di fare nomi e cognomi. 

  6. C’è gente che MENTE sul curriculum per poter entrare nell’Accademico e sfoggiare la patacca. È amore per la montagna e l’alpinismo questo? È etica? No, solo un bisogno estremo di vantarsene davanti agli altri.
    quindi, per quanto ci siano tanti bravi e ammirevoli alpinisti che fanno anche parte del CAAI, e che hanno sincero piacere a farne parte (e per carità, contenti loro, contenti tutti), l’istituzione attira come le mosche quei soggetti insopportabili a cui piace solo sventolare il titolo.

  7. L’associazionismo non è andare in montagna. E’ un campo parallelo e aggiuntivo all’andare in montagna. A qualcuno piace andare in montagna e basta, ad altri piace arricchire l’andar in montagna con il coinvolgimento istituzionale (che non è solo nel CAI, perché ci sono numerose altre associazioni: il CAI ovviamente è, di gran lunga, la più grande di tutte). Nessuno degli “istituzionali” prende in giro i cani sciolti, solo perché non amano l’associazionismo. Parimenti è richiesta l’educazione di non sbeffeggiare chi si riconosce nel valore dell’associazionismo e, quindi, nelle sue prassi e nei suoi simboli.  Cmq, provate a proporre di cancellare per sempre qualche simbolo, per esempio lo stemma dell’Accademico, che ha 119 anni: sono curioso di vedere che reazioni suscitate!

  8. Mi permetto di dissentire con quanto espresso negli ultimi commenti ; in montagna il tesserino CAI serve eccome…lo sconto al rifugio ce lo dimentichiamo?? Scusate ma mi è stata servita su un piatto. 

  9. l’alpinismo mal si presta a “chiacchiere e distintivo” come diceva Al Capone in The Untouchables, perché quando sei in montagna servono capacità tecnica, istinto animale, allenamento e raziocinio.
    Bravo Marcello 10 minuti di applausi !

  10. Hai una visione davvero distorta della realtà. Nel CAI, dal cannibale più squinternato all’Accademico più sopraffino, non c’è nessuno che fa le cose perché “obbligato”. Anche solo obbligato senza rendersene conto, cioè trascinato dal sistema. Siamo tutti maggiorenni e vaccinati e ciascuno sa cosa gli piace fare e cosa no. Chi partecipa alle iniziative lo fa perché gli piace partecipare, che si tratti di un’ascensione durissima o della cena di fine stagione. Com  prese tutte le infinite cose che stanno in mezzo a questi due estremi (dalle riunioni ai distintivi, dai verbali ai regolamenti…). Lo facciamo perché incontriamo degli amici e condividiamo le cose con loro. Si chiama “associazionismo”.
     
    Conosco decine, se non addirittura  centinaia di guide alpine, di tutte le età ed esperienze. Ho una considerazione molto positiva delle guide, sia come figura istituzionale che come singole persone. Le stimo molto e credo di non sbagliare a dire che, quelle che mi    conoscono a titolo personale, esprimano a loro volta stima nei miei confronti. Ebbene, in tutti questi decenni non ho mai sentito una guida fare discorsi strampalati come i tuoi. Tu dai l’impressione di vivere in un mondo tutto tuo e ti irriti perché gli altri non hanno il desiderio di raggiungerti nel tuo mondo. Forse perché è un modo di vivere che piace solo a te.

  11. Come ribadito da Nazario (commento numero 4), non vedo perché una guida alpina dovrebbe ambire a entrare nel Caai.
    Io non conosco nessuna guida (e ne conosco tante) che ci tenga e quindi soffra di questa estromissione statutaria.
    Però, finche si continuerà a pensare che le guide non sono degli alpinisti ma degli opportunisti che lucrano sull’altare ideologico della montagna, mentre invece svolgono un lavoro bellissimo e pure nobile che ci fa avere una visione sicuramente più realistica di cosa sia l’alpinismo, non andremo da nessuna parte.
    O meglio, il Caai e il Cai non andranno da nessuna parte. 
    La lodevole iniziativa della squadra di giovani alpinisti preparati da Matteo Dellabordella dovrebbe essere lo spunto per rimodernare un club alpino dalla mentalità ottocentesca oggi non più al passo coi tempi. E lo dico da appassionato che da giovanissimo aveva trovato nel Cai (Sez. Ligure) tanti maestri di montagna e vita che mi hanno ispirato e che ricordo con affetto. Altro che regolamenti e patacche!
    Nonostante a molti piaccia così, l’alpinismo mal si presta a “chiacchiere e distintivo” come diceva Al Capone in The Untouchables, perché quando sei in montagna servono capacità tecnica, istinto animale, allenamento e raziocinio. 
    Lassù i distintivi e le tessere non servono ed è proprio lassù che tutti stiamo bene perché è la nostra passione. Però la maggior parte di noi, tornati a valle si ridiventa le solite merdacce frustrate che hanno bisogno di un riconoscimento da parte degli altri unitamente a una classificazione umana che sa purtroppo di razzismo.
    Io il distintivo di guida lo porto raramente perché mi imbarazza averlo appuntato sulla giacca, perché credo che nella Natura conti esclusivamente il saperla assecondare per poterne godere. In silenzio, senza clamore, con umiltà e tanta voglia di imparare. Finchè poi si tirano le cuoia comunque, tanto vale godersela senza complicazioni inutili.
     
    Lo ripeto: voi che potete (accademici di ogni regione e valle) LIBERATEVI!

  12. @6 Conosco le guide alpine molto più di quanto tu possa immaginare e so perfettamente che alla base della loro scelta di vita si pone una grandissima passione per la montagna.
     
    Ma non è questo il punto. L’articolo vagheggia una ipotetica “fusione” fra CAAI e mondo delle guide. Anzi più che fusione, un mix: far entrare nel CAAI le guide che lo eventualmente chiedono. Ma che senso avrebbe? Non è possibile un mix del genere, perché sono due comparti antitetici e quindi raccolgono individui che hanno modi completamente “diversi” di vivere la loro passione per la montagna. Lasciamo a ciascuno il suo giardino di espressione e divertimento.
     
    Le tue scelte esistenziali (anche se non le condivido per nulla) sono legittime, ma le devi limitare alla tua persona. Nessuno pretende di intervenire nella tua vita. Ma lo stesso devi fare tu, che invece sbagli con “invasioni di campo altrui”, come al  commento 1.
     
    Ci sono moltissime persone che amano l’associazionismo. Alcune sono tecnicamente modestissime, altre sono molto raffinate e grandi alpinisti. e ‘mbè?! Lascia che si frequentino. Anziché voler estendere a loro le tue scelte da lupo solitario, lascia a tutti il legittimo spazio di espressione. Ci son o persone che si divertono con patacche e patacchine, con statuti e regolamenti, con pranzi conviviali e stesura di articoli per i vari rispettivi annuari? Ma lasciali vivere! Così come lascia vivere tranquillo il CAI nel suo complesso, che è frequentato da persone molto felici di poterlo frequentare. Tutto qui. Stame bin

  13. Caro Crovella,
    tra le moltissime cose che non ti riesce di capire c’è anche quella che le guide alpine sono spesso (direi sempre) degli alpinisti che prima ancora di divenire professionisti hanno salito le montagne per la pura passione di farlo.
    Il fatto che uno si guadagni la pagnotta facendo la guida non dovrebbe costituire l’oltraggio ottocentesco che il Caai ha ancora nel suo statuto. Mi sembra che sia un problema caiano e non di certo delle guide alpine. Rilassati che ti farebbe bene.
     
    Si, sono un insofferente al voler istituire e irregimentare sempre tutto. L’alpinismo per me (è opinione strettamente personale) è una pratica della libertà individuale anche di accopparsi! 
    Contrariamente a quello che ti potrà sembrare io sono molto rilassato verso la vita in generale, amo quello che faccio anche quando dormo o sto a casa a guardare il soffitto, ma evito accuratamente di intrupparmi in tutto quello che non mi fa sentire libero come voglio.
     
    Guardo all’associazionismo con tenerezza e noto che quelle stesse persone che tanto amano stemmi, regolamenti e tessere varie, sono davvero felici quando possono avvertire il senso che lo sganciarsi anche momentaneamente da quelle che in fondo sono costrizioni, gli procura.
    Nelle tessere ci vedo solo un gran frustrazione che scompare non appena il detentore si sente libero da tutto. Con le tue prosopopea e tuttologismo alpini, per me, rappresenti alla perfezione questa frustrazione e un po’ mi fai pena. Lo dico con affetto, non prendertela e non tirar fuori la solita solfa di “noi sabaudi” per favore. Vai in montagna se ti piace, gioca alle bocce, scrivi i tuoi libri fantasiosi, ma non c’ammorbare sempre tutti con una visione di quello che ci rende felici che sia sempre da “ufficio del catasto”.
    Anche le montagne (insulsi mucchi di pietre e ghiacci) ringraziano.

  14. @3. Guarda che hai preso roma per toma. Non c’entra nulla l’attività alpinistica di Cominetti. Rileggiti con attenzione il n. 2 e vedrai che focalizzerai meglio quanto ho scritto.
    Mi pare, invece, che tu non sia minimamente al corrente degli ultimi risvolti che ho citato e che dimostrano che, forse, il trend all’interno del CAI si sta invertendo. Facciamo il tifo perché sia davvero così. Ciao!

  15. Per mè è difficile comprendere per quale motivo una Guida Alpina desideri appartenere al Club Accademico del Cai. Ovviamente ci saranno quelli interessati, ma ritengo che al giorno d’oggi sia già una bella sfida accedere alla professione di Guida Alpina, un investimento notevole, anche economico.  Per raggiungere il livello minimo indispensabile per superare le sole prove di ammissione, un aspirante, deve investire anni di preparazione. Diventare bravo in molte discipline, roccia, ghiaccio, misto, arrampicata sportiva, sci e scialpinismo. E almeno per per il Trentino,  cavarsela nel nuoto! Chiedo alle ipotetiche Guide che ambissero al titolo di Accademico:
    Non è abbastanza ?
    (sono una vecchia Guida, con molti amici Accademici, ad ognuno il suo.)

  16. Gentile Signor Crovella, ma Lei non riesca proprio a tacere? Ha una minima idea dell’attività alpinistica di Marcello Cominetti, e non riesce a capire cosa c’è dietro alla sua (per me compensibilissma) critica? Ogni tanto si prenda (e ci dia) una sosta. Mi insulti pure, non risponderò alle Sue critiche.
    renzo Bragantini

  17. @ 1 Solite paturnie di un insofferente cronico all’istituzionalizzazione. Ci sono però decine e decise di persone che, in aggiunta alla montagna concretizzata sul terreno, amano l’associazionismo (normalmente no profit), comprese le riunioni con finale al ristorante, statuti e regolamenti, nomina di presidenti e vicepresidenti, patacche e stemmi, diplomi, annuari, convegni, ecc ecc ecc.
     
    Che t’effrega se costoro hanno desiderio di disporre del loro giochino? Se ti obbligassero a farne parte, sareebbe comprensibile la tua posizione. Na siccome manco valutano l’ipotesi di coinvolgerti, lasciali tranquilli a fare le loro cose. Vale per il CAAI come, più in generale, per il CAI (che ovviamente è cosa ben diversa dal CAAI).
     
    Sul punto, non ci può essere una mescolanza fra CAAI e guide alpine (se non nella fattispecie molto particolare di chi prima è diventato accademico e solo dopo guida), perché si tratta di due compartimenti completamente diversi e addirittura antitetici. Oserei dire compartimenti conflittuali sul piano ideologico. Le guide accompagnano (legittimamante) i clineti a pagamento e i senza guide hanno il piacere di andare senza guide. Come si potrebbe mescolare queste due realtà? Che senso avrebbe inserire guide (già brevettate) dentro al CAAI? Il CAAI è il circolo dei senza guide, non il circolo delle guide (e viceversa per il Collegi guide).
     
    Rispetto al trend calante dei soci CAAI (anche per invecchiamento degli stessi) gli osservatori attenti hanno colto alcuni importanti recenti segnali di ripartenza: cito, per esempio, l’iniziativa CAI Eagle Team, varata dalla Presidenza del CAI, e per il gruppo Occidentale del CAAI, l’ammirevole dinamismo del Presidente Fulvio Scotto (e dei suoi collaboratori), che sta inserendo giovani di rilievo (alcuni coincidono con  i frequentatori del’Eagle Team), grazie alla creazione della figura dell’ “aspirante accademico”.
     
    Iniziativa come le due citate servono sia per rivitalizzare il CAAI in senso stretto, sia per ridare peso alla voce “alpinismo” all’interno del CAI nel suo complesso.
     
    Il resto sono solo paturnie dei soliti scontenti cronici.

  18. Articolo, secondo me,  il cui contenuto, visto che siamo nel 2023, rasenta la comicità. 
    Non so quante guide alpine ambiscano a far parte del Caai, penso veramente pochissime.
    Personalmente trovo estremamente faticoso far parte del Collegio cui appartengo, ma si tratta di Albo professionale obbligatorio per legge.
    Se potessi non ne farei di certo parte per un sacco di motivi. 
    Non escluderei i momenti di confronto con i colleghi, che infatti continuo ad avere, ma si tratta di incontri spontanei e tra persone che stanno insieme volentieri.
    Oggi la burocrazia fa di tutto per complicare inutilmente ogni cosa e l’associazionismo io lo vedo come il fumo negli occhi.
    Forse è ben visto da chi non vede l’ora di uscire di casa ma io in casa ci sto bene.
    A 62 anni preferisco dedicare il tempo ad andare in montagna piuttosto che a riunioni e adempimenti vari.
    Voi dell’Accademico cosa aspettate a sciogliervi, visto che potete?
    Vi divertite quando andate al ristorante?
    Vi piacciono quelle assemblee in cui regna l’autoreferenzialità estrema in cui i ringraziamenti e le citazioni precedono di decine di minuti l’affrontare l’argomento della riunione?
    Vi piacciono le patacche tipo soccorso alpino?
    Vi piace avere un presidente, un vicepresidente un segretario e bla bla (ovviamente con i loro omologhi al femminile)?
    Io tutte queste cose le detesto. Con l’alpinismo vero non c’entrano una mazza.
     
    Liberatevi!

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