Vivere inconsapevoli delle suggestioni che eleggiamo a guidarci nell’esistenza significa tenere la vita stessa dietro le quinte del palco sul quale recitiamo la parte, disposti ad indossare tutte le maschere pur di ottenere successo e il plauso pubblico. Ma ciò significa non avvedersi di cosa sia imperituro e cosa sia maldestramente caduco, e a quale differente qualità della vita, privata e sociale, conducano le due vie.
Al passo dell’oca
di Lorenzo Merlo
ekarrrt – 6 gennaio 2024
WSB
La misconoscenza del reale degli scientisti – ovvero dei devoti alla Scienza analitica, cioè di coloro che ritengono che in essa, e solo in essa, risieda la conoscenza –, secondo i ciarlatani, come gli scientisti chiamano gli eretici del pensiero unico e della loro religione, è dovuta a una egregora che, tradotto, è qualcosa che, in buona misura, ha le caratteristiche della psicosi. Termine la cui etimologia arrotondata allude a malattia dell’anima. Ma intende anche parassita, la cui miglior rappresentazione ci è fornita da William Seward Borroughs (1914-1997) quando, raccontando la sua dipendenza dall’eroina, figurava la situazione parlando di una scimmia sulla schiena. Cioè di qualcosa che non ci lascia mai e a cui, costretti a nutrirla, devolviamo tutte le nostre energie. Un particolare sostanziale, in quanto significa che l’intera vita spesa con una scimmia sulla schiena è una vita vissuta in sua funzione, secondo le sue esigenze, nella quale, perduti, non abbiamo risorse per essere noi stessi, per riconoscere la nostra natura e il nostro potere, attraverso cui tendere al benessere psicofisico.
Anche se una dipendenza allo scientista appare una questione materiale, il legame di questa con la persona che la sostiene, e che in essa soggiace, ha la stessa natura sottile e coercitiva dell’egregora. Ma, in realtà, non serve scomodare un famoso disgraziato per argomentare ciò che si vuole dire. Basterebbe salpare per una pesca a strascico nei mari delle tradizioni sapienziali della storia dell’uomo per riempire stive di parassiti, egregore, ossessioni, psicosi e demoni, quali forme differenti di scimmie, quali entità con le quali il benessere dell’uomo ha necessariamente a che fare. Scientisti a parte, tutti hanno visto ciò che i vetrini sotto il più potente microscopio non mostrano. Tutte le tradizioni di conoscenza hanno una figura che rappresenta il parassita di Borroughs. Tutte stupidaggini, chiosa lo scientista, così lontano dal vedere che quelle entità non sono fantasmi che ballonzolano per la stanza buia, ma frutti del nostro intimo.
Sé
La dipendenza da qualcosa, come detto, inficia e costringe la nostra autonomia, quindi la nostra creatività. La misura di quest’ultima corrisponde a Infinito. Quella della dipendenza allo Zero, cioè alla suprema mortificazione del sé. Questo, a sua volta, è rappresentabile come la nostra vera natura, il nostro sé. È il processo di individuazione mancato, direbbe Jung. Il che non è poco ma è tutto, perché quando invece si compie, non siamo più in balia di valori e credenze, ma siamo liberi di seguirne la rotta che esso ci indica.
È un processo che tende ad essere castrato tanto più il sé non è a noi stessi visibile, nascosto tra le egregore delle consuetudini, dei moralismi, egoismi, ideologie, dei dogmi e interessi personali. Da intendere quali moventi di scelte, pensieri e azioni in cui l’infinito viene costretto ad esse. Bolle, che non sono da immaginare in serie ma intersecabili, mobili, dal raggio variabile e via via più grandi, fino a contenere le nostre ultime concezioni del mondo, della realtà, della vita.
Lontani dal sé, siamo necessariamente costretti entro le bolle, la cui caratteristica comune è impedirci di avvederci della madre di cui siamo figli, è farci credere di essere proprietari di noi stessi. Quando così accade, fondamentalisti in testa – di qualunque religione sacra o profana – significa che siamo preda dell’io.
Io
L’io è una struttura assolutamente autoreferenziale, ma anche assolutamente ignara a noi stessi. Esso sono io, potremmo concludere. È infatti un costrutto al quale ci identifichiamo. Alcuni di noi arrivano a prendersela se sbagli a pronunciarne il nome. Per quel costrutto siamo disposti a combattere altri io e, se necessario, a sopraffarli, per celebrare il nostro e seguitare a nutrirlo. Finché la struttura, e soprattutto l’autoreferenzialità di questa, non ci appare lapalissiana ai nostri stessi occhi, da un lato il sé resta mortificato, sterile, assente. Dall’altro l’io ci invita, ci consente, ci impone di marciare al passo dell’oca convinti di essere nel giusto. E come quei poveri soldati svasticati e la massa civile dei loro sostenitori vivere, parlare e pensare guidati da una scimmia. O – secondo Gregory Bateson – dall’entità che ci domina, che lui chiamava mente.
Gran finale
Così, forte del blasone della Scienza, della sua egida, come araldo della sua voce, lo scientista avanza in formazione allineata e coperta, convinto e disposto a qualsiasi cosa, tranne che ad accettare l’ipotesi che forse un giorno si sveglierà. Costretto allora a dire a se stesso e al prossimo: “eseguivo solo degli ordini”. A chiedersi come era potuto arrivare a professare il pensiero unico, a plaudire le liste di proscrizione, a non avvedersi dell’asservimento dei media, né della gestione strumentale della pandemia, né dei colpi di coda di un’egemonia americana perduta, a sostenere Israele, a farsi scientista credendo di vantare la scienza per sé e così proteggersi da ogni critica, a mandare armi per la pace, a fermarsi al cancelletto aggressore-aggredito, a vedere Putin seduto sul trono di Lisbona. Sarà il giorno della morte della scimmia, dell’accesso al Sé e della liberazione dalla gabbia dell’io. Sarà la visione di un mondo che non vedeva, il germoglio di una politica che non sospettava, anzi, che chiamava utopia. Roba da ciarlatani.
“Il male se appartiene all’occidente è una calamità ineluttabile. È una postura ormai diffusa nelle odierne democrazie che sembrano abbracciare un unico presupposto: il cambio degli equilibri nelle varie regioni del mondo a nostro vantaggio contro nemici oggettivi o costruiti a tavolino deve essere perseguito a fin di bene. Le vittime purtroppo non si possono evitare. Questo è il male che esiste su terra. Sognare un mondo differente significherebbe scambiare la terra con il paradiso. Questo il sostrato culturale del discorso del Presidente Mattarella” (1).
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Bravo Merlo. Un bell’incipit e anche un bell’excipit. Vai!