Alpi, Quattromila da collezione

Presentazione ad Alpi, Quattromila da collezione di Luciano Ratto
di Luciano Ratto, Roberto Aruga e Alessandro Gogna

Il successo riscontrato da quest’opera pubblicata per la prima volta nel 2010, ci spinge a una nuova edizione.
Allora esprimevo l’auspicio che questo libro raggiungesse l’obiettivo di promuovere l’alpinismo in alta quota sopra e sotto la fatidica quota di 4000 metri.

Questo obiettivo è stato felicemente raggiunto, se si considera che i soci del “Club 4000” sono in continuo aumento e hanno ormai superato il numero di 500 provenienti da 14 Paesi diversi.

Questa nuova edizione, aggiornata e arricchita di nuovi testi e illustrazioni, integra la precedente e si propone sempre di presentare in modo organico la cospicua mole di documenti, informazioni, dati, fotografie che sono stati raccolti in buona parte nel sito internet e nell’archivio mio e del Club 4000, e che costituiscono un prezioso patrimonio informativo da porre a disposizione di tutti gli appassionati frequentatori dell’alpinismo in alta quota, con particolare riferimento alle vette oltre i 4000 metri delle Alpi.

Rispetto a testi analoghi dedicati ai 4000 disponibili in libreria, e che, per vari motivi e diversa impostazione editoriale, trattano solo una parte degli 82 quattromila “ufficiali” la presente pubblicazione intende fornire, per tutti i 4000 delle Alpi, non solo indicazioni sugli itinerari da seguire per raggiungere le vette, ma anche la storia completa della corsa sui quattromila e sui suoi protagonisti: si tratta di un capitolo importante e tuttora poco conosciuto della più ampia vicenda dell’alpinismo tout court, storia affascinante che va dall’inizio del Novecento con le prime imprese di Karl Blodig, iniziatore riconosciuto del collezionismo di vette delle Alpi oltre i 4000 metri, fino ai recenti sorprendenti record dei protagonisti di concatenamenti non-stop di tutte o parte di queste vette.

Come si può osservare nel sommario, in aggiunta alla storia e cronaca della collezione dei 4000, viene ricordato in questo libro com’è stato concepito e nato il Club 4000, e come è stato lanciato e realizzato, su proposta dello stesso Club, il progetto di definizione dell’elenco “ufficiale” dei 4000 delle Alpi, sotto l’egida dell’UlAA (Unione internazionale delle Associazioni Alpinistiche).

Quest’opera si presenta perciò come un’interpretazione nuova e originale del mondo dei 4000 delle Alpi, e dell’alpinismo in alta quota (Luciano Ratto).

Introduzione
di Alessandro Gogna
E’ una caratteristica dell’uomo in generale quella di misurare e catalogare il mondo che lo circonda. L’alpinista, innamorato delle forme e della grandiosità della montagna, non ha mai fatto eccezione. Sapere a quanti metri sul livello del mare una cima era posta è stata fin dall’inizio una curiosità dell’alpinismo, anche se definita “scientifica”. Come per i bambini che imparano a contare è utile il gioco, così quest’ultimo riveste grande importanza nelle manifestazioni della nostra passione alpinistica.

Tutti sanno che al mondo ci sono quattordici Ottomila, pochi sanno che i Quattromila delle Alpi sono ottantadue. E ancora meno sanno che si è cominciato a contare le montagne alpine di 4000 metri ben prima di quando lo si è fatto per gli Ottomila nelle montagne asiatiche.

Questo libro è l’enciclopedia dei Quattromila, rigorosamente appoggiata sulla geografia e su altri due ben chiari criteri di selezione. C’è la storia di come si è arrivati a questa precisa selezione, c’è la spiegazione del perché le selezioni precedenti fossero probabilmente meno solide, anche se ugualmente degne di rispetto. Alcuni paragrafi riferiscono le nostre piccole manie, nonché i record (anche quelli bislacchi) che negli anni si sono registrati su queste montagne, le curiosità.

Nella mia attività alpinistica per la verità non ho mai salito molte cime di 4000 metri, il mio indirizzo di ricerca era rivolto ad altri aspetti. Sono stato accettato nel Club dei Quattromila, ed è un onore per me: ma di certo non per la quantità di vette di quella quota da me salite. Ricordo che da adolescente catalogavo tutto, registravo quante salite a cime di 2000, o 3000 avevo fatto, quale era stata l’evoluzione del mio record di altezza personale. Per non parlare delle difficoltà. La mia mente razionale trovava spazio di grande gioco in queste conoscenze e l’immensità un po’ anarchica della montagna era da me ridotta alla mia misura, tramite liste, tabelle, elenchi. Tutte produzioni mentali che non ho mai rigettato, anzi. Si può arrivare alla contemplazione attraverso l’azione come la non-azione. Si può arrivare alla felicità analizzando e classificando come pure rifiutandosi di farlo in un tentativo di abbraccio totale. Il nome che diamo alle cose è l’unica vera impronta umana: ho il sospetto che sia più importante il nome di una vetta che le più o meno numerose orme che vi lasciamo salendola. E se alla vetta associamo anche un numero allora completiamo un processo di assimilazione che inizia nel momento in cui la vediamo per la prima volta, magari solo in fotografia.

Leggere questo bellissimo libro, tra l’altro ricco di belle immagini, non è solo un viaggio alpino in rarefatta alta quota. E’ un concedersi il lusso di peregrinare nel tempo, dalle epoche di Karl Blodig fino a quelle di Patrick Berhault e Ueli Steck. E’ essere compartecipi di un processo di conoscenza finalmente innocuo, al contrario di altri meccanismi conoscitivi che spesso finiscono per sottomettere gli oggetti. Qui l’oggetto montagna, studiato nei minimi dettagli, mantiene quella carica emotiva che dai tempi iniziali ha sempre esercitato sui suoi rispettosi ammiratori: quelli che hanno saputo sublimare le proprie necessità competitive in valori e definizioni piuttosto che in risultati agonistici.

I collezionisti
di Luciano Ratto
Ogni uomo, in maniera più o meno consapevole, è un collezionista.
C’è chi si dedica a collezioni di tipo tradizionale: francobolli, farfalle, figurine, etichette, bottigliette mignon, ecc., e c’è chi colleziona cariche, denaro, donne, debiti, sciocchezze di vario genere.

Nelle Passeggiate romane, Stendhal scriveva: «Nulla rende lo spirito angusto e geloso come l’abitudine di fare una collezione». E Balzac, nel suo Le illusioni perdute, rincarava la dose facendo riferimento a «uno di quei maniaci chiamati collezionisti». E così i collezionisti di vette di 4000 metri, o quelli che si dedicano a tutti i 3000 e persino ai 2000, sono serviti. Eppure, nella storia dell’alpinismo, non sono pochi gli scalatori che si sono dedicati alla collezione di vette. A cavallo dei due ultimi secoli, l’idea di salire tutte le cime alpine superiori ai 4000 metri è già “nell’aria”, tanto che Claire-Éliane Engel, nella sua Storia dell’alpinismo, a proposito di questa passione (o mania che dir si voglia), riporta il giudizio lapidario del grande alpinista francese Jacques Lagarde: «Si possono fare cose grandi per motivi ben meschini!». Con maggiore comprensione, Luciano Marisaldi, nella sua pregevole biografia di Karl Blodig (Blodig il collezionista, in Rivista della Montagna n. 211, aprile 1998), commenta: «È discutibile cosa sia grande e cosa sia meschino. L’alpinismo nella sua storia ha oscillato fra un alone di anarchica inutilità e idee rimasticate di superomismo (con tutte le possibili varianti intermedie), e dunque la disputa sarebbe ancorata all’opinabile, e non risulterebbe produttiva. Una cosa però si può dire: alpinisti come Blodig e compagni sono l’esplicita incarnazione di una passione che rode, in forma più o meno sotterranea, la maggior parte degli alpinisti: la collezione. Non è necessario porsi obiettivi ambiziosi come la salita di tutti i quattromila delle Alpi; il virus del collezionismo può annidarsi anche nel più semplice curriculum alpinistico: ognuno si costruisce il proprio, lo organizza intorno a qualche principio fondamentale, a qualche idea di fondo che sembra dare un senso all’insieme. Non c’è alpinista che non abbia il suo quaderno d’appunti, o calepino, o carnet, al quale è sottesa una logica: che può essere degli ultimi problemi, oppure la salita di tutte le vie di una sola parete, o chissà che altro». Ciò spiega perché molti alpinisti si siano da sempre dedicati non solo a «salire le montagne più belle per le vie più belle» – come consiglia il Club 4000 – ma anche a collezionare cime, e in particolare quelle superiori ai 4000 metri, perché, come sosteneva il grande Gaston Rébuffat: «A 4000 metri, l’aria ha un sapore particolare». O, per dirla con Piero Falchetti, autore di un bellissimo articolo intitolato I quattromila delle Alpi (Rivista Mensile del CAI, giugno 1970), perché: «testimone ad un tempo di buona tecnica e di alta concezione alpinistica, la collezione dei 4000 è una delle più simpatiche e lodevoli collezioni». E tutto ciò con buona pace di Stendhal e di Balzac che si intendevano forse di collezioni ma non certo di 4000. […].

Il progetto 4000, un mondo a parte
di Roberto Aruga
Vi sono imprese che nascono così, quasi per gioco, ma che poi, nel corso del loro svolgimento si rivelano più complesse, più impegnative, più intriganti di quanto pareva in partenza. Così è stato per il Progetto 4000.

«Che cosa ci vuole a determinare una volta per tutte l’elenco ufficiale dei 4000 delle Alpi?», ci eravamo detti all’interno del piccolo gruppo che si è accinto, negli anni ’90, a questo progetto; poi, però, a conclusione del nostro lavoro, ci siamo accorti che la cosa è stata più complicata di quanto pensassimo. Inoltre (nonostante l’attenzione e la meticolosità usata) qualche piccolo dubbio sui risultati conseguiti ancora l’avevamo.

Con una certa ambizione possiamo però ora serenamente affermare che il nostro è stato lo studio più approfondito che finora sia stato fatto al riguardo.

L’idea alla base di questo progetto è nata quando fu pubblicato sul n. 63 di Alp (agosto 1990), numero speciale dedicato ai 4000, un lungo articolo intitolato Collezionando 4000. Quel testo citava tutti gli autori che – a nostra conoscenza – hanno scritto su questo tema e che hanno proposto degli elenchi; noi stessi peraltro proponevamo una lista “ristretta” di 87 vette.
Ogni elenco però – compreso il nostro – era il risultato di valutazioni soggettive.

Nacque perciò l’idea di proporre all’approvazione di un prestigioso ente internazionale, quale l’UlAA (Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche), un elenco formulato da una Commissione di esperti di più Paesi, al quale perciò tutti gli alpinisti interessati potessero fare riferimento. Scrivemmo a Silvia Metzeltin, che allora era la rappresentante italiana presso quell’organismo, che rispose positivamente, passando però il testimone a Gino Buscaini che da quel momento (novembre 1992) divenne l’accorto regista, anzi il deus ex machina, dell’intera operazione. Gino Buscaini propose la costituzione di un gruppo di lavoro composto dai responsabili delle guide alpinistiche dei tre Paesi nei cui territori si trovano vette di 4000 metri, e da altri alpinisti esperti: per la Francia coinvolse François Labande (noto tra l’altro per aver curato le guide del gruppo del Bianco e del massiccio degli Écrins) e, per la Svizzera, Maurice Brandt, anch’egli prolifico autore di guide (da ricordare la sua poderosa collana in sei volumi dedicata alle Alpes Valaisannes); il gruppo di lavoro si avvalse anche del contributo di altri esperti tra i quali va ricordata la guida francese Yves Detry. Nel frattempo Buscaini informò dell’iniziativa il segretario generale dell’UlAA, Annie Bertholet, presidente della Commissione documentazione dell’UIAA, nonché i presidenti del CAI, del CAF e del CAS: tutti si mostrarono entusiasti del progetto. Ci mettemmo così al lavoro separatamente nei tre Paesi. […].

Alpi, Quattromila da collezione
192 pagine
oltre 100 immagini a colori
f.to 24 x 22 cm
prezzo al pubblico euro 25,00 cad.
Edizioni del Graffio, Borgone di Susa, febbraio 2021
Max Zallio – 348 3063020 – max@studiograffio.it
Acquistabile on line presso IBS/LaFeltrinelli

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Alpi, Quattromila da collezione ultima modifica: 2021-04-27T05:46:00+02:00 da GognaBlog

10 pensieri su “Alpi, Quattromila da collezione”

  1. Il libro ha foto davvero belle. Di 4000 (c’è qualcosa sempre di un po’ misterioso in questo numero) ne ho fatti solo 7. E non ho mai tenuto quaderni. Ci ho provato, ma mi perdo via.
    Ho una piccola collezione di navi da guerra, ma è come per le montagne: non c’è ordine, né schema, né completezza. È la storia che c’è dietro il piccolo o grande oggetto del desiderio, che ti avvicina ad esso.
    Una corazzata famosa, o un meno conosciuto cacciatorpediniere. Il famoso 4000, o la parete nascosta che racconta poco. La storia che queste cose si portano dietro, o l’atmosfera che evocano nella tua fantasia  sono le mille dell’interesse. 
    La mia soddisfazione nasce dal disordine delle sensazioni. 

  2. Essendo un collezionista con tratti ossessivi della personalità il fenomeno mi appassiona: Giuletta Rovera “Per hobby e per passione: dai fanatici di Barbie ai ladri di manoscritti e ai collezionisti di farfalle”. Giornalistico ma interessante. Si parla anche del collezionismo di persone famose, da Piero Angela a Renzo Arbore a Umberto Eco. Signorina il catalogo è questo. La professione e gli studi, nella mia esperienza, contano poco. Molti artisti creativi, ad esempio musicisti, sono collezionisti. La variante “alpinistica” è meno studiata ma molto diffusa. Pensate al mitico “Cento Nuovi Mattini”. Sintesi meravigliosa di collezionismo (100) e sogno (Nuovi Mattini). Ci stavamo dentro tutti, destri, sinistri (mi riferisco al cervello) e misti. Non si poteva non tenerlo sul comodino. PS. Per Alessandro: fai sparire la ristampa anastatica: quando l’ho vista per regalarla a mio nipote le foto così massacrate sono state un colpo al cuore. 

  3. “Sono entrambi degni di esistenza e di disporre dei propri spazi di espressione.”
    A beh, sentiti ringraziamenti per la gentile concessione…
     
    La cosa curiosa è che io sia ingegnere.
    Tanto

  4. Le cose usate e  ammaccate  servono non a occupare spazio in ripostiglio, ma ad evocare, come le visioni e le imprese trascorse , sono dinamiche.Ogni racconto a voce carburata da libagione o scritta partendo da una precedente bozza da non  cancellare, ha i sui punti fissi( stranoti ad alcuni  che protestano con uffa vari) e  aspetti che tornano a galla, mai toccati. Viene bene la stesura scarna con segnalibri ed ipertesti.

  5. Ci sono infatti due approcci diametralmente opposti, quello dei collezionisti, metodici e ingegneristici, e quello dei non collezionisti, più artistici e ispirati dalla verve del momento. Sono entrambi degni di esistenza e di disporre dei propri spazi di espressione. Io appartengo al primo, non solo sui 4000. Ho una serie di quadernetti compilati a mano a partire dai primi anni ’70. Non è una questione di registrare le difficoltà superate, per aggiornare il curriculum o cose del genere. Ho segnato anche semplici escursioni di nessun rilievo tecnico. Vi sono però delle informazioni collaterali che, a distanza di anni, mi fa piacere rinfrescare: fra queste i compagni di giornata, citati per nome e cognome (fino a quando preferivo uscite in compagnia a quelle in solitaria). Sensibilizzo questo risvolto per trasmettere che l’approccio da collezionisti non è solo aridità come può apparire ai non collezionisti. Sotto ai numeri, ci sono spesso emozioni, ricordi, persone, amicizie, perfino amori. Tutto ciò trova la sua massima espressione se collegato all’ambiente dei 4000, anche se non è esclusivo dell’andar per 4000.

  6. Mi permetto di segnalare agli amanti del genere -e non solo- un libro che ho letto giusto un paio di giorni fa: Senza Sosta. Gli 82 Quattromila delle Alpi in 60 giorni. di Franco Nicolini e Diego Giovannini”.
    Affascinante non solo per l’impresa in se stessa -con gli spostamenti a piedi o in bici- prosecuzione e realizzazione del sogno di Patrick, ma anche perché Giovannini abbandona la classica retorica alpinistica, rendendo una descrizione molto più autentica (e critica) dell’andare per monti. Non si fa pudore, ad esempio, di confessare di parlare poco coi suoi compagni di cordata, con i quali realizza il concatenamento e lavora bene per raggiungere lo scopo, ma non ne condivide la visione dei monti. “Camminiamo, camminiamo, ma assieme costruiamo poco se non una tacca in più nella lista delle cime”.
    A me, questo libro -inaspettatamente, ero partito prevenuto e temevo il classico elenco di cime e di stereotipi- ha suscitato qualche domanda e stimolato un paio di riflessioni: credo che non si possa chiedere di meglio!

  7. Mi associo di cuore a Marcello e contesto l’affermazione di Ratto: “Non c’è alpinista che non abbia il suo quaderno d’appunti, o calepino, o carnet”
    Non ho mai salito una montagna, una parete, una via per scrivermi da qualche parte di averlo fatto o perché parte di un elenco che doveva essere completato, ma solo perché era lì. E perché mi piaceva, mi attirava, mi ammaliava. Alcune solo per aver visto una fotografia.
    E quindi non ho mai tenuto un curriculum. Il che mi lascia in testa una completa e magnifica confusione di passaggi, nomi, movimenti, compagni, situazioni che rende affascinante il ricordo, quasi una seconda esplorazione.
    E genera situazioni fascinose e appaganti quando una foto o una conversazione risveglia il ricordo: “ma io quella via l’ho fatta!”
    E nulla va perduto, perché, anche se dimenticato, va a costruire l’arazzo.
     
    A onor del vero c’è anche un lato negativo: amici e famigliari temono alquanto le parole “ci sono già andato, conosco la strada (o peggio una scorciatoia)” perché capita di sbagliare a scegliere tra i ricordi mescolati tra loro e finire dalla parte sbagliata, a cinghialare tra rovi immondi o ad aprire (o ripetere) varianti inutili a vie storiche. Ma porta a vedere cose nuove o almeno in modo nuovo.
     
    Perciò comprerò il libro.

  8. Il collezionismo è proprio un hobby che non ho. Mi si associa nella mente alla staticità. Anche se per collezionare montagne bisogna muoversi, eccome.  Preferisco però  il disordine dell’anarchica inutilità. Lo trovo naturalmente associabile al caos naturale così bene esemplificato nelle forme dei rilievi della Terra.
    Comunque le foto del libro mi sembrano molto belle.

  9. Argomento molto affascinante quello dei 4000, sia sul terreno che a tavolino. Dove si sono impegnati fior di conoscitori e compilatori di guide. Ho gustato a fondo l’edizione precedente di questo libro specifico e mi affrettero’ a procurarmi quella oggi segnalata. Di sicuro non sarà tempo soso invano. Ciao!

  10. Le varie collezioni e guide, messe in sequenza temporale, forniranno in futuro  un documento dell’evoluzione delle montagne..per ora  spiccano le evoluzioni dei ghiacciai e  delle pareti che  lentamente ed episodicamente qua e là crollano…poi forse un giorno pur con gli stessi toponimi, alcune  saranno meno alte di 4000 ed altre “cresceranno”.Ogni  raccolta sembra statica catalogazione, in realta’  passa il testimone a generazioni future.

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