Attenzione alla salita!
(statistiche AINEVA – Incidenti da valanga nello scialpinismo)
di Carlo Crovella
Ad inizio del 2019 è stato pubblicato su questo blog un articolo in cui avevo sviluppato l’analisi della statistiche AINEVA (https://gognablog.sherpa-gate.com/statistiche-aineva-sugli-incidenti-da-valanga/).
Ricordo che l’AINEVA è l’Associazione interregionale di coordinamento e documentazione per i problemi inerenti alla neve e alle valanghe. Tra le sue molteplici attività, l’AINEVA archivia e rende disponibili sul sito le proprie statistiche che abbracciano un arco temporale esteso dalla stagione nivologica 1985/86 fino ai nostri giorni.
Nei mesi intercorsi dalla pubblicazione del menzionato articolo, partendo sempre dalle statistiche AINEVA, ho realizzato l’estrapolazione dei dati riferiti agli incidenti da valanga classificati come avvenuti durante lo svolgimento di attività scialpinistica. Un’ulteriore segmentazione dei dati permette di dividere, all’interno del comparto “scialpinismo”, gli incidenti avvenuti durante la salita da quelli incorsi durante la discesa. Vedremo quindi lo sviluppo di tali variabili nell’arco temporale che va dalla stagione 1985/86 fino alla stagione 2018/19 compresa. Le stagioni “nevose” non coincidono con gli anni solari e, analizzando la banca dati AINEVA, si constata che le statistiche sono raggruppate per stagioni che convenzionalmente iniziano con l’autunno.
Nella presente elaborazione statistica non si tiene conto di eventuali dati della stagione 2019/20, perché (essendo la stagione in corso di svolgimento) tali dati non sono riferiti a una stagione “piena” e inquinerebbero le elaborazioni.
E’ però necessario rinfrescare la mente su alcuni presupposti metodologici: a tal fine riprendo qui, quasi integralmente, le puntualizzazioni del precedente articolo.
Occorre segnalare due informazioni primarie. Innanzi tutto che l’AINEVA fornisce la seguente definizione di incidente da valanga: “Qualsiasi situazione generata da evento valanghivo che abbia prodotto il travolgimento di una o più persone anche qualora l’evento non abbia causato danni di rilievo”.
Va inoltre sottolineato che la banca dati AINEVA recepisce soltanto gli incidenti denunciati o di cui l’AINEVA sia venuta a conoscenza (per esempio in caso di intervento del Soccorso Alpino). Pertanto potrebbero esistere incidenti che non sono stati ufficializzati (per esempio perché gli autori se la sono svignata…). In realtà è un problema marginale sul piano statistico, perché, se gli individui coinvolti hanno richiesto l’intervento del Soccorso Alpino, le statistiche ufficiali recepiscono tali incidenti. Gli incidenti non registrati dovrebbero essere davvero ininfluenti ai fini statistici.
Ricordo infine che la banca dati AINEVA sugli incidenti da valanga riporta, stagione per stagione, il numero di incidenti, il numero di travolti, di illesi, di feriti e di deceduti. In realtà vi sono anche altri campi, fra cui il più interessante è la “categoria” (definizione con la quale si intende “in che contesto” si è prodotto l’incidente, per esempio: attività di scialpinismo, discesa di freerider, ascensione alpinistica, ecc.).
Nel presente articolo il focus delle analisi statistiche si concentra esclusivamente sugli incidenti registrati, nella banca dati AINEVA, come avvenuti in ambito scialpinistico, con successiva segmentazione fra quelli accaduti in salita e quelli in discesa.
Segnalo infine che, come già nel testo precedente, ho introdotto, del tutto arbitrariamente (pertanto non è una metodologia utilizzata dall’AINEVA), una segmentazione temporale che pone uno “spartiacque” a cavallo del 2000. La motivazione è molto semplice: è opinione condivisa che dopo il 2000 (anno “tondo” che, in questo caso, va preso come un riferimento concettuale e NON come un punto preciso e indiscutibile), il mondo dello scialpinismo presenti dei cambiamenti strutturali rispetto ai decenni precedenti.
Ciò deriva da alcune innovazioni, in particolare tecnologiche: la diffusione degli sci cosiddetti “larghi” (in realtà più sciancrati dei precedenti), che rendono più facile la sciata, aumentando l’accesso antropico sia allo scialpinismo classico che allo sci ripido; la diffusione di internet e dei relativi siti di informazione, da quelli delle relazioni di gite e quelli dei bollettini niveo-meteo; l’evoluzione di tutto il settore produttivo, dai capi di abbigliamento più leggeri e tecnici, agli alimenti più performanti; l’evoluzione della mentalità, con il superamento di molti limiti dell’era precedente (per esempio oggi sono all’ordine del giorno le gite di 2000-2500 metri di dislivello in giornata…); inoltre sempre più diffusa è l’introduzione allo scialpinismo/sci ripido tramite amici, senza passare dai precedenti canali istituzionali (Scuole, ecc., che in ogni caso restano molto attive e ben diffuse sul territorio).
Insomma il confronto fra prima e dopo il 2000 ci dà una fotografia delle profonde differenze intervenute per cui possiamo concludere che, negli ultimi 20 anni (cioè dal 2000 a oggi), l’andar per montagne innevate si presenta “diverso” rispetto ai decenni precedenti. In realtà si tratta di un fenomeno che, come ho sostenuto in più occasioni, coinvolge la montagna in tutti i risvolti (quindi anche nell’alpinismo, arrampicata, ecc.), ma qui stiamo ragionando sulla sola attività scialpinistica.
A scanso di equivoci preciso infine che dalle analisi in questione sono escluse le altre attività sciistiche collaterali (freeride, eliski, pista, ecc): ci si concentra esclusivamente sui dati catalogati come “scialpinismo”.
Al netto di eventuali errori di rilevazione (l’estrapolazione dei dati è avvenuta a “manina”, dato per dato, partendo dalle statistiche AINEVA: lavoraccio da amanuense medioevale!), errori di cui chiedo venia in anticipo, le statistiche ci forniscono una fotografia molto interessante.
Preannuncio ai lettori di non farsi distrarre mentalmente dalla considerazione che il numero dei praticanti totali è sensibilmente cresciuto nel tempo (in particolare dal 2000 in poi): non essendo questo un dato rilevabile ufficialmente, si tende a concludere che ciò inficia le elaborazioni sulle statistiche AINEVA.
Come potrete constatare di persona, seguendo i miei ragionamenti, le valutazioni non entreranno mai nel merito se gli incidenti sono aumentati in modo più o meno proporzionale all’aumento del numero dei praticanti (dato che appunto è ignoto).
L’obiettivo è fornire una fotografia statistica dei dati AINEVA relativi agli incidenti registrati in campo scialpinistico, fotografia che (per quello che risulta a me) AINEVA non fornisce direttamente. Può darsi che la banca dati AINEVA esegua in automatico le elaborazioni qui riportate, ma non mi risulta che le specifiche elaborazioni sullo scialpinismo siano rese disponibili. Inoltre nei miei sondaggi telefonici, ho ottenuto risposte non soddisfacenti per cui tendo a propendere per la tesi che, forse, neppure internamente vengono monitorati sistematicamente i dati specifici dello scialpinismo. Questa constatazione è stata stimolo per una mia personale curiosità: mi sono quindi avventurato nella faticosa analisi delle statistiche. Disponendo ora dei dati finali, desidero condividerli con gli appassionati della montagna innevata.
Tutto ciò premesso, possiamo passare ai risvolti pratici del discorso, ricordando che ogni dato (riferito allo scialpinismo nel suo complesso) sarò successivamente scomposto fra il dato riferito alla salita e quello riferito alla discesa (salita e discese sempre “scialpinistiche”). E’ in questo ultimo confronto, o meglio nel confronto fra i trend che caratterizzano l’evoluzione delle statistiche della salita rispetto a quelle della discesa, che emergeranno le considerazioni più interessanti.
Ma andiamo con ordine, partendo dalla statistica complessiva degli incidenti in campo scialpinistico. Nel periodo totale fra la stagione 1985/86 e la stagione 2018/19 si sono registrati 772 incidenti. Di questi, 204 fino al 2000 e 568 dal 2000 in poi (+178,4%). Il Grafico 1 evidenzia che la media fino al 2000 (13,6 incidenti per stagione) è aumentata al valore medio di 29,9 incidenti/stagione dopo il 2000 (+119,8%).
E’ evidente che l’aumento degli incidenti (così come per tutte le altre variabili coinvolte) dopo il 2000 è condizionato dal sensibile aumento dei praticanti. L’abbiamo già sottolineato, come abbiamo sottolineato che, non disponendo delle statistiche sul numero dei praticanti, non è possibile arrivare a conclusioni oggettive sul miglioramento o peggioramento del rapporto incidenti/praticanti.
Ci interessa però analizzare come si siano modificati gli equilibri, fra prima e dopo il 2000, all’interno delle statistiche con il campo “scialpinismo” registrate nella banca dati AINEVA.
Passiamo quindi a verificare la scomposizione dei dati AINEVA (nell’ambito scialpinistico) fra salita e discesa.
Gli incidenti registrati in salita risultano complessivamente 382, suddivisi fra 81 fino al 2000 e 301 dal 2000 in poi (+271,6%). Questa ultima contrapposizione incanala già gli ulteriori approfondimenti che affronteremo in seguito. Il Grafico 2 segnala che, in salita, la media fino al 2000 è risultata di 5,4 incidenti/stagione, mentre il corrispondente dato dal 2000 in poi è aumentato a 15,8 (+192,6%).
Gli incidenti registrati in discesa risultano complessivamente 390, suddivisi fra 123 fino al 2000 e 267 dal 2000 in poi (+117,1%). Il Grafico 3 conferma che, in discesa, la media fino al 2000 è risultata di 8,2 incidenti/stagione, mentre il dato dal 2000 in poi si è spostato a 14,1 incidenti/stagione (+72%). Di conseguenza gli incidenti avvenuti in salita sono aumentati a un ritmo ben superiore al doppio di quello degli incidenti in discesa (+192,6% contro +72%).
Procedendo con analoga metodologia ho elaborato le analisi anche per altre due importanti variabili: il numero di individui travolti e il numero dei deceduti. Saltando, per non tediare i lettori, l’esposizione dato per dato, ho riportato le statistiche conclusive nelle due tabelle riassuntive dell’intera analisi.
La prima tabella riporta i valori ASSOLUTI, riferiti ai campi “scialpinismo totale”, “scialpinismo salita” e “scialpinismo discesa”, con l’aggiunta della suddivisione temporale fra prima e dopo il 2000 (e della corrispondente variazione percentuale).
Per quanto riguarda il numero di travolti (1.592 in totale), salta subito all’occhio che i travolti in salita sono 941, di cui 707 dal 2000 in poi (+202,1% rispetto al periodo precedente). I travolti in discesa risultano 651, di cui 437 dal 2000 in poi (+104,2% rispetto a prima del 2000). Per la variabile “travolti”, quindi, l’incremento percentuale dei dati (nel confronto fra prima e dopo il 2000) è circa doppio per la salita rispetto alla discesa.
Inoltre va sottolineato come i numeri totali in assoluto siano molto più “rotondi” per la salita: 941 travolti contro 651, cioè circa il 45% in più. L’analogo confronto del periodo dal 2000 in poi evidenzia che, anche in tal caso, il dato in salita è sensibilmente superiore a quello della discesa (707 contro 437, circa il 62% in più).
I dati per i soggetti deceduti registrano 302 casi complessivi, di cui 153 in salita contro i 149 della discesa. L’incremento dei deceduti in salita fra prima e dopo il 2000 risulta pari al +78,2%, contro un analogo incremento in discesa pari al 19,1%.
Lascio ai lettori interessati il compito di leggere con attenzione la tabella che riporta, variabile per variabile, i VALORI MEDI STAGIONALI.
Possiamo proiettare verso il futuro i valori medi considerandoli come attese probabilistiche.
Di conseguenza, assumendo che il quadro in essere sia quello definito dal 2000 in poi, per ogni stagione scialpinistica occorre attendersi in totale: 30 incidenti (29,9 per l’esattezza), 60 travolti e 9 deceduti (9,4 per essere precisi).
Segnalo inoltre che anche la tabella dei valori medi evidenzia dati in maggior accelerazione relativa per il campo “salita”, mentre risulta addirittura negativa (-4,4%) la variazione, fra prima e dopo il 2000, dei deceduti nel corso della “discesa”.
In parole semplici, la conclusione dell’analisti statistica sugli incidenti da valanga registrati durante uscite di scialpinismo sottolinea come sia più rischiosa la salita rispetto alla discesa e che tale trend si stia accentuando nel corso del tempo, in particolare nel confronto fra prima e dopo il 2000.
Questa conclusione stupisce sul piano dei ragionamenti a tavolino, poiché si è portati a pensare che sia più probabile un incidente da valanga in discesa piuttosto che in salita. Infatti in discesa entrano in gioco fattori quali l’ebbrezza della velocità, l’ora più tarda (con neve più “molle”), la maggior stanchezza fisica e mentale…
In salita, invece, ci si aspetta una maggior capacità di valutazione: ci si può fermare, si ragiona, si stabilisce la traccia successiva…, al limite si torna indietro. Insomma la razionalità dell’individuo dovrebbe avere una maggior presa rispetto alla discesa.
Invece la conclusione delle elaborazioni ribalta completamente queste “certezze”: il maggior pericolo delle valanghe, probabilisticamente parlando, si annida in salita.
Le statistiche non ci aiutano a capire le cause di questa rivoluzione copernicana rispetto al “film” mentale che normalmente uno fa. Insomma i dati non ci dicono, con informazioni oggettivi, perché sia più pericolosa la salita rispetto alla discesa.
Si entra quindi in un territorio di ipotesi soggettive, quindi discutibili, non condivisibili da tutti e, forse, oggettivamente fallaci. In tali valutazioni influisce la forma mentis di ciascuno di noi ed anche la sua appartenenza a questa o a quella generazione storica.
Io però azzardo la mia tesi: anche queste conclusioni dimostrano che si ragiona di meno in montagna, perché si va più con la pancia (o, meglio, con i muscoli) che con la testa. E’ una constatazione che abbraccia tutta la montagna, sia estiva che innevata, ma come tale coinvolge anche l’attività scialpinistica.
Quante tracce di salita scialpinistica si vedono oggi con i criteri sanciti dalla conoscenza della montagna? Poche, pochissime.
Poche tracce che, con armoniosi zig zag, risalgono costoni sicuri e si collegano al costone successivo nel punto di minor criticità dei pendii. Guardandole, capisci al volo che chi ha tracciato “sa” leggere il terreno. Ciò non lo esclude del tutto dal rischio di provocare incidenti, ma sicuramente riduce tali probabilità quasi esclusivamente alla sola fatalità imponderabile.
Viceversa si incontrano sempre più spesso le tracce più strampalate, da quelle tutte dritte per la massima pendenza (tipica di chi “corre” a testa bassa) a quelle orizzontali che tagliano per centinaia di metri pendii attaccati con lo sputo… In mezzo una teoria di infinite sfaccettature, accomunate solo da un comune denominatore: osservandole a posteriori, un occhio esperto capisce che quelle tracce sono state realizzate senza il minimo ragionamento. Tracce di pancia, appunto, e non di testa.
Vi sono anche altre possibili cause. Per esempio si sta perdendo l’abitudine di partire all’ora “giusta”, in genere un’ora mattutina, e si inizia la gita quando gli altri impegni ce lo permettono. A volte mi capita, mentre sto scendendo, di incontrare persone che salgono, di pomeriggio, sul mio stesso itinerario: spinto da curiosità, qualche volta ho chiesto il motivo di un orario così inconsueto (almeno per me) e la risposta è stata, appunto, “prima non potevo”. Non mi sbilancio a commentare questo modo di considerare la montagna come un palazzetto sportivo, dove si va quando gli altri impegni lo consentono. Però non riesco a resistere alla tentazione di sottolineare che la montagna, anche su livelli tecnici modesti (come una semplice gita in sci) ha le “sue” regole, fra le quali in primis quelle relative alle condizioni niveo-meteo: gli orari ne sono conseguenza diretta.
Non voglio criticare a priori chi pensa che, invece, sia lui a poter imporre le sue regole alla montagna: dico solo, però, che se uno non rispetta le leggi della montagna, non può protestare se la montagna non rispetta lui e gli scarica addosso un pendio.
Mi restava però un dubbio: come mai gli errori sono superiori in salita che in discesa? Se uno non ragiona a tutto tondo, non ragiona né in salita né in discesa… Quindi gli errori dovrebbero essere statisticamente distribuiti quasi in modo perfetto e non concentrati sulla salita.
A tal proposito chiacchieravo di recente con un amico, anche lui caratterizzato da svariati decenni di scialpinismo sulle spalle, e la sua conclusione è stata risolutiva: gli errori si possono commettere sia in salita che in discesa. Tuttavia cronologicamente viene prima la salita, per cui gli individui che commetterebbe errori anche in discesa, li hanno già commessi in salita e il loro incidente viene registrato in tale ambito.
Elementare, Watson!
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qui si trovano numeri ben diversi…forse qui in gallilandia ci son meno cannibali ? 😉
https://www.montagnes-magazine.com/actus-accidents-avalanche-france-quelle-realite
l’incipit recita, riassumendo:
“Tous les témoignages des professionnels de la montagne convergent : sans parvenir à la chiffrer sérieusement, le constat est à une très forte augmentation de la fréquentation de la montagne hivernale au cours des quinze dernières années. Secteurs hors-piste tracés des premières neiges jusqu’à la fonte, par tous les temps. Assaut des sommets, classiques ou non, par des hordes de randonneurs à skis, là encore de novembre à très tard au printemps, voire toute l’année pour certains sommets et certaines années. Après la vague freeride, l’engouement récent pour le ski de randonnée prolonge ce mouvement à la hausse.
Dans le même temps, on aurait pu imaginer une augmentation concomitante des accidents d’avalanche, régulière et franche. Il n’en est rien.”
simile al:
“Mi pare che l’unica conclusione piuttosto evidente che traspare dalle tabelline è che sia in diminuizione la gravità degli incidenti.”
scritto svariati commenti fa da Matteo
oh, poi di scene da chiodi in montagna ne abbiamo viste tutti ma pare, e dico pare, che
– o gli angeli custodi facciano gli straordinari
– o queste scene siano aneddottiche
disclaimer:
anche l’articolo carolingio usa approcci statistici a dir poco spannometrici, ma almeno mostra medie e trend senza a priori…
a chi fosse interessato ad un utilizzo “pratico” dei numeri segnalo questo libro:
https://www.editionspaulsen.com/avalanches-nouvelle-approche-du-risque-1799.html
pare sia uscita da poco l’edizione italiana, spero che la traduzione sia all’altezza.
il libro lo ho trovato veramente ben fatto. per un utilizzo pratico, unito alle carte geoportail (che cambiano colore a seconda che il pendio sia a piu’ di 30, 35, 40, 45 gradi)vale quanto 3000 pubblicazioni sui cristalli di neve.
ecco le carte geoportail…temo si fermino “prima” della frontiera:
https://www.geoportail.gouv.fr/donnees/carte-des-pentes
Commento 86: guarda che quel concetto è ben specificato nell’articolo (leggi con più attenzione). E’ pur vero che fattispecie del genere (tornare senza dire nulla) non possono che riguardare che gli incidenti senza necessità di soccorso ufficiale (anche chiamato scendendo a valle, non necessariamente col cellulare): se ci sono morti/feriti/ospedalizzati le statistiche restano. Gli incidenti “non denunciati” sono considerati marginali, in termini statistici.
In ogni caso le statistiche AINEVA sono le uniche che si posseggono e inoltre sono ufficiali a tutti gli effetti. Se si contestano anche quelle allora non c’è nessun punto di riferimento. Anche all’estero le analisi partono da dati ufficiali che, per periodi ante 2000, hanno in linea teorica lo stesso “vizio”. Eppure i documenti vengono diffusi, anche pubblicamente, in modo ufficiale (vedi analisi della Petzl).
Aggiungo una considerazione: un tempo, ci si arrangiava di più (per mentalità e per necessità; voi avevate il cellulare ante 2000?) e in caso di incidente senza o con ridotte conseguenze “sanitarie” si tornava a casa e al lavoro senza tanto can can. Al mio gruppo è capitato almeno due volte con gli sci e una volta in cascata…indi per cui avete numeri non sicuri per i vecchi tempi…ora, giustamente, prima si chiama il 112 e poi si verificano le condizioni dei coinvolti.
Roberto Pasini (commento 74) mi chiede:
Ti ringrazio della (mal riposta, peraltro) fiducia, ma non saprei proprio che pesci pigliare. Non è un’analisi che mi sento in grado di affrontare, prima di tutto per limiti miei. E poi mi sembra ci siano un po’ troppe variabili in gioco (ad esempio un’altra incognita è se la qualità della raccolta dei dati sia la stessa dal 1985 ad oggi).
Ciao
Esco leggermente dal tema specifico e mi scuso, ma non voglio più intervenire “ di là”, ormai è diventato inutile come ha suggerito Gogna. Spero di non diffondere il contagio qui, ma i numeri dovrebbero fare da barriera. In questi giorni abbiamo visto in azione nel blog due emozioni molto potenti, diffuse anche nella società. Il vecchio portatore del male, contro il nuovo portatore del male. Il fenomeno è molto evidente analizzando con freddezza la polarizzazione dei commenti soprattutto nella discussione su PM. Non è una cosa nuova. Alla base c’è un meccanismo psicologico profondo che viene chiamato proiezione. Fa parte dei cosiddetti “meccanismo di difesa” fisiologici. È molto efficace sul breve perché consente di individuare in un oggetto esterno la fonte dei problemi. Il corollario è che questo oggetto va possibilmente eliminato, contenuto o educato, a seconda delle varianti. Il ragionamento non può nulla contro queste emozioni, non le sposta di un millimetro. Chi ne è portatore troverà sempre dati che le confermino. Finché la cosa rimane confinata in aree periferiche non c’è un gran pericolo. I pericoli possono esserci, come accaduto numerose volte, quando chi ha un reale potere le cavalca e magari le porta fino in fondo. Ma non mi sembra certo il caso qui. Che fare dunque nel piccolo se non si aderisce a nessuno dei due partiti in un Forum di montagna che, per quanto popolare, non è paragonabile alla Ferragni? Tenere con pazienza la posizione. Questo è la mia proposta ai “compagni di merenda” che la pensano come me. Ciò non significa essere “migliori” ma solo usare un altro meccanismo di difesa che si chiama “razionalizzazione”. Anche questo meccanismo può essere pericoloso e ha fatto danni anche gravi. Raffredda, distanzia ed espone al rischio di essere accusati, soprattutto oggi in epoca di populismo di destra e di sinistra, di superbia, di arroganza intellettuale, ma distorce un po’ meno la realtà e se usato con discrezione e buon senso comporta una certa tolleranza. Amen e che gli dei pagani della montagna ci assistano, soprattutto in salita a quanto pare.
Caro Paolo, ti sbagli: diminuiscono gli incidenti, i morti e i feriti.
http://www.aci.it/fileadmin/documenti/studi_e_ricerche/dati_statistiche/incidenti/Incidenti_Stradali_dal_1930.pdf
Se poi consideriamo i numeri in rapporto al parco circolante, diminuiscono di molto.
Ma questo non ci autorizza a pensare che gli italiani siano diventati tutti autisti provetti o più responsabili (infatti sono cambiate le auto, le strade, le norme stradali e relativo controllo).
Esattamente come i numeri di Crovella non autorizzano a dedurre che gli scialpinisti attuali siano peggiori di quelli ante 2000
non sto dicendo che un tempo NON si commettevano errori (anzi la mia convimnzione di fondo è che, specie negli incidenti da valanga, l’errore umano ci sia SEMPRE, in salita o in discesa). però sottolineo quanto sia paradossale che con tutti ‘sti ammennicoli tecnologici che oggi sono così diffusi, alla fine fine continuino ad esserci incidenti. La crescita relativa di incidenti in salita mi convince che, ai nostri giorni, si stia meno attenti e si sminuisca il rischio, “tanto poi ho l’arva addosso, c’è il 118, arriva l’elicottero….”. Basta guardarsi introno facendo una gita: prima del 2000 (spartiacque convenzionale) una traccia di salita “demenziale” era un’eccezione e balzava subito agli occhi per la rarità. Oggi siamo praticamente all’opposto: in giro si vedono principalmente tracce (di salita) “demenziali” e, viceversa, una traccia fatta come si deve è talmente rara che balza subito agli occhi. Non apro un ulteriori discorso (che porterebbe via spazi e distrarrebbe, ma concettualmente è collegato): nelle scuole si sta perdendo (a volte predeterminatamente) la propensione ad insegnare a tracciare in salita (parlo di salita scialpinistica). A prescindere dal mondo didattico, in montagna (specie innevata) oggi il verbo è: “liberi tutti”. Per carità, fate pure. Anzi a questo punto vi incoraggio: se ci pensa la Natura a fare selezione, io non la ostacolo di certo.
Nelle automobili sono state messe telecamere, sensori e air-bag dappertutto.
Gli incidenti aumentano, come i feriti, ma i morti non diminuiscono.
Penso che l’uomo non cambi, qualsiasi cosa faccia e dovunque si metta.
Penso anche che sarebbe meglio fare una statistica dei cervelli, perché dovunque vadano le masse accadono sempre le stesse cose.
Forse vogliamo solo avere delle regole da seguire, se cercassimo delle verità saremmo obbligati a seguirle e meno liberi di svolazzare qua e là.
“il 95% degli stessi dovrebbero avvenire in discesa e solo il 5% in salita, considerato che il 5% è da sempre ritenuto imputabile alla cosiddetta fatalità. Se anche solo ci fosse il 50% di incidenti in salita e il 50% in discesa, significherebbe che un 45% di incidenti (quelli della salita al netto della fatalità) sarebbe conseguenza di errori umani. Ma cosa volete che vi dica? Vi piace sbagliare? E sbagliate pure, tanto la pelle è la vostra, mica la mia. Io mi metto comodo sul bordo del fiume e aspetto che passiate…”
E qui mi pare che caschi l’asino: negli anni AC (ante-cannibali) non ci si è mai nemmeno avvicinati al tuo 95-5% e, ripeto, i singoli incidenti sono diventati in media meno mortali.
Quindi mi pare tutt’altro che provata, e anzi azzardata, la tesi “una volta si che si sapeva andare, adesso sono tutti incoscienti e suicidi”.
Non sono alla ricerca di nessun paracadute. Vedasi il commento 61: anche chi usa la statistica quotidianamente converge verso la tesi di questo mio articolo, ovvero che gli incidenti in salita sono cresciuti in modo più che proporzionale rispetto a quelli in discesa. Qui si ferma la statistica, non può andare oltre (anche per l’assenza del dato chiave che è il totale dei praticanti). Secondo me questo fenomeno dipende dal fatto che si commettono troppi errori umani. Infatti è incomprensibile che si finisca sotto a una valanga in salita, avendo tutto il tempo per ragionare (a differenza della discesa). A tavolino, il buon senso dice che, fatti pari a 100 il totale degli incidenti, il 95% degli stessi dovrebbero avvenire in discesa e solo il 5% in salita, considerato che il 5% è da sempre ritenuto imputabile alla cosiddetta fatalità. Se anche solo ci fosse il 50% di incidenti in salita e il 50% in discesa, significherebbe che un 45% di incidenti (quelli della salita al netto della fatalità) sarebbe conseguenza di errori umani. Ma cosa volete che vi dica? Vi piace sbagliare? E sbagliate pure, tanto la pelle è la vostra, mica la mia. Io mi metto comodo sul bordo del fiume e aspetto che passiate…
Concordo con Crovella che scendere troppo in spiegazioni tecniche per chi è digiuno della materia sia controproducente.
Questo però non vuol dire che si possa effettuare una analisi in modo improprio e trarne poi delle conclusioni arbitrarie.
Chi veramente è padrone della materia fa correttamente e rigorosamente il proprio lavoro e poi lo illustra in modo semplice ai comuni mortali.
Quello che stanno cercando di spiegarti è che il tuo lavoro non è stato eseguito in modo rigoroso e le conclusioni sono decisamente arbitrarie.
Non accettando la critica continui a svicolare e cercare paracadute che però risultano sempre bucati….
Le considerazioni di metodologia statistica aggiunte dagli ultimi contributi sono molto interessanti ed arricchiscono notevolmente il dibattito. Tuttavia io ritengo che muoversi su livelli di analisi “raffinati” tagli fuori una ampia fetta di destinatari/lettori. Parlare di cose come indici, regressione, scarto quadratica medio ecc ecc ecc rende incomprensibili le analisi a molti lettori, perché non avvezzi alla statistica per questioni di lavoro o di studio. La mia esperienza di formatore ai corsi di scialpinismo mi ha convinto di ciò. Per tale motivo, fin dall’origine dell’analisi, ho scelto deliberatamente di seguite una trattazione molto “casereccia” dei dati. La vituperata Tabella 1 e’ probabilmente imperfetta da un punto di vista metodologico, ma rende bene l’idea e prepara il terreno (agli occhi di lettori non smaliziati sull’uso della statistica) alla Tabella 2 (valori medi) che e’ il vero punto centeale della riflessione. Ciò si lega con la divisione in due archi temporali. L’individuazione dell’anno 2000 come spartiacque e’ arbitraria, ma ha un suo “perché” tecnico-storico e non a caso anche i francesi si indirizzano su tale data. In realtà non esiste uno spartiacque puntuale e preciso, quanto un periodo di circa 3-5 anni a cavallo del 2000. La variabile tecnica è stata l’introduzione dei nuovi sci sciancrati. Ho spiegato i perché nell’articolo e quindi non li ripeto, rinviando all’articolo stesso. Chi non ha vissuto il prima e il dopo di tale innovazione tecnica non può immaginare quanto sia cambiato il contesto dello scialpinismo. Si tratta di due mondi completamente diversi, anzi opposti e (concettualmente parlando) addirittura conflittuali. Molte cose che ho scritto stamattina, rispondendo a Pasini, sono figlie degli sci sciancrati, quindi la mentalità è sensibilmente cambiata. Buona serata a tutti.
Bé Paolo, il problema è come si spiega l’aumento degli incidenti e la diminuzione dei morti per incidente.
Mi sembra dura da digerire che ci siano più cannibbbali in giro e quindi più incidenti in valanga, ma siccome nevica meno ogni incidente fa meno morti…
Matteo, magari è perché nevica molto meno e quando nevica tutto si stabilizza molto più velocemente del passato, dato che le medie e oscillazioni termiche son cambiate.
La gente è più veloce, corre e magari evita dei pericoli, ma secondo me presta molta meno attenzione a cosa sta facendo.
Ok. Ho capito. A tuo parere non è significativo considerare il valore assoluto degli incidenti visto che non conosciamo il numero delle gite, quindi il tasso dì incidentalità potrebbe essere addirittura diminuito. Seconda domanda: cosa mi dici del rapporto salita / discesa al di là della periodizzazione AC e DC. Si tratta di variazioni random anche qui con poco significato? Anche i francesi quindi azzardano troppo?
Roberto Pasini (commento 70) scrive: “Provo a riassumere per vedere se ho capito. Dalla tabelle di Motta e di Crovella emerge: 1. un fortissimo aumento sia degli incidenti che dei travolti nella fase DC ( Dopo Cannibale) (…)”
E no! Pasini, mi fai lo stesso errore di Crovella? 😉
Non ha senso confrontare il totale degli incidenti.
Avrebbe senso solo se prima di tutto i due periodi avessero la stessa durata, e poi se il numero di gite/stagione fosse costante (cosa che non sappiamo e che inoltre, se vera, sarebbe in contrasto con uno dei presupposti dell’articolo: l’aumento incontrollato dei praticanti).
Bisognerebbe confrontare il tasso incidenti/gita, ma è un dato che non abbiamo.
Ciao
Ribadisco che l’unica osservazione che mi pare emerga è la diminuzione della gravità media degli incidenti, ovvero che, anno per anno, sembrano diminuire i rapporti morti (o travolti) per incidente e numero dei morti rispetto ai travolti.
Se questo è vero, potrebbe dipendere da un miglioramento delle tecniche e della velocità dei soccorsi, ma difficilmente mi pare possa coniugarsi con una effettiva minore abilità media dei praticanti come vorrebbe Crovella
Scusate se ritorno sui dati, ma se tutto ruota intorno alla domanda: “C’è stato un aumento degli incidenti in salita?” allora occorre fare chiarezza una volta per tutte. La % di incidenti in salita sul totale degli incidenti di ciascun periodo individuato da Crovella effettivamente è diversa. Nel 1985-1999 è stata 39,7% (81 su 204) mentre nel 2000-2018 è stata 52,6 (301 su 572). La differenza tra queste due percentuali è statisticamente significativa (ometto i dettagli, ma mi occupo di analisi dati nelle scienze sociali e sono in grado di dimostrarlo volendo). Il problema è che basta cambiare il raggruppamento dei periodi perché questa differenza cambi e non sia più significativa. Ad es. se raggruppo fino al 2005 e dopo il 2005 le % diventano 47,6% e 50,3% rispettivamente.
E’ necessario quindi cambiare approccio all’analisi e guardare alla serie storica nel suo complesso. Ribadisco che la % di incidenti in salita sul totale di incidenti per stagione non soffre del problema dell’aumento di praticanti perché è un rapporto dove se aumenta il numeratore aumenta anche il denominatore.
Ora, se analizziamo la serie della % di incidenti in salita, vediamo chiaramente che essa varia in maniera causale senza alcun trend. A questo link trovate la serie e il grafico:
https://drive.google.com/open?id=1Z90NGcaJv-4T2uCNHKyoUH6IPhUJb19U
Dopo di che, se vogliamo continuare a parlare di un non-risultato continuiamo pure, ma non ha senso a mio giudizio
Provo a riassumere per vedere se ho capito. Dalla tabelle di Motta e di Crovella emerge:1. un fortissimo aumento sia degli incidenti che dei travolti nella fase DC ( Dopo Cannibale).
2. Un cambiamento dei rapporti tra incidenti in discesa e in salita nella fase DC rispetto alla fase AC: nella fase AC prevalgono nettamente gli incidenti in discesa mentre nella fase DC i numeri si avvicinano, con una prevalenza di 5 punti % della salita.
3. Un andamento divergente da incidenti e travolti nelle due fasi. Nella fase AC prevalgono nettamente gli incidenti in discesa ma i travolti si equivalgono. Nella fase DC il numero di incidenti salita/discesa si rovescia con una discreta prevalenza della salita ma sopratutto aumentano in modo notevole i travolti in salita.
Quindi: più incidenti e più travolti dalla fase AC a quella DC. Nella fase AC più incidenti in discesa ma numero di travolti equivalente. Nella fase DC più incidenti in salita, anche se non tantissimo, ma soprattutto più travolti in salita.
E’ giusto? Si possono azzardare spiegazioni?
Scusate, evidentemente l’embedding delle immagini NON funziona (o non sono capace di usarlo).
Questo è il link all’immagine della tabella:
https://i53.servimg.com/u/f53/17/87/69/39/incide10.jpg
Alla luce del commento di Paolo Checchia (61), ci tengo a precisare che le mie obiezioni all’articolo di Carlo Crovella sono relative esclusivamente a come i dati sono stati presentati nella “Tabella 1”.
Giustamente Checchia osserva che i 3 anni di differenza fra il periodo “Precannibaliano” e il “Cannibaliano” (spero che queste scherzose definizioni non offendano nessuno) NON sono significativi, se si parla di rapporti.
In “Tabella 1” però NON si parla di rapporti, ma viene invece confrontato il totale degli incidenti, evidenziando, ad esempio, come nel Cannibaliano ci sia stato un incremento del 178 e rotti percento del numero di incidenti rispetto al Precannibaliano.
Questo modo di presentare i dati è però ingannevole.
Ripeto: se gli incidenti per stagione fossero costanti, presentando i dati come in “Tabella 1” risulterebbe comunque un incremento degli incidenti nel Cannibaliano (es. con 10 incidenti per stagione: Precannibaliano 10×15=150, Cannibaliano 10×18=180, dalla tabella risulterebbe un aumento del 20%, aumento che però NON è reale, visto che abbiamo sempre avuto 10 incidenti per stagione).
Io avrei presentato i dati come in questa tabella:
A voi ulteriori analisi/commenti.
Saluti
Ho visto che il “vizio” della progressione in conserva (difficilissima, pericolosissima, insegnatissima, raccomandatissima) fa sempre più morti.
L’uomo è un animale strano è difficile da comprendere.
Grazie dei chiarimenti Crovella. Proprio in seguito a gravi incidenti capitati ad amici ho smesso di fare scialpinismo da un po’ dopo averlo praticato a lungo con ex Righini e non sono tanto informato sui dettagli tecnici. Confesso che l’ho sostituito con la corsa in montagna, tuttavia solitaria e con il buon senso di chi apprezza la vita che gli rimane.ciao
Per commento 63: si vede che leggi male i quotidiani (o forse non li leggi proprio). Nei resoconti di cronaca degli incidenti in montagna, non solo per quelli da valanga, se i coinvolti fanno (o hanno fatto) parte attiva del Cai, oppure hanno frequentato corsi/scuole o addirittura sono istruttori o componenti del Soccorso Alpino (in uscita privata al momento dell’incidente), il dato viene segnalato eccome. Per differenza, se non c’è nessuna segnalazione, i coinvolti non hanno legami con corsi/scuole. Tendenzialmente sono molto contenuti gli incidenti che coinvolgono persone con tali caratteristiche.
Rispondo sinteticamente a Pasini:
1) In discesa si sta più distanti uno dall’altro, magari solo 15-20 m (che possono fare, eccome, la differenza in caso di incidente), poiché ciascuno va alla ricerca del proprio pezzo bello di neve “vergine”. Viceversa in salita, erroneamente, si tende ad ammassarsi, si sta vicini, uno subito dentro l’altro o addirittura affiancati (magari per chiacchierare). Questo potrebbe spiegare la differenza.
2) Come ho già anticipato, non ricordo più a chi, la banca dati che mi sono costruito conferma (dal 2000 circa in poi) un anticipo e un “accorciamento” della stagione scialpinistica. Mi sono tenute le relative considerazioni per un futuro articolo, in quanto il presente era già troppo lungo e corposo. Il fenomeno è correlato con gli sci larghi e la relativa ideologia, quella della ricerca della neve farinosa (invernale). A sensazione accadono più incidenti nella prima metà della stagione per la correlazione (ideologica) fra maggior presenza umana e condizioni più instabili del manto nevoso (il manto costituito da neve farinosa è meno assestato rispetto la manto nevoso di neve trasformata – alternanza scioglimento per caldo diurno e indurimento per gelate notturne). Non disponendo di dati sui praticanti totali (è già stato spiegato perché) per il momento mi baso su constatazioni soggettive: dal 2000 (circa) è sensibilmente aumentata la frequentazione di un certo tipo di scialpinista che “si scatena dalle prime nevicate in poi e, circa a metà-fine marzo, rimette in ogni caso gli sci in cantina”. Non sviluppo qui i concetti, ma è chiaro che lo scialpinista tradizionale scia da novembre a giugno, questo “nuovo” tipo di scialpinista (numericamente in forte crescita) smette al più tardi con Pasqua e “va la mare” (a prescindere dalle condizioni nevose): è un habitus mentale.
3) Il tema del rapporto incidenti salita-discesa è proprio quello che mi è balzato all’occhio nella mia analisi dei dati. Intuitivamente la discesa dovrebbe essere (molto) più pericolosa: ebbrezza, velocità, ora tarda, stanchezza fisica e mentale. In salita, viceversa, dovresti essere fresco, con la mente “sul pezzo”, hai anche tutto i tempi tecnici per ragionare (salgo di qua, oppure di là, al limite torno indietro). Invece ci sono tanti incidenti in salita. I dati non illuminano oggettivamente sulle cause. Nell’articolo ho esposto le mie teorie. In parole povere molti vanno “alla cazzo” e quindi commettono errori, che in montagna si pagano cari. Poiché, cronologicamente, la salita viene prima della discesa, questo potrebbe spiegare l’infittirsi dei dati in salita dal 2000 in poi. tutto ciò al netto della fatalità, che è sempre in agguato, anche a carico di individui superesperti e “con la testa sul collo”.
Per commento 58: 🙂
Lei conferma quello che pensano tanti montanari (nel senso di nati e cresciuti) che a naso riconoscono i cittadini, anche quelli che han fatto scuole prestigiose, da come si muovono (malamente) in montagna: tutti presuntuosi e padroni del mondo…
P.s. io una notizia d’incidente in valanga da cui si deduca se i coinvolti han fatto o meno corsi la devo ancora leggere…comincio a dubitare dei suoi dati…
Richiesta di chiarimenti
A Crovella,Checchia o altri.
1. Mi ha colpito il fatto che guardando la serie completa il numero di incidenti in salita e discesa non presenta grandi differenze 382/390. La differenza sta nel numero dei travolti (941/651). Ho visto che questa differenza si presenta quasi uguale nei due periodi. Vuol dire che in salita vengono travolte più persone?
2. Anche la ricerca francese pone il 2000 come spartiacque. Fino a quella data le curve degli incidenti invernali e primaverili sono parallele poi divergono: gli incidenti invernali salgono e quelli primaverili scendono. Può esserci una correlazione con il fatto che è aumentata la pratica invernale? E questo può collegarsi anche alla scoperta di Crovella!
3. La ricerca francese stabilisce una prevalenza della discesa. E parla in chiave di prevenzione di attenzione all’entusiasmo della discesa. Non ho capito bene se si fondano su serie storiche o su un dato puntuale. È possibile che la situazione sia così diversa o i numeri ballano?
Il tema non è accademico, ma ha implicazioni preventive. Cosa ne pensate?
Intendo ringraziare l’autore per questa lodevole iniziativa (guardare dati è sempre la cosa più giusta da fare prima di affrontare qualsiasi ragionamento su qualsiasi argomento). Intendo ringraziare anche Renzo Carriero che ha fornito l’accesso ad un foglio excel dal quale ho potuto elaborare qualche piccola ulteriore valutazione.
Essendo un fisico sperimentale ( dedito spesso ad analisi dati) mi attengo solo ad alcune osservazioni statistiche tralasciando le interpretazioni.
Analizzo solo i numeri di incidenti, in quanto sia il numero dei travolti che quelli degli illesi e delle vittime sono correlati (possibilità di più casi in un singolo evento). Assumo (credo con un certo grado di ragionevolezza) che gli eventi “incidenti” costituiscano numeri indipendenti (tralascio i dettagli tecnici sulla statistica loro applicata). Prendendo un divisione in solo due categorie ( prima del … e dopo il…) i numeri sono abbastanza grandi (81 il più piccolo) per cui con discreta approssimazione si può applicare la regola della radice quadrata per valutarne l’incertezza (errore) statistica(o).
Ciò premesso, mi son chiesto che significatività abbia l’affermazione fatta dall’autore: che il rapporto travolti in salita/travolti in discesa sia maggiore dopo una certa annata rispetto a prima. I numeri proposti dall’autore sono
81/123 = 0,66 (nelle prime 15 stagioni) e 301/267 = 1,13 nelle altre 19 stagioni considerate (arrontond. alla 2nd cifra dec.). La differenza tra i due rapporti è ovviamente una quantità soggetta ad un errore statistico e la significanza può venir definita come differenza/(errore sulla differenza). Risultato approssimato
(omettendo dettagli dato che non stiamo facendo una pubblicazione scientifica): circa 3 deviazioni standard. Cioè a dire, il risultato è abbastanza significativo. Nel gergo scientifico, ad un tale livello di significanza si associa il sostantivo “evidence” ma non quello “discovery”. Visto che qualcuno obietta sulla divisione temporale (2000) che non partisce in modo eguale le annate (obiezione peraltro non fondata dal momento che si parla di rapporti), e considerato che la medesima suddivisione è del tutto arbitraria, usando il succitato foglio excel mi son preso la briga di rifare l’esercizio con 17 anni per parte ( spostando quindi le annate 00-01 e 01-02 ).
Risultato: 98/142=0,69 contro 284/248=1,15. Significanza sempre attorno a 3.
Morale (senza interpretazioni): il risultato è abbastanza significativo ma sarebbe poco credibile cercare di suddividerlo in sottocampioni ( ad es. su base multi-mensile) o di cercare suddivisioni più fini.
Ultimo commento (banale ma doveroso): a differenza dei dati che analizzo per lavoro, in questo caso sarebbe da sperare che nel futuro non si aggiungessero altre informazioni ( in quanto questo vorrebbe dire niente nuovi incidenti) ma purtroppo non sarà così.
Paolo
certi commenti son proprio dei rutti, per dirla come scritto sugli 8000, invece e’ molto interessante la scomposizione dei dati sugli incidenti valanghe, e’ giusto considerare due periodi diversi perché la tecnica è molto cambiata
La ricerca Petzl conferma quello che dici sugli errori di ragionamento. L’albero decisionale che porta all’incidente da valanga che hanno costruito intervistando i sopravvissuti attribuisce un peso molto forte proprio agli aspetti cognitivi. E qui sembrerebbero avere un effetto importante proprio alcuni fattori contro-intuitivi che aumentano la propensione al rischio come la familiarità, l’esperienza, la dinamica di gruppo, la pressione del risultato. Leggendo mi veniva in mente Aria Sottile e gli errori delle guide. Non so se sia davvero così ma mi sembra abbiano fatto un buon lavoro e poi siccome hanno prodotto del materiale che distribuiscono nei rifugi francesi si assumerebbero delle belle responsabilità come azienda se avessero sparato cazzate.
Per commento 57: devi leggere con più attenzione. Infatti NON ho scritto che non incontro mai ragazze/donne, né solo gente che mi da’ idea di non aver fatto corsi/scuole. Ho invece scritto che IN PREVALENZA incontro gruppetti di 2-3-4 individui che normalmente sono maschi, di età 45-60 e che danno idea di esser arrivati a fare scialpinismo senza introduzione tramite corsi/scuole. L’occhio esperto ce l’ho perché faccio scialpinismo da 55 anni (su 60) e bazzico nell’ambiente delle scuole da 45 continuamente… Per quanto riguarda cosa segnala se uno ha frequentato o meno corsi e scuole, specie se serie, ho già detto nei recenti articoli (fine dicembre) sulla SUCAI Torino r relativi commenti, cui rinvio. Circa caratteristiche (eta’, sesso ecc) dei soggetti travolti in incidenti da valanga, a naso il travolto medio è quello descritto (maschio, 46-60, no corsi): almeno così emerge dalla mia lettura degli articoli pubblicati sui quotidiani e relativi a incidenti da valanga. Effettivamente non ho mai annotato diligentemente questi “valori statistici” in una specifica banca dati, ma potrei iniziare a farlo, perché si tratta di dati non facili da ottenere. Infine per quanto riguarda fare dell'”ottimo” scialpinismo (a prescindere che si tratti di maschi o femmine, giovani o vecchi) bisogna vedere cosa si intende: fare 2500 m di dislivello ma solo perché si corre a testa bassa, oppure sciare sui 50 gradi ma solo perché ci si caccia nei canali appena terminata la nevicata, non è fare dell’ottimo scialpinismo. Viceversa fare 1300-1500 m. ma “muovendosi” come si deve (vedi articoli SUCAI r relativi commenti), quello e’ fare dell’ottimo scialpinismo. Sottolineo questa differenza fondamentale, perché, al netto della fatalità sempre in agguato anche per gli scialpinisti esperti, chi invece non ragiona è molto più esposto ai rischi della montagna.
🙂 mi incuriosisce l’ultimo intervento di Crovella…
se di quelli che incontri nessuno ha fatto corsi cai (madonna che occhio…) dove sono finiti tutti quelli che hanno fatto i corsi? hanno abbandonato disperati? sono restati sotto da giovani?
ti comunico poi che se vieni in TAA incontrerai un fracco di gente giovane e di ragazze/donne sole che fanno dell’ottimo scialpinismo… 😉
(per cui parlare di scialpinista medio italiano sulla base di quello che vedi a casa tua è un po’ forzato…)
buone salite
Segnalo che sul sito della Petzl Foundation si trova un aggiornamento al 2017 della ricerca. Questa nuova versione conferma alcune osservazioni contenute nella prima. In particolare stressa quello che chiama il bias of familiarity (sembra che il 70%degli incidenti accada su terreni conosciuti) e le dinamiche di gruppo. Non conosco l’ambiente e non so se il mondo dello scialpinismo francese sia diverso.
Giacomo, loro dicono che l’hanno pesata in funzione delle giornate, come dice il piccolo riassunto. Leggendomi tutto il testo, ricco di dati, non ho capito bene con quali formule. La ricerca è anche qualitativa, basata cioè non solo su data base ma anche su analisi di casi. Petzl ha come suo business le attrezzature di sicurezza nel lavoro e nello sport quindi è comprensibile che sia molto attenta al tema. C’è anche un grafico che purtroppo non riesco a incollare qua che conferma quanto detto da Crovella e altri sulla divaricazione tra le due curve incidenti primaverili e incidenti invernali a partire dal 2000. La ipotesi di una sottovalutazione del rischio da parte degli esperti conseguente ad un eccesso di sicurezza nelle proprie possibilità non mi meraviglia. I successi ottenuti negli anni sono un’ulteriore fattore aggravante. Ecco dunque l’importanza di formazione/auto-consapevolezza/ procedure per tutti non solo i principianti.
Le statistiche AINEVA non indicano (almeno così a me risulta) informazioni sui travolti (età, sesso, cultura ecc). Non è detto che lo studio francese (che, se ho capito bene, non coinvolge la realtà italiana) sia applicabile in automatico alla situazione scialpinistica nostrana.
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Sulla base di semplici osservazioni personali e NON di dati oggettivi, io mi sono fatto un’idea dello scialpinista medio italiano dei nostri giorni e, in particolare, di colui che è fortemente esposto al rischio valanghe. Le osservazioni le faccio, come mio solito, sul terreno, guardando chi incontro casualmente: come cammina, come impugna i bastoncini, come appoggia le pelli sulla neve, come parla (da cui si deduce “come ragiona”, in particolare di montagna), com’è vestito (da montagna), che zaino ha….ecc ecc ecc. Osservo anche i dati cosiddetti personali: età, sesso, ecc. Conclusione: gli scialpinisti sono in prevalenza individui maschi, di mezza età (intendo 45-60), in gruppetti di 2-3-4, da come si muovono intuisci che NON hanno partecipato a scuole o corsi Cai… (Nota: sono invece relativamente pochi i giovani under 30 e le ragazze. A volte ci sono le “mogli” al seguito, ma questo è un altro discorso). Stiamo sempre parlando di piccoli gruppi o di comitive private. Discorso completamente diverso quando si incontrano gite sociali, corsi e scuole: i numeri e la composizione umana sono differenti. Se tanto mi dà tanto, da un bacino statistico del genere (ripeto: maschi, età 45-60, senza “preparazione” sistematica), le persone che finiscono sotto sono in prevalenza di tale natura. Alla stessa conclusione giungo leggendo dettagliatamente le cronache degli incidenti (almeno quelli del Nord Ovest): è abbastanza raro il coinvolgimento di ragazzi-giovani (per fortuna), mentre in genere si tratta, appunto, di individui maschi nel range di età 45-60. NOTA: nel mucchio dei travolti, ovviamente, ci sarà di tutto, per cui nessuno è esente dal rischio valanghe. Capita anche agli esperti, purtroppo.
Roberto, anche qui l’informazione ha dei limiti, in quanto non pesata sul numero di ‘uscite’. Quando si osserva:
‘is the ageing of ski touring avalanche victims simply due to the increasing average age of the French population (identified by INSEE), or to a specific age increase among the skiers enjoying this activity’
La seconda ipotesi equivale a dire che i vecchi ( in pensione?? ) potrebbero avere tempo di fare più’ uscite…
Ad ogni modo interessante perche’ smonterebbe uno dei teoremi in voga su queste pagine, cioe’ che i giovani ( piu’ tecnologici, piu’ ‘sportivi’ come approccio, in definiva piu’ cannibali ) siano piu’ soggetti ad incidenti.
Il che insegna ad andarci cauti con pagine e pagine di discorsi, ripetuti fino alla noia, che si rivelano puramente basati su sentimenti personali…
E naturalmente, chi preferisce leggere mettendo il cervello ‘a basso regime’ e’ libero di farlo. A basso regime i commenti di dissenso o semplicemente di rettifica risultano spesso indigesti.
Crovella ha avuto il grande merito di analizzare i dati disponibili e di cercare di ricavarne delle considerazioni utili sintetizzate nel titolo. Come sempre i dati possono essere interpretati in modo diverso o altri dati possono suggerire ipotesi diverse, come accade per la ricerca francese che tende a dare più importanza al fattore discesa. È il bello della ricerca non c’è niente di male o di personale. Si chiama onesta’ intellettuale e spirito critico. L’argomento ha molte implicazioni per i praticanti e quindi è utile ogni contributo che cerca di far luce sui fatti, lasciando da parte la tipica “oppositivita’ “ da blog. Stiamo parlando di disgrazie. Se qualcuno ha la pazienza di leggersi il rapporto francese contiene altre due cose che non avevo segnalato nella fretta. Una ricostruzione dei fattori che hanno portato all’incidente attraverso interviste agli infortunati (albero delle cause) e una sottolineatura delle dinamiche di gruppo, visto che molti incidenti coinvolgono gruppi di sciatori. Anche questo non mi meraviglia. Il fenomeno del “groupthink” è stato molto studiato negli incidenti che capitano a equipaggi aerei, gruppi militari e equipe chirurgiche.
Avevo incontrato in una passeggiata tre persone ciascuna con un grosso, per me, “cornino rosso napoletano” appeso allo zaino.
La neve era crostosa e ghiacciata e non avevano ramponi o picca.
In discesa avevo fatto loro dei gradini, ma loro non mi avevano chiesto aiuto anche se uno era “partito” e si era fermato attaccandosi ad una pianta.
Fede o speranza? Direi altro.
Il fatto che qualcuno dedichi del suo tempo per analizzare i dati relativi agli incidenti da valanga è molto positivo. Che ci siano sempre quelli che fanno solo polemiche è un dato di fatto. Un altro dato di fatto sono le date di apertura dei rifugi e le location degli stessi. Quanti sono gli scialpinisti che danno per scontato che il rifugio è costruito in zona sicura? Ad esempio il rifugio Aosta in Valpelline? Oppure il rifugio Bezzi in Valgrisenche? E il rifugio Elisabetta in Val Veny? Rifugi che 40 anni fa aprivano solo in estate e che nessuno immaginava fossero interessati da valanghe . Il Bezzi in particolare è stato colpito da 4 grosse valanghe ( ultima in ordine cronologico Natale 2019)ad intervalli di 2/3 anni e malgrado i fatti di Rigopiano , malgrado i danni ingenti che ogni evento procura, malgrado gli uffici valanghe competenti conoscano la situazione, malgrado tutto e tutti…menomale che qualcuno analizza i dati e che qualcun’altro sia stuzzicato a commentare.
l’articolo di crovella è molto interessante. grazie per il suo contributo. invece sono fastidiosi molti dei commenti, in particolare se carichi di polemica che non aiuta e distrae. molto altri commenti vanno fuori tema
Meglio andare cauti con le superstizioni.
Caro Merlo, se per te aiutare le persone in vari campi a gestire i rischi e a non crepare o fare danni attraverso l’analisi degli incidenti è pazzia, il problema è tuo e ci andrei cauto nell’applicare agli altri alcune categorie cliniche.
Qui allego un riassunto della ricerca francese per chi non vuole leggersi tutto il pippone. È in inglese come tutta la ricerca internazionale ma non faccio in tempo a tradurlo.
“Accident victim profiles: the dominant effects of age, gender and experiencethe parent population profiles (in terms of age, gender, place of residence) weighted by the level of exposure (frequency of participation, level of engagement) appears to have an impact on the accident victim profiles,thus the ageing of the hiking population or the local residence of ski tourers are identifiable when drawing up the profiles of accident victims. At this stage, once again, we regret the analytic deficiencies induced by a lack of knowledge concerning the parent populations in many cases, this situation makes interpretation difficult: for example, is the ageing of ski touring avalanche victims simply due to the increasing average age of the French population (identified by INSEE), or to a specific age increase among the skiers enjoying this activity? Are young ski tourers more aware of the risks and/or better equipped than the older generation? While various explanations are possible, it is essential to interpret these observations with prudence, ultimately, what can be learned from this investigation of the profiles of victims of sporting accidents in the mountains? there is certainly a very marked gender bias and a serious age impact to be taken into account, as well as the influence of the level of experience, which counter certain preconceived ideas and which, at the very least, go against instinct,however, aside from a probable over-exposure of experienced or expert participants, much remains to be explained concerning the accident mechanisms and circumstances involved”
L’argomento è certamente interessante sia dal punto di vista della conoscenza che della prevenzione. Siamo alla pazzia.
Ecco il link.
https://www.petzl.com/fondation/foundation-accidentologie-livret_EN.pdf
Durante una lunga pausa in areoporto ho trovato questa interessante ricerca fatta dalla Petzl Foundation. È un po’ vecchiotta e riguarda la Francia con riferimenti ad Austria,Canada, Svizzera. A pag. 35 i ricercatori stimano il 51% degli incidenti da valanga in discesa e il 34% in salita. C’è anche un profilo delle vittime a pag, 26 / 28 anche se i ricercatori mettono le mani avanti e consigliano prudenza nell’interpretazione. Sembra che le categorie “sovrarappresentate”nell’insieme degli incidentati siano maschi, locali, persone mature ed esperti. Questo quarta categoria, qualora fosse confermata, non mi meraviglierebbe. In passato mi sono occupato di propensione al rischio dei manager del settore finanziario ed era emerso che proprio i più esperti erano maggiormente esposti a incidenti, in quanto più orientati ad accettare il rischio essendo convinti di gestirlo. A scopo preventivo organizzammo per il cliente un corso destinato proprio a “ proteggere” i più esperti dall’abuso delle loro qualità e dal rischio di fracassarsi loro e l’azienda. Per preparare il corso, analizzai la letteratura in merito a esperti e propensione al rischio, e trovai a suo tempo anche una ricerca fatta da un’università italiana che mannaggia ora non riesco più a rintracciare e che riguardava gli scialpinisti. Avevano costruito un test basato sulla valutazione di rischio di itinerari di scialpinismo. Risultava che rispetto al gruppo di controllo i più esperti tendevano costantemente a sottovalutarlo. Cercherò di rintracciarla. L’argomento è certamente interessante sia dal punto di vista della conoscenza che della prevenzione.
Riguardo al numero di anni ( 19 e non 18): concordo ma trae in inganno il commento 5 in cui si parlava di 18 anni
Paolo
Sebbene leggermente fuori tema, mi permetto di dire che l’attenzione dei media agli incidenti in montagna, nelle varie fattispecie, sembra comunque aumentata. Indipendentemente dalle statistiche reali, è un fenomeno nuovo, interessante.
Avete la stessa percezione? E che ne pensate?
Lo scenario era distopico ma non così tanto. Anche qui nel nostro piccolo mondo dei monti ci siamo imbattuti per casi in un tema enorme della contemporaneità che va sotto il nome di Big Data. La disponibilità su vasta scala di dati analitici sui comportamenti e di strumenti per elaborarli a buon mercato pone dilemmi non da poco. Da un lato crea la possibilità di capire meglio cosa succede, magari a fin di bene, come nel caso dell’elaborazione casalinga fatta da Crovella a scopo conoscitivo/preventivo, dall’altro può essere utilizzato per influenzare i comportamenti e aumentare il livello di controllo su di essi, magari anche qui spacciato a fin di bene. È quello che succede oggi quando usiamo internet. Tutto quello che facciamo lascia traccia e genera un dato. Per questo i mafiosi usano i pizzini, perché sono avanti non indietro. Per ora certi ambiti sono periferici e quindi interessano poco alle grandi organizzazioni ma la tendenza è pervasiva e si allarga.Conciliare libertà individuale e controllo sociale sarà una grande sfida di questo secolo.
Caro Carlo Crovella, se posso permettermi e con il dovuto rispetto, non mi sembra di aver “strillato”, ma soltanto di aver pacatamente sollevato obiezioni su una parte dell’articolo, la “Tabella 1”, nella quale, a prescindere dallo scopo dell’articolo, riportare le variazioni percentuali sul totale degli incidenti, dei travolti e dei deceduti nei due periodi mi sembra non solo privo di significato, ma anche fuorviante (se non addirittura capzioso, ipotesi che comunque scarto in quanto sarebbe un insulto non solo all’intelligenza dei lettori, ma anche dell’autore).
Saluti
Bleah! se lo sbocco ideale della questione è quello descritto da Pasini nel commento precedente, meglio che nessuno attacchi più le pelli agli sci. Lasciamo un velo di oscurità sulla montagna: che se ne stia in pace. Di luna park ne abbiamo già a iosa: basta guardare un qualsiasi TG e fra politici internazionali e nostrani, eminenze, intellettuali da strapazzo, bellone prorompenti… ce n’è da togliersi la voglia.
Esatto Antonio. Viva le controversie civili, magari ogni tanto con qualche leggerezza per sdrammatizzare. Crovella ha sollevato un tema intrigante e gli dei della montagna gli renderanno merito. Ma a volte le conseguenze sono inattese. Ora caricando il data base su Excel e facendo girare le funzioni di Data Analysis si potranno calcolare varianze, trend, correlazioni, indici di probabilità etc. Io non ho voglia perché ho deciso di occuparmi solo di emozioni/relazioni ma qualche smanettone nel blog ci sarà. Così le compagnie potranno differenziare tre prezzi per le polizze vita: chi sale, chi scende e chi fa entrambe le cose. Poi potremo mettere, come nelle falesie, alla base di ogni salita un cartello digitale a cura della pro-loco: con indicazione dell’ultimo incidente, della probabilità del prossimo e dell’indice di rischio dell’itinerario. Come all’ingresso degli stabilimenti certificati. Con magari un volontario sponsorizzato dai produttori da cui Crovella compra gli sci con costanza e abbondanza, che distribuisce depliant e fornisce supporto ai cannibali……E L’INFAME SORRISE? potrebbe essere lo spunto per una puntata distopic di Montagna TV
se sparate sempre su chi scrive articoli poi non ci saranno più articoli e il blog chiude o si inaridisce. Poi gli articoli che infastidiscono hanno moltissimi commenti, vuol dire che attirano lettori, mentre altri articoli non hanno nessun commento, forse non hanno lettori
10 /20 paia di sci?consumisti! Ecco chi sostiene il business che poi aumenta i cannibali.
Caro Monaco, visto che ti piace il gergo: dama tra ‘ , esci dal convento pieno di pisani rissosi, viene con noi nelle caserme degli alpini del Piemonte e del Lombardo veneto che ti fa bene, ti rilassi, spari quattro cazzate ogni tanto che non fanno male a nessuno e ti passa la rabbia.
Ma esposto in che cosa? I veri impallinato di scialpinismi hanno decine di paia dj sci. Prima di sposarmi sono arrivato ad avere anche 15-20 paia in contemporanea (e almeno 5 paia dj scarponi). A volte me li mettevano a disposizione le ditte. Capita ai veri impallinati dj avere tanti sci. Anche in SUCAI, anzi. Che c’entra qui la SUCAI, poi? Boh. Circa Greta, non sono mai stato un suo sostenitore.
Caro Monaco, libero di fare come meglio credi ma con me perdi il tuo tempo perché non prendo in considerazione nessuna parola scritta in forma anonima. Ognuno ha i suoi gusti, specie sull’altrui modo di porsi. Liberi tutti.
Ci vorrebbe uno dei miei ex colleghi attuari che calcolavano le probabilità di rischio dei vari sinistri per le compagnie di assicurazione. Proverò a girargli il foglio excel o magari c’è qualche attuario tra i lettori. A spanne mi sembra che per ogni anno i due dati siano molto piccoli, considerata poi la possibile stima dei praticanti che vede numeri alti, anche forse 90.000 è tanto. Le variazioni possono essere casuali. Se si allarga il campo su 30 o più serie è evidente che il fenomeno come sempre tende a normalizzarsi. Per quanto riguarda i praticanti i markettari dei produttori distinguono gli utenti unici dagli utenti ripetitivi, come accade per i blog, quando stimano i potenziali di mercato. Carlo, dieci paia di sci, un paio all’anno? Io ti credevo un austero guerriero Sucai ! Cara signora Longari….mi è caduta sullo sci,!,,,Se ti becca Greta o uno dei tanti anticapitalisti anticonsumisti del blog! Con questo outing ti sei veramente esposto.?
spanne mi sembra che anno su
firmarsi ha senso quando si esprimono opinioni. ci si mette la faccia.cosa che ho fatto quando molto raramente ho commentato su questo blog, per esempio riguardo ai migranti al colle del monginevro e della scala.
quando si parla di scienza firmarsi non e’ necessario. devono essere i fatti a parlare, in modo inequivocabile. e’ usanza citare gli articoli scientifici (peer reviewed…mica i quotidiani o le riviste patinate dove pubblicano cani e porci) usando i nomi degli autori…ma se si usasse il solo titolo lasciando gli autori anonimi il “peso” scientifico sarebbe identico.
quindi, per far notare al Crovella una castroneria o l’aver tratto conclusioni assolutamente non scientificamente provate non c’e’ bisogno di firmarsi. e’ corretto anche se non supportato da un nome/cognome/curriculum.
anche se pare avere la stessa utilita’ che salare il mare…
questa volonta’ del Crovella di andare al di la’ del solo “sentir personale” mi sembra ottima. ma come gia’ scritto va fatta fino in fondo, senza trarre conclusioni affrettate e “prevenute”. se no come giustamente commentato qui sotto, si finisce a discutere di angeli e capocchie.
fissare spartiacque arbitrari, non pesare i dati con la durata del periodo considerato, usare scelte soggettive nell’elaborare tabelle, volutamente non prendere in considerazione dati che si hanno…corrisponde pero’ ad angeli/capocchie, non a una visione oggettiva della pratica.
il nobile fine e’ quello di ricordare a tutti che la montagna e’ pericolosa. cosa vera.
ma farlo con argomenti falsi rende solo meno credibile la tesi.
sara’ l’abitudine al modus operandi degli economisti? dove conta di piu’ l’obice da 88 che un minimo di rigore matematico/scientifico?
oltretutto stigmatizzare a oltranza certi praticanti (non tanto in questo articolo…ma in tutta una serie d’altri), non aiuta ad “educarli”, ma genera solo un risultato epidermico che ricorda la deriva di questo blog (non nero, nero e’ solo il papa…ne’ il blog, ne’ tantomeno il cardinale), un tempo ben piu’ interessante e piacevole da leggere…un vago sentore di sacrestia, che negli ultimi commenti vira alla caserma (chi anagraficamente non la ha conosciuta ne’ e’ molto felice).
una domanda al caro papa nero
(viste le sue amicizie pisano-labroniche ‘un ci voleva molto pe’ sape’ che ‘un si sarebbe ‘ncazzato troppo 😉 )
quale sarebbe il fine di questo blog?
uno spazio di cultura dell’alpinismo, per riempire il vuoto assordante lasciato dalle fu’ riviste, dal cai che si occupa solo di terre alte (nobilissimo, ma…), dai media-mountain-main-stream che parlano solo di invernali su campi di neve in i-maiala, dalla morte dei forum, dall’iper-vuoto dei vari fb/tw/ig?
uno spazio di ambientalismo montano (e no) per riempire il vuoto assordante della politica (polis???) nazionale, regionale, provinciale, comunale…per incitare le realta’ locali che difendo il territorio (tra cui va detto, alcune del cai) e mostrar loro che non sono sole?
un modo per cercare di attirare i giovani alla montagna/natura e a un certo modo di vivere la montagna/natura…oppure un raduno geriatrico di effetto opposto ?
Gramellini mi fa letteralmente cascare le palle. Quando è in TV, giro immediatamente. Dal mio punto di vista mi auguro che il blog NON si gramellinizzi mai. A prescindere dalle finalità. In ogni caso credo che le elucubrazioni sulla montagna (estiva o invernale) non interessino per nulla il pubblico femminile. Mia moglie va in montagna come una spia, in questa fase molto più di me (causa miei problemi di salute), ma per sua stessa ammissioni afferma che non le interessa un piffero leggere testi di montagna, né cartacei (libri, riviste) né sul web. Io non starei a perdere troppo tempo a correre dietro a questo o a quello. Chiunque voglia leggere e contribuire è ben accetto, maschio o femmina, giovane o vecchio, ma io a titolo strettamente personale non corro dietro a nessuno/a
I dati riportati non provano affatto che sia aumentato il rischio di incidenti in salita rispetto alla discesa. Ho scaricato i dati aineva copiandoli direttamente dalla tabella (con ctrl+c, non a mano!) e mettendoli in excel. Qui il link ai dati grezzi se volete smanettarci un po’ su: https://drive.google.com/open?id=1XPKaydtEvH3IPwLIsIUURWCIfjv_nATM
Ho calcolato, per ciascuna stagione dal 1985 al 2018, per i soli incidenti scialpinistici, il rapporto tra travolti in discesa/travolti in totale e il rapporto travolti in salita/travolti in totale. Questi rapporti non risentono dell’aumento del numero di frequentantori. In alternativa, si possono anche calcolare i rapporti travolti in discesa/incidenti e travolti in salita/incidenti. Sempre a livello di stagione s’intende (e per stagione intendo da settembre dell’anno X ad agosto dell’anno X+1).
Non c’è alcun trend nel tempo! Lascio perdere la suddivisione prima/dopo il 2000 che non ha molto senso a mio parere.
Purtroppo non riesco ad allegare immagini e tabelle ben formattate. Qui sotto i numeri dei rapporti
stagione
travolti in disc./travolti
travolti in salita/travolti
travolti in disc./incidenti
travolti in salita/incidenti
1985
0,150
0,850
0,462
2,615
1986
0,105
0,895
0,200
1,700
1987
0,346
0,654
1,125
2,125
1988
0,955
0,045
3,500
0,167
1989
0,611
0,389
1,000
0,636
1990
0,532
0,468
1,179
1,036
1991
0,233
0,767
0,636
2,091
1992
0,375
0,625
0,545
0,909
1993
0,676
0,324
1,471
0,706
1994
0,852
0,148
1,643
0,286
1995
0,600
0,400
0,750
0,500
1996
0,545
0,455
1,091
0,909
1997
0,667
0,333
0,750
0,375
1998
0,625
0,375
1,250
0,750
1999
0,320
0,680
0,667
1,417
2000
0,519
0,481
0,966
0,897
2001
0,333
0,667
0,429
0,857
2002
0,153
0,847
0,333
1,846
2003
0,371
0,629
0,722
1,222
2004
0,310
0,690
0,591
1,318
2005
0,318
0,682
0,643
1,381
2006
0,358
0,642
0,950
1,700
2007
0,360
0,640
0,600
1,067
2008
0,167
0,833
0,483
2,414
2009
0,450
0,550
0,843
1,029
2010
0,359
0,641
0,500
0,893
2011
0,574
0,426
0,931
0,690
2012
0,402
0,598
0,867
1,289
2013
0,462
0,538
0,960
1,120
2014
0,453
0,547
0,896
1,083
2015
0,526
0,474
1,000
0,900
2016
0,784
0,216
1,813
0,500
2017
0,327
0,673
0,696
1,435
2018
0,333
0,667
0,650
1,300
“Make jokes not War” grande prestazione di Ricky Gervais, il comico inglese di Office, ai Golden Globe 2020 (video in internet). Questi guerrieri : Achille, Patroclo, misteri liceali sottaciuti dal professore di greco (“scusi professore ma perché si è incazzato così tanto?”), fluidità guerriera???
Per il target femminile ci vorrebbe un Gramellini. Si accettano candidature. Ci sto provando Carlo ma faccio anch’io una gran fatica con la fluidità, ma non dispero.
Interessante, non contano le questioni su un numero in più o in meno, bello leggere articoli come questi e non la minestra melensa tipo passione e passione
Per Pasini: non ho una mentalità fallica, ma una mentalità guerriera. A volte le due cose coincidono, nel mio caso quasi mai. Non corro necessariamente dietro a concetti come rotondità, morbidezza, sinuosità. Piuttosto rude battaglia.
Dalla stagione 2000-01 compresa alla stagione 2018-19 compresa direi che ci sono 19 stagioni. Le medie le ha calcolate excel, per cui non dovrebbero esserci problemi
Sommessamente e “con il dovuto rispetto” (tanto per prendere affettuosamente in giro Pasini, che ama usare questa espressione anglosassone), ribadisco che il numero di praticanti è irrilevante rispetto al punto nodale di questo articolo. L’obiettivo dell’articolo è identificare il rapporto fra “dati salita” e “dati discesa” e come sia cambiato nel tempo. Fino a stamattina non era un dato noto al pubblico. Questo perché è l’unica cosa verificabile oggettivamente sui dati AINEVA. L’individuazione del 2000 come spartiacque è del tutto arbitraria e le motivazioni sono ben illustrate nel testo. Qualcuno potrebbe mettere tale spartiacque nel 2002, altri nel 2005 e cosi via. Quindi gli strilli sui 3 anni in più o in meno non contano nulla. I numeri sono catalogati sulla base di una tabella che risente di scelte soggettive. I dati sulle vendite di attrezzatura sono distorsivi (anche solo ai fini di stimare gli scialpinisti praticanti, figurati sul numero di uscite/uomo), per tanti motivi. Per esempio da circa 5 anni è in vistoso aumento il fenomeno dell’affitto dell’attrezzatura scialpinistica, sia per l’intera stagione che per singola uscita: sarebbe ben complicato elaborare un algoritmo che stima il numero di scialp. Poi ci sono i soggetti anomali come il sottoscritto: io ho un parco sci di circa 10 paia (quello lungo e quello corto; quello leggero e quello pesante; quello stretto e quello largo…) e compro un paio nuovo quasi ogni stagione, al massimo ogni due. Dal 2000 stimo di aver acquistato circa 10-12 paia di sci, ma come praticante “peso” sempre per uno, per cui sballo le statistiche. Conosco molti altri colleghi (di scialpinismo, non di lavoro) che sballano le statistiche come e più di me. Inoltre: trattandosi di hobby, ognuno investe il tempo libero come piu’ lo diverte. Se qualcuno di voi ritiene indispensabile focalizzare con precisione il numero di praticanti, si impegni legittimamente in tale attività e produca un output. Lo leggeremo con attenzione. Quanto all’assenza di femmine nel dibattito, se la patite, impegnati a coinvolgerle. Cioe’ scrivete articoli, interventi, commenti che le stuzzichino. Se non fate nulla, non arriveranno. Ciao ciao!
Ciao. Vorrei mandare un’ analisi sugli errori statistici, stanti i dati. Non mi tornano però i valori medi dei dati degli anni dopo il 2000. Mi sembrano divisi per 19 e non per 18. Es: 301 (incidenti in salita) /19 =5.4 ecc. Però questo non inficia la sostanza dell’ articolo. Grazie dell’eventuale chiarimento.
Giacomo, uno dei due articoli citati, putroppo il più vecchio (2009) fa infatti due stime sui tassi: una sui praticanti e una sulle giornate di esercizio. Ma questo richiede un lavoro di ricerca veramente tosto. Il secondo presenta dei dati locali. Questa è una direzione di ricerca più facile ma risente dei difetti di ogni campionamento non rigoroso.
Dai Carlo, sempre con sti simboli fallici: il cannone, l’obice che spara…esistono anche le rotondità, le sfere e via dicendo. Ricorda cosa diceva ai tempi eroici il cavaliere: io sono concavo e convesso al tempo stesso e se ne intendeva. Un po’ di “fluidità “ anche prima che il testosterone scenda, anche tu cominci la discesa. Sembrerebbe meno rischiosa. Ma siamo davvero certi? ?♥️?
Come gia’ osservato da Cominetti, “praticante” vuole dire tutto e niente. Per quanto mi riguarda, potrebbero essereci anche 1/5 dei praticanti che fanno una gita all’anno. Il vero interesse e’ sapere il numero di incidenti per gita.
Giacomo, i dati sui praticanti si possono trovare. Con 10 minuti di ricerca io ho trovato quelli segnalati. Ovviamente si tratta di stime. Impegnandosi un po’, con buona volontà senza animosità , si possono trovare in internet o facendo qualche telefonata. I produttori, quelli che stanno sul business e le società di ricerca di mercato che lavorano per loro hanno sicuramente stime più o meno accurate. Io non lo posso fare perché sono impegnato sul fronte emotivo/relazionale per espiare i miei peccati di consulente aziendale, ma Crovella o qualche uomo di buona volontà potrebbe farlo. Non partire negativamente sulle intenzioni dell’autore.
A me “cardinale nero” piace come soprannome. Mi ricorda un Mazzarino più torbido e spietato (difatti Mazzarino era sempre vestito di rosso). Me lo appuntero’ sul berretto da montagna. Lo aggiungo alla lunga fila di nickname che ho collezionato nei miei 60 anni anagrafici, a dire il vero più in ambiente professionale che dopolavoristico (cioè nel tempo libero). I più diffusi sono Karterpillar, Panzer Division, Generale Patton (tutti collegati alla mia propensione a procedere senza esitazioni) e poi “ottantotto” che i miei colleghi scrivono in cifre, 88. Deriva dal fatto che in una famosa riunione, quando mi hanno prospettato le difficoltà e le ostruzioni che potevano opporci le controparti, io ho detto davanti a tutti: “E che problema c’è? Piazziamo gli obici da 88 e li polverizziamo”. E’ diventata un’espressione cult nel mio giro. Quando c’è un problema, una grana, una difficoltà da superare, tutti la citano ironicamente per sdrammatizzare, ma (sotto sotto) anche per darsi la carica, cioè per irrobustire la convinzione.
Crovella aveva gia’ bistrattato l’analisi statistica nel precedente articolo, dove forzava l’interpretazione dei dati a supporto delle sue tesi anti-tecnologia.
Qui fa il bis: usando i dati in questo modo si possono trarre conclusioni quasi totalmente a piacere.
Ribadisco le considerazioni già’ fatte. Per altro ovvie. I numeri assoluti non danno alcuna informazione. Sarebbe interessante rapportarli al numero di “uscite” scialpinistiche ( sarebbe molto meglio dei “praticanti” ), ma quest’ultimo dato non e’ disponibile. In sua mancanza, l’unico trend utilizzabile e’ quello del rapporto tra incidenti in salita ed incidenti in discesa. Ma di nuovo attenzione: specialmente se i numeri sono piccoli, non si può ignorare allegramente che il periodo con meno eventi sarà’ soggetto a maggiori fluttuazioni.
La scelta della partizione 85-00 e 01-19 e’ stata probabilmente suggerita ‘visualmente’ dal grafico 1. Pare di nuovo a supporto di una tesi pre-costituita. Si sarebbe potuto tentare di studiare il trend in modo meno rozzo, definendo magari 4-5 periodi, di ugual durata.
Conclusione: forse ci vorrebbe ancora più’ Ivy League ( quella vera ). E meglio credere a Cominetti, che motiva la medesima tesi del titolo con la pratica e l’esperienza.
Segnalo anche due articoli presenti nella letteratura scientifica sui tassi di mortalità delle attività in montagna. Per lettori coraggiosi. Anche qui si sottolinea la difficoltà di stime su larga scala. Se qualcuno smanettasse i dati sarebbe il benvenuto.
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=29&ved=2ahUKEwjowr600PHmAhXptlkKHb6TAQQ4ChAWMBJ6BAgCEAE&url=https%3A%2F%2Fwww.mdpi.com%2F1660-4601%2F16%2F20%2F3920%2Fhtm&usg=AOvVaw26n5qtEyhtcSMconQ1z-mZ
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=11&ved=2ahUKEwiH1fTDz_HmAhWRmlkKHeEXAIkQFjAKegQIARAB&url=https%3A%2F%2Fwww.researchgate.net%2Fpublication%2F26293826_Mountain_mortality_A_review_of_deaths_that_occur_during_recreational_activities_in_the_mountains&usg=AOvVaw1ALbXezoOCLV8D8kflh3up
Si discute di numeri e abbiamo una piccola invasione aliena dal Pianeta delle montagne. Quale migliore auspicio per il 2020. Mancano sempre le donne ma arriveranno se abbasseremo il tasso di litigiosità e varieremo il contenuto degli articoli stimolo. Piccolo contributo alla discussione. Il link seguente contiene stima dei praticanti con serie storica dal 2012. Nel 2018 circa 93.ooo con forte aumento nel tempo.
https://www.sciaremag.it/notiziesci/le-discipline-invernali-piu-amate-dagli-italiani/
Insomma, non si capisce più niente…
La maggioranza della gente compra gli attrezzi per risalire a bordo pista fino alla balera in quota e quelli che fanno gite sono pochi.
In giro è pieno di scialpinisti che tracciano ab minchiam, si muovono ad ore improbabili guardando il cellulare e non hanno la minima cognizione dell’ambiente, così che gli incidenti da valanga aumentano.
Però poiché diminuiscono i travolti e i morti per incidente, gli stessi minchioni (o cannibali) devono essere velocissimi a scansarsi e pure abili con l’autosoccorso.
… temo che tutta la discussione abbia la medesima attinenza con la realtà di quella della famosa disputa circa il numero di angeli che trovano posto su una capocchia di spillo…
Monaci, Papi e Vescovi, belle facce da culo (nel senso buono) che giustificano il non firmarsi con il fatto che lo facciano in molti. Come fumare sperando di non ammalarsi di cancro perché fumano in molti.
Comunque la maggior parte dei possessori di attrezzatura scialpinistica che conosco la utilizza a bordo pista o di notte per raggiungere qualche rifugio aperto dove si balla. Quelli che fanno vere gite sono una minoranza.
Questo influisce non poco sul numero totale degli scialpinisti se ci si basa sulle paia di sci, scarponi, attacchi e pelli vendute. È anche vero che alle aziende produttrici e ai venditori al dettaglio tutto ciò non interessa.
ormai di parlà pisano un te lo poi permette mia.
La lodevole analisi di Carlo Crovella può (forse) essere statisticamente contestata ma, a mio avviso, è la conferma a ciò che vedo costantemente quando faccio gite.
Parecchia gente (non tutti) che si muove ad ore improbabili, su pendii ancora non assestati con qualsiasi condizione meteo/innevamento con tracce discutibili.
Se poi alle osservazioni dell’autore si aggiungono quelle di Cominetti si ha un quadro ancora più corretto e completo della situazione.
Considerato che oggi l’informazione (bollettini etc etc ) è molto più ampia sembra quasi che le persone, consapevolmente, vogliano ignorare.
Non so quanto tutto ciò sia dovuto anche al trend climatico. Nei miei primi anni di sci alpinismo ( anni 70) nevicava fino a quote relativamente basse e la neve si assestava gradualmente fino alle quote più alte. Pertanto si iniziava a sciare a quote basse per poi alzarsi nel corso della stagione alla ricerca di firn. Oggi non si cerca più il firn, perchè l’effetto scioglimento/rigelo è minore ed anche perchè occorre svegliarsi presto. Oggi tutti cercano la polvere che di fatto è molto più rischiosa e instabile. Si fanno a gennaio gite con mete tipicamente primaverili.
Dino Marini
Buongiorno,
ho letto con attenzione l’articolo ( e ringrazio l’autore) e mi sono posto alcuni quesiti che potrebbero dipanare alcuni dubbi che i sono posto:
1) Il numero di praticanti non è di facile calcolo ma, per chi lo potesse fare, potrebbe correlare le vendite di sci d’alpinismo totali o qualcosa del genere (es: iscritti ai corsi CAI di sci alpinismo) per verificare se il numero di praticanti sia solo sensibilmente aumentato. Personalmente ritengo, vedendo l’offerta e il marketing dei produttori che questa attività sia ben che aumentata “sensibilmente” e ritengo che corsi CAI e corsi con le guide alpine abbiano avuto dopo il 2000 un trend più che positivo rispetto al passato.
Questo spiegherebbe perchè dai dati del grafico ASSOLUTI abbiamo tassi di travolti, per “decadi/periodi considerati”, simili tanto in salita che in discesa (1,73 travolti per evento ante2000 e 1,63 port2000 per la discesa; 2,8 travolti per evento ante2000 e 2,4 per post2000).
Chiaramente il tapporto evento/n. tavolti è a sfavore della salita perchè si procede ravvicinati ed oltre a ciò, essendo meno reattivi alla fuga, si ha un maggior numero di travolti. Non da ultimo, tutti seguono una traccia in salita mentre in discesa si ha una distribuzione spaziale diversa (si sa che nessuno vuole faticare a batter traccia e tutti vogliono la propria linea in discesa 😉 ).
2) Sarebbe interessante avere i dati per data, perchè prima degli sci “larghi” lo scialpinismo era prevalentemente primaverile (su firn) oggi tutti cercano la “polvere” e potrebbe essere statisticamente probabile avere maggior probabilità di avere incidenti in salita…
3) Ante2000 il tasso di morti/n. sepolti è molto maggiore del pari dato post2000. Tanto in discesa che in salita.
32% di decessi ante 2000 per 18% post2000 per la discesa
23% di decessi ante2000 per 14% post2000 per la salita
Conclusioni personali:
1) Oggi, probabilmente il numero di praticanti è ben maggiore che in passato (da confermare con ricerca vendite o iscritti corsi CAI) e gli scialpinisti ricercano maggiormente condizioni niveologiche con maggior rischio che in passato (powder vs firn). Tra le altre cose anche allungando la “stagione” per praticare questo sport che in passato era prevalentemente primaverile.
2) I numeri di incidenti ha mantenuto le stesse proporzioni sia per salita che discesa (del resto, rimane un evento ancora “casuale”… anche se sappiamo che così non è).
3) Andrebbe indagato se l’aumento del numero tot di incidenti in salita post2000 sia da imputare a mutata stagione e ricerca di “polvere”.
4) Estrapolando il dato dagli assoluti. I dati dimostrano come nel post2000 il tasso di decessi sia praticamente dimezzato rispetto l’ ante2000. Il che mi fa pensare che il livello di consapevolezza e di preparazione dei praticanti sia aumentato (così come anche la qualità dell’autosoccorso…ma non solo). Il che mi pare meritevole di segnalazione.
ringrazio ancora gli autori dell’articolo per lo spunto e spero a mia volta di averne dati altri.
Cordialmente
Matteo
Anche a me la suddivisione temporale di Crovella desta perplessità, cos’ come le sue conclusioni.
Mi pare che l’unica conclusione piuttosto evidente che traspare dalle tabelline è che sia in diminuizione la gravità degli incidenti.
Infatti il numero di travolti per incidente diminuisce, così come diminuisce il numero di morti sia in rapporto al numero degli incidenti che dei travolti; e questo sia in salita che in discesa.
Credo che senza conoscere il numero dei praticanti non si possa dedurre se sia più capace lo sci alpinista, migliori gli attrezzi o più efficienti i soccorsi.
Quello che posso dire con cognizione di causa, invece, è che il Capo è rimasto divertito e alquanto orgoglioso di esser stato definito “papa nero”, quindi CHAPEAU! caro monaco e intervieni più spesso, che te sét minga un pirla.
Crovella, i 3 anni aggiuntivi inficiano, e come, l’analisi sul TOTALE degli incidenti nei due periodi (tabella 1), rendendola priva di senso.
Come ha già scritto monaco, anche se il numero di incidenti stagionali fosse costante dal 1985, il TOTALE degli incidenti nel periodo 2000-2018 sarebbe comunque maggiore a quello del periodo 1985-2000, proprio perché vengono conteggiati 3 anni in più. Non ha senso paragonare il TOTALE degli incidenti (e relative variazioni percentuali) in due periodi di lunghezza temporale diversa.
bastava mettere i soli dati mediati e si faceva piu’ bella figura.
ma sicuramente c’avra’ ragione lei…
se i dati per mese ce li ha gia’, perche’ non correlarli subito con la ratio salita/discesa? saran numeri piccoli, potrebbe guardare la correlazione tra la ratio sul periodo e il mese “medio” del periodo.sarebbe certamente piu’ serio che basare le sue conclusioni sulla telefonata fatta ad un amico.
ha visto la qualita’ e l’accuratezza dei metodi dell’articolo che le hanno suggerito (open access)? ovviamente fatto con altri mezzi e da persone pagate per farlo, ma almeno potrebbe ispirarsi al suo rigore: si presentano i dati, si discutono i trend e si fanno conclusioni se e solo se supportate dai dati e/o da altri lavori gia’ pubblicati in letteratura scientifica.
lodevole voler guardare ai dati, ma le conclusioni vanno basate su questi, prendendo in considerazione tutti i dati che si hanno, quelli che non si possono avere e i possibili bias. alle volte le conclusioni non si possono trarre e lo si dice.
altrimenti e’ meglio astenersi…si resta al bar e ognuno dice la sua, senza pretese pero’.
trovo lodevole il suo voler guardare ai dati oggettivi
I miei genitori mi hanno insegnato a presentarmi con nome e cognome. Una volta si usava cosí: norma elementare di buona educazione.
… … …
Non offendere (“reazionario più radicale“) chi la pensa in modo differente da noi fa anch’esso parte dei rudimenti dell’educazione civica. E della democrazia.
… … …
Anche “papa nero” e “cardinale”, in tono sprezzante, sono due epiteti che rivelano a sufficienza la caratura del soggetto che li ha adoperati, addirittura vantandosene.
… … …
Stendo un velo pietoso sul lessico. Taccio sulle altre espressioni arroganti.
Per quanto concerne il tema, ci penserà Carlo a rispondere, se lo vorrà.
solo un paio di precisazioni: le differenze temporali sono irrisorie. Infatti 1985-2000 sono 15 anni; 2001-2019 sono 18 anni. L’incidenza marginale dei 3 anni aggiuntivi è minima e non inficia l’analisi. Avevo pensato di perequare il dato medio dopo il 2000, cioè dividerlo per 18 e moltiplicarlo per 15 (in tal modo sarebbe risultato coerente numericamente con il dato prima del 2000): ma cosa cambierebbe sul piano concettuale? In più confondeva il lettore: meglio limitarsi a dati storici. Inoltre in questo testo mai parlato di cannibali ventenni. Si rendono pubblici dei dati che non lo sono in automatico, segnalando l’aumento dei trend degli incidenti in salita rispetto al corrispondente trend degli incidenti in discesa. I numeri italiani sono così piccoli (in assoluto) che altri suggerimenti operativi (tipo esaminare il numero delle vendite ecc) non hanno senso. Nel mio data base ho registrato anche gli incidenti per mesi, oltre che per anni, ma mi sono tenuto per un futuro articolo l’analisi dell”anticipo scialpinistico ai mesi invernali. Coinvolgendo anche tale tema, questo articolo sarebbe venuto troppo lungo.
interessante articolo, concordo nella quasi totalità delle tesi esposte.
varda vi’ cosa mi tocca fa’ !
veni’ a scriver vi, sur blogghe der novo papa nero (termine da me coniato, con grandiZZima soddisfazione)…e per di piu’ risponder ar cardinale!
mi spiace per il Cominetti, ma mi firmo solo col vago “monaco”…visto che qui si parla di statistica (branca della matematica in continuo sviluppo) son le semplici parole a contare e non nome/cognome di chi le scrive…o la sua (strombazzata sul web) attivita’ professionale e/o curriculum di lungo corso.
(a sapessi: le peer review dei giornali scientifici sono anonime…fatte ovviamente da gente della comunita’ scientifica, ma anonime…chissa’ come mai?)
a proposito delle statistiche di questo articolo:
1) il trend (salita Vs discesa) e’ talmente evidente che lo avrebbe visto anche un cieco…andavano pero’ separati i dati prima, e di questo va il merito al signor Crovella. duro ammetterlo, ma qualcosa di buono ci deve essere anche nei reazionari piu’ radicali…
ma veniamo alle critiche:
2) le statistiche su numeri cosi’ piccoli sono molto discutibili. la fluttuazione relativa legata al solo “aleas” va come 1 sulla radice del numero degli eventi. se parliamo di una decina di eventi l’anno…la fluttuazione relativa e’ quindi del circa ~30 %…poco saggio riportare variazioni percentuali piu’ piccole di questo valore.
la prima strada ovvia e’ quella adottata dall’autore: aumentare la base statistica mediando su piu’ anni…anche se certi numeri rimangono ancora “piccoli”. ha anche il vantaggio di smussare le variazioni annuali che vanno ben al di la’ del solo aleas e che riflettono la diversa storia meteo/nivologica di ogni stagione.
la seconda sarebbe aumentare la base prendendo in considerazione i dati di svizzera/francia/etc. tanto si trova “open source” online ma richiede probabilmente lo stesso lungo lavoro da amanuense…
3) in realta’ vi sono metodi matematici rigorosi per fare tutto cio’. ma visti i numeri, sarebbe come andare a passeri con un cannone.
pero’…checca**o!!! (scusate l’allocuzione accademica)…almeno la matematica delle medie!
come si puo’ guardare alla variazione (percentuale) del numero totale di eventi (siano incidenti, totali/salita/discesa, sepolti, morti, etc.) su due periodi temporali di lunghezza di diversa ?
anche se il numero di eventi annuo fosse rimasto lo stesso, il numero totale tra l’85 e il 2000 e tra il 2000 e il 2018 aumenta. signor Crovella, ma non scriveva di trend economici?? siamo seri!!
la sola cosa sensata e’ quella fatta subito dopo: guardare la variazione del numero di eventi medio per anno (cioe’ pesao con la lunghezza dell’intervallo temporale utilizzato). consiglio fortemente all’autore di levare testo e tabelle riguardanti il numero totale sui due periodi.
4) sicuramente l’aumento del numero dei praticanti (si potrebbero guardare le statistiche di vendita del settore?) ha una certa incidenza sul numero totale degli incidenti. ma non dovrebbe influire sulla ratio tra gli incidenti in salita/discesa. un modo piu’ elegante di mostrare i dati sarebbe appunto quello di prenderla questa “ratio”, in modo da eliminare completamente il numero totale dal gioco.
5) le conclusioni: i numeri son quelli…poi ognuno puo’ fargli dire quello che vuole. ricorderei all’autore che la propria visione personale e’ sempre moooolto poco oggettiva, per quanto ci si sforzi.
il Cominetti suggerisce cripticamente una chiave di lettura dei dati plausibile: forse dal 2000 in avanti si fa molto di piu’ sci alpinismo in inverno, rispetto a prima (piu’ primaverile) ? se e’ il caso, potrebbe spiegare l’aumento della ratio salita/discesa. le valanghe primaverili sono spesso dovute al riscaldamento diurno…su neve dura al mattino, in salita, ci son meno problemi. in inverno, dove le valanghe sono principalmente placche…le stacchi tali e quali sia in salita che in discesa.
nei dati AINEVA dovrebbe esserci la data…a buon intenditore poche parole.
attenzione anche ad osannare scuole cai/guide alpine…se si mettono a confronto gli incidenti annui di svizzera e francia si nota un trend discendente per la prima e stabile ascendente per la seconda. l’interpretazione data e’ stata la seguente: dopo una serie di annate “nere” gli svizzeri hanno pragmaticamente abbandonato il “so tuto mi”, tipico di tanti professionisti/istruttori (non tutti…) e hanno adottato metodi di riduzione del rischio alla Munter. in francia guide/CAF/pisteurs hanno invece continuato (fin verso la meta’ degli anni `10) a sentirsi gli unici “veri” conoscitori del “loro” terreno di gioco, e gli incidenti non si sono ridotti. il gran numero di professionisti/istruttori non ha ridotto gli incidenti, al contrario, li ha mantenuti tali o aumentati grazie ad un certo atteggiamento “reazionario”.
il profilo tipico del francese che rimane sotto una valanga e’: sopra i 50, tantissimi anni di sci alpinismo/alta montagna (overconfidence), refrattario ai cambiamenti (metodi nuovi), convinto che i consigli/opinioni degli altri a lui non servano, istruzione medio-alta…non mi sembra quello di un cannibale ventenne…
Consiglio la lettura di questo paper: https://www.geogr-helv.net/71/147/2016/ che riporta statistiche armonizzate per tutto l’arco alpino dal 1940 fino al 2015. Nell’articolo si concentrano sugli incidenti mortali ed è interessante notare che non viene riportato nessun aumento intorno all’anno 2000 ma piuttosto nel ventennio 1960-1980.
Un altro articolo interessante sugli incidenti valanghivi in svizzera mostra una situazione differente rispetto a quella italiana riportata da Crovella:
Secondo me la salita scialpinistica è più pericolosa della discesa, perché in caso di manto nevoso poco stabile si trascorre più tempo in aree a rischio e, la minore mobilità quando si hanno le pelli sotto agli sci, favorisce una maggiore incidenza del peso dello sciatore sul pendio. Ad ogni passo tutto il peso dello sciatore grava su un solo sci, facendolo affondare nella neve più di quando si scia in discesa. Inoltre in caso di inizio di eventuale distacco, con le pelli si hanno ben poche possibilità di fuggire o comunque spostarsi velocemente.
Da ormai attempato scialpinista sono convinto che sia molto più sicuro fare le gite in primavera, quando è molto più facile prevedere le condizioni di sicurezza dei pendii nevosi. In Autunno, alle prime nevicate preferisco starmene al caldo delle basse quote ad arrampicare mentre vedo che moltissimi assatanati inforcano sci e pelli secondo me, insensatamente. L’avevo capito anche da giovane aspirante guida che lo scialpinismo aveva una sua stagione e che chi comanda SEMPRE sono le condizioni della montagna e non le nostre. Durante un corso all’Ensa di Chamonix nei primissimi anni ottanta, un istruttore dai capelli grigi ci disse che: lo scialpinismo uccide le guide! E non solo, aggiungo, ma l’incredulità data dalla mia giovane età, si consolidò in me velocemente l’idea che quel Francois Labande, avesse ragione sul serio.
Grazie a Crovella dell’analisi sempre utile da conoscere.