Aspetti diseducativi delle attività a motore in montagna

Aspetti diseducativi delle attività a motore in montagna

Il 28 novembre 2015, nel salone L. Torelli di Sondrio, si è tenuto il convegno Le alpi in inverno, conservazione della natura e attività turistiche: c’è spazio per tutti?, organizzato da Marzia Fioroni e Mario Vannuccini.
Abbiamo già pubblicato la relazione di Vincenzo Torti. Qui di seguito è la relazione di Alessandro Gogna.

 

Dico subito che il mio intervento non è ideato per trovare una soluzione mediatoria al problema dell’eliski, ma è pensato per convincere il più possibile di persone di alcune ragioni che portano all’assoluta contrarietà nei confronti dell’eliski, delle motoslitte e quindi nei confronti dell’uso dei motori in montagna, non solo invernale.

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Sono così contrario all’uso dei motori che addirittura, se un domani fosse approvato il divieto totale di queste pratiche, a me spiacerebbe.

Non ne sarei contento perché un divieto è un divieto. Sarebbe un raggiungere una mia meta senza in effetti raggiungerla. Perché la mia meta non è l’impedimento costrittivo delle attività a motore in montagna estiva o invernale: la mia meta è che nessuno le richieda più o, se volete, che nessuno ne abbia più bisogno e che tutti si dedichino alle altre pratiche di montagna.

Ecco, questo è il mio obiettivo. Se arrivasse una legge nazionale (o anche solo regionale) di questo tipo certo non la contesterei, ma non sarebbe il modo in cui avrei voluto raggiungere il risultato.

Perché un sentiero, un pendio innevato, un animale, un pino non sono prodotti. Vedere queste entità come prodotti è una visione aziendalistica della montagna. E non credo, dicendo questo, di rifiutare o di ostacolare l’economia di una valle o delle Alpi intere. So benissimo che la montagna è, e deve rimanere, fonte di reddito. Proprio perché è una fonte di reddito, deve restare tale anche per le prossime generazioni.

Quindi non stiamo parlando di prodotti, e non voglio usare questo linguaggio. In questo mio rifiuto, c’è un’altra parola che oggi si usa spesso: fruizione.

Prodotto richiama il supermercato, quindi l’acquisto. Fruizione richiama la completa passività di coloro che fanno un qualcosa: la passività rispetto ad altri. Passività nei confronti di coloro che hanno ideato quell’attività, o che l’hanno preparata per coloro che seguiranno passivi.

Fruizione: sostituirei con frequentazione o altri termini. In questo ci si può esercitare. Rimane che, quando sento fruizione a me vengono i brividi. Anche perché è proprio l’uso di prodotto e fruizione che ha portato all’uso di un’altra parola oggi diventata sospetta: sostenibile.

Sostenibilità sembra parola bella, utile, per un obiettivo concreto. Certo, il significato letterale è quello. In realtà però, essendo in Italia, sappiamo perfettamente che la parola sostenibile è un piede di porco per ottenere tutta una serie di concessioni e farle passare surrettiziamente anche in contesti in cui non ci azzeccano nulla.

Nel mio discorso vorrei dunque tralasciare questi termini, prodotti, fruizione e sostenibilità proprio perché essi educano alla passività dell’individuo.

Io credo che l’andare in montagna non possa e non debba essere un’attività passiva. Se lo diventa, anche la pericolosità aumenta. Bisogna essere attivi, non passivi. Prima, durante e dopo. Questo fa esperienza. E questo è vero per chiunque, a qualunque livello, professionista, accademico, dilettante, neofita e cercatore di funghi. Chiunque sia insomma appassionato di montagna.

Ma cosa significa essere “attivi”? Vuole dire saper reagire agli eventi, alle opportunità, alle scelte. Saper muoversi in un ambiente, dunque anche conoscere tutte le realtà che stiamo andando a toccare.

Eviterei dunque la passività. Non so quanto possa essere convincente quello che sto dicendo. So anche che posso risultare assai antipatico e supponente, presuntuoso.

Chi è costui che crede di poterci insegnare come si va in montagna, di far psicologia, filosofia, di discutere sui termini da tutti accettati?

Mi serve dunque ricordare ciò che ho detto all’inizio, cioè che non sono qui a mediare un bel nulla, solo a esprimere le mie opinioni, sapendo per fortuna di non essere certo l’unico a pensarla così.

Sì, è vero, non posso non aborrire la passività, che in montagna è solo deleteria. E’ deleteria per la nostra formazione d’esperienza e per il rischio aggiunto a livello personale o di gruppo.

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La motoslitta? Cosa ci può essere di più passivo?

L’eliski? Al di là del piacere epidermico della discesa, rimane il fatto che non fai la fatica di salire.

La ferrata? Un esempio a dir poco fantastico di quello che io intendo per passività. E’ vero che la ferrata richiede fatica, a volte un notevole impegno atletico: però sei passivo, perché non hai creato nulla, non hai avuto modo di esercitare alcuna fantasia al riguardo, non hai scelte di percorso. Sei un esecutore. Non devi muoverti neppure un centimetro al di fuori dell’itinerario, perché se lo fai sei davvero sciocco. Un metro a destra o a sinistra si trova ogni genere di grana. Sei passivo dall’inizio alla fine. In più c’è tutta una serie di procedure codificate, che sono effettivamente quelle da attuare, anche se non dovrebbero mai essere imposte per legge. Il kit è procedurato, come le manovre di assicurazione durante la progressione. Non ti è richiesto né concesso alcun tipo di deviazione creativa o comportamentale. Sei passivo.

Arne Næss
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Io mi sono formato sulle idee e sull’esempio di un grande filosofo e alpinista, il norvegese Arne Næss, diventato poi un simpatico vecchietto che è morto nel 2009. Næss nel 1950 era capo di quella spedizione che per prima salì il Tirich Mir, una montagna di quasi ottomila metri, la più alta dell’Hindu Kush. Se pensate che solo poco più di un mese prima era stato salito dai francesi l’Annapurna, il primo Ottomila a essere conquistato, per nulla più difficile del Tirich Mir, avete idea dell’impresa di questo filosofo-alpinista, che, tra parentesi, arrivò anche lui in vetta.

Næss è stato dunque alpinista di primo livello, ma è noto a livello mondiale per aver formulato le teorie dell’ecologia del profondo, la deep ecology.

Non è questa la sede per dilungarci sull’ecologia del profondo e sulla sua portata ideologica. Vi farò solo un esempio, tra l’altro suo, per capire la differenza tra ecologia ed ecologia del profondo.

Arne Næss diceva che, in presenza di un laghetto naturale e balneabile, l’ecologo direbbe: “Dobbiamo difendere la qualità naturale di questo laghetto, in modo che anche i nostri figli possano usufruirne (ecco ancora la parola fruizione, nota mia), nuotare, vedere la bellezza, ecc.”; mentre l’ecologo del profondo direbbe: “Dobbiamo difendere la qualità di questo laghetto, in modo che tutte le creature che l’hanno come habitat (pesci, alghe, piante, ecc.) possano vivere”. Non per mantenere artificialmente delle vite, bensì perché queste creature, anche più semplici di quelle umane, hanno lo stesso nostro diritto di vivere. Lo “stesso nostro diritto” non è da intendersi quantitativamente, ma qualitativamente. Cioè la ricerca della qualità di vita per gli animali e per le piante è importante tanto quanto lo è per noi.

Questa è la deep ecology spiegata con una piccola pillola. Consiglio chi è interessato di leggere qualcuna delle importanti opere di Næss.

Eliski in Nuova Zelanda
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E’ questo il nocciolo della questione. Non giustificherei oltre il mio no ai motori con argomenti ambientali. Altri prima di me, e con molta più autorevolezza, hanno esaurientemente parlato dei problemi della fauna nei confronti dei motori.
Ho solo voluto dire che per me l’ambiente è qualcosa di più di ciò che può fornirmi divertimento e serenità.

C’è chi vorrebbe impedire l’eliski appoggiandosi sull’ipotesi che questa pratica potrebbe essere (o è) pericolosa.

Mi è capitato di non firmare una petizione alla Regione Piemonte proprio perché questa si appoggiava sulla presunta pericolosità dell’eliski. Non vorrei mai che venisse approvata una legge di divieto d’eliski facendo riferimento al fatto che questa è un’attività “pericolosa”. Potrebbe essere un precedente giuridico di levatura tale da un domani rendere richiedibile e possibile il divieto tout court di fuoripista e anche di scialpinismo. Anche l’alpinismo potrebbe essere coinvolto in questa furia integralista.

Guai dunque a evocare la pericolosità dell’eliski, vera o presunta: è controproducente.

Non è il pericolo a fare la differenza. Questa la fa l’individuo che, dopo un po’ di anni di esperienza, riesce a crearsi una sua responsabilità, riesce a rispondere solo a se stesso. Ecco l’attività che dicevo prima (contrapposta alla passività). Ecco l’accettazione di limiti che scegliamo noi, non quelli che c’impongono gli altri. La responsabilità del singolo, o auto-responsabilità.

Il raggiungimento di questa condizione responsabile è l’unico mezzo per accedere alla magica parola libertà. La libertà ha bisogno che ci sia stata una scelta. Tu non sei libero quando fai ciò che vuoi, ma quando fai ciò che hai scelto, nell’ambito di alcuni paletti che tu stesso hai stabilito.

La libera scelta che abbiamo fatto costituisce l’essenza della nostra libertà, non come un capriccio di bambino.

Le attività a motore in questione hanno la caratteristica di diseducare alla vita. Siamo in un tempo in cui la figura paterna è assolutamente in crisi, da almeno un secolo. Questa crisi ha portato a molte tragedie e guerre, e non è certo finita. La crisi della figura paterna comporta nella famiglia di oggi l’assenza di un’autorità che sia in grado di indirizzare un giovane adolescente, maschio o femmina che sia, alla vita adulta, alla vita di chi si è staccato dal cordone ombelicale della madre, che per DNA resiste a questo distacco. Il padre dovrebbe staccare: con amore, ma con risoluzione. Dovrebbe indirizzare il ragazzo o la ragazza verso la vita adulta e dire francamente, come ho sentito per puro caso dire in un film recentemente, che la parola “facile” nel mondo degli adulti non esiste. E’ una parola solo per i bambini, che bisogna incoraggiare a imparare.

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Vuole dire che questa società odierna non è tanto adulta. Secondo la pubblicità, è tutto a portata di clic. Pare che con un clic ottieni ogni cosa, invece non ottieni nulla. Ci sono giovani che stanno lì ad aspettare di lavorare, senza idee, senza desideri. Perché dovrebbero avere desideri se sono nella realtà dei fatti è come fossero ancora nel caldo utero materno che soddisfa ogni desiderio?

Se qualcosa si presenta davvero facile, è bene approfittarne. Ci mancherebbe. Non sempre occorre lottare, talvolta ci è data la possibilità di sorridere, di rilassarci. Però mai dimenticare che non esiste vera gioia, o vera soddisfazione e felicità, se ciò che hai ricercato e desiderato non ha avuto una lunga storia di corteggiamenti, in genere faticosi, a volte sacrificanti.

E’ questo che fa la differenza. Ed ecco perché l’eliski è fuori dal mondo psicologico: perché non c’è corteggiamento, non c’è fatica.

C’è chi dice che il problema della montagna invernale è nel numero delle persone che la frequentano. Ammettiamolo e non concediamolo. La montagna è libera per tutti. Non possiamo pensare al numero chiuso. Sono profondamente contrario a ogni tipo di limitazione.

Allora cosa può fare la differenza? Il danaro? Vogliamo che la cresta dell’Hoernli al Cervino invece che mille euro costi cinque, o diecimila euro? Di certo la frequentazione ne sarebbe falcidiata. Sarebbe però solo riservata ai ricchi e preclusa ai poveri. Non mi sembrerebbe un rimedio corretto.

A me sembra che l’unico sistema sensato al fine di limitare l’iper-frequenza sia quello della fatica. Non imponendola, ma neppure togliendola!

Quella che c’è da fare, si fa.

I motori stanno invadendo la nostra vita. Ricordo che in montagna, oltre all’eliski, abbiamo l’elicaccia, l’eliminerali, l’elibike e tutto l’eliturismo. Dobbiamo in qualche modo difenderci da questa invadenza.

Qui di seguito vi riporto un esempio di come si può rispondere a quest’invadenza.
Il 12 novembre 2015, la guida alpina Miche Comi ha pubblicato su facebook un breve scambio epistolare sulla possibilità di realizzare un evento aziendale per VIP.

Michele Comi
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Ciao Michele, allora come anticipato per telefono il cliente vorrebbe un evento super esclusivo che gli dia la possibilità di instaurare un legame forte con possibili clienti. Dovrebbero essere circa 20-25 persone.
Arrivano sabato, si cena e poi la mattina di domenica attività outdoor con pranzo e poi rientro la sera a Milano. Periodo: un week end di marzo.

Ciao Stefania, questo è lo scenario della nostra esperienza sulla neve: il lago Palù. Il lago è a 2000 m, si ghiaccia completamente l’inverno e si raggiunge in mezz’ora di cammino lungo una traccia battuta, oppure lungo la foresta d’abeti disegnando un percorso ad hoc nella neve alta con le racchette da neve.
Sulle sponde si trova il Rifugio Palù, ottimo punto di arrivo e di ristoro dopo l’attività sulla neve (vedi foto allegata). Il rientro avverrà sempre a piedi.
L’attività sulla neve prevede:
– il raggiungimento del rifugio, dosando difficoltà e impegno in funzione dello stato di forma dei partecipanti;
– l’attivazione di un percorso di conoscenza di un ambiente alpino particolare, della neve e delle sue infinite trasformazioni;
– l’acquisizione di alcuni elementi basilari per orientarsi e muoversi nell’ambiente invernale innevato su queste alte montagne tra Valtellina ed Engadina.

Ciao Michele, il cliente si è fatto vivo ieri. Ha ribadito che vogliono qualcosa di estremamente vip ed esclusivo.
Loro avevano parlato di eliski ma è una cosa non fattibile perché richiede diciamo doti atletiche non indifferenti. L’escursione sulla neve è stata bocciata.
Non vogliono fare cose troppo faticose tipo sci o robe simili.
Che altro si può fare sulla neve di domenica mattina di esclusivo e lontano da zone con troppi turisti? Hai qualche idea? Non so, tipo gite in motoslitta, gite in elicottero?

Il Lago e il rifugio Palù
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Scusa Stefania, se il cliente crede che l’esclusività in montagna significhi proiettarsi in luoghi incantati in elicottero o in motoslitta ha le idee confuse.
Evidentemente vuol replicare la schiavitù in cui vive quotidianamente che ha la presunzione di essere libertà.
Vip ed esclusivo non significa facile finzione, ma compiere un’esperienza di conoscenza dell’identità di un luogo selvaggio (senza la necessità d’essere attività estrema). Certo in montagna d’inverno si sentirà il gelo sulle guance o il sudore gelarsi lungo la schiena, ma il fuoco del camino al rifugio farà presto dimenticare questi piccoli disagi conservando il miglior ricordo della giornata sulla neve.
Riguardo ai motori, terrestri e volanti, non posso quindi esserti d’aiuto. Anche senza ricorrere alle racchette è possibile raggiungere comodamente il lago Palù e assieme costruire al centro del lago un igloo, ognuno con il suo compito.
Hanno mai realizzato un igloo con le loro mani? E all’interno, in attesa del pranzo al vicino rifugio, stappato uno Vino Spumante V.S.Q. dalla Valtellina, messo al fresco direttamente nella parete del ricovero bianco? E gustato filetti di trota affumicata, più gustosa del miglior salmone selvaggio, pescata nelle acque che riposano sotto la superficie ghiacciata?
Scusa la franchezza. Un caro saluto. Michele
”.

Ecco, questo secondo me vuole dire esercitare la propria professione di guida alpina con piena dignità. Poter rispondere a fronte alta cose di questo tipo a richieste sciocche e invasive come quelle rivolte a Comi.

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Aspetti diseducativi delle attività a motore in montagna ultima modifica: 2016-03-29T05:15:50+02:00 da GognaBlog

4 pensieri su “Aspetti diseducativi delle attività a motore in montagna”

  1. Oggi mi sento meglio, non nascondo di provare un po’ di invidia per la chiarezza e la semplicità di esposizione di Alessandro, ma il contenuto mi fa sentire meglio.

  2. Parole sacrosante. Mi permetto solo di aggiungere un ulteriore elemento a sostegno della presa di posizione nei confronti dell’utilizzo dei motori. Il silenzio.
    Qualunque motore in funzione, anche il più silenzioso, fa rumore. Un vero amante della natura non può non amare il silenzio o quantomeno non può non amare i suoni della natura (il cinguettio degli uccelli, il rombo del tuono, lo scroscio della pioggia, l’ululare del vento).
    Il silenzio è qualcosa di molto di più della semplice assenza di suoni, che come sopra accennato possono pure esserci. Il silenzio è un qualcosa di avvolgente, un qualcosa in cui la nostra coscienza si espande, in cui il senso dell’io si fonde con tutto ciò che ci circonda.
    Non è necessario essere dei credenti, appartenere a qualche religione, movimento o setta, basta semplicemente avere un minimo di sensibilità, quella stessa sensibilità che manca a coloro i quali ritengono l’ambiente naturale un posto da sfruttare o semplicemente da fruire.
    Le attività in ambiente dovrebbero essere svolte con spirito conoscitivo. M’immergo nell’ambiente naturale per conoscerlo e conoscendolo vengo a conoscere anche me stesso. Nell’ambiente naturale silenzioso è possibile rimuovere la dualità, cioè la contrapposizione che ci vede perennemente in lotta con tutto e tutti, a favore dell’integrazione, dell’assorbimento in una realtà dalla quale siamo solo apparentemente separati.
    Il rumore accentua la dualità mentre il silenzio l’azzerra.
    Le parole della canzone di Gaber “libertà è partecipazione”, interpretate all’epoca in senso politico come partecipazione ad un movimento, ad un ideale, possono trovare nell’ambiente naturale la loro più alta manifestazione come “partecipazione a tutto ciò che ci circonda, a tutto ciò di cui facciamo parte”. Immergersi nella natura significa partecipare all’intera esistenza in continuo mutamento. E in questa immersione, in questa partecipazione attiva e non passiva, come dice Alessandro, è possibile percepire la vera libertà.
    In quest’atteggiamento conoscitivo e attivo e, pertanto, partecipativo sta’ la vera chiave di lettura ma senza il silenzio qualunque sforzo risulta vano perché col rumore si riaffaccerà inesorabilmente la dualità, il senso di separazione.
    Nella nostra società il silenzio non trova spazio, viene vissuto sovente in maniera negativa. Quante persone rimandano il silenzio a quando saranno nella tomba? Come se il silenzio fosse sinonimo di morte mentre invece, e chi lo sperimenta lo sa, è nel silenzio che ci sente più vivi che mai.
    Sono molti i motivi per i quali sono contrario alle attività a motore in montagna ma la principale è proprio quella che disturbano il silenzio e, quindi, la possibilità di potersi sentire, anche se solo per poco tempo, veramente vivi.

  3. Apprezzando gli aspetti diseducativi dell’andare in montagna, dovrò andarci per forza motorizzato?

  4. Grazie Alessandro,
    ed anche per avermi ricordato che devo leggere bene cosa pensava il signor Arne Næss!
    Grazie Michele.
    respect
    giorgio

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