Un itinerario alla scoperta della natura intatta per ritrovare l’uomo essenziale: Primo Levi scrisse una riflessione sul silenzio in natura.
Alla ricerca del silenzio
di Primo Levi
Ad eccezione di casi estremi, gli uomini e le donne mi piacciono, o mi divertono, o almeno mi interessano. Mi interessano anche le loro opere, purché siano adatte allo scopo per cui sono state pensate: i figli della mano e quelli della mente (in specie i figli della mano e della mente), cioè, alla rinfusa, i libri e gli attrezzi agricoli, le case e i tessuti, i campi arati e le macchine, gioielli, gli aerei, le fotografie, i ponti.
Mi piace confrontare fra loro i recipienti: scatole, bottiglie, pentole, secchi, sacchi, cisterne, i silos per i cereali; più in generale, tutti i manufatti destinati a contenere cose o creature che altrimenti si disperderebbero, e quindi anche le stie per i polli, i recinti per le pecore, le dighe, gli otri. Un giorno, ai contenitori dedicherò un saggio riverente.

Però mi attirano di più gli spazi in cui l’uomo e la sua opera sono assenti. Ormai non è più facile trovarne in Italia, che è sovraffollata: lo è visibilmente, basta affacciarsi ad una qualunque delle sue frontiere. Non c’è campo che non sia stato arato, da secoli, da millenni; non c’è valico che non sia solcato da un sentiero, quando non addirittura da un’autostrada. I suoi stessi fiumi portano i segni della presenza umana, in forma di argini, di scali, di ponti; in tempi storici o preistorici, i fiumi, i torrenti, i ruscelli sono stati domati o violentati. Spesso, ed è il paesaggio più malinconico, l’opera umana permane, ma in rudimenti: è stata interrotta, ed il tempo l’ha consumata, resa illeggibile. È frequente trovare, in collina o in montagna, campi abbandonati, invasi dalle erbacce, ma che portano ancora il segno dell’aratro; a volte il grano o la segala si sono inselvatichiti, e sopravvivono in steli isolati, orfani.
Altrove si riconoscono fossati asciutti che non sono certo opere di natura: forse sono frammenti di canali di gronda, forse trincee di guerre dimenticate da secoli. In altri luoghi ancora si trovano miniere abbandonate, e nei boschi strane radure: un tempo, quando il carbone di legna era un importante articolo di consumo domestico, erano sede delle carbonaie, la cui costruzione e conduzione erano arti millenarie che si stavano perdendo.
Per trovare la natura intatta, così com’era prima che l’uomo facesse la sua comparsa, nel mio Piemonte bisogna cercare a lungo, evitando le pianure, intensamente umanizzate. Bisogna varcare la soglia delle poche foreste che ancora rimangono: ma non inoltrarsi troppo, se no si rischia di uscire dalla parte opposta; e non scandalizzarsi se si incontrano, stampate nel fango, le impronte dei pneumatici mostruosi di un trattore, o cartucce di cacciatori, o scatole di sigarette, o lattine di cocacola.
E’ tempo meglio speso salire al di sopra degli ultimi pascoli: qui “praeterit figura huius mundi“, ci si trova immersi, a seconda della stagione, nella nebbia, nella neve intatta, fra pietraie macchiate dai licheni, o magari anche fra sterpi e spini.
Si prova un senso austero di continuità al pensare che così doveva essere il mondo quando “l’uomo non era”. Dove non c’è niente da trovare, né funghi, né selvaggina, né cristalli, è raro incontrare esseri umani: siamo esseri sociali e finalistici, pochi tra noi cercano la solitudine come bene a sé stante.
Perché la cerca chi la cerca? Non c’è un motivo unico, e spesso coesistono vari motivi. Per reazione all’attrito urbano, all’ossessione delle presenze umane, dei manufatti; nelle città perfino il “verde pubblico” è artificiale, manomesso; non ha più nulla di nativo. Per ritrovarsi pedoni, senza intermediari, senza ruote, in comunione col suolo: ed infatti, compatibilmente con l’ambiente, c’è fra noi chi si scalza per sentire la terra e l’erba.
Per ritrovare il silenzio, e qui occorre precisare.
Il silenzio assoluto è a sua volta un artefatto. Lo si può trovare, ad esempio, se si entra da soli in fondo a una miniera, o in una grotta dove non corra acqua, o nelle camere prive di risonanza che usano gli acustici per le loro misure.
Questo silenzio non è umano né terrestre: è sinistramente oppressivo, sa di clausura e di sepolcro e spinge alla fuga; forse perché vi si sente il monito del proprio cuore.
Il silenzio che noi cerchiamo non è così severo, è rotto dal vento, da acque lontane, dalle cicale, dai grilli, dai cani in fondo alla valle, dalle campane, dalle voci degli uccelli.
A volte, anche dal ronzio di un aereo, ma questo non disturba, cosi come non disturba, nel mare, il profilo di una nave lontana.
Può essere il rombo attutito di un apparecchio ad elica, che suona bonario e pigro come quello di un bombo in cerca di nettare; più sovente oggi, è il sibilo di un reattore, otto o dieci chilometri al di sopra di noi, puntiforme, quasi invisibile se non fosse dalle due scie candide che si lascia dietro.
Esse permangono a lungo, per ore; il vento le distorce e le sfuma senza distruggerle; a poco a poco diventano nuvole e si confondono con le altre nuvole. Sono il portato casuale di una innovazione tecnica, ma non deturpano il cielo e non inquinano il pensiero.
Ecco, questo è il punto. Il pensiero vive dappertutto, anche in un filatoio, anche nel ventre di una nave da carico, anche nel traffico delle ore di punta, anche negli uffici, ma è un altro pensiero, costretto, obbligato.
Quello di cui abbiamo bisogno, a tratti, per non perderci, è il pensiero lieve e libero dei nostri antenati pastori e agricoltori, a cui erano famigliari i tragitti delle nuvole ed i cammini delle stelle e dei pianeti.
Ne abbiamo bisogno per ritrovare noi stessi, non più padroni, ma ospiti del pianeta.
Primo Levi (Torino, 31 luglio 1919 – Torino, 11 aprile 1987) ha pubblicato presso la casa ed. Silva 1947 Se questo è un uomo. Altre sue opere: Edizione Einaudi 1966 Storie naturali (premio Bagutta); 1971 Vizio di forma; 1975 Sistema periodico (premio Prato per la Resistenza); 1978 La Chiave a stella; 1981 La ricerca delle radici; 1982 Se non ora quando?; Garzanti Milano nel 1984 Ad ora incerta.
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Non ho alcuna voglia nè possibilità alcuna di segnalare errori. Errare a me, che mi perdo anche al chiuso, piace sino a che non subentra la paura. Faccio solo un invito, stante che son veri tutti i concetti espressi: anche in alcune parti di questo piccolo Abruzzo ci sono posti adatti; almeno avendo, come paragone, la vostra foto e… nella giornata adatta. Sia chiaro che non intendo affatto fare campanilismo “montano” ma solo ringraziarvi. Franco Trapani.
Un discorso vecchio ma attuale che trasporta in un mondo diverso dove trovano posto solitari viaggiatori. Al funerale che seguì la triste scomparsa dell’uomo era presente un solo politico in rappresentanza di una categoria di visionari capaci di immaginare un mondo diverso.
Non so in che anno sia stato scritto il bellissimo testo, ma noto che il divario tra luoghi contaminati dall’uomo qualche decennio fa (e che ora sono stati trasformati in periferie cittadine) e i luoghi incontaminati si è ulteriormente ampliato. Nella mia Regione (FVG) ho la fortuna di avere ampia scelta per potermi immergere nei silenzi assoluti, in parte dovuti anche all’emigrazione massiccia dalla montagna verso le città avvenuta nella seconda parte del secolo scorso. Montagna che si è letteralmente riappropriata di una buona fetta del territorio, precedentemente addomesticata dall’uomo in seguito a fatiche disumane a scopo di sopravvivenza. Montagna “non firmata” (citando Corona) che grazie alla sua aspra morfologia ha saputo tenere alla larga progetti di conquista (o meglio devastazione) che in altri luoghi proseguono incontrastati.
Fantastici pensieri, sempre così attuali come quelli di Thoreau.
Che bel testo! Primo Levi è un grandissimo della penna. Da quale raccolta è preso? Mi ricorda per certi versi il Canto della strada di Walt Whitman:
Ora conosco il segreto di come si fanno le persone migliori,Che è di crescere all’aria aperta, e mangiare e dormire in armonia con la terra.…
La terra non stanca mai!La terra è rozza, silenziosa, incomprensibile all’inizio – anche lanatura è rozza e incomprensibile all’inizio,Non ti scoraggiare – va avanti – che ci sono cose divine, ben nascoste.Non dobbiamo fermarci qui!Per quanto invitante questa raccolta di provviste, per quanto comodaquesta dimora, non possiamo restare qui!Per quanto riparato questo porto, per quanto calme queste acque, non possiamo ancorare qui!Per quanto accogliente questa ospitalità che ci avvolge, noi possiamo goderne solo per poco.
Il silenzio che Levi intende non lo di trova più, d’estate è rotto dal rombo di una moto, d’inverno dall’urlo dell’elicottero, mezzi meccanici che, volontariamente, non ha voluto vedere. Anche salendo in quota, oramai, i candidi pendii intonsi e innevati non son più intonsi…non son più innevati.
“ma non deturpano il cielo e non inquinano il pensiero.”
Vedesse Primo come si è preso” questo uomo “il cielo e i pensieri …
Bella pausa di riflessione tra i tanti scempi ambientali olimpici e non e incidenti da CNSAS.
Credo di aver trovato raramente ,quello di cui parla Levi solo in qualche antro o cengia aprendo delle vie ,quei posti mai calpestati con la polvere dei secoli su appigli e terriccio che regalano e danno una sensazione fuori dal tempo… almeno quello degli orologi e dei nostri calendari , un tempo cosmico, un tempo profondo .
Gli uomini hanno bisogno del silenzio per ritrovare la voce della natura. Per stabilire con la natura una comunione priva di mediazioni artificiali. Succede sempre meno, ma diventa sempre più necessario.