Ancora palestre liguri

Ancora palestre liguri (AG 1964-026)
(dal mio diario 1964)

24 giugno 1964. La palestra di roccia sul Monte Leco 1072 m non è trattata sulla guida di Euro Montagna, eppure presenta itinerari belli, brevi ma con difficoltà sempre sostenute. Ci sono tre diverse sezioni.

La prima sorge a sud-ovest della cima trigonometrica del Monte Leco, circa a quota 880 m. E’ costituita da alcuni roccioni, non ben rilevati dal versante del monte, e da una guglia, ben visibile dal sentiero d’accesso, battezzata Guglia Margherita. Per arrivarvi, si procede dal Passo della Bocchetta 772 m su strada larga, percorribile da auto, fino a un largo piazzale erboso a quota 880 m. A ovest di questo piazzaletto è il versante occidentale del Monte Leco. Si prende un sentiero che aggira a sinistra il versante est e si segue per una decina di minuti, forse poco più, con segnavia due dischi azzurri-pieni, fino a vedere in basso a sinistra la snella forma della Guglia Margherita, la cui base si raggiunge scendendo per cinque minuti.

La seconda sezione è situata a ovest della cima trigonometrica del Monte Leco ed è costituita da due salti rocciosi di una decina di metri ciascuno. Per raggiungerla, si continua ancora un 150 m per il sentiero d’accesso alla prima sezione, dopo il punto dal quale si scorge la Guglia Margherita. Poi si sale per erba e roccette verso nord-est fino al primo dei due salti rocciosi. Il secondo è subito sopra.

La terza sezione è invece situata sulla cresta nord-ovest del Monte Leco ed è facilmente visibile dalla seconda sezione. E’ costituita da massi disordinatamente disposti, inframmezzati a qualche risalto roccioso. La si raggiunge facilmente per erba dalla seconda sezione, in dieci minuti, oppure seguendo in discesa la cresta nord-ovest del Monte Leco (dalla cima).

Dalla vetta del Monte Taccone si vede il Monte Leco verso est. Con un po’ di attenzione, sulla sua cresta nord-ovest, sono visibili i piccoli risalti della “terza sezione”.

Questa mattina partiamo un po’ tardi per via degli impegni di lavoro di Gianni Pàstine, arriviamo al Passo della Bocchetta solo verso le 11.30. Poi per la stradina al piazzaletto erboso 880 m c. Dal sentiero, dopo un po’, vediamo le forme graziose della piccola Guglia Margherita, ancora fino a quel momento senza nome. Margherita è la moglie di Gianni Pàstine. Io mi lego con quest’ultimo e Giuseppe Pinuccio Banchero con Gianni Calcagno. Calcagno e io faremo da capi-cordata quasi sempre. Senza raccontare per filo e per segno i nostri movimenti, descrivo velocemente ciò che si trova lì.

Sulla Guglia Margherita, a est e nord, ci sono vie facili (II), di 5-6 m di sviluppo. A ovest c’è una fessurina che si segue (V) fino al blocco sommitale. Da qui, direttamente (V+), o a sinistra e a destra (II), sugli spalloni rispettivamente Nord e Sud (l’altezza dell’itinerario è di 6 metri). A sud c’è la via dello spigolo, seguita da Calcagno e Banchero (IV+/V-). Accanto alla guglia sono dei massi appoggiati, che formano un camino dalla salita divertente, e altre vie di minore importanza. Circa 20 m a est della guglia ci sono altre rocce; sul versante est di queste è una parete verticale. Nella parte sinistra di questa è una fessura che s’interrompe poco dopo la metà parete (IV+ nella fessura, poi V-, poi grossi appigli di III+, altezza 7-8 m). Ancora a est di questa parete è un altro gruppo di rocce che presenta a sud un diedro molto obliquo, di facile percorso. L’uscita da questo diedro è invece difficile e un po’ esposta (V-), altezza 10 m. Al di sopra si può continuare per roccette e placche, con scarse difficoltà. A trenta metri da queste rocce è un altro gruppetto da noi non esplorato, ma che a prima vista si presenta divertente.

Dopo aver mangiato, andiamo alla seconda sezione, abbandonando la zona della Guglia Margherita. Sono molto contento di fare da capocordata a Pàstine: è lui che me lo ha offerto. Vuole dire che finalmente sto entrando in questo benedetto CAI, essendo Pàstine uno degli istruttori del Corso di Alpinismo.

Per tutta la mattina non ho fatto altro che portarlo su difficoltà di V grado e ciò mi ha dato una notevole soddisfazione. Gianni Calcagno e Pinuccio ci hanno sempre seguiti, pure loro divertendosi su queste rocce a far piccole vie nuove.

Nella seconda sezione, al primo salto, vinco lo spigolo di sinistra (nord-ovest), con difficoltà di IV+, alto circa 6-7 m. In precedenza avevo tentato di passare a metà parete del salto, sotto uno strapiombo. Avevo adocchiato un bel diedro, ci tenevo, dunque lì, sotto allo strapiombo, avevo paura di stancarmi. Dunque ho rinunciato. Poco dopo lo fa Gianni Calcagno, ma Pinuccio non riesce a seguirlo e passa sullo spigolo di sinistra. Vi è anche da fare lo spigolo di destra, interrotto a metà da un grande terrazzino. Il primo salto, sotto al terrazzino, è facile, il successivo è di V-. E così passiamo al secondo risalto di questa seconda sezione. Spiccano subito due diedri, quello di sinistra molto più bello, tutti e due si rivelano di V-. A sinistra del diedro di sinistra è una placca molto elegante (IV+). Ci sono anche altri piccoli itinerari, ma questi sono i più belli.

Ci spostiamo ora alla terza sezione. Incontriamo subito un masso: a nord-ovest c’è uno strapiombo che salgo con un cordino a mo’ di staffa (che non abbiamo): dopo le difficoltà calano molto. In totale 6-7 metri. Subito dopo rifaccio lo stesso tetto scimmiescamente senza staffa: fatto così è un passo di pura forza. Da lì poi si scende un po’ verso ovest e s’incontra un altro salto, sul quale apriamo diverse vie, dal III al V grado, tutte comunque brevissime.

Ora siamo un po’ stufi e, con i muscoli un po’ provati, saliamo in cima al Monte Leco e da lì scendiamo alla macchina.

Ma è ancora presto e decidiamo di andare al Roccione di Cravasco, dove ci leghiamo ancora allo stesso modo. E così attacco la parete sud, per l’it. 15a, cioè il famoso tratto di V+ di circa 10 m, “famoso” perché non l’ho mai tentato.

Però al centro della parete vi sono dei chiodi a espansione, in linea verticale: così, cordini alla mano, attacco, mentre Calcagno e Banchero vanno più a destra, quasi al Diedro Nicolino. Giunto al secondo chiodo a espansione, non riesco a raggiungere il successivo, pur avendo un piede nel cordino. Se avessi delle staffe vere e proprie, in cui poter cambiare il piede, sarebbe diverso. Così devio un po’ a sinistra su difficoltà di V e, assicurandomi di mano in mano ai chiodi (allungandomi sempre verso destra) arrivo in cima. E Gianni Pàstine mi segue, sudando e sbuffando, lui che l’artificiale non la può vedere.

Gianni ne avrebbe abbastanza, ma io lo convinco a fare ancora il Diedro Nicolino. E così, con un chiodo, chiudo la giornata su questo diedro di V (o V+ come dicono alcuni). Poi ce ne torniamo a casa.

(Segue una Nota, che non riporto per intero nella certezza che pensiate che io già allora fossi da ricovero… NdR)

Nota. Ho ritenuto opportuno apportare delle modifiche allo “statuto” circa l’omologazione dei monti e dei passi. In questi ultimi tempi si era venuta a creare la seguente situazione di disagio: Per quanto riguarda i monti non sapevo se omologare o meno i monti senza nome. Fino ad ora non li avevo mai contati, ma negli ultimi tempi mi si sono presentati casi di cime con la sola quota contemplate in guide alpinistiche. Però io sapevo di altre cime, magari più importanti (in senso orografico) che non potevo omologare perché non avevano nome e non erano contemplate in alcun modo da alcuna guida. Così ho deciso di contarle, anche se non hanno nome, basta che siano orograficamente ben delineate. Stesso discorso per passi, colletti e forcelle.
In più si era venuto a creare un grosso inconveniente con l’omologazione di massi, come il Roccione di Cravasco, il Masso del Ferrante, i Massi di Val San Nicolò e il Primo Torrione di Sciarborasca, nessuno dei quali ha configurazione di monte o cima, pur avendo un delineamento netto dal terreno. Ho studiato che cosa è che li rende diversi da altri massi, come la Rocca Maccà, la Guglia Margherita e ho capito che si tratta non della loro conformazione ma della loro posizione. Cioè mentre i secondi sono poggiati su un pendio o comunque possono formare idealmente un gobbone di cresta, i primi giacciono inerti in fondo valle. Ed ecco quindi la distinzione che d’ora in poi terrò presente nell’omologazione.
Naturalmente, viste le modifiche al “regolamento” devono seguire le modifiche al registro, che si sono rivelate imponenti. Per i passi ho soppresso il Colle di Pianderlino e la Sella di Bàvari perché inferiori ai 400 m sul mare e ne ho aggiunti invece altri, in modo che il numero totale si è alzato da 120 a 292. Come si vede li ho più che raddoppiati […] Per quanto riguarda i monti, ho soppresso tutti i massi prima menzionati; al monte n. 128, cioè la Punta Tino Prato nel gruppo del Marguareis, ho sostituito questo nome: Anticima Sud della Punta Tino Prato, questo perché non ero arrivato proprio sulla vetta. In più ho aggiunto molti altri monti, portando il totale da 172 a 202 (segue lista alquanto minuziosa e pedante che riporto in fotografia, NdR).

7 settembre 1964. E finalmente vado un po’ di nuovo con Marco Ghiglione! Da quando gli è capitato l’incidente al Sestrière non si può dire che se la sia spassata troppo. La rottura del malleolo è stata il male minore, è la sfilacciatura del tendine che gli ha impedito di muoversi. A giugno camminava zoppicando un po’, adesso cammina normalmente ma non può sforzare troppo. E dato che è giunta l’ora di riattivare quel maledetto tendine, decidiamo di andare ad arrampicare con la sua corda, quella vecchia che abbiamo usato sul Castello della Pietra e in altri posti. Tra l’altro Marco ha preso la patente e ha una “Bianchina”, che ci serve ottimamente per andare al Roccione di Cravasco questa mattina. Per le 13 siamo di ritorno, e Marco è ben contento, dato che ha superato anche dei passaggi di IV! Per uno nelle sue condizioni…

14 novembre 1964. Dall’altroieri sono stato ammesso nella SUCAI di Genova. Questa, approssimativamente, conta 25 soci tra i quali Ravajoni, i due fratelli Vaccari, Martini, Morozzo, Molini, Costabel, Margherita Pàstine, Masetti, Traverso, Bonacini, ecc. Oggi è sabato e alle 14.15 Chicco e io ci troviamo davanti a Grillo Sport, a Sampierdarena. Passa Pàstine e c’imbarca in auto. Alle 15.10 siamo già pronti ad arrampicare su un bel masso, a circa 250 m dal Roccione di Cravasco, in direzione WNW, a circa 500 m sul livello del mare. Il “Roccione piccolo di Cravasco”, come si chiama, presenta delle belle vie, brevi ma divertenti. Anzitutto ci rivolgiamo alla parete sud del settore orientale (il masso è diviso in due parti da un camino-diedro). Salgo su da primo e gli altri dietro facilmente, IV- con 1 passo di IV+. A Chicco fa un po’ male una caviglia, ma se la cava molto egregiamente. Subito dopo Gianni supera da primo la paretina NE, piuttosto muschiosa, con due chiodi. Gianni la dà di IV-. Poi scendiamo dal camino-diedro che divide il masso (II, III-) e passiamo al settore occidentale (parete S). Proprio davanti a un fienile c’è una parete di 15 m, già superata da Enrico Cavalieri (il direttore del Corso di Alpinismo) con chiodi e staffe e da Augusto Martini, con chiodi ma senza staffe.
Parto io, supero i primi metri (IV+) poi, usufruendo di una fessurina obliqua da sinistra a destra e lunga circa 20 cm, m’innalzo ancora. Per i piedi, niente. Altra fessurina, infine ultimo passaggio, con pochissimo per le mani e nulla per i piedi (V+). Pàstine, che ha visto gli altri fare la stessa cosa, mi guarda incredulo. Infatti con estrema facilità sono salito senza alcun chiodo. In seguito ci sono altri 6-7 m, III e III+. Ora tocca a Chicco. Mentre io ero salito perdendo le braghe della tuta e col famoso berrettino militare in testa, lui sale con degli occhiali laschi che gli stanno per cadere a ogni momento. Non gli do alcun aiuto “morale” con la corda e lui viene su tirando un sacco di parolacce. Poi viene su anche Gianni, incredulo sul fatto di non dover togliere chiodi.

Il mio diploma di fine corso di alpinismo

Scendiamo e ci spostiamo al vero e proprio Roccione di Cravasco. Gianni ne avrebbe abbastanza di “V+”, ma noi non cediamo e io mi rivolgo subito alla famosa parete sud. Su questa parete ci sono un sacco di vie. Al limite sinistro è lo Spigolo dei Gigli (II), al destro è il Diedro Nicolino (V+). La larghezza della parete è di circa 25 m. A 3 m a sinistra del Diedro Nicolino c’è uno spigolo di IV+, arrotondato e poco pronunciato. Tra lo Spigolo dei Gigli e questo, ci sono le seguenti vie: via di Sinistra (a circa 10 m a destra dello Spigolo dei Gigli, IV e IV+); via Direttissima (con chiodi a espansione), 3 m a destra della via di Sinistra…; via di Centro (V+), che non ho mai fatto e che è l’unica descritta nella guida di Euro Montagna. Gianni mi dice che lì ha visto delle scene da brivido. La prima volta questa via fu salita da Gargioni, assicurato dall’alto. E’ pericolosissima perché, se si cade, ci si va a infilzare su alcuni paletti fissati dai contadini per la viticoltura.
Parto. Dapprima lunga traversata a destra (IV), fino al punto in cui bisogna tirare diritto. Pianto un chiodo e, dopo un tentativo, passo in modo sicuro al di sopra. V+, forse qualcosa di più. Giunto al chiodo, Gianni preferisce fare, assicurato dall’alto da me, una traversata difficilissima a destra giungendo così allo spigolo arrotondato di IV+ per poi continuare per quello. Chicco invece preferisce il duuro e viene su elegantemente. Poi scendiamo per lo Spigolo dei Gigli

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Ancora palestre liguri ultima modifica: 2017-07-20T05:43:02+02:00 da GognaBlog

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