Ancora Bonatti!?!

Oggi, 12 settembre 2020, esce in edicola il volume Walter Bonatti. Lo si può comprare assieme al Corriere della Sera o alla Gazzetta dello Sport. L’autore è Alessandro Gogna (NdR).

“E perché l’esame della nostra vita possa giovare, bisogna ricorrere a una condizione difficile da raggiungere, a metà strada fra la cieca simpatia di se stessi e il proprio disprezzo, tra la presunzione di essere utile a qualcuno e il timore sottile e doloroso di non esserlo (Walter Bonatti, I giorni grandi)”.

“Ancora libri su Bonatti??? No!” questa è stata la mia prima reazione qualche mese fa quando ho letto l’articolo sul Corriere della Sera a sostegno dell’iniziativa di proporre, a ritmo settimanale, una sfilza di 16 volumi, che si potevano ritirare in edicola dal 20 settembre 2019 fino al 26 dicembre 2019.

Bonatti ci ha accompagnato per tutti questi decenni. Più che accompagnati, è stato letteralmente intrusivo. Suo malgrado, ovviamente. Ma non c’era giornale, TG, magazine che non riportasse qualcosa di Bonatti, le sue battaglie, le sue imprese, le tragedie in cui si è trovato immischiato.

Per quelli della mia generazione, Bonatti è stato un costante compagno di giornata. La querelle sul K2 lo ha “costretto”, per decenni, a tener banco con prese di posizioni molto veementi. Le sue vie sono state un mito, un sogno, una frustrazione per molti di noi.

Mi pare di aver già raccontato che, quando avevo 15 anni circa, mio padre mi lasciò sulla mia scrivania due libri. Era un silenzioso invito a leggerli. Si trattava di Scalate nelle Alpi di Giusto Gervasutti e de I giorni grandi di Walter Bonatti.

Mi buttai come un falco sul libro di Gervasutti. Il Fortissimo diventò (e resta tuttora) il riferimento ideale per la mia visione della montagna. Non so dire con precisione perché preferii leggere subito Gervasutti: probabilmente perché su di lui, allora scomparso da circa 30 anni, aleggiava un’aura di leggenda. Si sapeva relativamente poco del Fortissimo, della sua vita personale intendo, e questo alimentava il mito agli occhi di un ragazzino come me.

Da sinistra, Walter Bonatti, Umberto Crovella e Carlo Crovella, metà anni ’70. Archivio: Carlo Crovella.

Bonatti invece era la quotidianità: accendevi la TV e le lo trovavi intervistato o che raccontava del suo ultimo viaggio. Ho impiegato alcuni anni, circa un decennio, per recuperare l’importanza esistenziale di Bonatti. Dei suoi libri, più che Le mie montagne, mi ha sempre preso di più I giorni grandi: una frase, apparentemente dispersa in un tratto non di prioritaria importanza, è diventata per me una legge di vita, fino a porla come epigrafe in un capitolo di un mio romanzo. La frase, ovviamente, è la stessa che si trova all’inizio di queste riflessioni.

Bonatti è stato invadente, suo malgrado: di lui si conosce tutto, compresi i risvolti un poco oscuri della sua esistenza. Che bisogno c’è, allora, di riproporre una collana di 16 volumi?

A prima vista il motivo è prettamente tecnico: qualche tempo dopo la sua scomparsa, l’Archivio Bonatti è stato affidato al Museo Nazionale della Montagna. Alcuni amici hanno potuto rimettere ordine alla “montagna” di materiale (scritti, foto, documenti vari) e quindi sono emersi anche elementi inediti.

In realtà, riflettendo, c’è un altro fattore che mi ha colpito. E’ vero che sappiamo tutto (o quasi) di Bonatti, ma questo vale per noi, cioè per noi che le montagne le bazzichiamo da decenni. Siamo noi che abbiamo avuto la nostra esistenza invasa da Bonatti.

In realtà c’è almeno una generazione, se non due, di alpinisti, più giovani di noi, che di Bonatti sanno poco o niente. Per loro Bonatti è un mito dai contorni indefiniti, un po’ come, all’inizio, era Gervasutti per me.

Ecco quindi che riproporre una serie di libri su Bonatti serve anche e soprattutto per farlo conoscere a chi frequenta oggi le montagne e magari ripete le sue vie, magari senza rendersi conto di cosa hanno rappresentato nel passato (Carlo Crovella).

La sfida infinita di Walter Bonatti
(Un sognatore con i piedi per terra)
di Lorenzo Cremonesi
(pubblicato sul Corriere della Sera del 13 settembre 2019)

Alpinista estremo e audace esploratore, sorretto da una volontà di ferro Carattere scontroso, più forte di ogni avversità, si sentiva in lotta col mondo.

Walter Bonatti, ancora lui. Per quali motivi il suo fascino non smette di ammaliare e anzi tende a crescere a soli otto anni dalla morte? Già molto giovane, è stato l’eroe da imitare della sua generazione alpinistica per almeno un ventennio a partire dalla prima metà degli anni Cinquanta. Era il solitario contro tutti, così almeno vuole la leggenda, da lui coltivata con determinata perizia.

Un ragazzo semplice, nato nel 1930 da una famiglia poverissima del monzese, ma che con la sola forza di volontà e del suo corpo forgiato a suon di ginnastica e camminate interminabili seppe farsi notare, sino a venir scelto per la spedizione italiana al K2 nel 1954. Fu il momento di svolta. La polemica aperta con Ardito Desio, Lino Lacedelli e Achille Compagnoni sulle responsabilità che gli costarono una terribile notte trascorsa nel ghiaccio con un portatore pachistano a 8200 metri di quota, la diatriba sulle bombole dell’ossigeno (venne falsamente accusato di averle utilizzate), a soli 24 anni lo catapultarono all’attenzione delle cronache italiane e internazionali. Più tardi avrebbe ammesso che le più difficili salite al Capucin, sulle Grandes Jorasses e le imprese extraeuropee, destinate per lunghi anni a incoronarlo «più grande alpinista del suo tempo», derivarono anche dalla rabbia, dallo spirito di rivalsa contro quell’ingiustizia originaria, su cui scrisse libri, tenne conferenze, si scontrò aspramente con il Club Alpino Italiano.

Tutti questi però sono fatti noti. Da tempo il CAI gli ha ufficialmente dato ragione. E lo stesso Lacedelli in occasione del cinquantesimo del K2 non solo gli chiese «scusa», ma cercò inutilmente un abbraccio «riconciliatore». «Bonatti però si è chiuso in un mutismo aspro. Non ne ha voluto sapere», disse Lacedelli al Corriere, raggiungendo nel luglio 2004 i 5000 metri del campo base al ghiacciaio Concordia per dare un’ultima occhiata allo Sperone del Duca degli Abruzzi su cui si dipana la via che percorsero per raggiungere la cima del K2, la «nostra montagna».

Un uomo duro, con se stesso e gli altri. A tratti felice, vincente, amato e rispettato, ma anche scontroso, in lotta col mondo, in un continuo susseguirsi di fortune e cadute. Come per il famoso capitolo della tragedia al Pilone Centrale del Monte Bianco, quando vide morire tra gli altri compagni di cordata Andrea Oggioni, amico fraterno sin dalle prime volte che aveva messo le mani sulla roccia.

Eppure, non sono solo questi eventi a spiegare il mito Bonatti. Per comprenderlo appieno si rivelano indispensabili i 16 volumi in uscita da oggi con il Corriere. Raccolgono in oltre 2.000 pagine complessive e circa 1.500 foto (di cui almeno 200 inedite) il trentennio cruciale delle attività di Bonatti, di cui il periodo 1948-1965 da alpinista a tempo pieno, quindi sino al 1978 nella veste di «inviato-esploratore» per Epoca nelle bellezze naturali degli angoli più remoti. «Grazie agli archivi aperti per noi dal Museo della Montagna di Torino, ho potuto mettere assieme tutti gli scritti e le foto di Walter. Dai diari e dalle prime relazioni delle sue salite in Grigna negli anni Quaranta, ai libri, gli articoli, le interviste, i reportage giornalistici», spiega il curatore, Angelo Ponta.

Ne esce una storia affascinante, che per molti aspetti racconta l’Italia povera del dopoguerra. Vi si ammira il coraggio di coloro che allora si arrampicavano con la corda di canapa, e chi andava da primo doveva valutare che in caso di caduta non avrebbe quasi avuto scampo. Con i criteri alpinistici di oggi, l’evoluzione dei materiali e l’ossessione per la sicurezza, i rocciatori di allora possono apparire dei pazzi suicidi.

Bonatti qui è uno di noi. O meglio, ci dice che tutti noi possiamo farcela, se solo vogliamo e siamo pronti a pagare il prezzo dei nostri successi e insuccessi. Il suo percorso ci indica la strada. Non ha un soldo, lavora in fabbrica, tutto ciò che possiede lo costruisce da solo dal nulla, senza sconti, senza protezioni. Lui rischia, sempre. Ma lo fa in modo accorto, intelligente. È un sognatore, però con i piedi per terra. Quando parte per la grande traversata delle Alpi di sci alpinismo, in pieno inverno, è ancora relativamente sconosciuto, ma trova sponsor e vende le sue fotografie.

La montagna è uno sport senza regole, lui inventa le sue personali e ne fa la sua professione a tempo pieno.

Ha il dono di riuscire a vivere giocando, trasformando la sua passione in fonte di reddito. Ha il senso del limite. I media di tutto il mondo seguono e raccontano la sua salita in solitaria invernale sulla parete nord del Cervino nel 1965. Subito dopo lascia l’alpinismo estremo: ha solo 35 anni.

Da allora fa l’esploratore, scende il fiume Yukon in canoa, percorre le foreste dell’Amazzonia, cammina coi pigmei in Namibia. Tuttavia non vince sempre. Anzi, nella seconda metà degli anni Settanta Epoca non vuole più i suoi reportage, sono fuori tempo. Ma anche i suoi fallimenti contribuiscono al mito. Bonatti è un forte che talvolta perde. Suo malgrado non ce la fa, quindi paga di persona. Si isola, si arrabbia, litiga. E ciò lo rende più umano.

Il piano dell’opera
Esce oggi (13 settembre 2019, NdR) in edicola con il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport, al prezzo di € 9,90 più il costo del quotidiano, il volume La montagna nel sangue 1948-1951, che ripercorre le prime imprese alpinistiche del grande scalatore ed esploratore Walter Bonatti (1930-2011). Si tratta dell’uscita d’esordio (nell’ottavo anniversario della morte del protagonista, scomparso il 13 settembre 2011) della serie Bonatti. Una vita libera, a cura di Angelo Ponta, realizzata in collaborazione con il Club Alpino Italiano e il Museo Nazionale della Montagna di Torino. La collana comprende in tutto sedici libri inediti e splendidamente illustrati, in edicola ogni venerdì tutti allo stesso prezzo, attraverso i quali viene documentato passo per passo il percorso di uno dei personaggi più ammirati da tutti coloro che sono appassionati di montagna e di avventura. Il curatore Angelo Ponta, giornalista, ha lavorato per cinque anni nell’archivio di Bonatti. Una ricerca dalla quale sono scaturiti libri e articoli, un numero speciale della rivista Epoca (dove Bonatti pubblicava i suoi reportage dai luoghi più remoti del mondo) e una mostra fotografica. Due volumi di Walter Bonatti curati da Angelo Ponta sono stati pubblicati recentemente da Solferino: La montagna scintillante nel 2018 (pagine 215, €17) e nello scorso maggio Scalare il mondo (pagine 304, €18). Il secondo volume della serie dedicata a Bonatti, intitolato La ferita e il trionfo, uscirà in edicola con il Corriere e la Gazzetta venerdì 20 settembre 2019. Seguiranno: K2. La storia avvelenata (27 settembre 2019); Verso la Patagonia (4 ottobre 2019); GIV. La montagna scintillante (11 ottobre 2019); Conquiste e tragedie (18 ottobre 2019).

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Ancora Bonatti!?! ultima modifica: 2020-09-12T05:29:19+02:00 da GognaBlog

37 pensieri su “Ancora Bonatti!?!”

  1. 37
    Ghisolfi Anna maria says:

    Certo che noi italiani  …. non perderemo mai il vizio di sputare sentenze a tutti i costi….. su uomini che hanno fatto grande l’ alpinismo (gli americani hanno creato miti per uomini e donne che in effetti valevano meno di zero…..) volete essere critici ad ogni costo….. create miti per chi dà  calci ad un pallone…. e non sa  nulla del mondo sono quasi analfabeti! Meditate meditate come siamo caduti in basso! Walter ora è  sulla cima più  alta, Rispetto!!!!! 

  2. 36
    Simone Di Natale says:

    Commenterei volentieri gli ultimi giorni di Bonatti ma direi cose non gradite ai più.
    Mi limito alla triste considerazione che potrei facilmente trovarmi nella loro situazione e ancora combatto fra il mantenere la mia coerenza o dovere fare una piccola concessione in cambio della libertá di scegliere chi vorrò accanto a me.
    Qui mi fermo

  3. 35
    Paolo Gallese says:

    È il racconto di Rossana, caro Roberto. Lo lessi in libreria, un sabato mattina, a Bologna. 
    Tanta pena. 
     

  4. 34
    Roberto Pasini says:

    Tornando alla commemorazione di Bonatti. Ho trovato in rete questo pezzo di Repubblica sui suoi ultimi giorni. Commovente e coinvolgente nella sua spietatezza. Confesso senza vergogna che leggendolo mi sono commosso e ho pianto. Il vincitore di tante battaglie, a cui i familiari non dicono la verità per troppo amore e non si organizzano per tempo, che muore solo, in un’estate romana, mal curato nella fase finale in una clinica trovata all’ultimo momento, in mano a gente incompetente e senza cuore, senza il supporto della sua compagna, alla quale viene impedito di stargli vicino perché non è legalmente sposata. Straziante. Non leggetelo se non siete nel momento giusto. Personalmente nelle storie degli eroi, metafore ingigantite della storia di ogni uomo, mi ha sempre coinvolto maggiormente la fase dell’ “inverno dello scontento” che l’ “estate della gloria”. C’è molto da imparare per contenere il proprio ego. Consoliamoci aspettanto i prossimi volumi della collana del Corriere.
    https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/09/30/le-ultime-ore-di-bonatti-derubato-del.html

  5. 33
    Alberto Benassi says:

    Bonatti e Mauri come non ricordare la loro corsa in tandem solitario  sulla Major (Bonatti)  e sulla Poire (Mauri) con abbraccio finale in vetta.

  6. 32
    Alberto Benassi says:

    scusa Marcello (ti do del tu) ma questo tuo giustificare l’anarchico Maestri del tempo e, allo stesso tempo, essere d’accordo con la schiodatura di oggi, non mi riesce di capirlo.
    Maestri con il compressore sul Torre ha rubato il futuro, come l’hanno rubato tanti altri (Hasse, gli Scoiattoli, ect.) con le loro superdirettissime dolomitiche a son di chiodi a pressione.
    La storia , non può solo rimanere sui libri. Le testimonianze di quello che è stato fatto, nel bene o nel male, è giusto che rimangano.
    Se invece vogliamo esaltare totalmente l’aspetto anarchico dell’alpinismo. Che anarchia sia in tutti i sensi . Ma non mi sembra che anche coloro che parlano di “futuro rubato” siano così aperti a questa totale anarchia.

  7. 31
    Roberto Pasini says:

    Hai ragione Paolo, ma come abbiamo già detto il Truman Show è spietato. L’esploratore per diventare un mito deve di solito morire dopo lunga sofferenza in luoghi inospitali (vedi gli esploratori artici). Può anche tornare a casa sano e salvo, come il prototipo Ulisse, ma deve averne combinate di cotte e di crude durante il viaggio (sempre possibilmente sul fronte amore e morte). E comunque è sempre gradita una fine tragica. Vedi il bel libro di Albino Ferrari su Bove e sul mitico percorso che da lui prende il nome (vedi Albino che non serbiamo rancore, quando scrivi delle cose belle ed empatiche). Altrimenti finisce nelle stanze del Mausoleo meno illuminate dai riflettori. Mauri, peccato se ne parli poco. Un grande lecchese dal volto antico che merita un grande rispetto per quello che ha fatto in un’epoca pre Alpitour, malgrado le sofferenze che ha imposto a molti di noi con la sua camicia. 

  8. 30
    GognaBlog says:

    Per Paolo Gallese. A maggio 2020, al riguardo di Carlo Mauri, abbiamo pubblicato
    https://sherpa-gate.com/grandi-storie/carlo-mauri-2/

  9. 29
    Paolo Gallese says:

    Nessuno ha raccolto l’invito a ricordare e dire due parole sul personaggio Carlo Mauri, per certi aspetti affine a Bonatti (parole di Bonatti stesso), eppure quasi dimenticato. L’ho citato in merito all’immaginario avventuroso, non tanto alpinistico. 

  10. 28

    Benassi, Maestri non ha fatto assolutamente una puttanata nel ’70 salendo con il compressore. Ha fatto bene a fare quello che voleva ma a posteriori quella salita è stata definita come : rubata al futuro, nientemeno che da Silvo Karo (uno che può permettersi di dirne sul Torre perché vi ha aperto e ripetuto diverse vie) e comunque da una comunità internazionale di alpinisti anche autorevoli. E’ logico che vi sia chi non è d’accordo, per carità.
    Comunque il “futuro” è arrivato e la via è stata (giustamente, secondo me) schiodata. La storia resta e oggi esiste la possibilità di salire una delle montagne più singolari e belle del Pianeta in maniera “pulita” e senza trucchi tecnologici, lungo la sua linea probabilmente più bella: la cresta/spigolo sudest. 
    Mi si conferma il fatto che la storia resta perché sfoglio spesso Duemila Metri della Nostra Vita di Cesare e Fernanda Maestri, rileggendomi delle frasi e mi emoziono ogni volta e ne scopro sempre di nuove. C’è la didascalia di una foto che recita: IL GIORNO PROROMPE IN TUTTA LA SUA BELLEZZA SCACCIANDO VIA I FANTASMI NOTTURNI DELLA PAURA! Non dico che Bonatti non fosse prodigo di frasi ad effetto ma Cesare Maestri ne ha buttate lì istintivamente e senza pensarci troppo (mio parere, intendiamoci) di quelle memorabili e assolutamente non studiate per compiacere il lettore, che sono già storia, di quella bella perché profondamente umana e quindi anche piena di difetti.

  11. 27
    Roberto Pasini says:

    Ai media non specializzati interessa poco il valore intrinseco di un alpinista/arrampicatore. Il loro obiettivo è quello di vendere più copie raccontando storie che coinvolgano il grande pubblico. Quello che fa i numeri. E per coinvolgere il grande pubblico servono gli ingredienti classici, non i dettagli tecnici. Il grande pubblico non sa neppure cosa sia un chiodo a pressione o uno spit o come funziona la progressione in cordata. Del resto ognuno di noi amante dei monti, quando legge come parte del grande pubblico storie di altre attività ludico/sportive ignora bellamente i dettagli tecnici che tanto coinvolgono gli appassionati. Per me ad esempio il motociclismo. Non so neppure distinguere una tipologia dall’altra di moto. Ma leggo con piacere le storie di quel simpatico monello di Valentino e guardo con ammirazione le foto delle sue bellissime fidanzate. Bonatti aveva tutti gli ingredienti per confezionare una storia e un mito mass-market come si direbbe oggi, compresa la storia d’amore con una delle attrici più attrenti dell’epoca. E così è stato. Maestri non aveva gli stessi ingredienti “narrativi”. Ci hanno provato un po’ con la storia del compressore, puntando sull’attrattivita’ di litigi e conflitti, ma l’argomento era troppo tecnico. Non funzionava. Roba per appassionati. Cosa volete che gliene freghi del tema chiodi/schiodare ad uno che non ha mai neppure salito una ferrata. Ovviamente questo riguarda la creazione del Mito popolare che è altra faccenda dai Miti specializzati per amatori.
    PS. Curiosa effettivamente la scomparsa del pezzo precedente e delle reazioni che ha suscitato. Se fosse stato rimosso su richiesta dell’autore sarebbe un caso interessante di contagio postumo da “permalosità bonattiana”. Ma in fondo anche questo riguarda poche lavandaie un po’ irritabili (parlo per me ovviamente). Ad maiora.

  12. 26
    Alberto Benassi says:

    Cominetti non è questione di essere caiani. Non so quali siamo le profonde ragioni di questo atto. Ci saranno e io non riesco a percepirle.
    Vuoi dimostrare che i pressione non servivano, non considerarli. Passa senza usarli, oppure passa a destra o a sinistra, ma lasciali lì anche a testimonianza  degli egoismi altrui di un tempo. Perchè voler cancellare, quella che tu stesso, defisci:

    La salita di Maestri del ’70 con il compressore è stata, secondo me, un’impresa umana gigantesca

    Vai da Maestri, gli suoni il campanello e gli dici: “caro Cesare hai fatto una puttanata”
     

  13. 25

    Benassi, libero di pensarla come preferisci, ma la schiodatura della Via del Compressore ha un significato che va ben in maggiore profondità che un gesto di “imperialismo” nordamericano (uno dei due schiodatori è canadese e non statounitense e c’è una bella differenza).
    E’ un tema incasinato e ancora aperto ma in Italia siamo troppo caiani per vedere le cose davvero come stanno. Comunque ognuno è libero di avere la propria opinione, ci mancherebbe altro.

  14. 24
    Alberto Benassi says:

    Il tempo passa e la schiodatura della Via del Compressore è stata una mossa bellissima tanto quanto quella di averlo salito con quella macchina infernale appresso.

    la schiodaura della via del Compressore è stata una grande porcata, nel puro stile imperialista americano.
    Altro che anarchia alpinistica.

  15. 23

    L’unico che può darci una spiegazione è il Capo.

  16. 22
    Simone Di Natale says:

    Sicuri che l’ altro post su Bonatti non sia stato rimosso su richiesta dell’ autore?

  17. 21

    Ben detto, Gallese!
    Buonanotte

  18. 20
    Paolo Gallese says:

    Maestri: “Ognuno fa l’alpinismo Come vuole.”
    È forse una delle frasi più importanti della storia del l’alpinismo. 
    A volte ne si dimentica la forza e il senso. Anarchico. 
    Io ci credo. 

  19. 19

    Lusa, quando Maestri è andato al Torre con il famigerato compressore nel 1970, Bonatti aveva smesso di arrampicare da un bel po’.
    Nel 1958 i due si erano trovati in Patagonia letteralmente faccia a faccia alle prese con il Torre, appunto, che Bonatti e Mauri tentarono da ovest raggiungendo il Col de la Esperanza, mentre Maestri dovette fare il buono perché il suo capo-spedizione (ai tempi esistevano), che era un certo Bruno Detassis, aveva proibito ai suoi trentini di solo avvicinarsi al Torre.
    Erano antagonisti si! E gli stili di ognuno erano di là da venire.
    La salita di Maestri del ’70 con il compressore è stata, secondo me, un’impresa umana gigantesca e ha il suo bello nella frase anarchica di Maestri: “ognuno fa l’alpinismo come vuole” rafforzata da quella di Garibotti (aggiungo volentieri accomunando una volta tanto due nemici): “in alpinismo la democrazia non esiste”.
    Il tempo passa e la schiodatura della Via del Compressore è stata una mossa bellissima tanto quanto quella di averlo salito con quella macchina infernale appresso. 
    Se parliamo del Cerro Torre ogni logica va messa da parte, esistono uomini e fatti. Entrambi significativi ed estremi.

  20. 18
    Paolo Gallese says:

    Ma no, sarà sparito per qualche problema tecnico. Qualche volta succede a qualche post anche in altri blog, poi tornano visibili. 

  21. 17
    lusa says:

    Maestri / Bonatti.
    Non mi risulta che Bonatti abbia portato in giro compressori per bucare le pareti.
    Altro stile….

  22. 16
    Roberto Pasini says:

    Grandissimo Riva. Hai colto nel segno. Anch’io penso che si sarebbe arrabbiato con il suo antico ospite se fosse ancora vivo, visto com’era suscettibile. Poi si sa che con l’età certe caratteristiche si accentuano. 

  23. 15
    Riva Guido says:

    L’ha rimosso il Walter perchè i Miti non muoiono mai!

  24. 14
    Roberto Pasini says:

    Per Paolo. Effettivamente è scomparso. Non credo si tratti di un intervento redazionale. Non conteneva nessuna affermazione ingiuriosa o diffamatoria. Ci mancherebbe. Per quanto mi compete, le mie considerazioni riguardavano solo lo stile del pezzo e alcune frecciatine in esso contenute che mi sono sembrate crudeli. Misteri del software penso.

  25. 13
    Paolo Gallese says:

    Scusate, ma è sparito il post precedente su Bonatti? Dove si facevano chiacchiere interessanti, senza rumore? 

  26. 12
    Paolo Gallese says:

    Quanti Bonatti, per ognuno di noi… Del resto, per chi ne vive il mito, difficile scalzare l’idea del gigante. Chi cerca di capire l’uomo, come già detto nei commenti, si scontra con il limite.
    Chi sente in modo minore le dimensioni dell’immaginario che si è creato intorno, ha forse lo sguardo più lucido. 
    Che dire? Resta forse l’idea di una certa avventura? Di vivere la Natura ad un livello che va oltre?
    Non saprei. Mi viene in mente Carlo Mauri, che fu grande amico di Bonatti e che una volta Bonatti stesso definì più affine, più di Oggioni. Parlò di una condivisione di idee che riguardavano appunto l’idea di Natura, come luogo fisico in cui si scopre il mondo primordiale e la nostra anima profonda. 
    Per la difficoltà di comprendere questi concetti da parte di un pubblico “consumatore”, non credi si trattasse di parole ad effetto. Piuttosto ho sempre percepito una difficoltà nel tentare di veicolare quel messaggio, rispetto al valore “dell’impresa” invece cercata e quasi imposta dai media.
    Il caso Mauri è emblematico. Visse le stesse tensioni di Bonatti, realizzó imprese di pari spessore ideale e narrativo. Eppure è quasi dimenticato. Non poteva vantare il pathos che emanava il personaggio Bonatti, volente o nolente, per le imprese che lo avevano cristallizzato. Ognuno di loro ci mise del suo, in un modo o nell’altro, ma trovo il confronto (inteso in senso mediatico, più che umano) interessante. 

  27. 11

    L’antagonista per antonomasia di Bonatti fu sicuramente Cesare Maestri. Entrambi di origini proletarie, anche se Maestri era figlio di attori girovaghi e praticamente coetanei. Ho sempre preferito la schiettezza e l’istintualità di Maestri, mentre ravvisavo in Bonatti un esprimersi sempre studiato al fine di soddisfare l’interlocutore, specie quando quest’ultimo non era un alpinista ma un giornalista o il pubblico pecorone di una sala.
    Avevo fatto il pecorone anch’io negli anni ’80 andando ad assistere a due serate dalle date poco distanti in Liguria, i cui protagonisti erano appunto il Cesare e il Walter.
    Eravamo agli inizi dell’arrampicata sportiva e ricordo come Bonatti ne parlasse con disprezzo perché così lontana dal suo intendere l’avventura, mentre Maestri ci fece salire sul palco (il sottoscritto assieme a Martino Lang, Luca Biondi e Pino Scancarello) e ci elogiò dicendoci che se fosse stato più giovane avrebbe anche lui praticato quel fantastico sport. 
    Comunque penso che su Bonatti abbia detto quasi tutto il grande Ugo Manera qualche commento fa.
    Credo che il valore di un alpinista/personaggio di questo calibro sia purtroppo indissolubilmente legato al suo livello di mediaticità, perché mentre il personaggio è costretto a rispondere costantemente al microfono c’è nello stesso istante chi si sta impegnando nel solo alpinismo che conosce, ovvero quello che si fa nell’incertezza in montagna.

  28. 10
    Fabio Bertoncelli says:

    In vita mia sono sempre stato convinto che scrivere biografie – di chiunque – sia opera difficilissima e delicatissima.
    Mi spiego meglio con l’esempio di Walter Bonatti. Nella sua biografia possiamo e dobbiamo elencare i fatti: le vie, il Dru, il Cervino, il K2, le polemiche, ecc.
    Ma poi mi domando: chi era davvero Bonatti? Un cavaliere della montagna? Una persona senza macchia? Un uomo integerrimo? egocentrico? prepotente? buono? modesto? 
    Dell’alpinista sappiamo tutto, ma della persona? Qua e là emerge qualche episodio che contrasta con l’opinione comune. E allora, chi era l’uomo Bonatti?
    E cosí si può dire di qualunque essere umano; figurarsi di coloro che vissero secoli or sono…
    “Conosci te stesso.” Già si fatica a conoscere se stessi, figurarsi un essere umano che non si è mai incontrato o che è morto decenni o secoli fa.
     
    Insomma, ancora una volta la vita, la realtà, la conoscenza si dimostrano essere cose molto complicate. Speriamo bene.

  29. 9
    Roberto Pasini says:

    “ Voglio una vita spericolata come Steve McQueen” canta il grande Vasco. La lettura del libro di Gogna allegato al Corriere e il racconto di Manera mi hanno confermato una sensazione. Il mito di Bonatti fu costruito dai media dell’epoca intorno ad alcuni elementi del ciclo dell’eroe Coraggio, Ribellione, Conflittualità, Indistruttibilità, Fascino e seduttivita’ virile.  In particolare, la Conflittualità fu usata per fare audience, ben sapendo i media che le risse attirano l’attenzione del pubblico. Su questo punto Bonatti ci mise del suo, anche se probabilmente lui stesso ne fu un po’ travolto. Gogna sottolinea molto nell’introduzione l’elemento della coerenza granitica delle convinzioni e dei principi, mettendone in evidenza il valore positivo di esempio in un’epoca come quella odierna di incertezza e sfiducia. Non nasconde nulla della tendenza al risentimento personale. Anzi. Attribuisce ad esempio proprio alla conflittualità personale, poi superata, con Messner la strana contrarierà all’iniziativa del famoso striscione sulla funivia del Bianco. Tende tuttavia a dare meno rilievo a questo elemento rispetto alla parte più luminosa e la affronta comunque con ben maggiore “com-passione”  umana di Ferrari nell’articolo che abbiamo discusso.  Viene fuori un “Bonatti per” , più che un “Bonatti contro”. A distanza di tempo, questo è forse un punto di vista più equilibrato nei confronti di una vicenda alpinistica e umana sicuramente coinvolgente e dalle tinte forti. All’epoca però il Bonatti contro faceva gioco per i media. Il mito del Ribelle coraggioso e solitario, per sua natura, è destinato a durare poco e a subire i colpi dell’invecchiamento. Ecco forse perché la sua seconda vita non ha più assunto carattere mitologico ed è sembrata più un accomodamento alle necessità della vita. È il contrario del mito Cassin: il Fabbro, il Partigiano, l’Imprenditore, il Caposquadra, il Paterfamilias umano e affidabile. Un mito di eroe fatto per durare e al quale la vecchiaia e i capelli bianchi aggiungono fascino e credibilità. Ovviamente parliamo di “rappresentazioni”. Quale sia stata la realtà delle persone lo sanno solo in pochi, gli intimi. Forse.

  30. 8
    Paolo Gallese says:

    Grazie Roberto! Confesso non mi sarei mai aspettato di trovare Campbell citato nel mondo della comunicazione. Sulla narrazione dell’eroe, ricca di spunti in chiave interpretativa per una visione sull’oggi, ti consiglio la studiosa Eva Cantarella, con il suo “Itaca”. Ma anche acute analisi di Luciano Canfora, che devo recuperare. L’eroe della classicità inteso come percorso di conoscenza del nostro odierno modo di intendere mito ed eroicità. (feci un provocatorio laboratorio con i ragazzini delle medie, su questo, che lasciò intrigate parecchie classi).
    Questo discorso sull’eroismo mi aggancia al racconto di Ugo Manera, che ci fa tutti scendere dal però, ricordandoci, qualunque cosa ne si pensi, che alla fine abbiamo ha che fare con uomini, le loro debolezze, i loro problemi, il loro sbarcare il lunario come tutti, qualche volta un po’ di gigioneria. 

  31. 7
    Ugo Manera says:

    Premetto che io ho avuto ed ho una grande ammirazione per Bonatti alpinista anche se la sua visione, tendente ad una spiccata drammatizzazione dell’alpinismo, io non l’ho mai condivisa ed ho praticato per oltre 60 anni un alpinismo che, pur consapevole dei rischi, cercava la vita e la gioia nell’avventura, non il dramma.
    Ho avuto un solo mito nella mia vita e fu Fausto Coppi quando avevo 14 anni, poi non ho più creduto ai miti anche se ammiro tutte le persone che con dedizione, volontà e sacrificio realizzano grandi cose in ogni attività. Non sopporto poi che l’idea del mito venga strumentalizzata per fini commerciali. Ho sempre amato il racconto delle avventure ma quando vengono espresse senza iperboli, in modo semplice diretto e vero, senza retorica ed auto celebrazione (a volte occulta). Per questo ho apprezzato gli scritti di molti scalatori americani ed inglesi.
    A proposito delle esplorazioni di Bonatti pubblicate dal settimanale Epoca tanti anni fa voglio raccontare un aneddoto.
    Una volta, in occasione di un pranzo sociale dopo un’assemblea de CAAI Gruppo Occidentale ebbi occasione di ascoltare un interessante racconto di Agostino Cicogna.
    Agostino Cicogna fu un Accademico con una intensa ed importante attività alpinistica. Ad un certo punto della vita decise di dedicarsi all’esplorazione dei luoghi meno conosciuti del mondo, da solo, facendosi accompagnare solo da indigeni dei luoghi visitati. Visitò  un’infinità di posti documentando le sue esplorazioni con chilometri di pellicola (non ho idea di che fine abbia fatto tutto questo materiale). In una di queste operazioni ebbe un grave incidente  che condizionò in negativo i suoi ultimi anni di vita.
    Ebbene in quel pranzo Cicogna ci raccontò che aveva letto su Epoca il resoconto drammatico della salita di Bonatti su una difficilissima montagna in mezzo alle foresta (forse nel Borneo). Rimase stupito del drammatico racconto in quanto lui quella montagna l”aveva salita con un indigeno locale senza incontrare difficoltà rilevanti.
    Prese allora carta e penna e scrisse a Bonatti manifestando le sue perplessità. Non ricevette nessuna risposta da Bonatti ma invece ricevette una lettera dalla redazione di Epoca nella quale veniva esposta la necessità del settimanale di servire dei racconti sempre emozionanti per catturare l’interesse del lettore.
    Ognuno può trarre le conclusioni che vuole. 

  32. 6
    Roberto Pasini says:

    Per Paolo e per chi fosse interessato magari anche a dare un suo contributo di conoscenze (sperando di non far perdere tempo ad altri. Nel caso,  scusateci). Personalmente mi piace molto questo scambio di figurine. Mi ricorda quelle belle cene tra persone con competenze ed esperienze diverse dove ognuno porta qualcosa di suo da mangiare insieme gli altri. Non sono un esperto, ma ho utilizzato professionisti molto bravi del settore per progetti di comunicazione che ho gestito e ho cercato di capire i fondamentali del loro mestiere. La versione moderna del “raccontare storie di eroi” , arte molto antica, si fonda sugli studi di uno storico americano delle religioni e dei miti, Joseph Campbell , la cui opera più conosciuta è “L’eroe dai mille volti”. Da qui derivano vari manuali ad uso di sceneggiatori, scrittori, giornalisti,  editor e altri che fanno questo mestiere nel mondo dei media. I produttori di film come Guerre Stellari hanno utilizzato ad esempio alcuni di questi esperti. Due manuali di riferimento sono : “Il viaggio dell’eroe” di Christopher Vogler e “L’arco di trasformazione del personaggio” di Dora Marks. In rete si trovano un sacco di riassunti/bigini che sintetizzano i concetti chiave. Basta digitare titoli e/o autori. Il libro di Dora Marks mi è servito molto anche per capire me stesso. Ognuno di noi in fondo racconta storie su di se’ a se stesso e agli altri e costruisce nel tempo un personaggio e senza rendersene conto usa schemi e grammatiche ben definite che forse risiedono nel nostro sistema operativo. Ps : ho comprato il libro del Corriere di oggi su Bonatti. Al primo sguardo bellissime fotografie in bianco e nero In particolare la copertina. Un Bonatti felice e allegro. Lo leggerò e poi magari romperò di nuovo le scatole ai lettori. Il tema è intrigante.

  33. 5
    Paolo Gallese says:

    Roberto, hai ragione. Purtroppo appartengo ad una nicchia dal mercato troppo piccolo. E la sua seconda storia probabilmente ne mostrava l’intrinseca fragilità.
    Forse a quei tempi il pubblico viveva le ultime luci dell’Avventura. Oggi, basta un tour operator specializzato per avere “esperienze” da raccontare.
    In questa luce il suo declino assumerebbe un tono malinconico, oggi quasi patetico, nel suo ripercorrere London o Shackleton.
    E me ne dispiace, perché ha fatto in tempo a vedere mondi oggi molto trasformati. 
    In una cultura con poca memoria e poca cultura, quei viaggi comunicano poco delle condizioni in cui furono svolti. Dove per sapere superficialmente qualcosa basta un click, il tempo e la costanza di conoscere, esplorare, comprendere, rischiando in proprio, oggi diventano elementi effimeri e grotteschi.
    I tempi cambiano, le emozioni no. E le emozioni che ha offerto con l’alpinismo sono ancora, per i motivi che hai detto, forti.
    Grazie a te. 
    Ps: mi interessa quella bibliografia 🙂 

  34. 4
    Roberto Agostini Bols says:

    Si, Bonatti reporter di Epoca fu una palla mostruosa!

  35. 3
    Roberto Pasini says:

    Caro Paolo, perché l’industria dei media segue delle regole ferree nella creazione dei miti. Il “ciclo dell’Eroe” ,secondo lo schema classico, si conclude con il ritiro dalle scene, che vede la pacificazione dopo la caduta. È un po’ come se Ulisse, tornato ad Itaca, si fosse messo a fare l’accompagnatore turistico. Difficile far ripartire un nuovo ciclo con lo stesso protagonista. Per un po’ ci sarebbe stato un effetto di trascinamento ma poi il pubblico avrebbe detto: va bbe, alla romana, ma questo Ulisse mi piace meno, mi sto un po’ annoiando con questi racconti sui pigmei e le bestioline alla National Geographic, cambiamo canale.Mi piaceva più quello di prima: coraggio, amore, morte, rinascita, lotta, quella si che era roba forte. Tu, amico caro di blog, appartieni ad una nicchia di mercato che cuba poco come vendite. Se ti interessa capire come funziona il processo esiste una ricca letteratura che rappresenta la Bibbia per quelli che lavorano nei media. Noi siamo il pubblico che si appassiona, sogna e compra, loro ci pagano le bollette. Mi piace questa ripresa di bei dialoghi sul blog dopo la pausa estiva. Ciao.

  36. 2
    Paolo Gallese says:

    Non sapevo di questa uscita e di Gogna narratore di Bonatti… Lo prendo subito. Mi interessa sempre lo sguardo di una generazione di alpinisti sul mondo di quella che li ha preceduti. E la profondità di Alessandro è a volte così diversa dalla mia da interessarmi ancor di più.
    Noto un aspetto particolare che caratterizza i discorsi su Bonatti. Nella gran parte dei casi sono centrati sul suo alpinismo, sulle sue imprese tra le montagne. 
    La seconda parte della sua vita è vista come un’appendice, un fatto di costume. Un seguito di altro genere che resta come aureola, ma quasi meno significativo.
    È una parte che invece a me affascina terribilmente, più del Dru. 
    Che ne pensate? 

  37. 1
    Enri says:

    Credo che gli scritti su Bonatti proseguiranno, per fortuna, ad essere intrusivi sostanzialmente per due motivi. Uno legato alla sua tempra. Che ne ha fatto qualcuno non piu’ classificabile come un campione, un fuoriclasse ma come esemplare piu’ unico che raro di resistenza fisica e mentale, ai confini fra essere umano e qualcosa oltre…. (In questa categoria affiancherei il solo nome di Messner). Sappiamo tutti a tal proposito che due delle piu’ impressionanti prove di cio’ non sono due suoi successi ma bensi’ due sconfitte, se viste dal mero punto di vista alpinistico: il K2 ed il Pilone. Sul K2 Bonatti non solo fece l’impresa che fece ma in condizioni solo poco diverse, il giorno dopo la famosa notte, siamo abbastanza tutti propensi a pensare che se me sarebbe andato in vetta anche lui e senza ossigeno. Sul Pilone sappiamo come andarono le cose, se vi fosse stato chiunque altro non so quanti sarebbero sopravvissuti, lui arrivo’ in valle con le analisi del sangue di un cadavere, ma lui era invece ben vivo. Due episodi che non possono che perpetuare un personaggio ormai diventato a suo modo mitologico.
    la seconda ragione per cui proseguira’ ad essere intrusivo nelle nostre vite e’ perche’ ha saputo sognare e realizzare i suoi sogni. A sognare piu’ o meno siamo capaci tutti, a realizzare le cose si complicano, dobbiamo fare i conti con le nostre debolezze, paure e tutto quello che ci frena. Bonatti e’ colui che ha realizzato cio’ che ha sognato e non aveva sognato poco.

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