Sul sito dell’associazione sportiva Vertical-Lab è comparso un articolo che porta a conoscenza il mondo degli appassionati di un nuovo scontro tra due fazioni ormai famose. Da un lato del ring troviamo il collegio delle guide, che rivendica la sua professionalità, frutto di un percorso lungo e costoso. Dall’altro, le società, circoli, ed enti che difendono la possibilità di poter divulgare la scalata, rispondendo ad una domanda sempre più crescente. Vertical-Lab è un’associazione che si occupa di promuovere l’arrampicata all’interno dei suoi associati con corsi su roccia, dove vengono affrontati temi come progressione, sicurezza e tecnica di arrampicata. Ovviamente, i corsi si svolgono nel pieno della trasparenza a norma di legge perché non sono aperti al pubblico ma riservati ai soci. Trovate qui un argomento simile, con enti legati all’Acli e patrocinati dal CONI.
A ingigantire poi questa eterna lotta, troviamo una quasi totale ignoranza da parte degli organi preposti, spesso troppo lontani da quella che è la realtà sul territorio.
Altro scontro per Scuole di arrampicata e canyoning
di Gerardo Ghisleni
(pubblicato su vertical-lab.it il 29 marzo 2021)
Sembra fantascienza ma così non è; le guide alpine tentano nuovamente di monopolizzare l’insegnamento dell’arrampicata e del canyoning.
La regione protagonista è la Liguria, in cui è stata presentata una modifica alla legge regionale 44/2012 che riguarda l’ordinamento della professione di guida alpina; se venisse approvata, concederebbe il sostanziale monopolio alle guide alpine di occuparsi delle “scuole di arrampicata” e delle “scuole di canyoning”, così vietando – di fatto – a tutte le altre realtà impegnate in questo settore di continuare ad operare. Le associazioni sportive e le federazioni ed enti di promozione sportiva non potrebbero più svolgere corsi di arrampicata, cosi come l’Associazione Italiana Guide Canyon (AIGC) ed i professionisti del settore riconosciuti dal MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) cui sarebbe vietato effettuare corsi di canyoning.
Un precedente simile risale al 2020, quando le guide alpine della Regione Lombardia, con l’appoggio dell’ex assessore del Comune di Milano Martina Cambiaghi, avevano proposto una modifica della legge n. 6 del 2 gennaio 1989. Facendo rumore e portando alla luce questo tentativo di monopolio delle attività in outdoor, siamo riusciti a bloccare la modifica.
Quindi attenzione! Perché le premesse della proposta di legge sembrano quasi una bella cosa e possono per questo trarre in inganno; ad una prima e superficiale analisi del testo sembrerebbe che si voglia offrire lavoro e accedere al mercato libero europeo, dando altresì la possibilità agli aspiranti guide di lavorare di più. In realtà una attenta ed approfondita lettura fa emergere il reale e ben più subdolo contenuto della modifica della legge.
Ma entriamo nei dettagli.
L’articolo 13 della legge regionale 44/2012 definisce e codifica, da un punto di vista normativo, le “scuole di alpinismo e sci alpinismo”. Da sottolineare “alpinismo e scialpinismo”. Con la nuova proposta di legge, il suddetto articolo verrebbe modificato in “Scuola di alpinismo, scialpinismo, arrampicata, canyoning, speleologia”.
Quindi, se la proposta di modifica venisse approvata, il comma 5 dell’articolo 13 diventerebbe: “La denominazione «Scuola di alpinismo, sci alpinismo, arrampicata, canyoning, speleologia» può essere usata solo dagli organismi riconosciuti ai sensi del presente articolo”.
A prima vista potrebbe essere una questione di lana caprina, ma riteniamo che questa modifica possa celare l’intento di escludere dal mercato diversi operatori del settore, poiché tutte le “scuole di arrampicata” (anche in palestra) o di canyoning già presenti e consolidate sul territorio, che non presentino nella propria compagine una “guida alpina” non potrebbero più operare poiché non rientrerebbero negli “organismi riconosciuti” ai sensi dell’articolo 13 della legge regionale.
Se non si può usare la “denominazione” scuola di arrampicata o scuola di canyoning, di fatto si impedisce a tutti di fare corsi. Risulta dunque palese che l’obiettivo sia quello di vietare di insegnare arrampicata o canyoning a chiunque non rientri nella categoria delle guide alpine, in barba all’odierna legislazione nazionale e alla struttura economica che vive di queste attività.
Nel caso specifico, poi, delle associazioni sportive che si occupano di arrampicata, queste potrebbero non aver più motivo di esistere in Liguria, in quanto potrebbero diventare abusive e, dunque, illegali. Tutte le palestre di arrampicata non potrebbero più fare scuola di arrampicata, perché questa legge varrebbe sia in indoor che in outdoor.
Ci chiediamo se tutta la squadra di consiglieri che hanno presentato la proposta di legge conoscano la vera realtà dello sport dell’arrampicata, se conoscano il CONI e la FASI – che con oltre 42.000 tesserati presenterà l’arrampicata alle prossime Olimpiadi – nonché tutte le altre federazioni ed enti di promozione sportiva come Usacli, Uisp, Opes.
E cosa ne sarebbe delle centinaia di associazioni sportive che si sono sempre occupate delle scuole di arrampicata in maniera competente? Ci chiediamo se anche queste siano sconosciute al team governativo.
In un momento storico in cui lo sport sta attraversando una crisi senza precedenti, riteniamo assurdo il tentativo di monopolizzare una disciplina quale l’arrampicata e il canyoning, ponendola in esclusiva nelle mani di una singola categoria. Questa legge creerebbe dei disagi incredibili e inimmaginabili, nonché ripercussioni anche nell’ambito professionale delle guide canyoning, figure professionali altamente specializzate e competenti riconosciute dal MISE.
Abbiamo deciso di creare una petizione su change.org, per informare chiunque fosse interessato con il fine di bloccare questa proposta di legge regionale. Chiediamo fermamente che le guide alpine continuino ad occuparsi di alpinismo e accompagnamento, come sancito nella legge che riguarda la loro professione, lasciando alla competenza di chi da decenni ormai opera nei settori dell’arrampicata e del canyoning, il diffondersi delle suddette discipline. Tenendo anche conto del fatto che all’estero la figura della guida alpina sì esiste, ma si occupa di alpinismo, mentre l’insegnamento di tutte le altre singole discipline (ivi comprese arrampicata e canyoning) è affidato ad altre figure competenti e formate.
Si badi bene, è un argomento che deve interessare tutti, non solo i liguri, poiché l’eventuale approvazione di questa legge creerebbe un precedente che potrebbe diffondersi in altre regioni.
Fonti
– Legge Regione Liguria 44/2012: Gazzetta Ufficiale;
– Proposta di modifica: Procedimento P.D.L. – Proposta di Legge n° 60.
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Per gli appassionati del genere, ecco un’altra puntata della Stagione 10 di “L’impero colpisce ancora: la riscossa”. Presto uscirà un arguto e brillante saggio in 12 puntate di Baricco: “Guerre Verticali e Cultura del Novecento: verso un nuovo paradigma digitale ed olistico”. Restate sintonizzati.
https://www.vertical-lab.it/2021/04/12/il-pdl-60-verso-una-modifica/?fbclid=IwAR1reBD_xXYiK8nR8QpWquRQsexomhtdFcjLU9f2EfzQ55-_HuQHfrEZsZs
Al massimo mistificatori, non DE-mistificatori, o no?
Comunque se è come dice, tantomeglio, altrimenti, non mi pare che a parlarne e a firmare una petizione online abbastanza inutile come tutte le petizioni online si possa nuocere a qualcuno, o no?
L’allarmismo scatenato da Vertical Lab, che paventa una manovra da parte delle guide per accapparrarsi chissà quali monopoli, è un perfetto esempio di disinformazione (fake news) che richiama metodi da teoria del complotto a fini demistificatori.
Il termine “scuola di alpinismo” indica un’associazione professionale di guide alpine che ha richiesto e ottenuto il riconoscimento di scuola “riconosciuta”, ma questo non gli conferisce un’esclusiva neppure tra le guide in quanto l’insegnamento è una loro prerogativa che possono esercitare anche se non sono parte di una scuola.
Pertanto la dizione Scuola di Alpinismo dovrebbe essere sufficiente a indicare un associazione professionale che esercita, o può esercitare, tutte le attività che gli sono consentite, senza un’elencazione che finirebbe per essere sempre parziale o interpretativa, in questa logica l’estensione prevista dalla modifica della legge 44/2012 della regione Liguria apparirebbe superflua.
Come già espresso precedentemente le discipline che costituiscono “riserva della professione”, ovvero quelle che possono essere esercitate professionalmente solo da soggetti iscritti negli albi, sono indicate nella legge istitutiva (Legge 2 gennaio 1989 n. 6), come “oggetto della professione”. La definizione di tali ambiti è prerogativa dello Stato (art. 117 della Costituzione), le normative regionali non hanno facoltà di modificare i principi espressi in una legge gerarchicamente superiore.
Nello specifico della speleologia, che tanto preoccupa i frequentatori di questo blog, essa non è ricompresa nelle riserve, non costituisce materia formativa della piattaforma, unicamente è menzionata, nella legge 6/89, tra le possibili specializzazioni delle guide alpine, specializzazioni che non hanno carattere qualificante, ovvero non sono obbligatorie per l’esercizio della disciplina.
Ne consegue che le associazioni che hanno i requisiti per praticare la speleologia continuerebbero a farlo senza alcuna differenza rispetto ad oggi.
Quello che stupisce maggiormente nel dibattito suscitato intorno all’iniziativa di Vertical Lab è la distanza abissale tra gli scenari ipotizzati dagli intervenuti e l’effettive trasformazioni conseguenti il possibile cambiamento della legge sulle guide alpine della Liguria, cosa che denota una poca conoscenza della materia.
Se anche il Consiglio Regionale della Liguria approvasse le modifiche alla Legge Regionale 44/2012, introducendo l’estensione delle dicitura di scuola d’alpinismo e sci alpinismo con le discipline dell’arrampicata e della speleologia, questo non muterebbe né le competenze e le prerogative delle guide alpine, né le facoltà delle associazioni dilettantistiche.
Jerome, non avevo notato questo specifico punto della proposta ligure e, come dici tu, è piuttosto agghiacciante
Ho notato che nè nell’articolo citato nè nei commenti si fa cenno alla vera novità del progetto di legge ligure rispetto ai precedenti episodi di Lombardia e Val d’Aosta, ovvero l’inclusione anche della Speleologia nelle attività che dovrebbero divenire prerogativa esclusiva delle GA.
Questo è di gran lunga l’aspetto più grave è preoccupante. Perché se le GA hanno ovviamente ampia conoscenza dell’arrampicata e il loro ruolo può sovrapporsi a quello dell’istruttore di arrampicata, se tradizionalmente si occupano di canyoning e ricevono adeguata formazione in proposito, NON hanno per cultura e tradizione alcuna preparazione speleologica, al di là di un insignificante corso abilitante di pochi giorni e a meno di eccezioni che esisteranno ma non conosco; NON hanno alcuna conoscenza della speleologia esplorativa e delle attività correlate, non hanno in definitiva la più remota attinenza con questo mondo.
È tollerabile che le GA e anche le GAE a seguito di adeguata formazione possano accompagnare la gente in grotta a fare quello che gli speleologi chiamano con comprensibile disprezzo “speleoturismo”. Ma la speleologia NON è lo speleoturismo, speleologia è un’attività di studio e di ricerca, non solo esplorazione ma anche dovumentazione e conservazione, e necessita di un patrimonio di conoscenze ed esperienza che va inimmaginabilmente oltre alle poche manovre di corda per la progressione in grotta, che anche una GA può imparare ed insegnare.
Sottrarre ai gruppi speleologici CAI o SSI, entità spesso fortemente radicate nel territorio dove esistono e operano da decenni, la possibilità di iniziare la gente alla speleologia con accompagnamenti e insegnamenti, significa bloccare totalmente il ricambio generazionale e all’atto pratico la morte della speleologia in Italia.
E anche a chi non importa nulla della spelologia dovrebbe apparire evidente come si tratti di un fatto ben più grave che l’attribuzione di un’esclusiva dell’insegnamento dell’arrampicata, cosa di cui le guide già si occupano e che non cesserebbe di certo.
Cominetti. ps. Per chiarezza. Quella del tuo collega era una battuta che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia. Chiedo scusa. Rincoglionito e distratto io a non aver capito che si trattava di ironia verso un istruttore di arrampicata. Per passare la selezione si deve arrampicare sul 7a a vista.
Cominetti. Oggi pioveva. Sembrava autunno e mi è arrivato il post, dato che sta nei miei contatti. I numeri mi hanno colpito e ci sono cascato andando a sbirciare la mappazza. Infinite sono le perversioni dell’animo umano. Sai che hai proprio ragione. Ti seguirò. Meglio cancellarsi, ignorare il caos e le brutture del mondo e mantenere il ricordo incontaminato dei propri miti giovanili. Consola.
Sempre più felice di non avere facebook.
Sulla pagina Facebook di Vertical Lab ci sono 388 commenti su questo tema. Uno spaccato interessante delle diverse posizioni. Riporto l’ultimo di due ore fa e di una persona piuttosto nota, penso, ai frequentatori di questo blog. Ammazzalo! Dicono a Roma…
“ Le GA non hanno nessuna competenza sull’arrampicata sportiva. Conoscete forse in Italia una sola GA che scala sopra il 6c.”
Le scuole formate da guide alpine e aspiranti guida alpina non sono comparabili a quelle delle associazioni dilettantistiche. Esse traggono legittimità dalla norma (L. 2 gennaio 1989 n.6 Art. 19) e dalle varie leggi regionali attuative, sono definite “scuole riconosciute” perché per operare necessitano di un’autorizzazione rilasciata dall’autorità competente, secondo un iter ufficiale, e soggetta a rinnovo periodico. Quindi le scuole di alpinismo costituiscono una forma di associazione professionale per la quale, oltre alla regolare iscrizione all’albo dei suoi membri, è prevista una sorta di “concessione”.
L’appartenenza alla categoria delle “scuole riconosciute” è un aspetto dirimente, in essa sono ricompresi tutti gli istituti che svolgendo professionalmente attività didattica beneficiano dell’esenzione da alcuni adempimenti di carattere fiscale. Oltre alle scuole di sci, assimilabili per attività, rientrano in questa categoria le scuole per il rilascio della patente automobilistica e nautica, ma soprattutto le scuole parificate di ogni grado.
Sempre la legge 6/89 stabilisce che il CAI continui ad utilizzare i termini scuola di alpinismo e scuola di scialpinismo per i suoi corsi di formazione svolti da dilettanti e riservati agli iscritti.
Altre forme associative che utilizzino tali denominazioni non trovano riscontro in alcuna norma.
Premesso questo anche gli argomenti riportati da Ghisleni appaiono privi di sussitenza.
Le guide alpine esercitano professionalmente le attività di accompagnamento e insegnamento negli ambiti e nelle discipline di loro competenza che costituisco riserva della professione, come indicato in legge, la professione può essere svolta sia in forma individuale sia in forma associata, La scuola ha funzione eminentemente didattica.
Nella definizione dell’oggetto della professione l’arrampicata è inclusa nell’alpinismo su roccia e pertanto è di piena competenza delle guide alpine, senza che queste debbano seguire corsi di specializzazione, come talvolta impropriamente sostenuto. Il canyoning non è indicato quale attività esclusiva per alcuna professione ordinistica, per questa ragione possono avere legittimità le associazioni riconosciute in base alla legge n. 4/2013, detta delle professioni non ordinate in ordini o collegi.
La legge 6/89 indica la denominazione “scuole di alpinismo o scialpinismo” quale comprensiva di tutte le competenze delle guide alpine e sicuramente non può essere interpretata come limitazione a questi due campi di attività. L’introduzione di ulteriori termini, presente nella proposta di modifica della legge regionale della Liguria a me appare solo pleonastica, certamente non è finalizzata a contrastare il diffondersi dell’arrampicata o del canyonig.
Per completezza andrebbe innanzitutto chiarito in base a quale criterio le associazioni dilettantistiche adottino il termine “scuola” per indicare le attività didattiche che si svolgono al proprio interno, siano esse relative ad attività di pertinenza di figure professionali ordinistiche o riconosciute.
Infine, nel tanto evocato riordino del settore outdoor, andrebbero introdotti principi ineludibili per distinguere le associazioni sportive che svolgono effettivamente attività agonistica o ricreativa per gli iscritti da quelle che fungono da copertura per attività di accompagnamento o insegnamento a scopo di lucro.
La legge 6/89 fu semmai sopportata (non supportata) dal Cai che prima faceva il bello e il cattivo tempo. Le guide erano “inquadrate” in una speciale sezione Cai come associazione, l’Agai. Cioè, si era arrivati l’assurdità di un’associazione di professionisti dipendente da un club di dilettanti. La 6/89 fu fortemente voluta dalle guide che avevano l’appoggio del gruppo Parlamentari della Montagna ( siamo in Italia, ma negli altri stati accade lo stesso) e il Cai se la dovette fare andare bene così. Tra gli istruttori Cai ci fu anche chi avanzò la proposta di promuoverli tutti a guide alpine, per l’occasione. Segno che la fantasia di certi non ha proprio limiti.
Dino, mi spiace contraddirti ma ho conosciuto aspiranti istruttori Cai (ne ho anche avuti come clienti) che poi sono diventati istruttori nazionali (!) che, dato il loro bassissimo livello tecnico, non avrebbero superato neppure il primo giorno di selezione per accedere ai corsi guida. Non saranno tutti così ma ai corsi guida certe cose proprio non succedono, te l’assicuro. Si tratta di due pianeti diversi, credimi. Ciao
La legge 6/89 fu supportata dal CAI che è un ente pubblico dotato di rilevanza riconosciuta. L’attività, gli esami, i curriculum degli istruttori CAI sono ampiamente codificati, controllati e i protocolli molto specifici e faticosi. Ho già chiarito che per diventare istruttore Nazionale di una specialità l’impegno non è molto lontano a quello richiesto alle GA. Nel tempo l’ente pubblico CAI ha abilitato scuole e istruttori e con una robusta struttura organizzativa sostiene, verifica e aggiorna tutti i suoi operatori. Vorrei ricordare che una parte di questa struttura tecnica ( torre e commissione tecnica) viene ampiamente utilizzata da GA, Soccorso etc etc. Il CAI con le sue scuole non percorre scorciatoie e in moltissimi casi gli istruttori rinunciano anche ai rimborsi spese. Ha creato una solida base tecnica e culturale specifica per quanto riguarda la didattica. Se qualcuno vuole entrare in questa attività dimostri di essere altrettanto professionale e poi con le dovute formule potrà sicuramente entrare. Ciò non toglie che tutti coloro che operano nel settore dovrebbero parlarsi senza utilizzare leggi Regionali che, per alcuni commentatori, sono palesemente incostituzionali poichè intervengono su tematiche regolate da leggi Nazionali.
@Giacomo Raffa. Si, capisco. Ma io non sostengo che il CAI sia l’oggetto del contendere e/o che operi fuori legge. Sostengo che la legge sia incoerente, e che proprio a causa di questa incoerenza introdotta a favore del CAI, si presta ad ambiguita’ che alcuni chiamano “escamotages”.
Enri, le guide alpine col canyoning c’entrano, eccome. Questa è la risposta al tuo dubbio, sinceramente un po’ strano. Ciao
@ Giacomo Govi
in realtà il tema del compenso non è ciò che determina il discrimine tra le due forme di accompagnamento/insegnamento, che è invece determinato dalla professionalità nell’esercizio dell’attività protetta.
Se qualcuno (es. istruttore Cai al di fuori dei corsi) svolgesse attività formativa/di accompagnamento in maniera professionale (e quindi non vi rientra il caso dell’insegnamento all’amico/morosa), commetterebbe il reato di esercizio abusivo della professione, anche ove non avesse percepito alcun compenso.
Viceversa, l’esercizio professionale di tale attività è riservato.
A ogni modo ritengo che non sia il Cai il centro della polemica, in quanto l’ambito di attività di questa associazione è ben definito dalla medesima norma che definisce l’attività delle guide.
Oggetto del contendere sono quelle diverse associazioni che -a favore dei propri associati- svolgono la medesima attività, per la quale possono ricevere compensi esentasse fino a una determinata soglia, oltre ai rimborsi spese. Si veda l’esempio di UISP. Oppure le GAE.
Tuttavia, le argomentazioni a sostegno della legittimità del proprio operato portate da queste associazioni non paiono del tutto campate in aria, anzi.
La materia è molto tecnica e anche discussa, non liquidabile in poche righe.
Voi parlate solo dell’arrampicata o del canyoning come esempio di attività “sottraibile” (semplifico con l’accetta) alle guide, io segnalo che UISP montagna organizza anche attività alpinistiche ad esempio…
Marcello, chiaro ma inconcepibile. Il problema o sta’ a monte o sta’ a valle perché stando così le cose bastano pochi centimetri di vuoto per far rientrare qualsiasi attività sotto il cappello delle guide alpine e per diventare guida alpina devi saper fare cose che con la gestione del vuoto con attrezzatura alpinistica non c’entrano come saper sciare. Per me è un castello che alla prova dei fatti salta per aria anche se credo che il legislatore non si preoccuperà nemmeno di queste finezze, semplicemente sdoganera’ definitivamente l’attività delle associazioni come ha sempre fatto per motivi di convenienza politica.
@Giacomo Raffa
Grazie per la risposta, che conferma quanto mi ricordavo riguardo all’inquadramento del CAI nella legge. Mi rendo conto che le mie osservazioni possano irritare gli istruttori CAI, di cui peraltro non metto in dubbio la preparazione. Rimane pero’ l’impressione che il legislatore abbia perseguito l’obiettivo di accontentare i due principali “poteri” in gioco ( CAI e guide ), prima che quello di tutelare con coerenza il cittadino. Il risultato e’ l’ufficializzazione di un affidamento “di serie A”, a pagamento, e uno “di serie B”, concesso a volontari (del solo CAI) privi di compenso.
Al limite, potremmo pensare che lo stato ritiene la preparazione dell’istruttore CAI come “la minima” che consenta l’affidamento. Beh, allora sarebbe piu’ logico che tale preparazione, definita e strutturata dal CAI, fosse accessibile e utilizzabile nell’ambito di altre associazioni. Ma rimane il vulnus del compenso, che non si capisce con che logica possa definire la diversita’ della relazione che si instaura tra accompagnante e accompagnato.
@Cominetti
In effetti, mi pare che qui l’accusato sia proprio il legislatore. Per quanto mi riguarda, come ho gia’ detto, io credo che l’esclusiva concessa alle GA si debba limitare dove, davvero, l’eccellenza e’ indiscutibile. Quindi nessun dubbio sulle attività’ alpinistiche, ad ampio raggio. Per me dovrebbe essere senza eccezioni per CAI ed altri. Per attività’ come falesia e canyoning, la soluzione francese del “moniteur d’escalade” mi pare la soluzione più’ equilibrata.
Marcello,
io non ho nulla contro le Guide, anzi. Solo che il problema e’ proprio quello che tu citi. La legge, mi sembra di capire, assegna loro ambiti di competenze che in alcuni casi hanno poco senso ( perche’ i lavori acrobatici solo a guide alpine? Ma perche?). Ripeto, cosa ha a che fare una guida alpina con un torrente? Nulla. Secondo me questo fa nascere le discussioni con chi magari e’ davvero specializzato in singoli ambiti specifici e vorrebbe a sua volta accompagnare clienti. Qui nasce il conflitto. Oltre a questo, la specializzazione in quasi tutti gli ambiti non permette ad una guida di eccellere in tutti gli ambiti. Di qui per esempio nasce il conflitto con chi, come per esempio Massari, scala da una vita e in tema di arrampicata in falesia forse ne ha di piu’ da insegnare che non una guida media. D’altra parte chiunque oggi non e’ guida e vuol diventare un professionista con guadagno, si deve mettere in testa che deve sacrificarsi, attenersi ai percorsi ufficiali ( se verranno definiti), avere un cv di primo ordine. E certamente pagare le tasse su quanto guadagna, senza le scorciatoie dei rimborsi spese. Se cosi non sara’, beh ci saranno le guide e null’altro.
Enri e Antonio,
state facendo un mix che non chiarisce molto le cose. Le guide alpine operano nell’ambito dell’utilizzo di attrezzature alpinistiche in ambiente in cui ci sia, anche per brevi tratti, esposizione al vuoto. La MTB e il deltaplano, che avete citato, non rientrano ovviamente in suddetti casi e sono regolamentati da altri Enti.
L’attrezzatura alpinistica è intesa come: corda, ramponi, piccozza, imbragatura, sci, moschettoni, ecc.
Il canyoning, ad esempio fa largo uso di attrezzatura alpinistica e la formazione (specializzazione) per coloro che già sono guide alpine è molto impegnativa e riservata a chi sa nuotare, prerogativa che non tutte le guide alpine hanno, tanto per fare un esempio.
Così come la formazione e l’abilitazione ai lavori in esposizione è demandata alle guide alpine, che mentre tengono i corsi richiesti per legge non sono di certo impegnati in montagna, esistono attività in cui le guide alpine sono specializzate e autorizzate per legge a istruire e operare.
Tutti avranno notato il proliferare di imprese edili che fanno lavori in esposizione e dei parchi avventura, ebbene, l’abilitazione a svolgere quelle (ed altre) professioni passa attraverso un corso apposito tenuto da guide alpine.
Piaccia o no, ma il legislatore quando ha dovuto costruire una legge sui lavori in esposizione si è rivolto al Collegio Nazionale delle guide alpine ritenendole i professionisti più adatti.
Se non vi piace, andate a prendervela con lui. Ma non con le guide alpine. Grazie.
Concordo con Enri e con Marcello. Che ci si debba sbattere (Marcello) mi pare il minimo ma bisogna capire a fare cosa se no arriviamo all’assurdo che per accompagnare in grotta o in forra, e magari un domani in deltaplano, si debba anche saper sciare.
A mio avviso in questo specifico articolo emerge un altro aspetto del tema generale: cosa ci azzecca scendere un torrente con le Guide Alpine?
Finchè si tratta di scalata, di scialpinismo, di arrampicata su roccia (ma non quella estrema sportiva che è già una cosa a parte) ok, ma ultimamente può sembrare che qualsiasi sport, diciamo, all’aria aperta sia appannaggio delle Guide. Forse è anche questo che crea un po’ di fastidio.
Io ripeto di non vedere per nulla bene quelle associazioni o enti che intendono guadagnare dalle loro attività, rubando il mercato alle Guide. D’altra parte non vedo perchè una guida sia la sola deputata ad accompagnare in torrenti o gite in mountain bike e altre cose simili. E, mi ripeto, saper fare bene, molto bene tutte le varie attività è quasi impossibile. Le Guide dovrebbero accettare di non essere le sole a poter avere patenti da accompagnatori. Tutti gli altri deveno accettare il fatto che, se vogliono accompagnare altri, devono eccellere e di gente che eccelle in queste entità se ne vedono poche. Eccellere vuol dire essersi fatti anni di sacrifici e curriculum di prima categoria. Se no sono le solite scorciatoie da furbetti.
Io non dico che la guida alpina “è meglio” perché non ne faccio una questione tecnica o di che grado uno fa. Ne faccio una questione di legge, giusta o sbagliata che sia. Chi trova la legge 6/89 inadeguata ai tempi odierni, si impegni per farla cambiare invece di provare scorciatoie d’ogni genere. Io quando è stata emanata c’ero, ero una giovane guida alpina che, come tutti i miei colleghi, eravamo contenti che la nostra professione venisse finalmente riconosciuta da una legge dello Stato. Mi ricordo ancora la faccia di soddisfazione del nostro allora presidente Giorgio Germagnoli che si era impegnato per anni assieme a una nutrita schiera di colleghi e politici del tempo. Mi viene da dire che uomini come quello non ce ne sono più, purtroppo.
Chi vuole il riconoscimento che secondo lui gli spetta, si batta per ottenerlo onestamente e non con i sotterfugi ben noti che si vedono.
@Giacomo Govi e altri
un sacco di carne al fuoco nei vari commenti, impossibile fare una replica completa e organica, però vorrei offrire alcuni spunti di riflessione.
1) la ormai famosa legge del 1989 (che ha riconosciuto la figura della Guida Alpina come unica qualificata all’accompagnamento professionale) prevede che il CAI possa dedicarsi all’accompagnamento non professionale.
Perché il CAI e non le altre associazioni? Principalmente credo per un motivo storico: il Cai è stato fondato nel 1863, le Guide quando si sono costituite associazione AGAI lo hanno fatto come sezione del Cai nel 1978, e non a caso si è poi approdati alla citata legge. Altre associazioni al tempo non mi pare fossero note o evidentemente non hanno avuto sufficiente rappresentanza per essere prese in considerazione.
La ratio della norma è stata quella di riconoscere il valore dell’accompagnamento non professionale, dovuto alla natura volontaristica, alla storicità dell’associazione, ecc… Ambiti diversi per approcci diversi.
2) perché non altre associazioni?
Il tema è stato più volte affrontato su questo blog, non credo sia il caso di dilungarsi ancora. Purtroppo una normativa successiva (diciamo più o meno dal 2000…) non cristallina ha lasciato dubbi interpretativi, i quali tuttavia sembra che nella maggior parte dei casi siano stati risolti dalla magistratura con il riconoscimento della liceità dell’attività di altre associazioni diverse dal Cai (GAE prima, UISP e simili di recente).
3) rimborsi spese.
Vero è che possono essere usati in maniera truffaldina (e di esempi credo che ognuno di noi ne abbia letti, anche su queste pagine), però è anche vero che hanno una loro logica, e la ritengo pure condivisibile. Un po’ troppo manicheo Crovella nel volerli abolire tout court: io, personalmente, non vedo nulla di sbagliato nel rimborsare la mezza pensione in rifugio all’istruttore che passa il fine settimana fuori per il corso. Non è che viene rimborsato per il suo sollazzo (andrebbe a scalare altrove), ma l’associazione cerca di evitare che il suo impegno per i fini sociali lo veda in perdita.
4) la qualità dell’insegnamento
Secondo me, da questo punto di vista, in troppi cercano di tirare acqua al proprio mulino. Cerchiamo di capirci.
Se si cerca la figura più preparata, è evidente che bisogna rivolgersi alle Guide Alpine. Credo nessuno possa, con onestà intellettuale, mettere in dubbio la loro formazione.
Tuttavia, non si deve nemmeno cadere nell’equivoco che per certe attività non possa essere sufficiente qualcosa meno del meglio sulla piazza.
Qui secondo me si annida un equivoco. Non è che il CAI sia privo di norme, anzi. Il CAI centrale è un ente pubblico istituito con legge dello stato, che si è dato un regolamento nel quale sono indicati chiaramente gli obblighi formativi, i requisiti di corsi, istruttori, ecc…
Sono meno ore di formazione di una Guida Alpina? Certo. Ma non per questo un istruttore Cai non è inadatto all’accompagnamento. La preparazione è altrettanto indispensabile, il contenuto minimo è più basso. Perché per un giro in macchina in sicurezza non è necessario affidarsi a un pilota di formula uno: ci sono molti altri autisti altrettanto adatti.
E’ importante però ricordarsi che una cosa è l’accompagnamento professionale, altra sono le scuole di alpinismo Cai (accompagnamento non professionale!). Sulle ulteriori sigle e associazioni non mi pronuncio, non avendo approfondito a sufficienza la questione.
Guardate che il mio disappunto verso certe Associazioni non si riferiva all’aspetto fiscale, sul quale comunque ci sarebbe da dirne, ma a quello dei fini “tecnici” di un’associazione. Quest’ultime spesso coprono attività e interessi molto distanti dal loro stesso statuto. Il tutto per arrivare dove si vuole più in fretta possibile e percorrendo ogni scorciatoia. Ma costoro sono così anche nella vita d’ogni giorno, per cui trovano normale calpestare ogni cosa pur di credersi edotti su quello che conoscono appena. Parlo perché mi guardo intorno, mica per sentito dire e se ci sedessimo a un tavolo vorrei parlare con tutti questi pataccati della domenica (anche se ci campano, ma anche i ladri vivono dei loro furti, e allora?!) guardandoli in faccia dritti negli occhi. Forse mi chiarirei delle idee, ma anche loro.
Questa è la sede delle chiacchiere, magari anche interessanti ma destinate a rimanere lettera morta. Ciò che invece mi stupisce è il modo in cui i vertici delle guide alpine, forse mal consigliati, affrontino il problema. Basterebbe studiare un po’ o semplicemente farsi raccontare quello che è avvenuto negli ultimi 40 anni nel campo della consulenza aziendale (contabilità, fiscalità, ecc.) per capire come gira il fumo.
Parole come abusivismo, concorrenza sleale e quant’altro non hanno più ragione d’esistere perché dove non è arrivato il mercato è arrivato il legislatore con la mannaia, abolendo di fatto ancorché non di diritto, presunte esclusive di ragionieri e dottori commercialisti. Sono quasi 40 anni che lavoro in associazioni di categoria senza aver conseguito una laurea in economia e senza aver sostenuto un esame di stato e nonostante ciò ho fatto praticamente tutto quello che fanno i suddetti professionisti, aiutando addirittura alcuni di loro a fare cose che non sanno fare, nel pieno rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti.
Oggi si collabora molto di più e ciascuno si è ritagliato il suo spazio che spesso difende svaccando sui prezzi, unica arma a disposizione in quanto le competenze si sono ormai livellate. Poi c’è il mondo dei grossi studi e delle multinazionali della consulenza ma questo è un altro discorso perché altri sono i clienti.
Sulla scorta di quanto sopra, esposto in maniera fin troppo sintetica per non risultare pesante, fatico a leggere certe iniziative che quasi sicuramente risulteranno perdenti anche a livello d’immagine. Capisco chi si è fatto il mazzo, spesso avulso da certe logiche, ma non capisco i vertici, a meno che non salti fuori un Palamara che me lo spieghi.
Govi. Sono d’accordo. Il problema fiscale viene dopo. Anche un professionista con partita IVA può operare pro-bono. Il tema è la certificazione delle competenze a garanzia del cliente: chi certifica e con quali modalità e chi è autorizzato a certificare e come vengono certificati i certificatori. Antico problema: chi custodira’ i custodi dicevano i latini. Le rivelazioni di Palamara sono interessanti non solo per la magistratura.
LIBERTA’ E’ ANCHE LA PARTECIPAZIONE NEL DIFENDERE UNO SPAZIO LIBERO.
Montagna, torrenti, grotte sono spazi di natura che sarebbe bene poter godere in libertà.
Le leggi dovrebbero essere il meno possibile, solo dove è necessario regolare conflitti, contrastare la delinquenza organizzata, tutelare da seri rischi e impedire che quegli spazi di natura vengano alterati, distrutti, privatizzati o monopolizzati.
Invece i detentori di potere politico, nazionale e, ancor peggio, regionale amano ridurre gli spazi di libertà a favore di loro clientele, se non di loro appartenenze in affari o più o meno mafiose.
Questo commercio politico legislativo è il grande nemico da contrastare.
Di fatto l’accesso di massa ai sempre più ristretti spazi di natura crea problemi crescenti, anche in termini di sicurezza.
Io non mi sono mai posto il problema dei rischi da sovraffollamento in grotta semplicemente perchè lì non ho mai incontrato altri gruppi di speleologi, ma le cose cambiano.
Il potere è sempre molto bravo e attento nell’utilizzare questi crescenti, reali, problemi per giustificare la sua invadenza legislativa.
Direi che questo articolo ha il merito di aver individuato e reso noto uno di questi tanti, troppi, casi.
geri
Di per se’ ‘escamotage’ in questo contesto non vuol dire nulla. La legge e’ la legge, e a maggior ragione in questo campo non ha alcuna ambizione moralizzatrice ma semplicemente regolatrice. Il fine ultimo dovrebbe essere l’interesse pubblico, in questo caso rappresentato dalla protezione del cittadino da imperizia potenzialmente foriera di incidenti. Quindi, laddove la legge sia rispettata, e’ del tutto inutile invocare l’escamotage. Semmai sarebbe desiderabile che il legislatore operasse con coerenza e sobrieta’. Se il principio guida e’: “Solo le guide alpine possono accompagnare nei contesti A,B,C”, sarebbe bene che tale principio fosse applicato sempre, e con coerenza. Perche’ esentare da tale contesto solo il CAI? In fondo qualsiasi associazione, CAI incluso, puo’ o potrebbe pagare delle guide per accompagnare i suoi soci. Perche’ nell’ambito delle uscite CAI la preparazione a cui fa riferimento Cominetti ( che costituisce, indubitabilmente, l’opzione piu’ sicura per l’accompagnato ) non e’ ritenuta indispensabile? La ratio del compenso mi pare debole e fuorviante. Se passa tale ratio, allora deve passare anche l’istanza delle altre associazioni ( il compenso per operare in una associazione non dovrebbe fare la differenza ).
Quindi, per me:
– accompagnare in montagna: per coerenza, solo ed esclusivamente guide alpine. Il “chi paga” deve essere irrilevante.
– accompagnare in contesti altri, da definire con accuratezza ( falesia, canyoning, bici ): nuove figure con relativi albi (+ guide alpine se la relativa preparazione e’ soddisfatta )
C’è un equivoco: io non ne faccio una questione di evasione fiscale, ma proprio una questione di principio. Sono manicheo, non solo in questo risvolto, ma in tutta la visione della vita. Cmq, sul tema, ci dovrebbero essere solo due categorie agli estremi: 1) le guide, unici professionisti abilitati a farsi pagare (presumibilmente con fattura, ma questo non c’entra) a fronte di attività sia di “accompagnamento” che di “didattica” (o un mix fra le due); 2) gli istruttori CAI totalmente in regime di volontariato, senza neppure i rimborsi spese (che sono un modo strisciante per far passare qualche quattrino sottobanco a fronte prestazione in montagna) e abilitati esclusivamente alla “didattica” e NON ad “accompagnare”. La terra di mezzo è tutta una infinita varietà di escamotage, alcuni più leciti altri completamente forzati, per farsi pagare (magari anche con emissione fattura) invadendo il campo che la legge riserva esclusivamente alle guide. Nella terra di mezza, si estensione amplissima fra i due estremi, se iniziamo a voler far differenza fra la situazione “a” e quella “b”, non ne usciamo, perché tutte hanno un appiglio cui l’italico genio si attacca con destrezza. Meglio fare totalmente piazza pulita e lasciare le attività professionali esclusivamente alle guide. Non è obbligatorio che una guida “sappia” fare tutto in montagna: ci sarà quella che fa roccia e canyoning, quella che fa scialpinismo e deltaplano, quella che fa monotiri e trekking… ma tutte devo9no avere i requisiti legali (non solo fiscali) per svolgere attività retribuita. Gli altri (le scuole CAI) se vogliono svolgere attività, lo possono fare solo con finalità “didattiche” e senza un centesimo di remunerazione, neppure sottobanco. Mettendo queste regole, semplici ma ferree, la terra di mezzo si assottiglia da sola…
RIDONDANZA:
https://www.treccani.it/vocabolario/ridondanza/
ovvero abbondanza di istruttori -formatori , comprensibile se vi fosse ridondanza di impianti, falesie, neopraticanti da addestrare.
Altrimenti ovvio che le fette della torta si assottigliano e ci si contendono gli allievi paganti . Possibile anche una pratica di autoapprendimento, o di gruppo con amici privi di blocchetto fatture.Per andare sul sicuro, si cala una corda dall’alto dove e’possibile. ci siallena e si seguono lezioncine sul web.
In altro campo di addestramenti , mio fratello andato a prima lezione di sci fondo… scaduto l’ultimo secondo dell’ora prenotata ,con cronometro passato da 59 minuti 59 secondi e 99 centesimi a 00, il maestro ha interrotto e se n’e’ andato per gli affari suoi , non avendo poi altri clienti.Personalmente ho imparato da amici , praticanti amatoriali evoluti o anche maestri( do ut des in altri bisogni della vita).Quel che ad altri paganti insegnavano in ore , a me lo impartivano in 5 minuti e poi..”ripetilo per un’ora finche’ non ti entra negli ingranaggi…oppure un’occhiata e..giusto..sbagliato, guardame..ok. ripeti la pista facile per alcun evolte.Poi domani passa alla media..poi alla nera.. Oppure facciamo assieme un giro completo che ho un buco tra le prenotazioni…e mi freddo.
Il mio Ordine Professionale ha già vissuto nel passato la stessa situazione. Ciò dipese dalla domanda crescente, da una concorrenzialità spinta e dall’offerta diversificata. Professionisti laureati con un tirocinio faticoso e costoso, con una abilitazione sanguinosa ( al mio esame fummo abilitati in 36 su 400 candidati) capirono che occorreva togliere la baionetta e sedersi a un tavolo con gli altri operatori del settore purché competenti. Merito di chi intuì che occorreva modificare qualcosa salvaguardando i principi di professionalità. Senza una riflessione simile ci saranno solo battaglie con danni sia ai vincitori che ai vinti. A trarne vantaggio saranno gli scaltri che sfruttando la polvere della battaglia trarranno tutti i benefici possibili.
“per non pagare un euro di tasse alternativo all’apertura della partita iva.”
Tema delicato. È stata coniata la bellissima formula purificatrice “ottimizzazione fiscale”. Ho la sensazione, sicuramente distorta dalla frequentazione dei peggiori bar di varie località dell’arco alpino e dei porti diportistici italici, che non sia sempre facile trovare gigli totalmente immacolati rispetto alle semplici, lineari, comprensibili e profondamente eque norme fiscali. Tranne ovviamente noi che leggiamo il blog e che non abbiamo mai pagato nemmeno una lira/euro senza una adeguata fattura, neppure agli amici fraterni. Ca va sans dire. La carne è debole e la famiglia pesa per tutti gli altri 😀meglio dunque sarebbe rivendicare , da parte delle varie corporazioni, altre ben più grantiche virtù, il cui esercizio è meno “carsico”nel nostro paesello, che è tanto bello. Infatti in questa versione dei “Duellanti” non mi pare nessuno dei protagonisti ne faccia una bandiera. Potrebbe stimolare la curiosità della Guardia di Finanza quando non deve dedicare i suoi sforzi intellettuali a distinguere attività motoria e attività sportiva nelle zone rosse e arancioni.
Antonio Arioti, lungi anche da me l’idea di considerare tutte le associazioni come evasori impenitenti: senza l’associazionismo lo sport di base e molte attività per disabili sarebbero pura fantascienza!
Però è un dato di fatto che in molte realtà aprire un’associazione è un ottimo modo per non pagare un euro di tasse alternativo all’apertura della partita iva.
Ci tengo anche a sottolineare che per certe cose non discuto affatto le competenze di una Guida Alpina!
Sono anche io d’accordo che molte figure nascono come alternative alla Guida Alpina e per soli scopi economici. D’altra parte c’e’ un altro tema: oggi una guida alpina difficilmente eccelle in tutte le specialita’ (e ditemi voi se fare rafting o canyoning si accompagna sempre per forza bene con l’aggettivo “alpina”). Tutto sommato le guide comunque coprono bene tutto quello che e’ relativo alla montagna, alpinismo, sci, roccia, ghiaccio, misto ecc. quando si va su aree un po’ piu’ distanti (torrentismo, arrampicata sportiva pura) le cose generalmente cambiano un po’. Come detto in passato, un corso guida a moduli potrebbe non essere una cattiva idea ( esiste?).
Arioti, le associazioni cui mi riferisco sanno benissimo chi sono.
Non faccio di tutta l’erba un fascio. Ciao
Vabbè però non si può fare di tutta l’erba un fascio. Così come esistono associazioni costituite ad hoc per sfangarla allo stesso modo esistono associazioni serie che esercitano senza nessun doppio fine.
Fra l’altro non mi risulta che in altri ambiti esista una figura professionale come quella della guida alpina, avente una sua storia ben precisa derivante anche dal fatto che l’alpinismo non è uno sport. In tante altre attività outdoor e non in cui la componente sportiva è consolidata i percorsi sono stati diversi e oggi lo svolgimento di tali attività avviene in larga misura attraverso le associazioni.
Sono (ovviamente) d’accordo con Cominetti quando si scaglia contro le “finte associazioni” che nascono come funghi al solo scopo di non pagare una lira di tasse.
Ma lì la mia obiezione è di etica civile, non di competenze
Da guida alpina è fin troppo facile dire di essere super d’accordo con quanto scrive Crovella, ma vorrei porre l’accento sul fatto “strisciante” dell’associazionismo a puro scopo di lucro per aggirare leggi che sono evidentemente fallibili. Associazioni Sportive DILETTANTISTICHE che organizzano di tutto per i loro soci. Basta iscriversi et voilà, si è pure costituenti di una forza che serve scopi politici estranei agli associati. Si può dire che il potere campi sull’ignoranza, esattamente come il Volontario del Soccorso Alpino che in totale buona fede (non sempre però) alimenta un sistema di convenienza (assolutamente non sua) parallelo a quello istituzionale (forze armate) e per cui lo Stato impegna energie formative ed economiche.
Ricordo a tutti che i corsi per diventare guida alpina sono aperti a tutti e che frequentarli occorre superare una selezione tutt’altro che facile, che sono molto costosi e che il rischio di bocciature è pure lui molto elevato se non si è preparati a sufficienza. Certo che un corsetto (antiproiettile mi verrebbe da dire…) di un fine settimana o poco più, quando va male, a costo e impegno decisamente “light” per fare le stesse cose che può fare una guida alpina, che invece si spacca il culo per 4 anni investendo soldi, tempo e dovendo pure studiare (s-t-u-d-i-a-r-e ! capito?), è moooolto più allettante e veloce.
Probabilmente se ci fosse stato ai tempi in cui facevo i corsi da guida alpina l’avrei scelto pure io e oggi sarei tra le fila degli ISTRUTTORI dai mille acronimi e patacchette che “lottano” per uscire dall’abusivismo sbandierando persino che l’arrampicata sportiva sbarcherà alle prossime olimpiadi. Ecco, io le olimpiadi le renderei illegali tanto oggi rappresentano l’immagine del fare qualsiasi cosa per ottenere un risultato, meglio se con scorciatoie.
Ma io ho 60 anni e sono una vecchia guida alpina rompicazzo che sinceramente è poco o nulla toccata da queste realtà parallele delle Associazioni. Pensate che sono stato presidente di una e ho scoperto che gli scopi associativi erano nulla se raffrontati con il dovere costantemente aggirare cavilli, regole e leggi con vuoti e roba del genere. Ho chiuso l’Associazione con la nausea verso il sistema e mai più mi vorrò ritrovare laddove invece mandrie di individui sguazzano, ben appoggiati da commercialisti conniventi e lucratori con la bava (nascosta) alla bocca. Ma dai… e avete anche voglia di difendere posizioni così? Io mi vergognerei, ma io sono una vecchia guida rompicazzo, tra un po’ sarò fuori dal giro e allora VIA LIBERA a todos: greggi di pecore alla rincorsa di un posto da cane (cit. la fattoria degli animali di Orwell), non troverete nessuno a mettervi i bastoni tra le ruote, potrete finalmente esercitare la vostra radicata propensione al dribbling. Infatti il calcio va alla grandissima!
Firmate pure, firmate, che il gatto e la volpe dell’associazionismo italiota sono ancora vispi e vegeti e che la vostra firma, completa dei vostri dati, sarà pure utilizzata da mille enti “striscianti” che vi verranno a cercare per milioni motivi e vi romperanno il cazzo ancora più di quelli come me. Benvenuti in “the game”!
Quale possa essere la soluzione migliore non lo so però credo che si potrebbero percorrere due filoni. Il primo, dar vita ad altre figure professionali tutelate da una legge come la 6/89, il secondo, estendere la 6/89 a tutti gli accompagnatori outdoor con percorsi separati, consentendo altresì a chi vuole acquisire competenze da “tuttologo”, facendosi un mazzo tanto e spendendo tanto, di poterlo fare.
Personalmente non ho nulla contro le guide alpine. Intendiamoci NON ne ho mai assoldata una in vita mia, perché preferisco fare le gite per conto mio: piuttosto che fare un “vione” grazie alla guida (ovviamente retribuita), ho sempre preferito ridurre l’impegno e magare andarmi a fare una via di III grado, se quello era il mio livello del momento in termini di “autonomia alpinistica” (parlo di roccia, ma il concetto va modulato a tutto quello che concerne la montagna, dallo sci al canyoning). Ho sempre pensato così. Tuttavia ho sempre rispettato le guide alpine, che sono gli unici professionisti riconosciuti per legge. Non credo che gli istruttori del CAI facciano concorrenza alle guide. O, meglio, non fanno concorrenza (alle guide) gli istruttori del CAI di un certo tipo., quelli che davvero svolgono attività di formazione in modo volontaristico e non retribuito (neppure in forme striscianti). A me piace “insegnare” ad andare in montagna e viceversa non ho l’obiettivo di “portare” in montagna degli altri in qualità di esperto. Ora però ci sono molte istituzioni che magari agiscono fuori dal CAI e si fanno pagare dai clienti. La confusione, che forse c’è sempre stata, è esplosa (come gran parte dei problemi inerenti al mondo della montagna) negli ultimi 20 anni circa (anno più, anno meno). C’è un fiorire di “para” scuole indipendenti (extra CAI) che giocano sull’equivoco fra “insegnare” e “accompagnare”. Incontrai il fenomeno molto prima del 2000 nel mondo del rafting (gommoni per torrenti di acqua mossa) dove appunto organizzazioni indipendenti offrivano a pagamento la discesa in gommone (condotto da un esperto) e la propinavano come uscita per imparare a fare rafting. Quando per arrivare a saper portare un gommone ci vuole ben più di una uscita. E’ da lì, tra l’altro, che si origina la mia avversione per queste iniziative “usa e getta” (popi proliferate a macchia d’olio in tutte le discipline): i clienti arrivano “nudi e crudi” alla sede della para-scuola, li vestono di tutto punto, li “accompagnano”, li riportano alla base, dove i clienti si ricambiano poi pagano e chi s’è visto s’è visto. Ma questo è un altro risvolto, ci porta fuori strada. Dicevo che il fenomeno ha ormai invaso a macchia d’olio ogni attività che si svolge in montagna, da quelle più recenti come la MTB (ora in versione “e”) a quelle tradizionali come scialpinismo e arrampicata. In tutte le versioni c’è il tarlo di fondo, cioè l’equivoco fra “insegnare” (cha include l’attività didattica aperta anche ai non professionisti) e “accompagnare” (che, in ogni discipline, dovrebbe essere riservata solo alle guide vere e proprie). Io ritengo che si debba chiarire definitivamente tale nodo ideologico: è questo il punto chiave. L’aspetto formativo (cioè l’attività delle scuole) può ANCHE esser svolto da istruttori non professionisiti, come la stragrande maggioranza degli istruttori CAI. Laddove c’è invece la predominanza dell’elemento “accompagnare”, che presuppone una remunerazione economica per l’attività svolta, l’attività è riservata alle sole guide. Attenzione all’applicazione concreta del termine accompagnare: non è solo “portare in vetta+riportare a valle sano e salvo”, ma può anche essere far arrampicare i clienti su monotori in moulinette, oppure condurre un’allegra compagnia a fare il giro del lago in ciaspole (con terreno innevato, ovviamente). La discriminante operativa all’atto pratico è il passaggio o meno di denaro. Solo le guide potrebbero riceverlo, a prescindere poi che facciano esclusivamente “accompagnamento” o anche “formazione”. Gli istruttori CAI non dovrebbero ricevere neppure i rimborsi spese (nemmeno sotto forma di viaggio gratis in pullman o pernottamento gratuito in rifugio… meno0 che mai sotto forma di veri e propri pagamenti, pur con la dicitura “rimborso spese”), perché in quella zona grigia dei rimborsi spese convergono forme indirette di remunerazione. Anzi io ricordo benissimo che, nella nostra scuola di scialpinismo, non solo gli istruttori NON ricevevano i rimborsi (neppure sotto forma di viaggio gratis e rifugio gratis…), ma pagavano per intero le loro quote come qualsiasi altro partecipante all’uscita. Se uno è davvero motivato a insegnare per amore dell’insegnamento (o per una forma di filantropia…) lo fa anche se deve pagarsi la gita, come se andasse a fare una gita con amici. Verifico purtroppo che le giovani generazioni di istruttori CAI danno per scontato che ci siano i rimborsi spese e sono sorpresi quando io propongo la loro abolizione. Sono invece convinto che il ritorno a forme draconiane di totale assenza di remunerazione per gli istruttori CAI, anche strisciante sotto forma di rimborsi e sconti, farebbe chiarezza fra istruttori CAI e guide (le uniche legittimate a farsi pagare). Perderemo molti istruttori CAI, disincentivati dall’assenza di rimborsi spese? Sapete che vi dico: maglio! Via le mezze misure che fanno solo confusione e generano polemiche e attriti con le guide. Fin qui, cioè a livello di rapporti istruttori CAI-guide, la situazione si gestirebbe facilmente, se solo si accettasse quanto ho suggerito. C’è però l’area intermedia, quella di attività autonome, indipendenti da CAI, che si propongono obiettivi di reddito senza però essere guide. So che sto per dire una cosa “antipatica”, ma è il mio pensiero e lo avanzo in termini di contributo al dibattito. Questa area intermedia non ha senso di esistere. Non è un caso che le azioni legali siano sistematicamente respinte. Le legge quadro sulle guide è molto chiara: solo queste ultime sono legittimate a svolgere attività professionale e possono richiedere un compenso per la stessa. Ognialtra figura è “abusiva”, inutile che ci giriamo intorno. Tutti gli equivoci innescati (quello fra “attività didattica” e “attività di accompagnamento”, quello fra remunerazione esplicita della guide e rimborsi spese, spesso striscianti…) sono solo dei tentativi tipicamente italici di aggirare i paletti di legge. A mio modesto parere tutte queste attività andrebbero smantellate. Resterebbero solo gli istruttori CAI, intesi come puri dilettanti che non solo non percepiscono denaro, ma che pagano le loro spese di gita come se facessero una gita con amici (dividendo le relative spese). Comprendo l’aspirazione dei tanti appassionati di arrampicata, di MTB, di scialpinismo, di rafting ecc, ma essi non possono fare della loro passione un lavoro, a meno di prendere il brevetto di guida alpina. Se si mette al centro questo “banale” concetto, tutto il resto si chiarisce in un battibaleno.
La professione di Guida alpina rientra tra le professioni concettuali (se non ricordo male), come quella di Avvocato, Medico, ecc.
Concettuale ignifica che la prestazione va retribuita comunque, che non è connessa al risultato.
Affinché tutto ciò sussista c’è una legge che necessariamente implica il divieto della creazione di professioni parallele alle esistenti.
Una categoria ha il dovere di difendere se stessa, di far valere ciò che la legge le consente.
Certamente qualunque categoria cesserà di denuciare ufficialmente presunti abusivismi qualora una nuova legge le togliesse lo status precedente.
Che la politica estera delle Guide e i suoi vertici possano essere criticabili, non cambia di un punto la questione.
Che nuove ragioni, assenti al momento della promulgazione della legge in essere, siano da considerare, nuovamente non sposta il problema.
Sarà il legislatore sollecitato dai nuovi interessi il solo a poter modificare la stato attuale.
Il piano di conagai, ormai in atto da anni, è generale: sfiancare chiunque lavori LEGALMENTE all’aperto con procedimenti che portino al logoramento psicologico e, a volte, economico in modo da avere il monopolio del mondo professionale outdoor.
Poco importa se ad oggi TUTTE le cause contro le GAE siano state perse. Se è chiaro allo stesso conagai che, anche se queste proposte di legge passassero, basterebbe un ricorso per farle riconoscere illegittime. Il piano è rompere e far capire che sì continuerà a rompere in eterno, in modo da “sfiancare” il nemico e abbatterlo per lungo e lento logoramento… nemici che peraltro non hanno mai avuto nessuna intenzione di “sconfinare” nelle competenze delle Guide Alpine (peraltro spesso allibite se non apertamente contrarie a questo comportamento del loro collegio).
Credo che solo con le spese legali pagate a seguito dei procedimenti persi in questi anni conagai avrebbe potuto integrare il reddito dei suoi iscritti di 200€ al mese…
Da 13 anni nel mio comune ai limiti dei 10mila , stranamente in periodo pre elettorale hanno annunciato piu’ volte attrezzaggio di parete di arrampicata indoor entro una palestra, con zona messa in progetto.Ora la palestra con muro e’ stata terminata.Gli eventuali gestori prima annunciano , poi si ritirano spauriti dopo la lettura delle norme e delle contese come in articolo. Finalmente 2 anni fa apparve una muraglietta alta 2.5 metri lunga 4 nel parco giochi, per rudimenti di arrampicata boulder adatta a ragazzi, perfettamente attrezzata , con base rivestita di piastre molto spesse in truciolato di gomma riciclata da copertoni.Libero accesso entro orario mai comunicato, a capoccia di un sonnolento addetto che toglie catena e lucchetto al cancello.. Poi il cancello del parco si chiude da piu’di un anno causa norme anti covid .Gli appigli dovrebbero essere disinfettati,..ci si alita o starnutisce sopra…non e’da farsi. Gia’ in periodo di accesso consentito alcuni appigli a conca, nel frattempo, si sono riempiti di acqua piovana a piu’riprese e quindi dentro si e’ formata una mucillagine collosa puzzolente.Un qualche Gran Architetto si e’ preoccupato di decorazioni dipinte sul muro di cemento ma non gli e’venuto in mente di una tettoia riparatrice soprastante la palestrina boulder,l’ansia per l’ estetica domina sulla praticita’. Qualche appoggio e’stato svitato . Morale: soldi buttati, ai fini solo del taglio del nastro con banda musicale…e sviolinamento su stampa amica. Foto pure su rivista di architettura con premio del design.L’uso e’superfluo…importante aver avuto le fatture pagate.. .ed i voti.