Alpinismo: no patacca!

L’alpinismo, nella sua totalità, è stato messo in lista perché l’UNESCO lo riconosca patrimonio culturale immateriale.

Alla Fédération française des clubs alpins et de montagne (FFCAM) è stata posta la domanda: “Mettere l’alpinismo in una lista di 470 soggetti disparati, che includono aspetti così diversi quali l’arte del pizzaiolo napoletano, il Carnevale di Bali o la cultura della birra in Belgio, ecc., non è una perdita d’immagine per l’alpinismo stesso?”.
Risposta: “Non è così! Il guadagno d’immagine ci sarà, dal momento che verrà riconosciuto un alpinismo così come noi lo abbiamo definito nella nostra domanda, a dispetto di coloro che invece ne vedono positivamente solo la deriva turistico-commerciale”.

In un primo tempo sembrava che la domanda fosse limitata all’alpinismo in stile alpino, poi invece si è chiarito che ciò che si vuole è il riconoscimento per l’intero alpinismo classico.

Da più parti si sono levate voci assai contrarie. Ne abbiamo scelta una particolarmente significativa, quella di Carlo Alberto Pinelli.

Alpinismo: no patacca!
di Carlo Alberto Pinelli

Lettura: spessore-weight**, impegno-effort*, disimpegno-entertainment***

Nell’ottobre del 2003 l’UNESCO ha deciso di inserire nel proprio elenco dei Monumenti del Mondo (World Heritage) anche la categoria dei patrimoni culturali immateriali. L’elenco, che in pochi anni ha raggiunto centinaia di voci, comprende prevalentemente usanze e saperi di carattere demo-etno-antropologico, legati a culture tradizionali, più o meno in via di estinzione. Dentro si trova un poco di tutto: carnevali esotici, teatri delle ombre, cantastorie dell’Asia Centrale, musiche dei Pigmei, condimenti polinesiani, danze baltiche, scuole di samba brasiliane, ecc.

Per quel che riguarda l’Italia, sono entrati in quel pantheon evanescente: il canto “a tenore” dei pastori sardi, l’opera dei pupi siciliana, la dieta mediterranea, pizza compresa (!). Mi sembra che la trovata escogitata dall’UNESCO sia piuttosto patetica e funerea: un volonteroso ma velleitario tentativo di conservare, imbalsamandoli, frammenti isolati di espressioni culturali, spesso subalterne, ormai condannati a scomparire. L’Alpinismo ha bisogno di tali compagni di strada?

Perché questa domanda? Perché già nel 2011 i sindaci dei comuni di Courmayeur e Chamonix avanzarono la proposta di candidare a far parte di quell’elenco niente meno che l’alpinismo. Anzi, per essere specifici l’alpinismo classico, identificato con la storia della conquista del Monte Bianco. Il sindaco di Courmayeur disse allora che per patrimonio immateriale si deve intendere l’etica dell’alpinismo, ma anche le sensazioni uniche che una scalata può offrire. A queste banalità si aggiunsero le riflessioni del sociologo Enrico Finzi, secondo il quale – cito quasi alla lettera – l’alpinismo dovrebbe essere riconosciuto dall’UNESCO in quanto portatore di valori come il rispetto per l’ambiente, la cooperazione, la solidarietà e l’ecologia esistenziale, da associare alla sobrietà e alla ricerca dell’equilibrio nella consapevolezza dei propri limiti. Allora non se ne fece niente.

Oggi questa balzana proposta sembra stia riprendendo fiato e ciò stimola un’approfondita riflessione di cui le presenti pagine possono rappresentare soltanto una traccia preliminare. Non sarò certo io a negare che l’alpinismo, cioè l’incontro dell’uomo moderno con la sfida dei grandi spazi verticali e incontaminati, possa propiziare l’emergere e il rafforzarsi di alcuni dei valori di cui scriveva Finzi, qualora l’alpinista abbia già maturato in sé, nella vita di tutti i giorni, una sincera “permeabilità” al loro recepimento. Ma, posta nei termini perentori e istituzionali con cui è stata enunciata, tutta la faccenda puzza di retorica lontano un miglio. E anche, purtroppo, di retorica a buon mercato. E’ fin troppo facile ricordare quanto già disse Voltaire a Jean-Jacques Rousseau: “Sarebbe bello se per diventare migliori bastasse salire a quote più alte!”.

La verità è che l’alpinismo, in quanto categoria “metastorica” non esiste. Tanto meno deve essere visto come una sorta di “chiesa” con i suoi dogmi e i suoi comandamenti. Noi anziani possiamo aver vissuto direttamente gli ultimi palpiti dell “alpinismo eroico”, legato a nobili modelli ideali (spesso traditi nella pratica!) e di conseguenza possiamo a ragione riconoscerci emotivamente e eticamente in quel modello. Ma ciò non giustifica la pretesa di sottrarre l’alpinismo attivo a evoluzioni storiche che possono non piacerci, per incastonarlo in una teca autoritaria e mummificata. Quelli che esistono sono solo gli alpinisti, tutti figli delle culture delle proprie epoche e delle proprie storie individuali, con i pregi, le debolezze e i difetti che da ciò derivano. Nel novero rientrano gli alpinisti che per decenni hanno abbandonato i propri rifiuti ai piedi e sulle pendici delle grandi montagne asiatiche (“rispetto per l’ambiente?”), hanno evitato di soccorrere altri scalatori in difficoltà perché se lo avessero fatto sarebbero stati costretti a non raggiungere la vetta (“solidarietà e cooperazione”?), non hanno mosso un dito per contrastare l’assalto consumistico e speculativo alle montagne europee e asiatiche, hanno organizzato e diretto deleterie spedizioni commerciali, ecc. D’altro canto nello stesso novero si collocano gli alpinisti che invece si sono comportati e si comportano in modo diametralmente opposto, ponendo al vertice delle proprie esperienze il perseguimento di tali valori. A nobilitarli basta la loro coscienza e non c’è bisogno di un sigillo “patacca” dell’UNESCO.

Insomma credo che sia necessario e inderogabile respingere la retorica da quattro soldi che, idealizzando la “lotta con l’Alpe” al di là del ragionevole, tende a coprire e a nascondere troppe scomode verità. La pratica dell’alpinismo, al pari di tante altre discipline (ad esempio la meditazione yoga o quella zen), può portare alla liberazione, ma può anche rendere più solide le sbarre della cella in cui è imprigionato il nostro io. Ovvero rappresentare l’alibi, ingannevolmente eroico e autogratificante, per una fuga verso il nulla. L’insensata corsa del criceto nella ruota della gabbia.

Se proprio vogliamo trovare un lato positivo alla proposta, questo sta nella possibilità di dichiarare esplicitamente non-alpinismo le ascensioni all’Everest e agli altri Ottomila compiute dalle spedizioni commerciali con esteso uso di corde fisse, bombole di ossigeno e servizievoli squadre di portatori/guide sherpa. Ma chiediamocelo chiaramente: per condannare tali pratiche ci serve proprio il timbro di garanzia dell’UNESCO?

L’alpinismo resta, nonostante tutto, un’isola di libertà. E la libertà ha i suoi rischi. E’ illusorio credere di poterli tenere sotto controllo agendo “dall’esterno”.

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Alpinismo: no patacca! ultima modifica: 2018-03-27T05:59:35+02:00 da GognaBlog

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26 pensieri su “Alpinismo: no patacca!”

  1. lo so. sono uno smidollato. ma se mi firmassi avrei non pochi problemi. e siccome  per un commento a un forum non voglio aggiungere altre noie a quelle che già ho per essermi espresso a viso aperto, preferisco così.  certo, potrei firmarmi “mario rossi”, ma a questo punto meglio passare da pavido consapevole, che pensare di essere più furbo quando invece solo sarei il più coglione. saluti.

  2. Caro dubbioso, sai che non mi dispiacerebbe? Ho sempre pensato che ognuno si rappresenta per quello che è, non per quello che ha o per le patacche che indossa. Per me fare la guida significa prima di tutto essere il conoscitore dei luoghi e interprete di un mondo incerto, oltre che facilitatore d’esperienze. Per fare ciò forse non servono recinti protetti oltre ogni logica e spazi codificati per decreto, o lo sei oppure non ci arrivi. La prossima volta firmati però, così dai forza al tuo pensiero.

  3. dubbioso non ti firmi e non so chi sei, ma son d’accordo con te, abbiamo esagerato un po’ su tutto.

    La struttura ormai è tutta pataccosa e intrallazzata, e quasi tutti vivono ignoranti e contenti declamando gli antichi allori di altri per lo più morti o ormai anziani, dovunque si guardi le persone brave e competenti (ci metto anche umili) son difficilissime da trovare e nessuna associazione ne è esente, anche fra i professionisti (ultima delle guide quella coi vvff, ma altre prima per tenersi il mercato)…… degli altri blasonati, se ne parlo, i brocchi che li comandano mi censurano 🙂

    Ma il mondo è bello e la vita vale la pena di essere vissuta.

  4. riconoscimento unesco all’alpinismo? anche no! ma anche fare gli iconoclasti a tarhge alterne non mi piace. per cui de-patacchiamo il mondo, via i sigilli unesco, i parchi a fini commerciali, i titolati cai, gli sfavillanti cnsas, le abusive gae…  però le guide alpine? quelle van bene?

  5. Perini dice che la ricchezza umana è il cervello.

    A me piace molto questo affermazione e per me è vera.

    Però da sempre non è vera per la maggioranza degli uomini, dato che non credono in se stessi e hanno bisogno di altri, o altro che dia loro certezze e sicurezze.

  6. Sono un escursionista genovese, in Liguria abbiamo l’esperienza tangibile di cosa significhi, per molti vers, il riconoscimento UNESCO alle Cinque Terre, assieme ad un martellante battuage pubblicitario: sono diventate una gigantesca macchina per fare soldi, soffocate dal peggiore turismo di massa, con la monocultura del turismo di permanenza a monolizzare l’economia locale. Un parco nazionale con molti sentieri chiusi perché franati o infrascati, con diversi interventi edilizi incongrui.  Una marchetta pubblicitaria a tutti gli effetti, insomma, l’estensore dell’articolo ha ragione da vendere.

  7. Credo che stia diventando un’esigenza seria prendere coscienza, e mantenerla ben viva, della sempre più penosa realtà costituita dai giganteschi organismi sovranazionali ricordati da Andrea Dolci. Gli incredibili, ormai  innumerevoli e sempre più fantasiosamente escogitati “patrimoni” dell’UNESCO hanno già largamente superato la soglia del ridicolo e stanno diventando un preoccupante pericolo per il più importante e vero, ma sempre più esiguo, patrimonio dell’umanità: il cervello.

  8. Bene. Anzi male. Un’altra trovata per trasformare la montagna e l’alpinismo in un bel pretesto di svago ad uso del consumatore.

  9. “Ovvero rappresentare l’alibi, ingannevolmente eroico e autogratificante, per una fuga verso il nulla.” 

    Il nulla non esiste, esiste il tutto. Si è sempre nel tutto e dal tutto non si può fuggire. L’ alpinismo è antinichilista “par excellence”. Mentre lo pratico con il corpo e la mente (che è un accessorio) nell’incessante divenire, affermo la vita (la mia vita) ovvero il tutto.

  10. L’alpinismo resta, nonostante tutto, un’isola di libertà. E la libertà ha i suoi rischi. E’ illusorio credere di poterli tenere sotto controllo agendo “dall’esterno”.

    oltre che illusorio è profondamente sbagliato e ingiusto.

  11. Sono Completamente d’accordo con quanto scritto da Carlo Alberto Pinelli credo che non si possa aggiungere altro

  12. Se anche l’alpinismo, l’attività di conquista dell’inutile, diventa patrimonio dell’umanità, con certificazioni, controlli, sedi, presidenti, segretari e consiglieri e quant’altro (il tutto non alpinistico), allora ho capito l’UNESCO e tutto il resto che sta intorno.

  13. Marcello hai ragione!! La vecchiaia fa brutti scherzi.

    Ma nell’ect. ect. c’era anche il CNSA.

  14. Io credo che molto più banalmente sarebbe ora di chiudere quell’immenso baraccone che è l’Onu, una struttura elefantiaca che divora per autosostentamento oltre il 90% dei fondi ricevuti. Ho visto all’opera in Bosnia l’UNHCR che dovrebbe essere uno dei fiori all’occhiello dell’ONU e ho ancora il vomito per quello che ho visto, la FAO destina poco più del 15% del proprio bilancio a sfamare i poveracci e oltre il doppio in studi e consulenze varie oltre che 50 milioni di dollari solo per l’ufficio di presidenza. A che serve l’UNESCO se non a garantire la bella vita a dipendenti e funzionari nonché laute ricompense a consulenti vari ? Su oltre 800 milioni di dollari di bilancio 400 vanno in stipendi e solo 30 vengono spesi per la reale conservazione dei siti protetti.

  15. Anch’io sono abbastanza contrario alle patacche (anche se qui dentro però vanno un tabto al chilo!), però in compagnia della pizza napoletana e della birra belga sto benissimo! 🙂

  16. Si può discutere di tutto, ma se è una “patacca” che l’alpinismo sia affiancato al canto “a tenore” dei pastori sardi, all’opera dei pupi siciliana, alla dieta mediterranea (pizza compresa!), il considerarlo invece superiore a queste altre attività umane (che poi chissà perché sarebbero moribonde…) sa tanto di puzza sotto il naso.
    da facebook 27 marzo 2018, ore 8.59

  17. La Francia, la stessa nazione che in barba ad uno dei principi basici della rivoluzione del 1789, fratellanza, ferma la guida alpina che rischia 5 anni di carcere per aver salvato la vita di una migrante sui monti di frontiera. Poi parlano di Unesco e di etica di alpinismo…
    da facebook 27 marzo 2018, ore 8.59
  18. Unesco, Onu, Banca Mondiale, Fondo Monetario, ect, ect.

    Tutte entità sovrannazionali che non si sa bene cosa siano veramente.

  19. La misurazione, quindi la catalogazione, i decaloghi i metodi chiunque li elegga a scopo imprescindibile del vero e giusto, chiuque vi aspiri per la stessa ragione comportano invece una sottrazione.

    Come l’indigeno che non vuole farsi riprendere per non perdere l’anima, così il razionalistico elenco – in questo caso dell’Unesco, con tanto di comitato scientifico, suppongo – a suo modo snatura, deforma, o più semplicemente commisura (pur nella sua vaghezza) qualunque espressione umana ritenga degna di comparire nei suoi libroni.

    Se per quacuno farvi parte è sinonimo di riconoscimento e quindi di vanto, va fatto presente che:

    1. L’Unesco non è deus ex machina se non di sé setesso;

    2. L’Unesco muove le sue iniziative in modo connivente alla globalizzazione. Questa ha tra i suoi scopi il superamento, l’abbattimento delle identità tradizionali e delle nazionalità.

    Selezionare espressioni umane e metterle in vetrina è opera da collezionista, il cui patrimonio è composto da oggetti. Entità senza anima, appunto.

  20. Vedo l’UNESCO nelle Dolomiti che ha posto il suo “sigillo” , che nella pratica altro non è che una marchetta pubblicitaria, e mi viene da pensare che all’alpinismo non serve affatto!

    Ho poi scoperto pure, e con sorpresa, che la fondazione UNESCO delle Dolomiti ha un ufficio marketing. SIamo sicuri che questo serva all’alpinismo?

    Io direi di no.

    A certi sindaci piace giocare a basket usando una scala…

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