La sessantina di persone che, favorite dal tempo magnifico, il 1 febbraio 2015 si sono date convegno al rifugio Cometti, per poi raggiungere chi solo l’Alpe Arcoglio chi la vetta del Sasso Bianco, avevano un bell’obiettivo in comune: esprimere sommessamente ma con grande chiarezza che l’eliski fa male alla montagna. E’ stata un’occasione non per contarsi ma per fare qualcosa di concreto, in un’atmosfera però di gioia e di felicità d’esserci. La guida alpina Michele Comi, promotore dell’iniziativa, lo sottolinea con enfasi. Di certo è stato così per il “decano” della comitiva, Dario Mura, 72 anni suonati, che non ha mancato di raggiungere la vetta (1600 m di dislivello), come pure l’altra guida alpina presente, Enrico Moroni; e di certo è stato così anche per la dimissionaria guida Giuseppe Popi Miotti. Questi, per rimarcare il carattere di festa, il pomeriggio del sabato si era caricato sulle spalle una Magnum di Sfurzat, che poi è stata interamente bevuta nella serata al rifugio Cometti, in compagnia della decina di partecipanti presenti, a questo punto ancora più allegri.
La questione eliski affonda le radici assai indietro nel tempo. E’ della primavera del 1989 la prima manifestazione al Rutor (Valgrisenche, in provincia di Aosta), organizzata da un’assai combattiva Mountain Wilderness. Come si può vedere siamo già a 26 anni: la guerra si sta avviando verso i Trent’anni… e speriamo solo che non debba essere invece la guerra dei Cent’anni! Personalmente ritengo la guerra per l’eliski quella, tra le guerre in atto, che possiamo anche “perdere” con maggiore dignità. Perciò, nella convinzione che qualche chance di vincere l’abbiamo, non possiamo mollare per nulla, neppure di fronte alla noia del lettore. Che se vuole può saltare a piè pari o leggere altri post e blog. Mountain Wilderness non ha mai mollato. Noi fortunatamente abbiamo ancora questa energia e non siamo per nulla a caccia di click, perciò ci riteniamo liberi di scrivere anche cose che per alcuni “cominciano a diventare noiose”.
La figura della guida alpina è implicata in questa rovente questione, c’è dentro fino al collo. Molto di un remotamente possibile successo dipende dalle guide alpine. Il ferro va battuto anche quando è freddo, fino allo sfinimento.
Siamo stati accusati di “demonizzare” i colleghi guide alpine che invece esercitano l’eliski. Una cosa so con certezza, per i miei studi e per la mia formazione. Associare una qualunque attività umana al demonio (come per esempio fanno gli estremisti islamici con l’Occidente, o come facevano gli inquisitori cattolici con gli “eretici” veri o inventati che fossero) porta soltanto a dare più forza all’attività stessa. Più ci sforziamo di reprimere i nostri più bassi istinti più diamo loro una forza e un’energia di fronte alle quali ci si può solo ritirare sgomenti, come di fronte a mostri.
Più riteniamo un’attività che non ci piace indegna dell’essere umano, più le diamo autorità.
E dunque, tornando alle guide alpine e all’eliski, sono ben lungi dall’idea che, “demonizzandole”, potrei ottenere qualche effetto.
Le guide alpine che accompagnano i clienti in elicottero per me non sono demoni, sono solo individui che non la pensano come me e che io vorrei convincere a cambiare idea. Mi sto sforzando di far riconoscere loro il ruolo risolutore in questa vicenda che loro malgrado hanno. Il ruolo risolutore non è dell’Amministrazione comunale, né provinciale, regionale o statale. E ovviamente non è neppure delle compagnie di elicotteri, né dei gaudenti russi, tedeschi o italici definiti “clienti”. Se non ci fossero guide pro-eliski il problema sarebbe risolto. E anche un CAI più assertivo aiuterebbe.
Gli interventi apparsi su questo blog non sono “demonizzanti”, al massimo lo è stato qualche commento. Gli interventi apparsi qui (e, credetemi, anche quelli che appariranno) sono solo opinioni espresse con forza, sono inviti alla riflessione, a volte esempi da seguire, stimoli a una categoria perché cresca, cresca finalmente nella serenità di scelte condivise il più possibile.
Alpe Arcoglio, 1 febbraio 2015
Basta elicotteri usati come skilift
di Luigi Bolognini (La Repubblica, 2 febbraio 2015)
Qui potete leggere il documento in pdf dell’articolo apparso su La Repubblica:
TORRE SANTA MARIA (SONDRIO)- Con ciaspole e pelli di foca par battere l’elicottero. È la protesta andata in scena ieri in provincia di Sondrio contro l’eliski, pratica che abbina lo sci su percorsi non battuti e l’uso dell’elicottero come skilift. Già il fuoripista può provocare valanghe, chiaro che la situazione si complica se lo si fa con un apparecchio che sposta masse d’aria e quindi di neve fresca, inquina zone incontaminate, terrorizza a morte gli animali in letargo e rende più spericolati anche sciatori poco esperti.
Però questo importa poco a chi Io pratica: il costo non è basso (si parte dai 250 euro a persona, poi dipende da quante risalite si prenotano) ma muovendosi in gruppo lo si può spalmare, e arrivare in cima a un dosso in elicottero per poi scendere sci ai piedi è molto scenografico. E molto pericoloso malgrado pressoché ovunque siano obbligatorie la presenza di una guida e una dotazione di ricetrasmittenti e zaini ABS per ritrovare più in fratta possibile chi viene travolto dalla neve. Precauzioni che due settimane fa non hanno impedito a quattro turisti a Livigno di finire sono una slavina che ha ucciso uno di loro, uno svizzero di 34 anni. Il malumore degli alpinisti più ortodossi strisciava da tempo, ma la tragedia ha rinfocolato i dibattiti, amplificati anche dalla decisone del Collegio delle guide lombarde di patrocinare un festival di fuoripista che si terrà proprio a Livigno e dove si potrà praticare anche l’eliski. Risultato, Popi Miotti, storico alpinista della provincia di Sondrio, si è dimesso da guida: «È ora di ribellarsi agli atti di spadroneggiamento sulla montagna», ha detto ricevendo l’appoggio del CAI locale. E ieri all’alba Miotti è stato tra i tanti partecipanti di una manifestazione in Valmalenco contro l’eliski: dal fondo-valle nel comune di Torre Santa Maria si è saliti fino alla vetta del Sasso Bianco, a quota 2490 m., solo coi classici metodi, ciaspole e pelli di foca.
Il manifesto ricordo dell’evento. Non tutti i partecipanti, per una sorta di naturale ritrosia, lo hanno firmato
“Una iniziativa simbolica – dice il promotore, la guida Michele Comi – per mostrare il volto possibile della nostra montagna, per assaporarne il tempo e il silenzio, per testimoniare quanta importanza ha quest’ultimo frammento di integrità che ormai scarseggia e diventa preziosa. L’eliski è solo una parte del problema generale, che è il consumo della montagna, la frenesia con cui la viviamo, spesso con i motori». E non è un problema solo italiano. Anzi, in un certo senso sì: l’eliski è vietato in Francia e ferreamente regolamentato in Austria e Svizzera. In ltalia è legale o, per la precisione, non è illegale (a parte la regione autonoma Trentino-Alto Adige), e il risultato è che gli stranieri vengono qui a praticarlo.
“Nelle ultime settimane – rivela Comi – ho ricevuto diverse telefonate di guide austriache e tedesche che mi chiedevano informazioni sull’innevamento per la pratica dell’eliski da noi. Ci usano come terra di conquista: ci sono agenzie di viaggi estere che vendono pacchetti completi in Valmalenco, anche in aree protette dove già scorrazzano le motoslitte”.
I sostenitori dell’eliski, turisti a parte, sono tanti operatori del settore che guardano all’opportunità economica: gli stranieri portano soldi, e non pochi. “Un ragionamento che capiamo e rispettiamo – dice Comi – ma se si devasta il territorio alla fine il turismo finisce”. E per questo la protesta, morbida ed ecologica, si allargherà: “Ieri non hanno partecipato solo valtellinesi, ma anche gente di altre zone alpine dove l’eliski è un problema. L’idea è di manifestare a rotazione sulle varie montagne italiane”.
L’intervista a Mauro Corona
“Godersele senza voler faticare: l’offesa peggiore alle nostre vette”
a cura di Caterina Pasolini
«Violentano la montagna per pigrizia e indifferenza. Sono figli di una cultura della fretta, del “tutto e subito”, della soddisfazione senza sforzo e impegno che ha corrotto dalla politica ai rapporti umani». Mauro Corona sta tornando nella sua baita. Il tempo di fare la spesa a valle e già non vede l’ora di essere di nuovo nel silenzio, nella solitudine dell’alta quota.
Lei è contrario all’eliski?
«Si è persa l’etica della montagna e il rispetto della natura, i turisti che arrivano con i minuti contati e il portafoglio pieno, che vogliono andare in cima in pochi minuti con l’elicottero non vogliono far fatica, sono dei nichilisti».
Turisti figli della fretta?
«E del cinismo che usa e distrugge tutto, rapporti umani e vallate. Vince la voglia di guadagnare e per soddisfare chi ha sghei e non vuole faticare si è pronti a tutto. Si è perso il senso, la soddisfazione di una conquista con impegno: sia una donna o la cima di montagna. Ora si preferisce pagare. Più comodo, veloce, meno impegnativo».
Ma i soldi non aiutano la montagna a sopravvivere?
«Dovrebbero fere investimenti veri, una strada per evitare di lasciare isolate valli e paesini che altrimenti si spopolano, ma i politici passano, promettono e scompaiono. Mentre chi resta cerca perfino di spostare i confini a una vallata posti dall’UNESCO per costruire una nuova funivia. Ma vadano con le ciaspole in neve fresca invece di continuare a umiliare la montagna senza pensare alle generazioni future».
Qui potete leggere gli articoli apparsi su Il Giorno e su La Provincia (prima pagina) e su La Provincia (interno).
Alcuni partecipanti in posa accanto allo striscione
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Sì…è veramente difficile constatare quello che guardandoci intorno è evidente: la filosofia del mordi e fuggi, la mercificazione di qualunque cosa ad ogni costo.Siamo una società al capolinea e questo si è riversato anche sulle montagne: è qualche anno che girando con le pelli mi sento confuso, mi chiedo quali siano le motivazioni che spingono così tanta gente (orde barbariche) a salire, cosa cercano dentro se stessi. Sicuramente chi sale con l’eliski non cerca niente, solo l’effimero brivido di una discesa. Vedere l’invisibile come dice Popi è qualità difficile e prerogativa di pochi e questa penso sia la giusta motivazione. Grande motivazione appartenete ai falliti di Gian Piero Miotti, a chi non sa più vivere senza montagna, a coloro che non vogliono essere un ingranaggio del sistema o mondo storto di Corona, categoria di cui anch’io faccio parte fieramente.
Grazie Dario per le tue parole.
La tentazione di lasciar perdere e accodarsi all’andazzo generale a volte è molto forte, specie nelle valli..ma leggendoti si ritrova rinnovata forza e slancio, per testimoniare una direzione ostinata e contraria possibile!
Caro Dario, qui non ci sono peones né primedonne e tu sei sempre troppo modesto. Siamo tutti uniti da una stessa Idea.
Perdente? Forse, ma non importa.
Quello che ci lega è l’aver conosciuto una montagna che oggi non c’è quasi più, l’aver respirato e assaporato atmosfere che altri
non potranno respirare e assaporare; un po’ perché sono ormai sempre più rare e un po’ perché ne hanno perso la capacità.
Noi possediamo ancora l’arte di avere un contatto con l’invisibile, di ritrovarlo ogni volta, di reinventarlo.
La stragrande maggioranza forse è priva di questa sensibiltà, non vede, non sente, o forse preferisce evitare di farlo, circondandosi
di finte sicurezze tecnologiche e abbassando tutto, anche se stessi, alla più sterile mercificazione, al record, alla statistica, al numero
in tutti i suoi significati.
Noi non staremo mai zitti perché al di là del successo o meno delle nostre azioni, dobbiamo rendere conto prima di tutto alle nostre coscienze
e fare comunque sapere, magari anche forse fra 1000 anni, che c’era un gruppo di persone che aveva un pensiero diverso.
Personalmente sono sempre più fiero di essere ancora in grado di “vedere” l’invisibile, un dono che possiamo anche provare a condividere
con altri, se disposti ad accoglierlo; ma non a regalare a chi, senza presunzione alcuna, non vuole alzare il capo.
Carissimi, è per me stato un gradissimo piacere ed un onore poter partecipare alla manifestazione di domenica. Pur non avendo i meriti vostri che siete primattori e divulgatori della storia e dell’etica dell’alpinismo mi sono impegnato, quale semplice ma sempre entusiasta frequentatore (dall’età di 14 anni), per la salvaguardia dell’ambiente montano. La mia assoluta mancanza di “diplomazia” mi ha portato costantemente in rotta di collisione con “istituzioni”(CAI, Soccorso Alpino, Istruttori) che per loro natura dovrebbero essere paladine disinteressate di una difesa intelligente e moderna delle terre alte in particolare. Nel 2004 ho avuto, già anziano, la fortuna di poter partecipare con Mountain Wilderness alla manifestazione PROTEGGIAMO LE ALPI. Era la traversata integrale del Lagorai, da Trento alla cima della Marmolada con sci e zaini dal peso spropositato (per Popi: quelli della Patagonia erano più leggeri); nel diario di una di quelle giornate scrissi: ….E’ per ciò che desideriamo impedire ad orde fameliche, che dopo aver divorato il meglio della pianura, ora rivolgono “disinteressate attenzioni”alla Montagna. Ecco perché vogliamo confutare ponderosi elaborati tecnici e mirabolanti bilanci previsionali; perché tutti contengono un grave vizio di sostanza: un bene inestimabile non può essere sfregiato e men che meno può essere venduto o messo all’asta; NON HA PREZZO!!.
Presuntuosamente mi sono illuso che tre parole inconfutabili (NON HA PREZZO) fossero una barriera invalicabile; ecco perché ammiro in voi la tenacia con la quale Vi prodigate per argomentare. Sempre più con fatica ma con immutato entusiasmo cerco di “andare per le mie montagne” e, se lo riterrete utile, annoveratemi sino all’ultimo fra i peones della causa. Dario
Io c’ero ed è stata una cosa bella con un’ottima compagnia. Ma vorrei dire che anche le motoslitte (che avevano tracciato fino alla cima del Sasso Bianco) hanno un po’ rotto i maroni (anche se non ne abbiamo vista una accesa) e che dovrebbe essere ribadito il concetto che debbono rimanere sui percorsi delle agro-silvo-pastorali ed i permessi riservati ai possessori di case e terreni. Sono spakkamarroni? Forse. Ma lo spazio sulle nostre montagne è diventato pochino e cerchiamo di condividerlo con spirito di civiltà. Non è questione che la montagna rende tutti più buoni e che la fatica nobilita. Questi concetti appartengono ai mezzosecolati come me (e magari al Corona, non il Fabrizio, quell’altro) che siamo gli ultimi vecchi arnesi del romanticismo borghese e della sua pretesa di meritarsi il mondo. Alle nuove generazioni non gliene sbatte nulla di queste robe, specie se cucinate in salsa kajana. Ma forse si dovrebbe far capire che di strade di grande traffico ce ne sono anche troppe e che debbono restare anche un po’ di marciapiedi… così… laicamente. Senza la pretesa di voler imparare qualcosa a qualcuno. Giusto perchè civiltà e democrazia vogliono dire anche spazio per tutti.
La notizia sul Corriere della Sera del 4 febbraio 2015 (passare con il mouse per vedere il link):
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10204776177357335&set=gm.442611469221452&type=1&relevant_count=1
Il tutto non fa una piega. Complimenti!
Ho apprezzato soprattutto il discorso sul non demonizzare chi lo pratica. Non serve a niente. E non ce n’è bisogno: le code di paglia si incendiano comunque! Molto intetessante anche il discorso sulla pericolosità. Oltre ad essere assolutamente vero e preoccupante (soprattutto per eventuali altre persone presenti in zona che stanno salendo o scendendo per i fatti loro), potrebbe essere uno degli argomenti più “persuasivi” presso le amministrazioni che intendono permettete le rotazioni.
Se si vuole essere credibili bisogna essere preparati e avere argomenti concreti da portare. E qui non mancano di certo! I discorsi filosofici e le arrampicate sugli specchi, invece, è meglio lasciarli perdere.
Grazie anche a Giorgio Robino per il suo intervento.
Buon pomeriggio!
Come penso si sia capito dalle recenti discussioni, io non sono contrario agli impianti di risalita (eccezion fatta per certi mostri), e ne sono anche un assiduo fruitore: mi piace sciare in pista e salirci con gli impianti.
PERO’ l’ eliski mi pare una forzatura troppo grossa: è comodo voler fare skialp solo in discesa, se uno non ha voglia di salire con pelli/rampant/ecc. che se ne resti in pista o sui fuoripista serviti dagli impianti, troppo comodo così…
Fa piacere che ci sia un comune sentire tra guide alpine di generazioni diverse.
Sono certo d’accordo con Michele Comi quando dice: «L’eliski è solo una parte del problema generale, che è il consumo della montagna, la frenesia con cui la viviamo, spesso con i motori»
Fa piacere anche leggere finalmente due parole a riguardo di Mauro Corona, che l’anno scorso avevo cercato di raggiungere, senza riuscirci, per una sua opinione a riguardo, quando raccolsi diversi pareri qui: https://www.facebook.com/notes/no-eliski-sulle-dolomiti/pareri-autorevoli-contro-leliski/593975817364147
Sul contenuto di quanto dice Corona, bho…si… certo la fatica…, l’avere-con-i-soldi…, ma la motorizzazione non è direttamente legata ad un uso arrogante delle classi sociali “abbienti”, invece ormai l’omologazione alla “comodità” e quindi al consumo motorizzato è pervasivo tra chiunque frequenti la montagna (od ogni ambiente).
Forse qualcosa potrebbe cambiare se, come lui immagina nel suo romanzo “la fine del mondo storto”, la benzina finisse d’improvviso…
Ma scherzi a parte, la question socio-economica a cui accenna, è argomento serio, ma dovrebbe approfondirlo se volesse, sennò mi appare luogo comune…
Ma in fondo, ora, mi importa meno che mai che ci sia l’avvallo di questo o quell’alpinista/personaggio famoso/guida alpina o multidecorato del club alpino Italiano.
Sono questioni universali,
che riguardano ogni persona, ogni bestia, ogni pietra.