Metadiario – 110 – Alla scoperta della Val d’Ayas (AG 1982-006)
In linea di massima Nella ed io avevamo “regolarizzato” la nostra vita. Si fa per dire, naturalmente. La costituzione della nostra piccola società in nome collettivo, Edizioni Melograno, ci aveva costretti a un ménage di maggior ufficio e a un lavoro più simile a quello di tanti altri. Nell’aprile del 1982 era uscito il primo volumetto, quel Granito della Val Masino che stava registrando un buon successo. Naturalmente gli sforzi per venderlo, ma soprattutto per organizzare una distribuzione decente con un solo prodotto, erano stati e continuavano ad essere davvero impegnativi. Stavamo scoprendo il duro mondo della vendita dei libri ai librai. Soprattutto stavamo arrivando a contatto con quella incredibile orticaria che prende questi negozianti quando devono pagare.
Nell’ottobre sarebbe uscita la seconda guida, Scalate in frigorifero, sempre di Popi Miotti, relativa alle scalate sulle cascate di ghiaccio della Lombardia.
Dopo il tour dolomitico, decidemmo di riposarci un po’ nella nostra casetta delle Fate Nere a Champoluc. Ci prendemmo praticamente tutto il mese di agosto: la vita scorreva regolare, con gite, amici ospiti e una felice convivenza con i coinquilini Ettore e Mary Pagani.
C’era il rito dell’acquisto mattutino di una copia del Corriere della Sera, che poi sarebbe stata letta a turno da tutti e quattro, vuoi sulla terrazza al sole pomeridiano, vuoi in soggiorno al mattino o con tempo meno piacevole. L’acquisto della copia del Corriere era compito mio, in quanto ero l’unico che aveva il coraggio di scendere in paese (e poi risalire) armato di piccozza per il possibile attacco di un enorme cane San Bernardo maschio che, tenuto libero e a cancello aperto, vegliava su una delle ultime casette del villaggio. L’animale era sempre stato tranquillo, ma improvvisamente mi aveva quasi aggredito un giorno: cosa che si ripeté nei giorni successivi, fino all’adozione della piccozza che, agitata a dovere, teneva a freno la sua aggressività. Garantisco che non è per niente piacevole essere considerato un nemico da una bestia così grossa. Tra l’altro, era ben strano che un cane mi minacciasse: non era mai successo. Solo una volta, quando avevo otto o nove anni, a Bieno Valsugana ero stato aggredito e mezzo morsicato sotto l’ascella da un cagnaccio: ma questo era alla catena e non garantisco di non aver fatto nulla per provocarlo. Forse volevo solo accarezzarlo? Il mio ricordo è sfumato nell’oblio.
Qualcuno in paese si chiedeva perché al mattino girassi sempre con la piccozza sotto il braccio come fanno i francesi con la loro baguette…
Naturalmente, quando ero preso dalla frenesia del movimento, lasciavo la casetta e mi avviavo di corsa verso qualche meta: il 5 agosto andai a Mascognaz e da lì al Colle Palasina 2668 m; subito dopo percorsi tutta la lunga e assai panoramica cresta orientale del Corno Bùssola 3023 m. Conclusi il veloce vagabondaggio con l’aggiramento di questa montagna e la risalita in vetta per il versante ovest, una roba da capre che mi piacque molto. Discesa diretta sull’Alpe Chavannes 2011 m e quindi ancora su Mascognaz.
Alla sera arrivò un ragazzo di Cagliari, Beppe Domenichelli, conosciuto in primavera (ma solo per lettera e telefono) durante la lavorazione di Mezzogiorno di Pietra: lui aveva fatto delle salite nei gruppi del Sarrabus e di Villacidro e mi aveva dato delle preziose informazioni. Zanichelli aveva previsto l’uscita del libro per ottobre, quindi era più o meno in stampa. Generosamente avevo invitato Beppe a venirmi a trovare in montagna, bella occasione per lui di vedere un po’ di Alpi. Era tranquillo e disponibile, forse un po’ troppo riservato: a volte si faceva fatica a parlare con lui.
Il 6 agosto lo portai sul primo spigolo (via Obert con varianti) della Rocca di Verra (Quota 3080 m): da notare che allora era ancora possibile arrivare ai Piani di Verra usando l’automobile, dunque la gita al Lago Blu era assai comoda e frequentata. Anche la Rocca di Verra aveva i suoi affezionati, chissà perché oggi molto diminuiti…
La sera arrivarono anche i coniugi Pagani, del resto Beppe dormiva sul divano in soggiorno. Così l’8 agosto, in una giornata un po’ incerta, andammo a vedere quelle rocce che Oliviero Frachey, il mio padrone di casa, mi aveva indicato come i Frati di Ayas, proprio sopra Champoluc nei boschi del versante orientale del Monte Facciabella. Con Ettore e Beppe salimmo un itinerario sicuramente nuovo che chiamammo Frà Dolcino.
Il 9 agosto il tempo si era messo decisamente al bello, così decisi di mantenere le mie promesse con Beppe: con partenza dai Piani di Verra salimmo al rifugio Quintino Sella e il giorno dopo alla vetta del Càstore per la via normale. Beppe ci teneva molto a fare un Quattromila, ed eccolo accontentato. Per la verità ci trovammo a salire in mezzo a decine di altre cordate: cercavo di spiegargli quanto fosse più bello cercarsi delle montagne meno gallonate e famose ma più solitarie. Ma lui era così contento che non mi ascoltava quasi.
Anche Gabriele Beuchod avevo invitato, proveniente dalla contigua Valle del Lys. Finì che c’incontrammo direttamente al rifugio Quintino Sella l’11 agosto. Il nostro obiettivo era la salita della Nord dei Lyskamm. Dunque il clamoroso errore lo facemmo già in sede di pianificazione: non credo ci sia mai stato nessuno così tonto da pensare di raggiungere la Nord del Lyskamm scavalcando il Colle di Felik… e con la sua partenza in nottata dalla valle. In realtà, dal rifugio Sella, occorre sciropparsi 476 m per arrivare al Colle di Felik 4061 m: e fin qui, tutto bene, praticamente in colonna con quelli che volevano andare al Càstore. Da lì iniziammo una discesa sul ghiacciaio Zwillingsgletscher che, chissà perché, pensavamo non fosse di più che trecento metri, necessari per raggiungere la base dei Lyskamm a circa 3700 m! Presto ci accorgemmo che non solo si trattava di una discesa ben più lunga: era anche un percorso crepacciatissimo che ci costringeva a lunghi andirivieni.
Di mano in mano che scendevamo, realizzavamo che per raggiungere il piedistallo nord-occidentale del Lyskamm, per poi risalire il Grenzgletscher fino a sotto la nostra parete, avremmo dovuto scendere almeno fino a quota 3000! Così, messi di fronte alla dura realtà del nostro errore, non solo ancora immersi in un percorso che scoprivamo metro per metro sempre più insidioso che avrebbe richiesto almeno uno sguardo dal basso prima di essere affrontato in discesa, ma anche messi di fronte al ritardo accumulato sulla nostra tabella di marcia, decidemmo tra bestemmie e altre imprecazioni di risalire i circa 500 metri già scesi per tornare al Colle di Felik e da lì fare un mesto ritorno al rifugio Sella assieme agli esultanti alpinisti che avevano appena salito il Càstore… Ovviamente non facemmo parola con nessuno del nostro exploit, chiunque ci avrebbe presi per il culo, perché tutti sanno benissimo che per andare alla Nord dei Lyskamm dall’Italia non devi andare al rifugio Sella e poi al Colle di Felik bensì alla capanna Gnifetti e poi al Colle del Lys. Dal Sella avremmo anche potuto raggiungere il Colle del Lys attraverso il Naso dei Lyskamm, ma ciò è del tutto inusuale e illogico. Non lo dicemmo neppure a Beppe, che ci aveva pazientemente aspettato.
Ancora oggi mi vergogno di quella cazzata e non mi serve neppure ricordare che la responsabilità di questa era da dividere con Gabriele.
In discesa con Beppe verso i Piani di Verra scelsi di non percorrere la normale cresta verso il Passo Superiore di Bettolina (che avevamo invece percorso in salita) bensì di buttarsi giù nel vallone direttamente a ovest del rifugio Sella. Itinerario decisamente sconsigliabile, anche perché un po’ pericoloso.
Il 14 agosto ci avviammo con Nella verso Estoul e verso il Colle della Ranzola 2170 m. Da lì salimmo per la dorsale sud-est al Monte Ciosé 2647 m. Quando fummo in punta vidi la cresta nord (che comunque avevo già adocchiato da lontano in altre occasioni) piuttosto promettente. Nella però decise di non seguirmi e, mentre lei riscendeva al Colle della Ranzola, io proseguii lungo la cresta, davvero molto accidentata. Non sto a raccontarvi ma, cercando di stare sul filo il più possibile, incontrai passaggi e passaggini divertenti, mai comunque superiori al III grado. Raggiunsi così il Passo della Bocchetta 2526 m, alla fine della cresta che di certo, così come l’ho fatta io, nessuno aveva mai percorso. Raggiunti i Laghi di Estoul 2447 m scesi ancora piacevolmente fino all’Alpe Moscerola dove ritrovai Nella che prendeva il sole.
Il giorno dopo, altra gita solitaria al Mont Nery (Becca di Frudiera) 3075 m, per la cresta nord con discesa per cresta ovest. Ci avevo preso gusto, forse pensavo ad una possibile riedizione della guida del Monte Rosa della Collana dei Monti d’Italia, prima ancora di sapere che ci stava pensando anche Gino Buscaini. Forse invece avevo bisogno di riflettere facendo fatica, anche se, devo dire, ero così allenato da non poter dire di farne molta. Riflettere su cosa?
Perché continuavo ad accumulare centinaia, migliaia di metri di salita sulle più varie difficoltà? Qual era il vero scopo di questa ricerca apparentemente senza obiettivo alcuno? Ma mi stavo facendo davvero queste domande? O me le faccio solo ora?
Due giorni di riposo (forse brutto tempo?) e il 18 agosto eccomi salire al Petit Tournalin. Percorso tutto il Vallone di Nana, mi avviai quasi senza traccia fino all’intaglio 2900 m circa che divide la Becca Trecare 3033 m dal Petit Tournalin 3207 m. L’intento era di percorrere la Cresta del Diavolo, un itinerario aperto il 20 settembre 1925 nientemeno che da Luigi Carrellino Carrel con Denise Haarscher. Dopo un primo tratto facile e quasi pianeggiante, salii un risalto in vetta al quale trovai il chiodo che serve per una corda doppia di circa 5 metri utile a raggiungere l’intaglio successivo. Non avendo con me la corda trovai modo di evitarla abbassandomi a est (II). Segue una paretina di III+ e III-, divertente. In seguito sulla cresta: raggiunto ed evitato a sinistra un aguzzo gendarme, si arriva alla paretina “chiave” che, con un po’ di III e un passo di IV porta all’ultima e più facile parte di cresta.
Ovviamente continuai in discesa fino al Passo Tournalin e poi ancora in salita (cresta sud) fino alla cima del Grand Tournalin 3379 m. Tornai poi al Vallone di Nana scendendo per la cresta est.
Evidentemente il Vallone di Nana mi doveva piacere molto: infatti il giorno dopo ero ancora da quelle parti, dall’Alpe la Varda 1964 m salii al Colle di Vascoccia 2559 m e da lì al Bec di Nana 3010 m.
Il 21 agosto Ettore ed io portammo l’amico ortopedico Francesco Malerba ad esplorare la Rocca di Graines, dove su roccia molto friabile aprimmo Briciole d’Infinito. Questa struttura è nei pressi del Castello omonimo, e per fortuna Gino Buscaini, nonostante io gliel’avessi segnalata, nella sua nuova guida del Monte Rosa tralasciò di parlarne…
Il 22 invece, con Ettore, ci gustammo la realizzazione di un vecchio progettino, insignificante solo per chi non ama questo genere di cose. Dal Crest, la frazione di Champoluc oggi ben massacrata dai vari impianti, si nota in alto sulla cresta che unisce il Monte Sarezza con la Quota 3106 m (che a sua volta è sulla cresta che divide il Rothorn dalla Testa Grigia) un torrione dalle forme assai strane, con una sommità che sembra più larga che il corpo. Si tratta del Bec Forcü (o anche Bec Forciou) 3041 m. Questo torrione era stato salito da Oliviero Frachey e compagno per una via di III+ prima sul versante est poi su quello sud. Con Ettore andammo a vedere e decidemmo che prometteva bene lo spigolo nord-nord-ovest, una via che si rivelò di circa tre lunghezze con difficoltà dal IV fino al V+. La vetta è costituita da due elevazioni distinte (punte nord-ovest e sud-est). Noi, per non sbagliarci, facemmo anche la traversata (occorre scendere all’intaglio per una quindicina di metri e poi risalire).
Il 23 agosto puntatina con Ettore a una palestrina piuttosto trascurata, quella di Extrepieraz. Lì salimmo una non meglio identificata via Frachey-Mellano, della quale non ricordo nulla. Ma di certo oggi è dimenticata in mezzo agli itinerari chiodati a spit.
Il 24 agosto decisi di andare a vedere la parete sud del Monte Sarezza, dove Frachey assieme a Maria Luisa Cornale aveva aperto un itinerario sul IV grado di circa 250 metri. Ero da solo e senza corda, salii prudente senza cercare proprio tutte le difficoltà che mi si presentavano una dietro l’altra in una teoria di risalti, speroncini e canalini senza una precisa logica né obbligatorietà. Oggi, alla base di questa parete, le guide di Ayas hanno aperto una buona varietà di monotiri, tutti che offrono splendida arrampicata.
Il 25 agosto con Ettore salimmo alla Quota 3230 m di Rocca di Verra per lo sperone sud-sud-est, il cosiddetto Terzo Spigolo, via Frachey-Cornale. Una divertente scalata sul III e IV che termina dopo circa 350 metri in una zona di sfasciumi. Ci eravamo già slegati ma, invece di scendere, adocchiammo una parete che ci sovrastava, anche se non vicinissima: andammo a vederla da vicino e ne iniziammo la scalata. Questa risultò davvero bellissima, su roccia eccezionale. La chiamammo Parete Invisibile e la via la battezzammo Bella addormentata, circa 200 metri fino al VI-.
Dopo una gita il 28 agosto, con Nella se non ricordo male, ai Laghi Palasina, un posto straordinario dove non eravamo mai stati, altra sgroppata solitaria il giorno dopo: la traversata (da sud-ovest a nord-est) dal Monte Bieteron 2764 m fino alla Punta Valnera 2754 m. Normalmente escursionisti e scialpinisti si fermano al panettone dell’Anticima sud-ovest 2589 m del Monte Bieteron. Infatti dopo la cresta si affila e si movimenta con qualche passaggio di arrampicata. Ormai mi stavo specializzando in queste cose da camosci.
Il 30 agosto ci fu la visita a una non meglio identificata “Palestra di Champoluc”, della quale non ricordo assolutamente nulla se non che salimmo due vie, “una a sinistra e una a destra”.
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