Amelia Blandford Edwards

Amelia Blandford Edwards, l’egittologa
di Paolo Francesco Zatta
(tratto da Michele Bettega, la prima guida alpina delle Dolomiti del Primiero, di Paolo Francesco Zatta, CIERRE Edizioni, 2020)

Nel 1871, un decennio dopo l’arrivo in Primiero di Josiah Gilbert e George Cheetham Churchill e a qualche anno di distanza dalla visita di White, vi giunse anche Amelia Edwards (Londra, 1831 – Somerset, Weston-super-Mare, 1892), scrittrice, giornalista e appassionata di egittologia. Amelia era uno spirito libero e per certi aspetti spregiudicato, ma anche donna di fascino intrigante e complesso, coraggiosa e di grande carattere.

Amelia Blandford Edwards

Thomas, il padre di Amelia, prima di diventare un banchiere nella City di Londra, aveva prestato servizio come ufficiale al seguito di Arthur Wellesley I, duca di Wellington, il grande avversario di Napoleone e vincitore dell’epica battaglia di Waterloo. Dalla madre Alida, un’intellettuale sensibile e orgogliosa delle sue origini irlandesi, Amelia ricevette un’ottima educazione. Fin da giovane la fanciulla dimostrò talento in varie espressioni artistiche come la scrittura e il disegno, e una vera passione per l’organo. Precocemente, a sette anni, Amelia scrisse il suo primo poemetto, e a dodici il suo primo racconto. Fin da giovane amava molto viaggiare e trascorrere le estati sulle verdi colline d’Irlanda, passeggiando con la madre e interessandosi alle rovine archeologiche. A trent’anni Amelia fu travolta dalla tragedia familiare che in pochi mesi la privò di entrambi i genitori. Forse pressata dagli eventi e senza grande entusiasmo, convolò a nozze con un gentiluomo che certo non amava. Dopo un breve periodo di vita coniugale Amelia si riappropriò della sua libertà e, tornata single, condusse una vita indipendente da benestante (1).

Come scrittrice Amelia pubblicò poesie e racconti, mentre come giornalista collaborò con vari giornali come «Chambers’s Edinburgh Journal» e «Household Words», «Ali thè Year Round», questi ultimi editi da Charles Dickens. Collaborò quindi con alcuni quotidiani londinesi come «Saturday Review», scrivendo di politica, letteratura, scienza e arte e con il conservatore «Morning Post», occupandosi di cronaca, da quella parlamentare alla cronaca nera.

Nel 1855 la Edwards pubblicò il suo primo romanzo, My Brothers Wife: a life history, che ebbe un buon successo, ma fu tuttavia con Barbara’s History del 1864, che trattava di bigamia, che il successo letterario di Amelia si consolidò definitivamente. Il suo ultimo romanzo dal titolo Lord Brackenbury (1880), ambientato nel XV secolo, ebbe ben quindici edizioni. Il clima vittoriano in cui viveva Amelia le ispirò anche storie di fantasmi come The Phantom Coach (1864).

Affascinata fin da fanciulla dall’archeologia, nell’inverno 1873-74, accompagnata da alcuni amici e dalla sua più che amica Lucy Renshaw – una donna ricca e single – partì alla volta dell’Egitto per visitare vari luoghi di questa terra affascinante. Durante il soggiorno nella terra dei faraoni la Edwards scrisse il romanzo A Thousand Miles up the Nile. A woman’s journey among the treasures of Ancient Egypt, che venne pubblicato a New York nel 1877. Il libro ebbe un discreto successo di pubblico, ma venne snobbato dal mondo accademico (2). Tornata in Inghilterra, la Edwards divenne una preziosa sostenitrice della conservazione dei beni culturali egiziani, patrocinando studi e ricerche, tanto che decise di abbandonare le sue attività letterarie per impegnarsi a tempo pieno in questo campo, collaborando con alcuni suoi scritti di archeologia egizia alla IX edizione dell’Enciclopedia Britannica. Nel 1882 Amelia fondò la Egypt Exploration Fund (3), la più antica società del Regno Unito nel campo dell’egittologia, assieme all’archeologo Reginald Stuart Poole, conservatore del British Museum, e all’egittologo Sir Erasmus Wilson.

L’anno prima del suo viaggio in Egitto (1872) la Edwards decise di concedersi un viaggio nelle Dolomiti assieme a Lucy Renshaw e ad una collaboratrice. Per Amelia fu un viaggio davvero importante del quale rimarrà il ricordo tangibile nel libro: Untrodden peaks and unfrequented valleys. A midsummer ramble in the Dolomites (4). La sua amica Lucy nel libro verrà menzionata solo con le iniziali L.R., quasi a proteggerla con un pudico velo vittoriano.

II viaggio della Edwards nelle Dolomiti aveva uno scopo puramente culturale: conoscere la storia, le scienze naturali, la geografia e gli aspetti antropologici.

Per giungere in Primiero da Gosaldo la Edwards dovette valicare il passo Cereda: un percorso che, dalle informazioni avute dai locali, sarebbe dovuto durare circa due ore e mezza disponendo «di una buona cavalcatura». Le strade erano alquanto difficili da percorrere e le sorprese di certo non mancavano. La Edwards ebbe l’impressione di trovarsi in un luogo senza tempo:

Nel 1872, Primiero era ancora inaccessibile ai carriaggi; allora non vi era traccia di strada carreggiabile in tutta la vallata. Qualunque fosse la meta di un viaggiatore, non si potevano percorrere che pochi chilometri in vettura per poi impugnare l’alpenstock o montare in sella. Ogni comunicazione col mondo esterno era impedita da una barriera di passi, ognuno dei quali praticabile coi muli, ma nessuno valicabile nemmeno con un carrettino (5)”.

Giunta a Fiera la Edwards prese alloggio all’immancabile Aquila Nera della famiglia Bonetti, che aveva ormai raggiunto una certa fama per la buona accoglienza. Benché a Fiera le locande fossero più d’una, l’Aquila Nera rimaneva la locanda più raccomandata, specie dopo l’amara esperienza vissuta dalle coppie Gilbert e Churchill (6).

Per l’Aquila Nera transitarono non solo personaggi illustri del turismo alpino, ma anche persone meno famose, ma non per questo meno importanti per l’economia del territorio: negozianti, mercanti, ma anche cartografi militari e altri ancora. Nella locanda del Bonetti la Edwards trovò un’accoglienza davvero cordiale, sebbene l’entrata dell’albergo fosse un po’ squallida: «Un semplice porticato che conduce alla stalla delle capre…». La signora inglese, abituata a un mondo ben diverso, frequentatrice di ambienti esclusivi, fu sorpresa tuttavia che alla modestia esteriore corrispondesse un’estrema cortesia da parte degli albergatori. Tutto sommato, per quello che si pagava, per l’eccellente ospitalità e la buona cucina non ci si poteva certo lamentare:

Se il servizio in queste case non sarà mai di prima categoria, una calorosa familiarità vi verrà in soccorso in qualunque momento e per qualunque necessità […]. E la madre di famiglia che di solito provvede a cucinare per gli ospiti, mentre il padre accudisce gli animali nelle stalle e i figli e le figlie servono in tavola: ognuno svolge un suo compito particolare, ma tutti insieme si preoccupano del benessere del viaggiatore rendendogli confortevole il soggiorno nella loro casa (7)”..

Non mancarono anche momenti di disappunto nell’osservare il comportamento scorretto di alcuni suoi connazionali:

Ho visto con i miei occhi la signora [la locandiera] offesa fino alle lacrime dal contegno dei componenti di una comitiva di inglesi che tenevano sotto chiave i loro averi e, ogni volta che uscivano, chiudevano a chiave la porta. Le stesse persone, al momento di partire, ebbero la sfrontatezza di discutere ogni voce del conto. Le antiche famiglie di albergatori preferiranno tenere chiuse le loro case a ospiti non graditi e troppo presto accadrà che qualche gruppo di speculatori, probabilmente svizzeri, occuperanno il terreno, e in queste tranquille vallate, sorgeranno nuovi alberghi moderni e lussuosi ma, senza dubbio, privi di calore umano (8)”.

Fiera, seppur nella modestia del quotidiano, mostrava anche qualche segno di semplice eleganza:

Primiero è molto pulita, gaia e pittoresca. La vita a Primiero ancora nel 1862 era quasi primitiva nel suo invidiabile isolamento. Ora [1872] la vita della cittadina non ha più l’aspetto arcadico di un tempo quando di notte, una lanterna ad olio luccicava nel buio alla porta delle case e la brava gente usciva nelle vie, ancora sconnesse, portando seco una piccola, fioca lampada (9)”..

Alcune abitazioni del villaggio erano impreziosite con balconi in ferro battuto di quell’eleganza che era stata notata anche da Walter White. Attenta ai dettagli e alle piccole curiosità, la Edwards notò persine la bellezza del battente metallico di una porta, con la forma elegantemente elaborata di mano, frutto di un pregevole lavoro di artigianato («exquisite workmanship»).

Per dare un riscontro temporale, quando la Edwards giunse in Primiero Michele Bettega aveva circa vent’anni e stava al servizio dai Ben.

Il primo giorno trascorso dalla Edwards a Fiera cadde di domenica. Le campane cominciarono a suonare a stormo prima delle cinque del mattino e continuarono a suonare ininterrottamente fino alle dieci. Le strade erano affollate di paesani vestiti a festa. Nella piazza davanti alla pieve c’era un’atmosfera di allegria. Gruppi di contadine offrivano in vendita cesti colmi di ciliegie rosse, piccole pere dorate e verde lattuga. Gli uomini vestivano gli abiti tradizionali: pantaloni lunghi fino al ginocchio, calzettoni bianchi, cappelli di feltro a forma conica ornati da fiori e piume, e giacche gettate sulle spalle come fossero mantelli. Alcuni uomini cingevano attorno alla vita una fascia di color cremisi, la tradizionale fusciacca. Le donne, tutte prese a chiacchierare tra di loro con voci squillanti, portavano in testa dei foulard bianchi annodati dietro la nuca e i capelli, tagliati a frangetta, ricadevano sulla fronte alla moda Sévigné (10).

Gettando uno sguardo oltre la porta della Pieve, dove si stava celebrando la messa, alla Edwards apparve un mare di fazzoletti bianchi che copriva le teste delle donne e riempiva l’intero spazio del tempio. Una scena che ricordava qualcosa di già osservato nella cappella delle beghine di Bruges. Durante la visita alla Pieve, la Edwards ebbe modo di incontrare un giovane prete dall’aria distinta, il quale si offrì di descriverle la chiesa, che nella sua solennità dava un’impressione cupa («gloomy church»). Il prete sembrava felice di poter mostrare i tesori della Pieve, in particolare il prezioso ostensorio d’argento, capolavoro del XV secolo, che veniva mostrato con orgoglio a tutti i turisti stranieri. Il gradevole e istruttivo incontro col prete terminò con una mezza benedizione: «Viaggio sano. Buon divertimento e salute» (11).

La Edwards ebbe pure modo di incontrare alcuni noti personaggi locali, come il signor Luigi Sartori, nobile di Montecroce, accorto operatore economico, pioniere dell’apicoltura e buon divulgatore (12). Amelia Edwards fece pure la conoscenza del farmacista Antonio Prospero (13), un personaggio curioso, grande ammiratore della cultura anglosassone, il quale ogni volta che pronunciava i nomi di John Ball e di Lesly Stephen, in segno di rispetto, faceva tanto di cappello.

Visitando la Val Canali la Edwards rimase colpita dalla bellezza del luogo («Which is undoutebly the great site of Primiero») e vide la casa estiva del conte Welsperg, una curiosità che i foresti non mancavano di visitare, ma non ne fu particolarmente colpita se non per la posizione dov’era collocata: «una modesta casa bianca, circondata da capannoni e fabbricati agricoli» (14).

Erano questi i tempi in cui il Primiero si stava lentamente svegliando da un secolare torpore, quando nell’Agordino e nell’Ampezzano era stata ormai avviata una buona attività turistico-alpinistica.

Amelia Edwards

Note
1. Amanda Adams, Ladies of the Field. Early Women Archaeologists and Their Searchfor Adventure, Greystone Books, Vancouver-Toronto-Berkeley 2010.

2. Joan Rees, Amelia Edwards. Traveller, Novelist and Egyptologist, Rubicon Press, London 1998.

3. Dopo la Prima guerra mondiale l’Egypt Exploration Fund cambiò nome nell’attuale Egypt Exploration Society.

4. Amelia Blandford Edwards, Untrodden peaks and unfrequented valleys. A midsummer ramble in the Dolomites, Longmans, Green & Co, London 1873. Trad. it.: Cime Inviolate e valli sconosciute. Vagabondaggi di mezza estate nelle Dolomiti 1872, Nuovi Sentieri, Falcade 1991.

5. Ivi.

6. Nel 1895 la famiglia Bonetti ebbe a dividersi: Antonio venne a gestire l’albergo-ospizio che poi divenne l’albergo Rosetta di San Martino, mentre il fratello Leopoldo rimase all’Aquila Nera di Fiera fino al 1921, quando gli subentrò il figlio Ermanno, che fu anche primo podestà di Fiera diventata italiana.

7. Amelia Blandford Edwards, Untrodden peaks and unfrequented valleys,.., cit., p. 173.

8. Ivi, p. 174.

9. Ivi (ed. 1890), p. 258.

10. Madame de Sévigné (Parigi, 1626 – Grignan, 1696), scrittrice e personaggio ricercato nel mondo della moda.

11. Amelia Blandford Edwards, Untrodden peaks and unfrequented valleys…, cit., p. 262.

12. Luigi Sartori (Fiera di Primiero, 1834 – Milano, 1921) fu un innovatore dell’apicoltura di livello internazionale. Per la sua perizia fu nominato socio straordinario della Società apistica prussiana di Potsdam dopo che aveva spedito all’imperatore Francesco Giuseppe nel 1863 dei favi con le iniziali del sovrano. L’imperatore ricambiò l’omaggio con una spilla preziosa, che rappresentava un’ape, simbolo di diligenza e laboriosità. Cfr. https://cultura.primiero.tn.it/luigi-sartori, cons. il 7.7.2020.

13. Antonio Prospero era figlio dell’oste Battista, detto Marchet da Zorzoi, e di Apollonia Pradel. Contemporaneo di Luigi Negrelli, condivise con questi gli studi nel collegio vescovile di Feltre. Appassionato di scienze naturali e di chimica, autodidatta, farmacista, scrittore e poeta, fu borgomastro di Fiera. Sposò Federica Sartori, grazie alla quale raggiunse un buon livello economico. Della grande casa che possedeva all’entrata di Fiera, nel testamento legò alla comunità di Primiero due locali per farne un centro di lettura, con tutti i suoi libri, il medagliere e la somma di cinquecento fiorini. Il Prospero era pure proprietario della Stala granda, a Molaren di Mezzano, con circa 7-8 ettari, valutata alla sua morte, avvenuta il 3 gennaio 1873, 7458,33 fiorini.
Nella Stala granda sperimentava coltivazioni agricole utili per i contadini della valle: promosse la razionalizzazione della cultura agraria e della pastorizia e come filantropo aiutò molto i bisognosi. Morto al tavolo di lavoro, assegnò ai preposti comunali duemila fiorini «per l’istituzione in perpetuo di un insegnante di disegno, di architettura, di agricoltura, per istruire i nostri contadini ed artigiani, e renderli capaci nelle varie professioni, particolarmente i muratori e falegnami». Cfr. https://www.radioprimiero.it/almanacco/3-gennaio.html, cons. il 6.7.2020.

14. Amelia Edwards si spense il 15 aprile 1892 a Weston-super-Mare, vittima di cancro al seno. Fu sepolta nel cimitero della chiesa di St Mary, Henbury, Bristol e la sua tomba è segnata da un obelisco alla cui base si trova un ankh di pietra: una croce decussata. La tomba si trova accanto a quella della compagna Ellen Drew Braysher e della figlia di questa, Sarah Harriet Braysher, con le quali aveva vissuto a Westbury-on-Trym. Nel settembre 2016 l’Historic England, organo direttivo per i siti protetti, designò la tomba della Edwards come un punto di riferimento nella storia del movimento Lgbt inglese. La Edwards lasciò in eredità la sua collezione di antichità egiziane e la sua biblioteca all’University College di Londra, assieme a una somma di 2500 sterline per istituire una cattedra di Egittologia intitolata al suo nome. Nel 2012, la Edwards venne interpretata, come personaggio non cantante, nell’Aida prodotta da Stephen Medcalf al Royal Albert Hall di Londra. Il libretto è basato su uno scenario ideato dall’egittologo Auguste Mariette, contemporaneo della Edwards. Nel 2014, l’Ensemble Alarm Will Sound ha messo in scena un musical, dal titolo: I Was Here I Was I, basato sul romanzo della Edwards A Thousand Miles Up the Nile al Metropolitan Museum of Arts, dove dal 1978 fu collocato il Tempio di Dendur. Il lavoro era stato scritto e diretto da Nigel Maister, con musiche di Kate Soper.

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Amelia Blandford Edwards ultima modifica: 2022-11-12T05:35:00+01:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “Amelia Blandford Edwards”

  1. La lettura del libro della Edwards è fresca e interessante, ci racconta un mondo che finì pian piano dopo la sua visita, e proprio a causa dell’interesse che sollevò. In tutto il libro si intravede un rapporto fra le due viaggiatrici dal quale nasce una curiosità che sempre si affaccia e sempre viene ricacciata nel mondo delle ombre

  2. Storie da conoscere, concordo. Storie di grandi e coraggiose donne che hanno saputo ben utilizzare le proprie risorse economiche.
    Mi viene da pensare che solo essendo benestanti, autosufficienti e indipendenti, quelle donne lo hanno potuto fare.
    Chissà quante, invece, pur avendone le capacità e il desiderio, sono vissute prigioniere di un mondo maschilista che ha soffocato ogni loro legittima aspirazione.
    Per fortuna i tempi sono cambiati. Ma c’ è ancora molto da lavorare, e le donne dovranno ancora combattere per un riconoscimento completo e accettato da parte del genere maschile. Solo così potranno camminare accanto serenamente. 

  3. Racconti che fanno venire i brividi…
    Da quando lessi Dolomites Mountains di Churchill iniziai a vedere con gli occhi di allora le valli dove vivo. Quando andare da Cortina a Livinallongo (oggi ci vuole poco più di mezz’ora d’auto) richiedeva almeno 2 giorni perché i cavalli affondavano nelle paludi onnipresenti sui versanti del Passo Falzarego.
    Sulle orme di pionieri come quelli del racconto si sono mossi gli alpinisti e quindi le prime guide alpine. Storie da conoscere.
     

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