Arrampicata e rapaci – 2

Arrampicata e rapaci – 2
(continua da https://gognablog.sherpa-gate.com/arrampicata-e-fauna-1/)

Nelle settimane successive alla comparsa dell’articolo La rupe, la terra, il ginepro e altre storie (gennaio-febbraio 1982) la Redazione della Rivista della Montagna ricevette due lettere di altrettanti naturalisti che qui riproduciamo. Seguono le risposte di Alessandro Gogna e di Bernard Amy.

Prima lettera
di Mauro Fattor (corrispondente di zona del M.A.P.A.N., Movimento Anticaccia protezione animali e natura)
(pubblicata su Rivista della Montagna n. 53, novembre-dicembre 1982)

Caro direttore (della Rivista della Montagna),
sul numero 48 della vostra rivista appare un esteso servizio sulle possibilità arrampicatorie dell’entroterra e delle coste della Sardegna; a parer mio state facendo un gioco molto pericoloso.

Se da una parte è comprensibile voler estendere gli orizzonti dell’arrampicata ad ambienti che ancora non siano preda di speculazioni consumistiche e che siano capaci di ricondurre colui che vi si avvicina all’interno di quel rapporto uomo-natura che pare dimenticato su molte altre pareti della penisola, dall’altra quest’atteggiamento non è più giustificabile se gli interessi dell’alpinista si scontrano frontalmente e violentemente con i problemi di conservazione dell’ambiente naturale e soprattutto di protezione della fauna nobile e rara che sulle pareti, sia costiere che interne, della Sardegna trova l’ul­timo riparo dalle insidie della «valorizzazione» prima turistica, poi venatoria, adesso arrampicatoria e domani chissà quale ancora.

Invitare la gente sulle pareti di Capo Caccia, della costa di Baunei, del Supramonte di Oliena, del Gennargentu, significa violare i luoghi di albergo e di soggiorno di specie come l’aquila del Bonelli (Capo Caccia), il falco della regina (Baunei), l’avvoltoio gri­fone, l’avvoltoio monaco e il gipeto (Gennargentu e Supramonte), ma anche il falco pescatore, il falco pellegrino e l’aquila reale.

Aquila del Bonelli

Molti di questi animali sono all’ultima spiaggia per quanto riguarda la propria esi­stenza come specie non solo nel nostro paese (2-3 esemplari il gipeto, 80-100 il grifone, 3-5 l’avvoltoio monaco, 40 coppie l’aquila del Bonelli di cui 30 in Sardegna), ma nel Mediterraneo perlomeno e in Europa.

La Sardegna non è un paradiso perduto, molti sono stati gli errori nel passato che hanno portato queste specie sull’orlo del tracollo, molte sono ancora adesso le insidie che attentano alla loro vita, ma è oggi molto più di ieri che il disturbo costituisce un fattore estremamente negativo.

Capovaccaio

La Sardegna ha ancora oggi la capacità potenziale di mantenere in vita questi ani­mali e in quest’ottica è partito, ad opera della L.I.P.U. (Lega Italiana Protezione Uccelli), un progetto di reintroduzione dell’avvoltoio monaco, è in quest’ottica che apprendiamo poi che il falco pescatore, dopo molti anni, è tornato a nidificare sicuramente con una ma forse due coppie e che il falco della regina non corre immediato pericolo di estin­zione.

Aiutiamo la Sardegna a non morire, io arrampico, ma mi viene male a pensare ad un nuovo Verdon in terra sarda: centinaia di alpinisti più o meno educati, urla, immondi­zie, strade di accesso, sarebbe la fine e non mi va di metterci il sigillo di legalità.

Proprio in nome di quel rapporto uomo-natura che citavo all’inizio, e che dovrebbe far parte del bagaglio culturale di ogni alpinista, ma che spesso è dimenticato o distorto in forme controproducenti e commerciali (vedi Gogna e il suo progetto di guida mo­nografica), chiedo che per una volta sia la natura ad avere la meglio e che l’uomo indirizzi i propri interessi ad altre pareti, non meno belle, delle montagne della nostra penisola.

P. S. – Da questo discorso è escluso un trekking rispettoso e pulito.  Grazie.

Seconda lettera
di Toni Mingozzi (Segretario G.P.S.O., Gruppo Piemontese Studi Ornitologici F. A. Bonelli)
(pubblicata su Rivista della Montagna n. 53, novembre-dicembre 1982)

Spett. Redazione (della Rivista della Montagna),
su uno degli ultimi numeri de La Montagne et l’Alpinisme (n. 4, 1981), rivista del Club Alpino francese, è comparso, a firma del direttore del FIR (Fonds d’Intervention pour les Rapaces), Jacques Trotignon, un lungo articolo, riccamente illustrato, dedi­cato ai «grandi rapaci di montagna». L’intervento di Trotignon denuncia la crescente minaccia di sopravvivenza costituita, per alcune popolazioni di Falconiformi, dall’e­norme sviluppo della pratica alpinistica. Penso sia il caso di riportarne alcuni passi, liberamente tradotti:

«La montagna, divenuta campo privilegiato di conquista per molti amanti dell’e­splorazione, costituisce oggi rifugio di primaria importanza per tutta una natura ban­dita da tempo dalle regioni più abitate dei nostri paesi. Alcune specie di uccelli, e tra questi in particolare i rapaci, testimoniano molto efficacemente il generale arretramento della fauna e della flora da vari territori di bassa altitudine e del loro ritiro nelle regioni meno accessibili per l’uomo. Per queste ragioni, la difesa dei rapaci (…) ha assunto un significato simbolico per i naturalisti, ed in particolare per gli ornitologi, ansiosi di vedere assicurata la sopravvivenza di questi straordinari rappresentanti del mondo naturale (…). La pratica dell’alpinismo rappresenta ora, in certe regioni, una delle cause non naturali di insuccesso riproduttivo di questi uccelli poiché un numero non trascurabile di siti di riproduzione sono stati abbandonati o sono di continuo mi­nacciati da questo sport in pieno sviluppo (…); esso costituisce oggi uno dei pericoli maggiori per certe specie di rapaci (…), per quanto sia altrettanto evidente che anche altre ragioni concorrano a minacciarne la sopravvivenza».

Capovaccaio

Quanto denuncia Trotignon su La montagne et l’Alpinisme può essere trasposto, in modo per lo meno analogo, al nostro paese. Il problema, tuttavia, non è stato finora apertamente sollevato da nessuna associazione protezionistica o naturalistica ed è sicuramente sconosciuto alla quasi totalità degli appassionati di arrampicate. A dif­ferenza di quanto si verifica in Francia ed in vari altri paesi europei, in Italia si conosce tuttora ancora poco della reale consistenza e dinamica delle popolazioni di Falconiformi nidificanti. Ciò significa che in molti casi è difficile spiegare le vere ragioni della sparizione o rarefazione di questi insostituibili elementi del mondo naturale. Ma, pur non possedendo una precisa documentazione, è tuttavia certo che anche nel nostro paese l’enorme sviluppo della pratica alpinistica sta apportando, in certe zone, notevoli danni alle popolazioni nidificanti di alcune specie di Falconiformi, già rari e minacciati da tante altre cause.

Lo stimolo a questo mio scritto è derivato in effetti da quella serie di articoli dedicati alla Sardegna, La rupe, la terra, il ginepro e altre storie, che la Rivista della Mon­tagna ha recentemente pubblicato (n. 48, gennaio-febbraio 1982). Vorrei sottolineare i pericoli e i danni di simili interventi, si spera dovuti più a scarsa informazione che a irresponsabilità. Pubblicizzare, così com’è stato fatto, Capo Caccia quale «ottimo ter­reno da arrampicate» equivale a contribuire in maniera determinante alla distruzione di una delle ultime colonie di Grifone presenti in Sardegna (ed in Italia). In quelle pagine si legge inoltre che «da Lanaittu si vedono le pareti calcaree, ora deserte, su cui ni­dificavano fino a pochi anni fa i Grifoni» e poco oltre si precisa che su queste pareti «sono state tracciate recentemente numerose vie alpinistiche».

Il problema non è comunque limitato ai Grifoni e dalla Sardegna. Ne ho fatto per­sonale esperienza altrove: su uno dei pochi siti di nidificazione di Falco pellegrino delle Alpi occidentali è stata recentemente attrezzata una via alpinistica. Questo rapace, che sto studiando da alcuni anni, è, sulle Alpi italiane, uno dei più rari, presente con meno di una dozzina di coppie nel settore occidentale. Nel caso specifico, è più che probabile che il perdurare del disturbo costringerà quella coppia ad abbandonare del tutto la zona, che non presenta purtroppo siti alternativi. Sono certo, pur non avendone le prove, che la popolazione di questo rapace sia così ridotta sulle Alpi occidentali anche perché alcuni potenziali siti di riproduzione sono troppo disturbati dalle pratiche alpinistiche.

Falco pellegrino in picchiata

A differenza di vari altri problemi che minacciano la nostra già depauperata natura, ritengo che questo possa essere, almeno in parte, risolto con solo un minimo di buona volontà e sensibilità da parte del mondo alpinistico. Sono poche le specie interessate e non sono molti i luoghi che andrebbero assolutamente tutelati (e, peraltro, alcuni di questi potrebbero essere tutelati anche limitatamente a determinati periodi dell’anno). Si dovrebbe, inoltre, creare una sorta di commissione scientifica che valuti gli aspetti di tutela naturalistica di articoli e guide alpinistiche prima della loro pubblicazione. Così, sarebbe oltremodo opportuno che il Sig. A. Gogna, prima di dare alle stampe la sua monografia sulla Sardegna alpinistica (cui fa riferimento in nota nell’articolo in que­stione), consultasse qualche zoologo di provata competenza (sarò ben lieto di fornirgli i nominativi) che lo informasse sui più delicati aspetti faunistici dell’isola.

Mi auguro che possa al più presto svilupparsi anche in Italia un dialogo tra ornito­logi (e naturalisti in genere) e club alpinistici, poiché, si chiede Trotignon nel suo articolo, «n’avons-nous pas, en definitive, la même but, a savoir la défense de la mon­tagne sauvage et solitaire, riche d’une vie qui lui est propre et a laquelle nous sommes tous attachés? (dopotutto, non condividiamo tutti lo stesso obiettivo, che è quello di proteggere le montagne selvagge e solitarie, così ricche di vita e alle quali siamo tutti così legati?)».

Arrampicata e motori

Prima risposta
di Alessandro Gogna
(pubblicata su Rivista della Montagna n. 53, novembre-dicembre 1982)

Nella quasi totalità dei parchi nazionali del mondo non è proibito arrampicare: la situazione critica dei rapaci in Sardegna (o altrove) può essere migliorata con l’introduzione di una tutela globale che vada ben al di là di una semplice proibizione di accesso.

Purtroppo in Italia, per ignoranza e insensibilità, manca la volontà politica di perseguire questo scopo. Nel mio libro Mezzogiorno di Pietra, ormai in corso di stampa, ho tentato in ogni modo di sensibilizzare l’opinione del pubblico, degli alpinisti e degli escursionisti in merito alla precarietà delle condizioni di sopravvivenza di molte specie animali e vegetali e all’aggressione quotidiana alle rocce, non meno vulnerabili degli esseri viventi, proprio perché ritengo che si ottengano più risultati facendo conoscere che non celando. Con certi pregiudizi nella mente si possono accusare di speculazione commerciale anche gli stessi naturalisti quando pubblicano i loro libri: si può giungere a dire che Mozart faceva musica per soldi!

Quanto al «placet» di zoologi e naturalisti, preciso che ho chiesto a Fulco Pratesi, presidente del WWF, un’introduzione al libro ma egli ha gentilmente declinato l’invito perché vincolato da contratti editoriali. Se mi sono permesso di disturbare un tale studioso è perché ritengo che il libro abbia tutte le qualità per dichiararsi a difesa del mondo naturale. Mentre concordo con la sensibilità del dr. Mingozzi, la preoccupazione del quale è anche la mia e che mi sembra affrontare il problema con il competente equilibrio, il Sig. Fattor dimostra un desiderio animoso di insegnare agli altri con la forza l’amore per la natura: a lui vorrei anche ricordare che urla, immondizie e strade di accesso sono sempre state la caratteristica del turismo all’italiana e che se è vero che ci può essere qualche alpinista diseducato, è altrettanto utopistico sperare in «trekking rispettosi e puliti» e silenziosi.

Falco pellegrino

Seconda risposta
di Bernard Amy
(pubblicata su Rivista della Montagna n. 53, novembre-dicembre 1982)

Cari redattori,
rispondo a proposito della lettera di Mauro Fattor sulla protezione ecologica della Sardegna: la sua lettura a prima vista mi ha fatto pensare a quella guida del Monte Analogo, di cui René Daumal racconta la storia esemplare, che fu punita, per aver scosso tutto l’equilibrio naturale della sua isola con un gesto apparentemente insignificante. Può darsi sia vero che non esistono gesti insignificanti, e può anche darsi che noi alpinisti un giorno ci renderemo conto che abbiamo veramente «inventato» l’immutabilità e dato la patente di deserti alle montagne, per nascondere a noi stessi le conseguenze di questa passione che ci ossessiona e che vorremmo tanto essere innocente. Ho allora letto di nuovo lo scritto di Mauro Fattor, e ho pensato a tutti gli uomini e a tutte le donne che per decenni hanno valicato le cinta delle proprietà private, ignorato i cartelli di divieto, spezzato le barriere delle strade forestali, calpestato l’erba da fieno dei montanari, scatenato le valanghe, disprezzato le credenze religiose e le regole sociali solo per arrampicare. Ho riflettuto su tutti questi «possidenti» di passaggio in montagna, che non hanno mai dato alle persone che vivono lì altra spiegazione se non quella del loro piacere. E, a questo punto, ho cominciato a pensare che Mauro Fattor fosse nel giusto.

O forse ha, al contempo, torto e ragione. Ragione sui contenuti, torto sulla forma. Ragione nel denunciare la trascuratezza o il recupero a fini commerciali dei riferimenti all’equilibrio naturale, propri del linguaggio culturale dell’alpinista. Ma torto per non avere detto il perché delle sue ragioni.

Dillosauro. Foto: Riky Felderer.

E’ normale che un ecologista ornitologo voglia salvare l’aquila del Bonelli: ciò rappresenta senza dubbio un’evidenza per lui, però non lo è per gli altri. Il nostro mondo ha bisogno di quest’aquila? Esiste un equilibrio ecologico da mantenere? «Aiutiamo la Sardegna a non morire» dice Mauro Fattor: la morte dell’aquila trascinerebbe anche l’isola alla morte? Oppure è per trasformare la Sardegna in un museo ornitologico, che bisogna salvare questi uccelli?

Mi sarebbe piaciuta una risposta a queste domande. Non dandola, non giustificando, Mauro Fattor si mette nella stessa posizione degli scalatori che trovano evidente che la parete sia fatta per essere scalata, senza valide spiegazioni. Ed ecco così le due parti riportate faccia a faccia, con le loro evidenze formali, lontane dall’analisi chiara delle cose che, può darsi, permetterebbe loro invece di capirsi a vicenda.

Non dobbiamo prendercela né con gli uni né con gli altri e, soprattutto, con gli arrampicatori. Da più di un secolo l’alpinista medio non è stato particolarmente abituato a porsi dei quesiti, ad analizzare e, casomai, a prendere delle decisioni contrarie alla sua passione. Dopo un secolo di conquiste colonialistiche, non gli è facile mettere in discussione i suoi comportamenti, non reagire di fronte a una parete o a una montagna come un turista (quale egli è) sicuro dei suoi diritti, convinto di portare il bene e dimentico del male che suscita.

Gipeto

Una parete è fatta per scalare, una montagna è fatta per essere salita: per l’alpinista queste sono evidenze. Come potrebbe chiedersi se la parete o la montagna in questione abbiano già un altro ruolo, o se potrebbero averne uno, se scalare possa dar fastidio a qualcuno o a qualcosa? Nelle rare occasioni in cui si invita lo scalatore a porsi delle domande, è più per incitarlo alla diplomazia («non arrampicate su una punta vietata, ciò indisporrebbe le autorità locali»), che in virtù di un principio molto semplice, quello del rispetto universale dell’ambiente naturale e sociale.

Al di là delle dispute bizantine sull’utilità dell’aquila, è la difficoltà che abbiamo noi alpinisti a crearci degli interrogativi, che mi sembra essere il problema più preoccupante. È su questo punto che Mauro Fattor avrebbe dovuto insistere molto di più, e in modo più costruttivo. Criticare non è sufficiente, come non basta vietare o sbarrare i sentieri. È possibile che occorra anche imparare: chi può insegnare agli scalatori l’arte della critica costruttiva e del dialogo?

Dovrebbero farlo i club alpini, ma sono troppo spesso conservatori, oppure spinti verso la demagogia per ragioni puramente politiche o finanziarie. A questo punto il luogo dell’informazione educativa, per eccellenza, dovrebbe essere — mi sembra — quello delle riviste. Spetta a noi, gente di scrittura e di discorsi, che alimentiamo le pagine dei giornali, non dire: «ci sono delle belle pareti in Sardegna, andateci!», ma piuttosto: «ci sono delle belle pareti in Sardegna, non sappiamo se si può arrampicare senza inconvenienti naturali o sociali, informatevi prima di andare ad aprire nuove vie», o meglio ancora: «… vi proponiamo di conservare quella parete per le aquile, quell’altra per proteggere il tal villaggio, e di scalare solo su quelle laggiù».

Allora un giorno, quando si sarà presa l’abitudine di non guardare più una parete come luogo obbligatorio di passaggio (passaggi), noi alpinisti riusciremo magari a realizzare questa bella utopia: la parete lasciata vergine per sempre, riservata per questa parte di sogni che abita in tutti noi, e dove ognuno, da sotto, potrà tracciare col pensiero le sue più belle prime.

Gipeto

Terza risposta
di Alessandro Gogna
(pubblicata in Appendice a Mezzogiorno di Pietra, ottobre 1982)

Sebbene Fattor e Mingozzi si riferiscano solo alla Sardegna, è evidente che il pro­blema da loro sollevato investe anche tutto il resto del Mezzogiorno ed è doverosa una mia presa di posizione su quest’argomento di così generale importanza.

In generale, invece, ho una sola risposta da dare, valida per chiunque abbia a cuore la sorte non solo dei rapaci ma anche di tutti gli altri animali, del mondo vegetale in pericolo, delle rocce aggredite e sfruttate in ogni maniera. Sono le riflessioni di un individuo e non pretendono di essere condivise da tutti, però nascono da un lungo viaggio nel mondo della natura del Mezzogiorno, pertanto posso chiamarle

Considerazioni finali
La grande difficoltà di questo libro è quella di amalgamare o far almeno coesistere l’arrampicare e il camminare, sport e amore per la natura. Forse lo sforzo da me compiuto in questo senso sottolinea solo l’enorme potenziale di interessi naturali che il Mezzogiorno può offrire, forse un uomo solo non può viverli tutti, deve necessa­riamente scegliere.

Alcuni pregiudizi devono però essere riconosciuti e gettati: si è detto che chi cammina ama e rispetta la natura, ma ben sappiamo come certi percorsi escursioni­stici alpini siano stati ridotti negli ultimi anni dall’eccessiva frequenza di orde ma­leducate.

C’è ancora chi pensa che chi arrampica sia un romantico amante della montagna: perché non ha visto come certe «palestre» del Nord siano degradate e degradanti. Il Mezzogiorno presenta zone quasi integralmente intatte, semplicemente perché nessuno le frequenta. Ma il pericolo che si ripeta ciò che è già successo al Nord è grande: in più i naturalisti pensano al chiasso e all’invadenza dei frequentatori delle pareti verticali, grande disturbo per i pochi rapaci sopravvissuti a ben maggiori cause di decadenza precedenti.

Maurizio Oviglia, 7a trad a Capo Pecora. Foto: Sara Oviglia.

Io son sicuro, invece, che la vera esplosione dell’andare in montagna e del sentire la natura in Italia debba ancora verificarsi: come già è successo in altri Paesi, per quel giorno si prepareranno regolamenti naturali di buona educazione e adeguate di­sposizioni di legge come finora non abbiamo ancora avuto: se non si penserà a ciò in tempo e succederà quindi che le peggiori previsioni pessimistiche avranno avuto ragione, ebbene, tanto vale affermare che era meglio accorciare l’agonia di un mondo naturale che, proprio perché amato e difeso da pochi elitari individui, era aggredito o ignorato dai molti e che quindi era condannato a una fine certa.

L’unica speranza di salvezza è nella collettivizzazione del problema, il miracolo può venire solo dalla nuova sensibilità della grande opinione pubblica. Ricordia­moci che i parchi nazionali si creano solo se lo vuole la Nazione e non solo il partito degli ecologi.

Conclusione
(13 settembre 2024)

A che punto stanno le cose oggi? Cosa scriverebbero Gogna e Mingozzi, entrambi componenti del comitato promotore del progetto “Monveso-Montagna Sacra”?

E cosa scriverebbero Amy e Gogna, fondatori nel 1987 e garanti internazionali di Mountain Wilderness?

E ancora Antonioli, Battimelli, Gogna cosa avrebbero da dire dopo aver vissuto in prima persona e seguito l’evoluzione di 45 anni di arrampicata in Sardegna e Sicilia?

Arrampicata e rapaci – 2 ultima modifica: 2024-10-03T05:46:00+02:00 da GognaBlog

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42 pensieri su “Arrampicata e rapaci – 2”

  1. Un divieto assoluto di arrampicata, in vigore dalla fine degli anni 90, giustamente a tutela della nidificazione dell’aquila reale, a poche centinaia di metri da una CAVA ASSURDA, la scorsa estate è stato modificato.

    Quel divieto di allora fu un palese buttare fumo negli occhi all’opinione pubblica. La politica che si fa grande, che si lava la coscenza: vedete noi proteggiamo l’aquila. Si va ad infierire sui deboli (gli arrampicatori) mentre con i forti (cave) si sta belli muti e gli si permette di tutto.
    Adesso c’è stato un cambiamento. Speriamo…

  2. Credo che il problema sia culturale. In Italia manca cultura in generale. Stiamo assistendo ad un degrado culturale. La ripetizione del sostantivo è voluta. La scarsa conoscenza dell’ambiente e delle regole che lo governano, sono una conseguenza di questo degrado culturale. Le evidenti mancanze nella gestione ambientale sono la causa di questo degrado. E’ un processo in atto da anni. A scuola si insegna ALTRO. Nelle famiglie di insegna ALTRO. In Apuane un esempio cristallino di questa situazione. Cave OVUNQUE! RIFIUTI DELL’ESTRAZIONE OVUNQUE! MONTAGNE SEGATE, FATTE SPARIRE COME MATTEOTTI, direbbe mio nonno! Però c’è anche un esempio contrario, una volontà di cambiamento. Forse!  Un divieto assoluto di arrampicata, in vigore dalla fine degli anni 90, giustamente a tutela della nidificazione dell’aquila reale, a poche centinaia di metri da una CAVA ASSURDA, la scorsa estate è stato modificato. Ora si può scalare 4 mesi l’anno. Periodo in cui l’aquila non nidifica. Mi preme sottolineare un aspetto: in questi anni di divieto assoluto, non si sono registrati significativi cambiamenti nei comportamenti dell’ aquila. Pronto ad essere smentito da chi ha scientificamente seguito la questione da vicino. Convinto che un punto di incontro esista! 

  3. Stiamo andando parecchio OT, ma sino ad un intervento “adesso piantatela” del padrone di casa:
    Giusto!Meglio combinare faccine e autovelox. Il cartello con il limite di velocità a quanto pare non è considerato. Non basta. Perchè mai rispettarlo? A solito la legge deve essere seriamente applicata. Agli altri.Con me  lo fanno per “far cassa”,
    Non mi è chiaro se il “con me” dell’ultima riga sia un errore di battitura per “come”.  e quindi il commento debba essere visto come una critica sarcastica al mio ultimo intervento e a quelli di altri che hanno appunto parlato di “fare cassa” (cosa peraltro innegabile, visto che ci sono dei comuni che mettono addirittura gli introiti di questo tipo nel bilancio preventivo), oppure se il “Giusto!” iniziale debba essere preso come reale approvazione.
    Come già detto, non ho dati reali in proposito. Ad un estremo, si potrebbe ritenere che degli studi psicologici abbiano suggerito che un giudizio positivo o negativo basato sul senso civico valga più di un divieto, e che questo suggerimento sia stato verificato in pratica. All’estremo opposto, si potrebbe invece sospettare che qualche marpione di indusriale abbia scoperto una nuova nicchia di mercato, e che stia facendo un pozzo di soldi vendendo apparecchi che non servono ad un beneamato ca…, ehm, organo sessuale maschile, ma fanno sentire virtuose ed ecologiste le amministrazioni comunali che li acquistano.
    Personalmente, posso solo testimoniare che le faccine funzionano abbastanza. Non credo mi sia mai capitato di passare sotto ad una faccina “sdegnata”. Ovviamente “tendo” anche a rispettare i divieti in quanto tali, ma ogni tanto le trappole mi beccano (tipo il cartello di limite a 50 seguito a 10m da un limite a 30 con autovelox). Questo con un sistema accoppiato sarebbe impossibile, perché le faccine avvisano a distanza.
     

  4. Giusto!
    Meglio combinare faccine e autovelox. Il cartello con il limite di velocità a quanto pare non è considerato. Non basta. 
    Perchè mai rispettarlo? 
    A solito la legge deve essere seriamente applicata. Agli altri.
    Con me  lo fanno per “far cassa”,

  5. “Quanto vale il deterrente con faccine per l’automobilista medio?”
    Sinceramente non saprei (ho appunto usato il condizionale), anche perche’ in assenza di registrazioni a scopo sanzionatorio non esistono dati statistici.
    Comunque non si tratta di deterrenza, visto che proprio la presenza della faccina garantisce che non esistono autovelox e quindi uno potrebbe tranquillamente dare tutto gas anziche’ rallentare. E’ invece una questione di approvazione/disapprovazione in termini di senso civico.
    Tra l’altro, mentre glj autovelox sono organizzati all’unico scopo di fare cassa, e quindj quanto scatta il lampo e’ comunque troppo tardi, le faccine compaiono gia’ a distanza, e quindi chi vuole ha tutto il tempo di rallentare per passare sotto una faccina sorridente.
    Ovviamente, se lo scopo fosse davvero quello di aumentare la sicurezza del traffico, faccine e autovelox potrebbero essere combinati, appunto a fini di deterrenza. Ma questo ridurrebbe gli entroiti dei comuni.
    Ma non dovevamo parlare di rapaci e arrampicata?
     
    S

  6. Quanto vale il deterrente della “faccina” per l”automobilista medio ?

    per quello italiano sicuramente poco.

  7. @ Bonsignore
    .
    Il fanatismo e il fatto di confondere possibilita’ con certezze sono i problemi piu’ grandi del movimento ambientalista.

  8. quei rilevatori di velocità con faccine vengono messi in località dove esiste un limite di velocità, ma NON un sistema fisso tipo autovelox

    confermo, centro abitato con il limite a 30,  ma non ci sono autovelox. 
    E quando l’hanno messo a Bologna hanno fatto un casino della madonna. 
    Altro mondo…

  9. Non c’entra con gli uccelli, ma in italia i comuni hanno trovato nell’auto velox un modo per far cassa. 
    In Alto Adige non è così. Autovelox ce ne sono pochissimi ma dispositivi con la faccina ce n’è uno in ogni paese.
    Fleximan (da farlo santo!) in Alto Adige non c’è mai stato.

  10. “Anche in Germania, con tanto di faccina che ride se rispetti o imbronciata se superi. Visto io da poco.”
    Per la precisione: quei rilevatori di velocità con faccine vengono messi in località dove esiste un limite di velocità, ma NON un sistema fisso tipo autovelox per beccare chi sgarra (potrebbero esserci delle trappole mobili, ma anche queste devono essere preavvisate con appositi cartelli). Le faccine dovrebbero servire, e forse servono davvero, a premiare/critirare comportamenti correti/scorretti, ma non sono in alcun modo legate a sanzioni.
    Tornando in tema: come credo di aver già raccontato in uno dei miei primissimi commenti su questo sito, qui in Germania la faccenda della chiusura parziale o totale di falesie e altre pareti di arrampicata, al fine di proteggere i siti di nidificazione dei rapaci, si è trasformata in un caso fa manuale di come i fanatici (che purtroppo abbondano nel movimento ecologista) possano rovinare qualsiasi cosa tocchino.
    Si è cominciato di chiedere (in realtà imporre) la chiusura di certe vie, prossime a siti di nificazione conosciuti,  nei periodi relativi. Su questo il DAV si è dichiarato completamente d’accordo. Ma da li è poi passati rapidamente e pretendere di chiedere quelle vie per tutto l’anno (perchè i rapaci vivono comunque in zona, e “potrebbero” decidere di non usare i siti se li vedono disturbati), e poi l’intera falesia o parete (per le stesse ragioni), e infine anche falesie o gruppi di pareti dove non si sono mai visti nidi, perché i nidi “potrebbero esserci” se i rapaci constatassero che quelle zone non sono disturbate.
    Per quanto riguarda i grandi rapaci (aquile, grifoni, capovacciai) a quanto mi risulta la causa principale della loro progressiva sparizione non consiste certo nella minaccia “arrampicatoria” ai nidi, e nemmeno all’agricoltura industrializzata, ma piuttosto al progressivo abbandono della pastorizia nomade in pressoché tutte le zone di montagna – abbandono che ha privato gli uccelli di quella che era forse la loro principale risorsa alimentare.
     

  11. In Alto Adige i limiti di velocità sono più alti che nel resto d’Italia (o, in Italia, come preferite), a parte i 50 nei centri abitati. E non si vedono cartelli con limite a 10 km/h perché siccome vengono rispettati, sono anche verosimili.

  12. Molti di questi animali sono all’ultima spiaggia per quanto riguarda la propria esi­stenza come specie non solo nel nostro paese (2-3 esemplari il gipeto, 80-100 il grifone, 3-5 l’avvoltoio monaco, 40 coppie l’aquila del Bonelli di cui 30 in Sardegna), ma nel Mediterraneo perlomeno e in Europa.
    .
    Oggi la realtà è profondamente diversa: tranne il grifone, le altre specie si sono tutte estinte ed è in corso un progetto di reintroduzione dell’Aquila fasciata (o di Bonelli), mentre per il gipeto si trovano notizie di un progetto di reintroduzione di quasi 20 anni fa, ma non trovo aggiornamenti recenti. Pare però che le cause di scomparsa dell’aquila di Bonelli siano state più legate alla mortalità per elettrocuzione (oltre ad altre cause come malattie e predazione da parte di altri rapaci) che all’invasività dei climber, in quanto a differenza dell’aquila reale a questa specie piace appoggiarsi su punti bassi dei tralicci dell’alta tensione.
     
     

  13. E a voler vedere la doppia riga ti permette di consentire di oltrepassare la riga in una direzione e vietarlo nell’altra..

  14. “ieri mi è capitato di fare questo ragionamento sulla striscia continua / doppia striscia continua di divisione della carreggiata”
    Ennò Espò, invece c’è una differenza e un senso nella riga/doppia riga continua: non puoi oltrepassare la singola riga, ma restando nella tua carreggiata puoi superare (esempio una bici, una moto, un cavallo), con la doppia riga non puoi superare nessuno, nemmeno restando in carreggiata.
     
    Era una delle più frequenti domande trabocchetto, assieme a quella sull’uso delle luci in sosta e stazionamento. 🙂

  15. D’altronde è come quando trovi scritto “severamente vietato” , che potrebbe farti sorgere il dubbio che se fosse  “solo” vietato, significa che si potrebbe chiudere un occhio di fronte ad una violazione dello stesso divieto…Sono perfettamente d’accordo : ieri mi è capitato di fare questo ragionamento sulla striscia continua / doppia striscia continua di divisione della carreggiata..:Sulla Svizzera personalmente ho “donato gli organi” più di una volta , però li ammiro e adesso , obtorto collo , rispetto tutto quello che scrivono..
    .Da Noi in Italia c’è quasi una negoziazione sul limite / semaforo appena scattato/etc. , da loro semplicemente c’è la regola.Mi è capitato di superare di 5 kmh il loro 30 Kmh in un desereto paesino engadinese , e non ci sono stati cazzi , ed hanno ragione loro.

  16. Matteo sono perfettamente d’accordo con te. D’altronde è come quando trovi scritto “severamente vietato” , che potrebbe farti sorgere il dubbio che se fosse  “solo” vietato, significa che si potrebbe chiudere un occhio di fronte ad una violazione dello stesso divieto.

  17. In Svizzera il cartello 30 km/h è attaccato sulla prima casa del paese (e il fine divieto all’ultima) e ti viene da rispettarlo

    Anche in Germania, con tanto di faccina che ride se rispetti o imbronciata se superi. Visto io da poco.
    Ma li siamo in un altro mondo. Altre mentalità. La gente non si fa problemi a rispettare queste banali regole.

    Se ad esempio per tutelare un nido del rapace x chiudessero solo le due vie adiacenti, stai certo che qualche claimber, calandosi dalla catena di dette vie, andrebbe a rompere i coglioni al rapace,

    I cretini ci sono sempre. Forse anche la  comunità degli arrampicatori dovrebbe prendere posizione, anche perchè il cmportamento sbagliato di alcuni poi si riversa su tutti.

  18. “per ottenere effettivamente 10 devi chiedere 30, perché se chiedi 12 ottieni 0”
    Si certo, è seguendo questo ragionamento che in Italia all’ingresso del territorio comunale c’è il cartello divieto di superare i 50 km/h su un rettilineo di 5 km in mezzo ai campi e nel paese le auto transitano a 70 all’ora.
    In Svizzera il cartello 30 km/h è attaccato sulla prima casa del paese (e il fine divieto all’ultima) e ti viene da rispettarlo…anche perché sennò al terzo paese al massimo c’è il gendarme.
     
    Non so bene perché di questa attitudine tutta italiana, vale in molti campi.
    Se la BreBeMi è in passivo perché la gente non ci va, aumentare il pedaggio per rientrare dell’investimento è furbo? Secondo te che effetto avrà?
    Se gli autonomi come categoria evadono abbondantemente le tasse  aumentare le sanzioni farà diminuire l’evasione? ((sopratutto se tu eviti accuratamente di provare a beccarli)
    Lavori a bordo strada con il limite 10 km/h che è praticamente impossibile rispettare.
    Eccetera
     
    Una norma stupida, palesemente inutile o inutilmente vessatoria provocherà a cercare di eludere.
    Una norma ragionevole, magari anche spiegata al colto e all’inclita, sarà invece rispettata molto più facilmente.
    E se poi controlli (anche un minimo) è anche meglio
     

  19. Matteo, parzialmente d’accordo con te, nel senso che a volte per ottenere effettivamente 10 devi chiedere 30, perché se chiedi 12 ottieni 0. Se ad esempio per tutelare un nido del rapace x chiudessero solo le due vie adiacenti, stai certo che qualche claimber, calandosi dalla catena di dette vie, andrebbe a rompere i coglioni al rapace, perché lui “fa attenzione a non disturbare”. E’ lo stesso discorso di quelli che cagano SUL sentiero o sotto lo strapiombo, non c’è nulla da fare.

  20. Il nostro modello giuridico e amministrativo prevede le procedure per impugnare e, parlando con semplicità, “chiedere la cancellazione” di un qualsiasi atto amministrativo. Se un “divieto”, a prescindere dal tema e dai luoghi su cui si applica, è considerato “sbagliato”, l’azione da fare è impugnarlo nelle dovute sedi e NON violarlo direttamente. Altrimenti non viviamo più in uno stato di diritto (concetto che presuppone anche dei “doveri” da rispettare) ma nella jungla dell’anarchia. Queste sono considerazioni generali che valgono a 360 gradi e non solo sul tema “rapaci”.

  21. “Il problema dei divieti è che il loro : “Buon senso” di solito è valutato da chi li contravviene…”
    E’ vero ma anche qui non è tutto bianco-o-nero: se per un nido di aquila reale posto su uno sperone marcio laterale, mi vieti una parete di 1 km di larghezza per 400 m di altezza se non addirittura di uscire dal sentiero per tutta la valle, io sono il primo a contravvenire.

  22. Il problema dei divieti è che il loro : “Buon senso” di solito è valutato da chi li contravviene…Il bracconiere spara a 10 stambecchi perchè il divieto è stupido : “Ce ne sono così tanti…”.L’industriale scarica liquami nel fiume perchè il divieto è stupido : “Lo fanno tutti..”.L’automobilista supera i limiti di velocità perchè sono stupidi : “Lui guida meglio degli altri e dove dice lui può correre…”..Il manovale scarica macerie sul bordo della strada perchè conferirle in modo regolare costa : “Li paghino i ricchi quei soldi , che le mie macerie non disturbano nessuno !”.

  23. Concordo, bianco o nero non ha senso. Mentre dovrebbe prevalere il buon senso, sia da parte degli arrampicatori, ma anche delle istituzioni politeche e dei vari enti a protezione. Si possono chiudere dei particolari settori, oppure si può chiudere in certi periodi. Noi possiamo imparare a rispettarli, come è giusto che sia, loro imparano che non hanno nulla da temere da parte degli arrampicatori. E gli animali imparano a fidarsi.
    Mentre hanno molto da temere da chi fa saltare in aria con le mine interi costoni rocciosi per tagliare marmo e fare carbonato di calcio. Quelli non guardano ne si preoccupano se li ci nidifica l’aquila o qualsiasi altro rapace. Gli importa una pippa dei rapaci. Poi ci sono certi fanataci cacciatori che gli sparano per farsi il trofeo da attaccare al muro di casa. Questi sono proprio da ammirare per loro è un simbolo di virilità, di potenza.

  24. Credo che il punto non sia se è giusto vietare o meno, ma se tutti i divieti siano comunque giusti ed efficaci e quando lo siano.
    Altrimenti, se i divieti sono stupidi o vessatori sarà molto probabile che non vengano rispettati.
    Come sempre la realtà non è bianco-o-nero e pretendere (Crovella like) una soluzione bianco-o-nero di solito produce risultati nulli o addirittura contrari.
    In altre parole non ha senso vietare di arrampicare su tutta la parete dove nidifica l’aquila tout-court, se in realtà occorre evitare solo la piccola zona dove l’aquila effettivamente nidifica.
     
    By the way, riguardo ai rapaci ho notato un notevole incremento dei miei avvistamenti arrampicando negli ultimi vent’anni di un mucchio di specie alcune mai viste prima da me. Conscio che non sia certo un dato scientifico, però negli ultimi due anni ho visto di certo aquila, poiana, gheppio e almeno due volte di sicuro il falco pellegrino (di cui una volta anche il nido). E senza mai disturbarli, of course!

  25. Non si capisce perché in Italia vi sia un rifiuto a priori delle regole tipo quelle descritte da 12 e ogni “divieto” viene visto come un’imposizione “fascista”…AMEN.Di solito invece il parere da terza elementare di  Peppino o’ maccanico  viene assimilato alla sacrosanta  rivolta di Che Guevara contro i cattivi.

  26. Il fatto che esistano degli errori che si manifestano con altri divieti e/o delle contraddizioni (fra questi altri divieti e quelli a tutela dei rapaci), non incide sui provvedimenti a favore dei rapaci. In altre parole: non va tolto il divieto di arrampicare sulla parete dove c’è l’aquila, ma va mantenuto e piuttosto vanno revocate le concessioni all’attività estrattiva delle cave. Ma quest’ultimo è tutto un altro discorso, perché trattasi di un’attività estremamente invasiva a danno dell’intero ambiente (non solo dei rapaci), sul quale tema credo che siamo tutti d’accordo. Ma non c’entra con il tema “tutela specie a rischio estinzione”, c’entra proprio con la tutela generale dell’ambiente. Per intanto, dove ci sono provvedimenti restrittivi sulle pareti per tutelare i rapaci, teniamoceli stretti e, soprattutto, rispettiamoli e invitiamo tutti a rispettarli. Anzi, dovremmo saperlo da noi, che “lì” è bene non arrampicare in nome della tutela dei rapaci, e dovremmo applicare (e insegnare agli altri) l’autodisiplina, a prescindere dalle eventuali ordinanze di divieto.

  27. Purtroppo però quando una autorità amministrativa emana un divieto, ancorché temporaneo (se va bene) la parete viene vietata interamente. Spesso a mio avviso in modo inutile.
    poi chi amministra sceglie le soluzioni più semplici e di minore rischio (per sé stesso), ovvero divieti generalizzati e non specifici alla reale esigenza.

    Esempio di ciò,  in Apuane alla parete (verdoniana) del Solco d’Equi, li per anni è stata vietata l’arrampicata perchè ci nidifica  l’aquila. Un pò più avanti , sotto la parete nord del Pizzo d’Uccello, le cave fanno man bassa. Ma quelle l’aquila non la disturbano…
    Adesso l’ordinanza di divieto è stata modificata e il divieto vige in certi periodi dell’anno.

  28. molto interessante quanto riportato da 12. dovremmo ragionare tutti così. Unica differenza: i tedeschi sono “tedeschi”, conoscendo gli italiani il lavoro da fare sul piano culturale è molto faticoso. so già cosa mi risponderete: che i tedeschi sono intruppati e che il 2genio e sregolatezza” degli italiani in genere permette alla nazionale di calcio azzurra di battere quella in maglia bianca, proprio perché la nostra imprevedibilità ha la meglio sulla loro organizzazione. Ma i temi qui  all’ordine del giorno sono ben altri della prevalenza sul campo di calcio. Non si capisce perché in Italia vi sia un rifiuto a priori delle regole tipo quelle descritte da 12 e ogni “divieto” viene visto come un’imposizione “fascista”.
     
    Il detto latino ha due versioni, entrambe in uso, entrambe legittime, entrambe con lo stesso significato. Il mio professore del liceo utilizzava abitualmente quella con “absit” e mi è rimasta memorizzata dentro. Di fronte al rischio di estinzione di specie animali, mi pare che questo risvolto sia il meno importante.

  29. @12Sono conscio che il pensiero di arrampicatori e alpinisti escluda la possibilità di commettere danni in ambito ambientale e che questo debba essere educato a un maggiore rispetto nei confronti degli altri viventi nel bioma montagna.
    Però spesso il naturalista ornitologo ha esperienze di studio con strumenti ottici, tanta passione e tempi interminabili di appostamento, ma non di presenza in parete.
    Il rapace o la rondine montana tanto per dire, continuano tranquillamente a nidificare a poca distanza da vie di arrampicata frequentate senza degnare di uno sguardo i “passanti”; l’importante è che permanga una “giusta distanza”.
    Purtroppo però quando una autorità amministrativa emana un divieto, ancorché temporaneo (se va bene) la parete viene vietata interamente. Spesso a mio avviso in modo inutile.
    Ciò non porta certo simpatie alla causa della protezione di colonie e nidificazioni rupicole; credo servirebbe più comunicazione tra le parti, anziché il tipicamente italico arroccamento su posizioni precostituite e immutabili, difetto certamente di molti forti arrampicatori apritori di vie, per ignoranza crassa refrattari a eventuali consigli, ma difetto al quale non è immune neppure la comunità scientifica e accademica.
    Purtroppo conseguentemente a valutazioni prese con un unico cono di visuale, poi chi amministra sceglie le soluzioni più semplici e di minore rischio (per sé stesso), ovvero divieti generalizzati e non specifici alla reale esigenza.

  30. Sono naturalista, studio le pareti rocciose. Questa mia passione mi ha fatto innamorare dell’arrampicata. Rientro ora dalla palestra, ma adoro arrampicare all’aperto, non c’è paragone. Vivo in Frankenjura, Baviera, Germania. C’è la zonazione, in alcune zone non si può arrampicare, in altre è permesso su richiesta aprire nuove vie, in altre ancora ci si attiene alla via. Qualche via è chiusa a tempo per permettere ai rapaci di nidificare. La scelta non manca mai. Gli ecosistemi nelle pareti rocciose sono in buona parte tra gli ultimi ambienti incontaminati d’Europa. Significa che negli ultimi 10’000 anni non li abbiamo quasi mai presi in considerazione, e ora sono integri, come una fetta di foresta pluviale nella zona più sperduta dell’Amazzonia. Ma sono fragili. Non vedo conflitti, ma elementi della realtà che vanno oltre l’individuo, che esistono a prescindere, alla portata di chiunque voglia vedere, siano essi componenti viventi della natura o linee sulla roccia che ci portano alla cima. L’aquila del Bonelli non è un’idea o un opinione, come non sono idea od opinione le piante endemiche che vivono esclusivamente nelle pareti rocciose, numerosissime nella flora italiana e in molte altre nazioni (tra un terzo e metà delle piante endemiche di molte nazioni vive nelle pareti rocciose). Gli appelli dei naturalisti non intendono difendere individui, che inevitabilmente nascono e muoiono. Non siamo animalisti. Gli appelli sono a tutela di alcune specie o popolazioni in pericolo, che rappresentano un’unicum genetico vecchio almeno centinaia di migliaia di anni. Non è un fiore raccolto che l’estate prossima ricresce. Non è il vociare di una comitiva di escursionisti che spaventa un gallo forcello mettendolo a rischio predazione, non è il gattino investito da un’auto: vivere implica inquinare, mangiare, disturbare, uccidere e distruggere. Un’estinzione di una specie o di una popolazione, però, è una cosa differente. Alle volte questo rischio si può evitare, creando nuove linee per arrivare alla cima, linee di convivenza, forse meno libere, ma meravigliosamente di tutti, non solo degli esseri umani. Un saluto!

  31. perchè mi piace insistere, visto che spesso si ha a che fare con sordi e ciechi .

  32. Caro Alberto, siamo d’accordo, ma perché riportare il testo che è a disposizione di tutti? 🙂

  33. Gianfranco, capisco bene che il sistema ha fatto il lavaggio del cervello negli ultimi anni per quanto riguarda la supposta sovrappopolazione, ma nell’articolo questo tempo non traspare da nessuna parola espressa.

    Si vuole porre l’accento, invece, sul modo in cui ci si nuove sulla Terra e auspico che ogni lettore possa riflettere a fondo al riguardo.

  34. Carlo, scusa, ma il detto latino non è “Ubi maior minor cessat”?

  35. io confermo la mia posizione globale: ubi maior (rapaci), minor (sapies) absit. Dobbiamo avere la forza di saper fare dei sacrifici anche nel nostro piccolo: se l’arrampicata in una falesia danneggia i rapaci che la “abitano”, dovremmo esser noi stessi a impedirci nel salire su quella falesia. Non dovremmo neppure aspettare l’ordinanza ufficiale che lo vieta… per estensione il concetto vale per il resto dell’ “ambiente”: mari, laghi, fiumi, ecc

  36. “Mah, basterebbe smettere di curare l’invecchiamento.”
    OK, d’accordo.
    Inizia tu.

  37. Se da una parte è comprensibile voler estendere gli orizzonti dell’arrampicata ad ambienti che ancora non siano preda di speculazioni consumistiche e che siano capaci di ricondurre colui che vi si avvicina all’interno di quel rapporto uomo-natura che pare dimenticato su molte altre pareti della penisola, dall’altra quest’atteggiamento non è più giustificabile se gli interessi dell’alpinista si scontrano frontalmente e violentemente con i problemi di conservazione dell’ambiente naturale e soprattutto di protezione della fauna nobile e rara che sulle pareti, sia costiere che interne, della Sardegna trova l’ul­timo riparo dalle insidie della «valorizzazione» prima turistica, poi venatoria, adesso arrampicatoria e domani chissà quale ancora.

    L’rrampicatore dovrebbe avere a cuore la salvaguadia ambientale, assumersi l’onere e l’onore di essere un guardiano, non solo uno sfruttatore della roccia.  Come tale impegnarsi nella protezione di questi ambienti naturali che tanto gli hanno dato e gli danno per il giochino arrampicata, e di conseguenza anche degli animali che ci vivono.

  38. 2 – Ci stiamo provando con le varie guerre. Forse basta aspettare che si allarghino i conflitti, si dia sfogo a tutto l’armamentario disponibile e si cambi fattore di scala, passando dalle poche migliaia a molte decine di milioni.
    3 – Beh, ne ho 73 e pur con qualche acciacco, se me ne consentono altri 10-15, non farò ricorso al TAR. E poi, non so se tutti sapiens, ma in questo blog mi sa che ci sarebbe una sfoltita mica da ridere, a iniziare, o comunque comprendendo, il Capo. Non condivido.

  39. Mah, basterebbe smettere di curare l’invecchiamento.
    Saremmo di meno e tutti più ricchi.
    50 sono gli anni che un sapiens deve vivere e , già così, farebbe fin troppi danni

  40. Alla fine, leggendo il tutto, si arriva alla conclusione che ci sono troppi uomini sulla terra . Che si fa ? ci autodistruggiamo per dar spazio al mondo animale ? A mio parere , il sistema natura è obsoleto, il sistema ha cambiato le vecchie leggi della natura, dovremmo riscriverne di nuove ma è pura utopia ,l’interesse avrà sempre la meglio. “Io non vedo l’ora di vedere un lupo da vicino per poterlo fotografare con il mio smartphone e pubblicarlo sui social “. E sono innamorato della natura , me la guardo nelle lunghe escursioni solitarie e ripongo qualche speranza negli animali ,forse , adattandosi, cambiano loro le regole….forse .

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