Riccardo Cassin, friulano di San Vito al Tagliamento (1909 – 2009), si trasferì a Lecco come operaio, poi iniziò a produrre attrezzatura per la montagna. Ha compiuto una serie impressionante di circa cento prime ascensioni, sì da diventare esempio di alpinista tra i più significativi di ogni tempo. Suo grande merito è l’aver riunito le qualità indispensabili per eccellere sia sulle Alpi Occidentali sia sulle Orientali. In un’epoca in cui le tecniche e le mentalità procedevano separatamente, Cassin seppe dire una parola nuova prima sul calcare e subito dopo sul granito e sul terreno misto (roccia e ghiaccio). Ricordando solo le più importanti, si citano le vittorie sullo spigolo sud est della Torre Trieste e sulla Nord della Cima Ovest di Lavaredo (1935, con Vittorio Ratti), a quell’epoca tra i massimi problemi nelle Dolomiti. Sulla Cima Ovest Cassin e Ratti riuscirono in una traversata a sinistra ancor oggi considerata un capolavoro di intuito ed efficienza. Nelle Alpi Centrali, nel 1937, con lo stesso Ratti e con Gino Esposito, Cassin ha scalato la parete nord est del Pizzo Badile, una lavagna di 900 metri battuta dall’acqua e dalle scariche di sassi. Con i tre si trovava anche una seconda cordata, quella dei comaschi Mario Molteni e Giuseppe Valsecchi, che morirono per sfinimento. Altra grande impresa, con Esposito e Ugo Tizzoni, nel 1938, sull’inviolato sperone nord della Punta Walker delle Grandes Jorasses, con due bivacchi in parete. Si devono ricordare ancora la parete nord est dell’Aiguille de Leschaux (con Tizzoni nel 1939), la parete sud est della Cima Piccolissima di Lavaredo (1934), lo spigolo nord del Cimone della Bagozza, la Sud del Sasso Cavallo. Nel 1958 è stato capospedizione dell’impresa italiana al Gasherbrum IV; nel 1961 ha guidato la spedizione alla parete sud del McKinley in Alaska; nel 1969 quella allo Jirishanca nelle Ande peruviane (parete ovest). Nel 1975 ha guidato la sfortunata spedizione italiana alla Sud del Lhotse. Cassin ha perfino ripetuto le sue stesse vie alla Cima Ovest di Lavaredo nel 1973 e al Badile nel 1987.
Riccardo Cassin nel 1987 mentre ripete la sua via alla parete nord-est del Pizzo Badile
Il bolzanino Otto Eisenstecken (1920 – 2004) ha svolto un’attività tanto silenziosa quanto eccezionale. Dapprima carpentiere, fu poi capo-magazziniere di un importante mercato ortofrutticolo della sua città. Fu lui il primo arrampicatore del dopoguerra a portare più avanti il limite delle difficoltà, superando alcune vie fino ad allora impossibili. Per fare ciò Eisenstecken si servì di piccoli chiodi di sua invenzione, che furono poi perfezionati da altri e chiamati «ad espansione». Tuttavia usò questo nuovo mezzo con parsimonia: solo cinque chiodi su tutte le sue vie. Dopo una via nuova con Emmerich Pircher e H. Egger nel 1943 sulla Torre Stabeler del Vajolet, dopo la prima diretta della parete nord ovest della Croda di Re Laurino, Eisenstecken si lanciò sulla Nord della Punta Emma con Joseph Sepp nel 1946 e aprì un itinerario (un chiodo speciale) di estrema difficoltà a tutt’oggi ancora temuto. E così sul Gran Mugon, parete sud est, nello stesso anno. Nel 1947 con Florian Rabanser e L. Oberrauch vinse per primo la «Parete Rossa» della Roda di Vael (due chiodi speciali): 400 metri al limite del possibile in arrampicata libera, che poi furono esaltati come confine storico, ma anche visivo, con le arrampicate artificiali che si svolsero in seguito più a destra, e cioè al centro della «parete rossa». Nel 1948, ancora con Rabanser, la sua ultima grande impresa: la parete nord della Cima Piccolissima di Lavaredo. Qui addirittura non usò chiodi speciali, compiendo quindi il suo vero capolavoro.
Lothar Brandler (Dresda, 1936 – vivente), formatosi in Sassonia, nella palestra dell’Elbsandsteingebirge, compì le proprie imprese di maggior rilievo nel 1958: nel luglio, dopo cinque giorni di arrampicata, vinse la Nord della Cima Grande di Lavaredo per una nuova via diretta; suoi compagni furono Dietrich Hasse, Jörg Lehne e Sigi Löw. Due mesi dopo, ancora con Hasse, superò la Parete Rossa della Roda di Vael in quattro giorni. L’impresa alla Cima Grande rappresenta una tappa fondamentale nella storia dell’alpinismo: dopo la vittoria di Comici e i fratelli Dimai, quella stessa parete non era più stata affrontata tentando un itinerario più diretto. L’impresa fu compiuta con profusione di chiodi, una dozzina a pressione: ricorso giustificabile, ben lontano dagli abusi degli anni successivi ma destinato ad aprire un’era nuova, quella delle vie direttissime. Ma Brandler è ricordato anche per le sue realizzazioni cinematografiche. Proprio i primi due film, Direttissima e Una cordata europea, traspongono sullo schermo un nuovo modo di assistere alle evoluzioni dell’arrampicata artificiale sui giganteschi strapiombi delle Lavaredo, con l’operatore sospeso nel vuoto a duecento metri da terra.
Jörg Lehne (Berlino, 1936 – Grandes Jorasses, 1969) nelle sue arrampicate non si accontentava di seguire linee prestabilite. Nel 1957 fece la prima invernale dello spigolo est del Daumling, mentre il 1958 fu l’anno della direttissima sulla Nord della Cima Grande di Lavaredo con Löw, Hasse e Brandler. Nel 1959 due belle prime invernali: la diretta est della Fleischbankspitze e la Parete Rossa della Roda di Vael per la via «Buhl». Nel 1960 compì la prima ascensione dello spigolo sud della Vordere Karlspitze. Nel 1961 partecipò alla prima spedizione tedesca al versante Diamir del Nanga Parbat, che fu probabilmente il primo tentativo di vincere gli 8000 per i versanti più difficili, anche se il successo arrise solo l’anno seguente al prezzo, tra l’altro, della morte di Löw, il più grande amico di Lehne. Nel 1965 cominciò a preparare la sua più grande salita: una via direttissima sulla Nord dell’Eiger. Questa ebbe luogo nell’inverno del 1966, da febbraio a marzo, con la tecnica himalayana, e Lehne fu non solo uno dei cinque componenti della «spedizione» a toccare la vetta (subendo poi una lieve amputazione), ma anche l’animatore dell’intero gruppo. Questa impresa, anche se criticabile, è uno dei pilastri del moderno alpinismo, una dimostrazione di forza e resistenza. Lehne compì la sua ultima prima sulla Schwarze Wand (Wetterstein) nel 1967. Morì colpito da una scarica di sassi mentre con Karl Golikov stava scalando lo sperone Cassin delle Grandes Jorasses.
Jörg Lehne, Dieter Hasse, Lothar Brandler e Sigi Loew al rif. Lavaredo dopo la loro 1a ascensione della Diretta alla Nord della Cima Grande di Lavaredo
Dietrich Hasse (Dresda, 1933 – vivente), studioso di geologia, poi di geografia, biologia e politica, iniziò nel 1950 la lunga serie delle sue prime, con vie nell’Elbsandsteingebirge, la palestra vicino a Dresda; nel 1958 le due splendide affermazioni con Brandler sulla Cima Grande di Lavaredo e sulla Roda di Vael. Nel 1959, con Sepp Schrott aprì due bellissime vie, una sulla Sud della Torre Innerkofler (Sassolungo), l’altra sulla parete nord ovest della Torre Delago (Vajolet), un itinerario di 700 metri. La serie continua nel 1966, sulla Est di Cima d’Ambiez, con Heinz Steinkötter e Claudio Barbier (vinta a più riprese, con corde fisse) e sul Grande Lagazuoi, diedro ovest con Barbier. Nelle Dolomiti d’Oltrepiave ha salito con Gerhard Leukroth la Nord del Col Nudo nel 1968. Nel 1972 con Steinkötter salì tre nuove vie nel Gruppo di Brenta: Sud della Torre Sud della Cima Bassa d’Ambiez, diretta sud est della Cima d’Àgola e diretta est della Punta dell’Ideale.
postato il 18 aprile 2014
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spero ci sarà una seconda parte…”gli altri uomini delle Tre Cime”