Atti di Cannibalismo
di Marcello Cominetti
Le foto (di Marcello Cominetti) sono tutte scattate in altre occasioni.
Prendo a prestito da Carlo Crovella il termine di “cannibale”, inteso come colui che frequenta la montagna come fosse un parco giochi senza riconoscerne il valore spirituale, vedi https://gognablog.sherpa-gate.com/piu-montagna-per-pochi-1/ e https://gognablog.sherpa-gate.com/piu-montagna-per-pochi-2/. Peraltro senza condividere le sue idee.
Ma, titolo a parte, quello che mi successe facendo il mio lavoro di guida alpina un giorno d’agosto del 2013, ha del tragicomico, per questo vale la pena raccontarlo.
Con il mio collega Alberto Albi De Giuli dovevamo accompagnare una facoltosa famiglia proveniente dalla Florida a salire una ferrata nelle Dolomiti dalle parti di Passo Falzarego: la via ferrata degli Alpini al Col dei Bos, un percorso classico con un inizio abbastanza aereo e dallo sviluppo di circa 400 m.
Ci accade spesso di accompagnare turisti alla loro prima esperienza di vie ferrate su quella degli Alpini perché non è molto difficile, ma va affrontata comunque con un certo rispetto e le dovute precauzioni perché la parete ha tratti verticali e si svolge a una quota prossima ai 2500 m dove il clima, essendo alpino anche lui, può trasformare una calda giornata estiva nel piccolo inferno di un temporale improvviso con grandine, vento e a volte neve. Tra le dovute precauzioni ci sono: una giusta preparazione fisica e mentale oltre a attrezzatura e abbigliamento adeguati. Nulla di eccezionale, ma è bene aver presente che anche un percorso relativamente facile presenta dei rischi che vanno tenuti in seria considerazione perché diversamente non si sarebbe i primi a lasciarci anche la pelle. La guida alpina si preoccupa di tutto il resto e di istruire i partecipanti sulle tecniche di arrampicata più elementari, fornire elementi di sicurezza e raccontare un po’ di storia locale e cultura dell’alpinismo.
Per questo illustriamo preventivamente a chi si affida a noi quello che troveranno lungo la parete e sul sentiero di discesa che si svolge su terreno franoso piuttosto ripido. La zona era stata interessata dalla Grande Guerra ormai più di 100 anni fa e lungo la ferrata si trovano ancora schegge di granate e sfere di piombo Shrapnel a imperitura testimonianza dell’idiozia umana.
Quella mattina non eravamo riusciti a spuntare un orario di partenza adeguato perché i nostri clienti, che alloggiavano in hotel a Cortina, non volevano svegliarsi presto. Le previsioni meteo davano temporali dalle prime ore del pomeriggio e l’affollamento d’agosto, pur essendo quello che volevamo evitare partendo presto, non ci riuscì proprio di evitarlo.
Si trattava di una famiglia composta da madre, padre e tre figli. La più piccola aveva 7 anni e non voleva assolutamente fare una cosa del genere. I due maschi erano uno molto imbranato e l’altro un piccolo Tarzan, agile, spregiudicato e assetato di conquista di cime. Avevano 12 e 15 anni.
La madre era una quarantacinquenne in ottima forma avvolta in un paio di fuseaux neri e coperta solo da una maglietta elasticizzata molto aderente. Il padre, all’incirca suo coetaneo, era il tipico “uomo che non deve chiedere mai”, fisico atletico, pantalone corto e maglietta, non finiva di elencare località esotiche in cui avevano scalato montagne, sceso fiumi, cacciato animali feroci, ecc. Dalla Patagonia al Borneo, dall’Alaska all’Himalaya avevano mietuto successi e oggi, sulle Dolomiti, non volevano essere da meno.
Arrivarono all’appuntamento un’ora dopo l’orario concordato, senza uno zainetto, un maglione e/o una giacca a vento anche leggera. Niente, insomma, e neppure si scusarono del ritardo.
Quando gli consegnammo le imbragature ci accorgemmo da come le maneggiavano che non le avevano mai viste, ma non era un problema, succede spesso, quello glielo avremmo spiegato ai piedi della parete. Il problema era che si era fatto tardi e il tempo a disposizione prima dell’arrivo del temporale non era sufficiente a salire con tranquillità la via ferrata. Glielo facemmo presente ma vollero partire ugualmente. La piccola piangeva, il piccolo Tarzan scalpitava e il maschietto intermedio aveva interesse solo per lo schermo del telefono. I genitori erano chiaramente in competizione tra loro e si avviarono su per il sentiero praticamente di corsa.
Dimenticavo di dire che con loro c’era una terza guida non ben identificata. Per esperienza so che in certi paesi del mondo e gli USA sono tra questi, se hai un pile, uno zaino e un cappellino da baseball in testa puoi qualificarti come guida, sì, ma guida di che? Questo ragazzotto vestito alla moda arrancava su per il sentiero e dovevamo aspettarlo cercando di non perdere di vista i genitori e il figlio maggiore, il piccolo Tarzan per intenderci.
La fantomatica guida se l’appoggiavi al bancone di una birreria di Yosemite Village poteva anche sembrare un climber consumato appena sceso da El Cap, ma sulla ferrata si rivelò, assieme alla bambina di 7 anni e al fratello dal cellulare facile, molto imbranato e spaventato. Un vero pesce fuori dall’acqua. Io cercavo di tenere a bada i genitori con cui facevo cordata e Albi doveva occuparsi degli altri ma soprattutto della “guida”.
Poco prima di partire lungo il cavo della ferrata avevo cercato di dire ancora una volta che forse, visto il tempo e la situazione affollata, sarebbe stato meglio andare alle 5 Torri dove avremmo potuto arrampicare ognuno su difficoltà adatte a sé, e, soprattutto saremmo potuti scappare dal temporale più facilmente, vista la modesta altezza delle pareti. Niente! Ci si era messa anche la moglie a evocare le loro spedizioni esplorative negli angoli più remoti del pianeta dove avevano salito cime spaventose e bla, bla, bla…
Saliti una settantina di metri, con i genitori scatenati che pensavano di aver messo i figli in funivia (ma si stavano in qualche maniera arrampicando lungo il cavo anche loro) avendoli affidati a una guida alpina, la piccola che piangeva sempre di più, il fratellino che tremava di paura e l’altro esaltato che invece voleva salire in preda al demone della verticalità, la guida extra che più saliva e meno ci capiva, eravamo nel caos totale.
A quel punto, dopo essermi scambiato un’occhiata con il mio giovane collega Albi, dissi a tutti a voce alta: basta, ora si scende! Per la vostra e nostra sicurezza vi caliamo giù alla base e ce ne andiamo da un’altra parte. E non si discute!
Inutile dire che i genitori ritenevano la mia scelta inammissibile. Presi il padre per un braccio, lo tirai a me con decisione e gli spiegai velocemente che doveva appendersi alla corda perché avrei calato lui per primo.
Visto che si trattava di una manovra che evidentemente non aveva mai fatto prima, si zittì e fece quello che gli dicevo. Facemmo con Albi la stessa operazione con moglie, figli e “guida” e dopo poco ci ritrovammo tutti alla base mentre cadevano le prime gocce d’acqua sotto un cielo grigio topo che non prometteva nulla che potesse essere affrontato in t-shirt e pantaloncini.
I genitori incazzati neri continuavano a imprecare che avremmo dovuto proseguire verso l’alto, ma io gli dissi seccamente che così equipaggiati sarebbero potuti andare al massimo alla spiaggia. La loro rabbia montava sempre più, la figlia piccola piangeva e i figli maschi erano divisi tra la felicità di uno e l’incazzatura dell’altro. La loro “guida”, felice di avere riappoggiato i piedi sul terreno orizzontale, cercava di mediare dicendo però cose senza senso.
Il padre, un tipo che si vedeva che era abituato a impartire ordini e non a riceverne, mi si mise davanti con il petto gonfio come un tacchino, urlandomi a un centimetro dalla faccia, che avremmo dovuto risolvere la situazione tra di noi. Ma quale risolvere la situazione, gli dissi restando calmo, ora scendiamo al parcheggio e poi vedremo, e mi avviai deciso in discesa lungo il sentiero. Il signor Ben, così si chiamava, mi superò di corsa e mi si mise davanti gonfiando nuovamente il petto facendomi capire che avremmo dovuto sfidarci in qualche modo, perché a lui non piaceva dover sottostare a quello che avevo deciso io. Siccome mi trovavo nella parte più alta del sentiero non ebbi difficoltà a dargli una leggera spinta che lo fece scivolare qualche metro più in basso fuori dal sentiero e la cosa mi fece scappare una risata ma proseguivo veloce in discesa. Mr. Ben da dietro, perché avevo ripreso a scendere, starnazzava improperi di ogni tipo al mio indirizzo e alla terza volta che mi si parò davanti in atteggiamento da combattimento mi fermai guardandolo dritto negli occhi e gli dissi la frase che, amici, moglie, figli e persino mia suocera mi ripetono quando vogliono prendermi in giro e farsi due risate:
LOOK AT MY HANDS, I SQUEEZE STONES EVERYDAY, IF I TOUCH YOU, I CAN BREAK MANY OF YOUR BONES! BETTER TO GO DOWN!
Mentre mi giravo verso valle per riprendere la discesa trattenevo a fatica le risate pensando a una scena del film con Alberto Sordi, Le coppie, in cui l’Albertone nazionale, nei panni di un fruttivendolo in vacanza in un lussuoso hotel sulla Costa Smeralda, minaccia il direttore dicendogli LE VEDI QUESTE? NON SONO DUE MANI, SONO UNA MORSA, e lo prende per il collo…
Il signor Ben restò momentaneamente disorientato e forse anche intimorito. Si mise in coda e scendemmo tutti al parcheggio dove l’allegra, si fa per dire, famigliola si tolse le imbragature come fossero mutande gettandole con disprezzo per terra, e si diresse verso il bar lì vicino.
Quell’ulteriore gesto di maleducazione mista ad arroganza fece incazzare pure me, che fino a quel momento avevo egregiamente mantenuto il controllo. Così urlai al signor Ben un secco Hey!? Il tipo si voltò e io sorridendo gli dissi GOOD BY BABY! Sapevo che si sarebbe imbufalito ancor di più ma trovai quell’espressione come la meno violenta per mandarlo affanculo, al momento. Albi disse: “Nooo, lascia perdere, non vedi che sono dei coglioni, andiamocene a casa”. Ma ormai il disastro era fatto.
Mr. Ben partì come un toro infuriato sgommando con le sue fiammanti scarpe da running sulla ghiaia del parcheggio, Albi cercò di fermarlo ma quello era agile e corpulento e lo spinse fuori dalla sua traiettoria. Io rimasi a guardare Mr. Ben senza muovermi, curioso di vedere cosa avrebbe fatto. Lui mi sferrò un cazzotto dritto in faccia che evitai solo ruotando la testa di lato prendendomelo però dietro l’orecchio sinistro. La botta mi fece cadere a terra tramortito. Mr. Ben finalmente soddisfatto perché, secondo lui, aveva vinto la sfida con me, se ne andò al bar.
Siccome lavoravamo per conto di un’agenzia, poco dopo telefonai in sede dicendo che non era andata molto bene con questi clienti per i fatti di cui sopra. Mi risposero con la massima naturalezza che l’anno precedente Mr. Ben aveva fatto lo stesso con una guida alpina svizzera.
Dopo questa giornata movimentata, nel contratto stipulato tra noi guide alpine e l’agenzia facemmo aggiungere – nel questionario che i clienti devono riempire rispondendo a domande varie su precedenti loro esperienze, allergie eventuali e altro – la domanda se nella loro vita sono stati protagonisti di episodi di violenza di strada in particolare durante le vacanze in montagna.
“oggi spero che la nostra Paolini la massacri.”
Accontentato!
L’uomo piu’ intelligente che la figlia conosca ha delle ottime credenziali.
Bisogna vedere quelli classificati nelle retrovie : magari lo zio sciava con le punte a monte.
Caro Cominetti, i Navarro sono miliardari? Ma che ce frega!
Il Ben è l’uomo piú intelligente che la figlia conosca? A me pare il piú burinazzo.
Qui l’articolo:
https://www.corriere.it/sport/tennis/24_luglio_08/emma-navarro-chi-e-paolini-wimbledon-24728a44-a5f1-481f-9d61-675a1566cxlk.shtml?appunica=true&app_v2=true
Non ho mai amato il tennis, né ho mai tifato per nessuno sport (a parte un po’ per lo sciatore Franz Klammer negli anni ’70), ma scoprire che la tennista Emma Navarro è la ragazzina che piangeva quel giorno sulla ferrata, un po’ mi ha sorpreso.
Infatti, in un’intervista di oggi, sostiene che suo padre sia l’uomo più intelligente che conosca.
Siccome io penso che suo padre sia un idiota come persona, anche se fa un sacco di soldi, oggi spero che la nostra Paolini la massacri.
Volevo dirlo.
Anche se si è semplici escursionisti o ferratisti, una preparazione alpinistica ed un addestramento servono e sono trasferibilianche in altre situazioni. Ad esempio:
ttps://palermo.repubblica.it/cronaca/2022/04/01/news/catania_litiga_col_condominio_sullutilizzo_dellascensore_e_costruisce_una_scala_per_strada-343690627/?ref=RHTP-BH-I342728349-P2-S9-T1
con una discesa e risalita con scalette o su corda con discensore e maniglie…avrebbe evitato l’ammasso di cemento e ferraglia.Utile anche per smammarsela in caso di incendi che rendano ascensori e scale impercorribili.In ferrata la Guida o il compagno esperto&attrezzato..con dotazione extra, possono risolvere situazioni critiche ,(un cavo che se’ stato tranciato o si e’sfilato o è ancora immerso in strato di neve&ghiaccio…una sicura con corda su fittone per vincere crisi di panico o vertigini…)ars longa vita brevis.Meglio mettere da parte risparmi nel porcellino di terracotta per: ingaggio Guida, attrezzature e corsi, assicurazione, manualetti da studiare, smartphone efficiente con gps e altimetro, ma pure carta e bussola e kit di pronto soccorso.
Medico di base o specialista, insegnante, sacerdote, …forse desiderano: un malato sano, un allievo gia’ acculturato che vuole solo approfondire, , un fedele ligio, assiduo generoso nelle offerte e rispettoso della morale… cosi’ tutti lavorerebbero senza intoppi. Cosi’ il maestro di sci, la guida alpina…vorrebbero cliente appassionato, obbediente ben pagante e in ottima forma fisica, fidelizzato per anni ed anni. A volte capita di incontrarlo a volte bisogna adattarsi.Chi apre negozio deve sorridere anche se il cliente e’ ostico, esigente, petulante .
io penso che in ogni campo della vita le motivazioni personali siano diverse da persona a persona ed anche per la stessa persona da periodo a periodo. Quello che conta è ciò che si riesce a trasmettere e realizzare. In ogni corso ogni allievo viene a contatto con istruttori diversi, con motivazioni, età e approcci diversi ma tutti operanti con protocolli uniformi e contenuti basici certificati; comune denominatore la grande passione per la montagna. Senza quella uno non diventa ne GA ne Istruttore. Può piacere o non piacere ma la formazione deve essere fatta così.
Sinceramente questo concetto del fare proselitismo verso chi potrebbe diventare un appassionato frequentatore della montagna non l’ho mai visto di buon occhio, perché per i miei gusti in montagna di gente ce n’è già troppa. Cerco di istruire chi potrebbe mettersi nei guai, ovvio, ma anche contro il mio interesse, non ho mai voluto convincere nessuno ad andare in montagna. Uno dev’essere già convinto di suo, altrimenti chi glielo fa fare di rischiare la pelle fare fatica, ecc?
Ho sempre detto che sui monti è tutto difficile, faticoso e pericoloso. Se a uno piacciono queste cose allora ben venga, ma altrimenti faccia altro.
Il Cai in questo senso è un po’ come la chiesa, per questo non mi ha mai fatto impazzire. La scelta professionale almeno ha come motivo la sopravvivenza ma quella del volontariato non mi è mai sembrata (tranne rari casi, sottolineo) una scelta altruista, ma semmai una necessità di protagonismo. Ho fatto l’istruttore anch’io e l’ho visto e vissuto dall’interno, mi spiace.
Fare la GA per mantenere la famiglia e se stessi è una scelta che richiede un coraggio che personalmente ammiro, molto. Chi fa questa professione, come in ogni altra, spesso deve accettare dei compromessi e quindi non c’è sicuramente da arricciare il naso. Frequento spessissimo gli ambienti GA e Istruttori CAI. In entrambi vedo una enorme passione ed il tentativo di trasmettere il più possibile. Ovviamente è più facile farlo con un ciclo di lezioni lungo strutturato piuttosto che con un uscite spot ( indipendentemente dalla qualifica) Nei corsi di formazione per Istruttori Cai viene posta l’enfasi sugli aspetti formativi e didattici oltre ovviamente a quelli prettamente tecnici essenziali ma non sufficienti.
Dopo una situazione di panico causa esposizione di sentiero nel precipizio , mio figlio e compagna han deciso di effettuare escursioni accompagnati da Guida, prima esperienza sull’Etna con Neve e attività eruttiva in fase iniziale. Contentissimi, erano in due con una sola Guida che a sua volta e’stata contenta di non avere un gruppo consistente, tale da rendere il dialogo e rapporto umano superficiali. Tornati a casa, hanno indagato: ve ne sono pure in citta’ dove risiedono e lavorano ,considerata “di mare”: Trieste.Molto importante considero quindi la prima uscita con la Guida, che dovrebbe avere nei corsi un approccio di Marketing…di psicologia dell’Incontro.(piu’importanti della giacca con distintivi che comunque un certo tocco lo fornisce, dato che nel marketing certi LOGO sono brevettati)
Come ve lo immaginate un filantropo?
https://www.postandcourier.com/business/real_estate/charleston-billionaire-ben-navarro-to-buy-downtowns-largest-hotel/article_877397ba-f656-11eb-bec8-6b378c385923.html
“che le GA rompono il cazzo e invadono gli spazi per il loro business è un dato di fatto”
personalmente mi rompono molto di più il cazzo gli idioti provocatori come te (e la mancanza del congiuntivo)
Non esiste alcuna categoria comportamentale di “Guide Alpine”: esistono persone che fanno la guida alpina per professione.
E se appena appena si gira un po’ in montagna se ne trovano di tutti i tipi: simpatici, scostanti, interessati, intelligenti come lavandini o affascinanti narratori, forti, fortissimi ma anche no, allegri e corrucciati. Personalità esplosive o scialbi come un mattino di bruma.
Insomma tutto il campionario di genere umano che si possa immaginare…d’altra parte perché pensare che andare in montagna, con o senza patacche, possa in qualche modo generare un’uniformità maggiore che lavorare in ufficio o in bottega?
Durante la guerra nei giorni pari italiani e austriaci sciavano gaudenti. In quelli dispari si sparavano.
È ovvio.
Poche ore fa ho salito, con dei giovani e bravi scialpinisti del Wyoming, la galleria del Lagazuoi, scavata nella roccia dai soldati italiani durante la prima guerra mondiale.
Siccome (lo scrivo per chi non lo sa) d’inverno ci passa sotto una pista da sci, uno di loro mi ha chiesto se anche durante la guerra si poteva sciare mentre scavavano il tunnel.
Come si capisce: l’educazione non finisce mai.
Salvaterra. Condivido l’idea di distinguere i comportamenti dalla persona. È meglio parlare di comportamenti cannibaleschi che di cannibali. Prima di tutto perché nessuno è senza peccato e in secondo luogo perché lascia più spazio alla speranza. I comportamenti hanno più potenziale di essere cambiati anche senza radicali ristrutturazioni, magari con qualche accorgimento preventivo dettato dall’esperienza. Non solo sulle terre alte.
Grande Marcello!
“Al peggio non c’è limite”! Nel nostro lavoro ne vediamo di tutti i colori, o meglio, la montagna, se potesse parlare ne avrebbe di aneddoti demenziali da sciorinare.
Le Terre alte, nell’insieme dei suoi frequentatori, sono semplicemente lo specchio della società attuale. Un po’ come la politica o i commenti di questo racconto: è fatta da persone responsabili ed educate come da completi mentecatti, frustrati e rimbecilliti. Nel mezzo le sfumature. La cosa che offre qualche speranza è che tutti ogni tanto ci comportano da idioti, ma con un minimo di autocritica possiamo migliorarci.
Marcello prima o poi dobbiamo scrivere un libro di aneddoti (senza addolcimenti) del nostro mestiere.
Sarà un bestseller!
Francesco Salvaterra
Si puó forse dire che le guide non sono che la professionalizzazione di un fenomeno esistente e richiesto. Forse anche un semplice esperto subacqueo non puó lucrare accompagnando sotto persone. Che poi ci siano guide che hanno perso li spirito alpinisticomontanaro e siano divenute “uomini d’affari” è un peccato culturale e anche un diritto legittimato. La loro formazione non contempla la valorizzazione della dote storica che hanno necessariamente ereditato. In ogni caso penso si possa dire che tutti si avviano a fare la guida per amore. E anche che la crescita di popolo verticale porta in sè dinamiche nuove, prima quasi inesistenti.
Marcello, tra l’incudine e il martello!
N.B. per qualcuno che non ci arriva da solo oppure desidera che venga sottolineato:
qualche guida alpina “non cannibale” c’è ancora
contenti che sia stato detto?
Non c’è invece una risposta,purtroppo, per chi invece si limita a dire che sia solo invidia…che le GA rompono il cazzo e invadono gli spazi per il loro business è un dato di fatto; probabilmente le guide alpine sono invidiate dai turistelli, da moltissimi degli invece solo un gran fastidio! ciao
Chi è causa del suo mal pianga se stesso
e ancora:
il mal voluto non è mai troppo
Dimenticavo: non ho idea di come funzioni perchè non vivo di questo..
35) pienamente d’accordo, prevenire e’sempre l’opzione migliore..specie oggi con previsioni meteo che ci prendono…ed un’occhiata ai segnali premonitori.Poi se non si si puo’ritirare per tempo, meglio avere cio’ che serve per ripararsi e sapere dove si trova un bivacco o rifugio piu vicini..con roba asciutta per cambiarsi..e magari una stufa o brandina con coperte asciutte.
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Albert, no grazie, di guide fulminate su vie facili sono pieni i cimiteri. Mi vengono in mente Beuchod sulla normale del Cervino e Messner sullo spigolo Delago al Vajolet… Che riposino in pace.
L’abbigliamento impermeabile non ripara dai fulmini né dell’idiozia.
O uno stage di comportamento ASSERTIVO o una ltro di AUTODIFESA, LI ORGANIZZANO ANCHE PER MEDICI ED INFERMIERI IN PRIMA LINEA, non al fronte ma in corsia o accettazione. Sarebbe statomeglio smorzare prima i toni , prendere l’ingaggio e restituirlo ma :”.l..ui mi sferrò un cazzotto dritto in faccia che evitai solo ruotando la testa di lato prendendomelo però dietro l’orecchio sinistro. La botta mi fece cadere a terra tramortito. Mr. Ben finalmente soddisfatto perché, secondo lui, aveva vinto la sfida con me, se ne andò al bar.”ecco consigli basilari non estremi https://www.youtube.com/watch?v=iycMnTgYhFg
Non capisco perche’accettare un gruppo cosi’ numeroso e vario…oppure perche’ non impartire una lezione di vera avventura, ovvero ferrata fino alla cima sotto la pioggia scrosciante, magari grandine e fulmini e raffiche di vento, io perfettamente abbigliato e gli altri. …cavolacci loro.Magari poi sarebbero stati più…. soddisfatti nell’averla scampata bella… AVREBBERO GIRATO UN FILMETTO STURM UND DRANG.Poi pero’ magaria avrebbero denunciato,quelli hanno la mania discucire risarcimenti con cause legali.
Comunque in un gruppetto di 4 capito’di iniziare in pomeriggio estivo la ferrata Mesules , con cielo parecchio nuvoloso. Superato un caminetto con pulpito panoramico dissi”il piu’ è stato fatto, fatevi le foto e poi torniamo indietro”Per fortuna mi ascoltarono , e comincio’ a piovigginare, ..umidicci raggiungemmo il passo Sella e poi un rifugio Pianade Schiavaneis….Mentre si scolava birra..partirono lampi tuoni e col binocolo puntammo le pareti :cascate d’acqua e qualche cordata che scendeva in doppia.. illuminata da lampi .Allora la birra me la pagarono!
29, condivido pienamente quello che scrivi (una volta tanto) ma fare la guida deve fare i conti con il tempo che si ha a disposizione. Se organizzo un corso di alpinismo stai tranquillo che il modello è abbastanza simile a quello cui ti riferisci. Penso che non si debba standardizzare un percorso nei 10 anni che citi perché ognuno ha i suoi tempi e sinceramente preferisco valorizzare i talenti. Mi è anche capitato di dire: lascia perdere, col risultato di non vedere più l’allievo o di dare uno stimolo fortissimo a se stesso, segno delle differenze. Comunque il bagaglio esperienziale indispensabile ha bisogno di tempo e non si può comprare.
30, certo che l’agenzia informa dettagliatamente i clienti su cosa portare e come comportarsi ma la maggior parte non legge nulla. I clienti pagano in anticipo, quindi non si tratta di perdere la giornata, ma nella pratica rimandare uno a casa non è così banale come sembra. C’è anche la buona volontà della guida, a torto o a ragione, di sopperire istintivamente a eventuali mancanze del cliente e al tenere un buon rapporto con chi ti da da lavorare (agenzia). Insomma, non è tutto così scontato come per chi la guida non la fa. I corsi Cai (ho fatto anch’io l’istruttore così come lo ero nell’esercito) sono imparagonabili a una giornata guida di ferragosto. Probabilmente non avete idea perché non vivete di questo.
Cerco altre mie definizioni e sinonimi per ” cannibali” almeno provo…cavallette potrebbe andare, anche tarli del legno ma poi mi dico perche scomodare il mondo animale?
La vera parola più adatta e’Consumista: materiale di risulta di anni con bombardamenti(ops non è la parola appropriata ora come ora)mediatici con bike sulle cime, cronometri senza limiti,pensieri sempre più rosa , decenni di guide(nel senso di pubblicazioni)riviste e infinità di libri per l’Io di laqualunque di turno, film, filmati e diapo come sopra era inevitabile lo spostamento di masse umane e conseguente introito quello si cannibale ,a volte inconscio e involontario.
Caroselli, collegamenti e mega comprensorii sempre con il segno più davanti .
Il primo spit spesso talmente basso che spesso è meglio non passarlo e ignorarlo che diventa spot e messaggio sbagliato per molti.
Cigliegina sulla torta reality show in quota ,you tube e social varii.
In altri tempi neanche tanto lontani questa famiglia avrebbe ringraziato Marcello e Albi per avergli risparmiato pioggia fulmini o peggio…altro che sta reazione da Rocky Cliffhanger Navarro.
P.S. bello il racconto;ironia e saggezza alpina ben schekerate.
Ricordo la giornata come se fosse ieri…la mamma che spingeva la figlia a salire a tutti i costi, mentre la piccolina era un tutt’uno con la parete a 4 metri da terra. “Signora, se vuole che sua figlia abbia ancora voglia di provarci, lasciamo perdere la ferrata oggi.” E alla fine, a malincuore, si era convinta che non era la cosa giusta da fare. Quanto a Ben Robocop Navarro… La foto del certificato medico è TOP.
Tutto il resto, soprattutto i cattivi commenti contro la nostra categoria, non m’importa. C’è sempre più gente arrabbiata e infelice a questo mondo. Mi dispiace per voi.
Scusa Marcello, ma non avevate previsto, voi o l’agenzia, un elenco di cose obbligatoriamente da portare da parte dei clienti : zaino, guscio, pile, pila frontale, ecc.? Se ad un’uscita di un corso si presenta qualcuno sprovvisto delle cose basilari, sta a casa o al parcheggio. Se è una questione principalmente economica basta farli pagare prima con le clausole che servono. Comunque il racconto è divertente, devo dire che in 49 anni di appartenenza ad una scuola del CAI e poi in scuola centrale, anche come direttore per 7 anni sono riuscito a non venire mai alle mani se non con qualcuno di esterno, ma questa è un’altra storia.
@25 non ho desiderio né tempo di infilarmi in una diatriba senza uscita, ma se pensi davvero quello che hai scritto al 25 (con riferimento alla montagna), non hai proprio “capito” a quale tipo di “educazione” mi sto riferendo. Mi limito a sottolineare che, per miei ragionamenti personali, già tempo fa ho fatto due conti e ho focalizzato che per passare dalla primissima uscita in montagna (come inesperto goffo e boccheggiante) fino al massimo livello ufficiale (Istruttore Nazionale) oggi ci vogliono circa 10 anni consecutivi e costanti. Ciò anche essendo dotato di natura. La “vera” crescita in montagna non è metter le mani sulla roccia e fare l’8 grado, ma è soprattutto una crescita di testa, di cultura, di mentalità, di sapersi muovere con raziocinio, con buon senso, con prudenza, con senso della rinuncia….ecc ecc ecc. Imparare e metabolizzare tutto questo richiede tempi lunghissimi. Per questo non credo che una “pillola” giornaliera sia efficace. Non dipende dalla capacità dell’istruttore/guida, ma proprio dal meccanismo in sè.
Il signor Josef (avrà anche un cognome) è il classico geloso che fa di tutta l’erba un fascio.
IN OGNI PROFESSIONE CHE COMPORTI CONTATTO CON”CLIENTI”O UTENTI si possono incontrare diversi approcci, dall’empatia che scocca subito, l’empatia che matura piano piano, l’indifferenza fino al contrasto aperto.Un Professionista dovrebbe riuscire a mettere a punto un comportamento nè arrendevolele-servile nè aggressivo verbale o fisico.
E’ un approccio non spontaneo che viene detto ASSERTIVO e va coltivato e guidato da professionisti, dovrebbe entrare come formazione in tutte le professioni, compresa la politica nazionale ed internazionale. Certe università lo inseriscono come esame o master per esercitare le cure mediche sia per infrmieri che per luminari iper specialisti.
https://www.paolettapsicologo.com/blog/che-cosa-e-l-assertivita-e-come-svilupparla/
Certo che se ci si mette di mezzo pure l’inglese..il tedesco e il mistotyrolese +smozzicato italiano + dialetto veneto….in certe zone dolomitiche del’Alpe Adria e’ dura .
Il racconto di Cominetti mi ha stimolato una riflessione. Anche a me, nel mio lavoro, sono capitate esperienze sgradevoli più sul facile che sul difficile. La cosa può avere un senso. Se uno ti assolda sul difficile vuol dire che ha fatto una selezione in prima persona, difficilmente ha utilizzato un intermediario, ha valutato le tue referenze e ha probabilmente consapevolezza delle differenze di competenza tra te e lui, con il conseguente rispetto delle distanze. Se ti assolda sul facile qualcuno (cannibale ma non solo) può essere portato ad accorciare le distanze, a non valutare quella che in gergo gli econonomisti chiamano “asimmetria informativa”, a sentirsi in diritto di entarare più nel merito di quello che gli proponi e a considerarti una risorsa interscambiabile al suo completo servizio. D’altra parte, nella vita di un professionista non tutte le giornate possono essere sul difficile. Le giornate “facili” sono comunque sempre di soddisfazione, incontri persone interessanti, magari torni a casa prima, rischi meno e perché no fai anche un po’ di fatturato. Però secondo me è proprio sul facile che c’è un maggiore pericolo di incontrare il comportamento “cannibalesco”. Questo richiede nel professionista alcune attenzioni maggiori nella definizione dei rapporti proprio sul facile, paradossalmente. Poi ognuno ovviamente in base alla sua esperienza e alla sua personalità trova le strategie più adatte, come penso Cominetti abbia fatto anche dopo esperienze come questa. Non per sollevare un assurdo parallelo con altre vicende o per par condicio, ma a me è capitato un analogo episodio con un interlocutore russo e islamico, che mi ha totalmente spiazzato per il livello di aggressività così diretta, inusuale in certi contesti. Il pugno non è stato fisico ma relazionale, ma ha fatto male ugualmente, però è servito. Ho imparato che, come in montagna, a volte è proprio sul facile che rischi di farti male.
@14
Anche un film puó essere educativo e dura solo poche decine di minuti…
Il cosiddetto cannibale solitamente non è conscio della sua condizione ma se manifesta l’intenzione di fare un minimo di fatica per salire su una montagna, anche semplice, ha l’occasione di conoscere un mondo che di solito gli fa bene scoprire. Ovvio che molto dipenderà da chi ne gestirà l’approccio iniziale. Quest’inverno scorso ho fatto delle ciaspolate elementari di 2 ore con una decina di persone per volta per l’ufficio del turismo. Dopo quasi 40 anni per la prima stagione non ho fatto lo skipass scegliendo di lavorare esclusivamente con ciaspe, cascate ghiacciate e scialpinismo. Mi ritrovavo a portare a spasso per boschetti gente con le Timberland, il cappotto e la borsa di Louis Vuitton, eppure sono convinto che alla maggior parte di loro è rimasta un’impressione positiva e di una montagna che non è solo piste da sci. Alla prima ciaspolata di questo tipo ero riluttante ma dopo un po’ mi sono sentito davvero di ricoprire un ruolo di educatore che veniva perlopiù molto apprezzato. Considerando che per decine di stagioni ho lavorato d’inverno in gran parte con il fuoripista/freeride utilizzando giornalmente gli impianti scarrozzando centinaia di cannibali a cui penso di avere dato qualcosa comunque. Sull’educazione nel tempo non ho molto da dire se non che non credo si tratti di costanza e durata ma di voglia di recepire certi messaggi. Personalmente non penso che quello infuso dal Cai sia così valido come Crovella sostiene. Non dico che non sia valido intendiamoci, ma lo trovo un po’ limitato e limitante per chi vi affida. Poi ognuno è libero di scegliere. Per fortuna.
@20. Ovvio quello che dici. Difatti sostengo da anni, almeno una ventina di anni, la tesi “una montagna per pochi”. Ci vada solo chi ha veramente voglia e la esprime andandoci non solo 8-9 volte all’anno (quelle sono le uscite ufficiali delle scuole), ma addirottura 20-30 o anche 50-100. Chi va 1-2 volte, tanto vale che “provi” altro.
Sulle guide non mi permetto di metter becco, sono un mondo a se’ con le sue regole autogestite. Complessivamente rispetto molto il mondo delle guide, anche se non ne ho mai assoldata una, non fa parte della mia filosofia. Dico solo che è impossibile educare un individuo in una giornata “one shot”. Forse gli si dà qualcosina, per carità, ma l’educazione cui mi riferisco io è una cosa diversa: è un processo lento, per sedimentazioni successive, richiede tempi lunghi, lunghissimi. I nostri allievi frequentano cicli didattici di 3-4 stagioni consecutive, circa 30-35 uscite ufficiali, più quelle private in cui vengono coinvolti, più le lezioni teoriche, più gli aggiornamenti e le esercitazioni. Nulla di confrontabile con una giornata “una tantum”. Sono due mondi diversi, con due filosofie diverse. Certo è che da processi educativi lunghi e centellinati escono individui che mai saranno dei cannibali. Se la loro natura intrinseca fosse quella dei cannibali, non resisterebbero a 3-4 anni consecutivi. Esploderebbero prima. Ma casi del genere sono rarissimi, almeno da noi. Ciao!
Mhm, anche per me c’è un po’ di invidia in chi attacca le guide.
Scusate, ma che vi fanno? A me non ha mai dato fastidio nessuna guida (al massimo mi ha preso bonariamente per il culo per qualchemia esternazione alpinistica da pirla).
È curioso come si appioppi facilmente alle guide alpine un ruolo definito da chi vede le cose dall’esterno. Personalmente mi reputo un educatore provetto perché premetto con chiunque (clienti) che chi concorre nientemeno che al mio sostentamento, alla fine della giornata, settimana o spedizione che sia, deve avere imparato qualcosa. Essere guida alpina non significa essere uniformati come le pecore di un gregge. Ogni professionista apporta al mestiere quello che ha dentro anche in base al suo carattere. Essere professionisti significa proprio fare tutto con tutti. Ho accompagnato esperti alpinisti su alcune delle montagne più difficili del pianeta, lungo alcune delle più impegnative vie delle Alpi e non mi scandalizzo di certo di fare una ciaspolata per famiglie o una semplice via ferrata. Anzi, considero ogni esperienza come qualcosa che arricchisce il mio bagaglio professionale e umano. Anche il cazzotto di quello squilibrato mi ha arricchito in qualche modo.
Poi sullo scandalizzarsi perché si lavora per agenzie la dice lunga dell’incompetenza di chi ne parla. La montagna vissuta da guida è una dimensione che un normale appassionato non capirà mai, l’ho detto qui altre volte e non voglio più spendermi a spiegare ciò che si può capire solo se lo si vive.
Infine ci sono quelli che ce l’hanno con le guide per definizione: invidiosoni che non siete altro.
@14 Crovella
Mi viene da pensare che chi ha la voglia di fare 8-9 uscite in montagna all’anno sia già mentalmente predisposto ad una educazione di montagna, se non lo è già di suo.
Chi invece va 1-2 volte all’anno – o in tutto – è probabilmente uno che difficilmente potrà essere educato
Cominetti occhio!!
Se l’americano ti ha dato un cazzotto, quelle tre bionde li ti scotennano.
Caro Marcello, sei sempre esilarante! Ma poi è finita così? E le tue mani che squizzano pietre tutti i giorni? Mi auguro almeno una denuncia al tracotante americano… In effetti fare la guida può essere un mestiere pericoloso. Un saluto esilarato
Luca
10)
beh…su questo ci sarebbe anche da discutere.
Non sono le patacche o la professione che fanno la differenza o danno dei diritti particolari. E’ l’ uomo che conta.
Il fatto di avere una patacca non autorizza certo ad intervenire sull’ambiente alpinistico e arrampicatorio con tecnologie troppo invasive.
Inoltre, se un danno è evidente, chi la detto che non si può tornare indietro??
La figura della guida alpina, con annessi e connessi tipo agenzie ecc, è oggi uno dei tristi aspetti della mercificazione della montagna, anzi il più rappresentativo della mercificazione della montagna. Pagare qualcuno per farsi portare in montagna è una cosa comprensibile solo dal punto di vista del profitto che genera.
14) per lo sci di fondo, ho imparato tutto da compagni di pista ( non necessariamente tutti maestri patentati), scoprendo assieme ad amici i “particolari “e origliando, imitando e leggendo…Ad un mio parente dopo 4 lezioni a 40 euro l’una, hanno sciorinato il piatto riscaldato trascurando l’essenziale…l’incoraggiamento e la “perdita di tempo”nei dettagli… Ritrovatici assieme …”ma questo non me l’hanno fatto fare, questo non me l’hanno mai detto…”
@10 concordo con te, se non per il fatto che, spesso, il cliente viene visto una tantum dalla guida… come si può pretendere che il professionista “educhi” il cliente in una sola sessione? E’ impossibile. Educare è lavoro certosino, lo si fa millimetro dopo millimetro, gita dopo gita, chiacchierata dopo chiacchierata… diverso è il discorso per le scuola CAI dove gli allievi, specie nel settore dello scialpinismo (cmq da noi a Torino è così per abitudine storica) frequentano almeno 3 stagioni consecutive, spesso 4, prima di terminare il loro ciclo didattico. Ogni stagione ha 8 o 9 gite e altrettante lezioni teoriche… stiamo parlando di un pacchetto complessivo di 25-35 gite condivise e altrettante lezioni teoriche… Così puoi pensare di “educare” qualcuno. Nell’uscita una tantum è impossibile, anche volendo. Ho già detto stamattina che le guide che hanno clienti stabili (magari fanno 3-4 vie ogni estate o diverse gite in sci nell’inverno) possono svolgere un ruolo diverso, ma non punterei sulle guide per educare la massa che oggi infesta le montagne. Anche perché spesso tale massa rifugge dalle guide e si butta a corpo morto sui monti. In ogni caso per educare ci vuole una certa propensione che non ha niente a che fare con l’esser forti in montagna, anzi spesso i forti non sono dei buoni educatori. E’ una vocazione che bisogna sentire dentro.
Si è vero ho sbagliato a scrivere “dalle mie parti”, in realtà le guide alpine sono cannibali ovunque! Pensate solo a come si comportano sulla hornli, ma non solo, dove pretendono di avere la precedenza. Dire che invadono spazi per i loro fottuti business è dire poco. Cannibali!
“#Josef#? Si vede che dalle tue parti c’è proprio della bella gente…”
Più che dalle sue parti io direi che la bella gente è nella sua testa…
Caso A) sole splendido cocente per tutto il giorno.La Guida non si lamenta per l’ora di ritardo, procede con MOOLTA Calma, nel suo zaino ha crema burro cacao e collirio e occhiali da sole filtranti e le usa senza farsi vedere…senza dare consigli ..Gli altri in magliettine e braghe corte avrebbero fatto i conti con congiuntiviti e bolle da ustione notte e giorni successivi.
B)..temporalone classico dolomitico che si scatena in pochi minuti nel primo pomeriggio, con raffiche di vento, fulmini, tuoni, scariche di grandine e pioggia battente.La Guida estrae i suoi pacchettini compressi dallo zaino e si veste con soprapantaloni, giacca a vento e magari pure poncho e gli altri adoperano quelche hanno o si inzuppano e tremano denti e chiappe. Aggiungiamo un tocco di mancanza di campo per telefonini.Lezioni per la vita..senza profferire parola.
Leggo di Tita Piazhttp://www.angeloelli.it/alpinisti/file/Piaz%20Tita%20(1879-1948).html
.in particolare …”insofferente di gerarchie sociali, aspro e indisponente a volte, generoso fino all’eroismo. Con una simile guida, che si ribella a considerare il rapporto professionale in termini di servilismo, i “signori” si sentono ridimensionati.”..e quindi”daje !”denuncia e scuocimento di risarcimenti!oppure ostracismo social…Potendo scegliere…meglio situazione da ultima foto…avercene sempre così!!!
#Carlo Crivella#Il ruolo della guida alpina invece, secondo me ovviamente, è cambiato nel tempo e se prima, come dici tu , era il rude uomo di montagna che ti portava in cima ad una vetta , ora è (anche e non solo) quella figura che educa ( chi ha meno esperienza o non ne ha proprio) alla frequentazione della montagna nella giusta prospettiva di conoscenza e RISPETTO dei valori che questa ci offre.
Ovvio che questo lavoro deve essere mediato con l’utilizzo di strumenti , attrezzi e tecnologie delle volte in contrasto con la weelderness…. ma siamo nel 2022 e non si puó tornare indietro.. e se si puó salvare qualcosa ci si prova, anche cercando di diffondere una certa cultura alpina.
Conosco bene il Col de bos, ci arrampico ogni anno. Vedo ogni genere di cannibale. Solidarietà al Cominetti. Anni fa, durante la via Dibona alla Torre grande di Falzarego, mi sono imbattuta in un cannibale Guida (austriaca) che, seppur arrivato dopo di noi, i primi in parete (dietro di noi anche 2 polacchi), si è messo a sbraitare e a superarci in ogni modo, costringendo la sua povera cliente a scuse imbarazzanti. Mi ha anche preso in mano un piede mentre stavo salendo (!!!) per spostarlo ….giuro!
Ovviamente lo abbiamo lasciato andare avanti con la povera cliente trascinata senza parole….
Non so se fosse un cannibale, di certo non ha fatto onore alle Guide Alpine. 🙂
#Josef#? Si vede che dalle tue parti c’è proprio della bella gente…
Da noi le guide attrezzano falesie non solo per loro ma per tutti quelli che vogliono frequentare la montagna, lavorano con clienti ( anche rompipalle ) ma dando sempre il meglio di se ed in modo professionale.
La macchina la usiamo per andare a prendere e riportare i clienti dando anche questo servizio… e se ci sono divieti siamo i primi a rispettarli e farli rispettare.
Vieni a vivere da noi così eviti i cannibali delle tue parti.
Prossimamente sul GognaBlog: «Scazzottata all’O.K. Corral», con Burt Lancaster e Kirk Douglas.
E la partecipazione straordinaria di Marcello Cominetti.
Visto che, seppur indirettamente sono stato coinvolto nel testo, seppur solo come riferimento ideologico sia chiaro, mi permetto un commento. L’episodio porta alle estreme conseguenze il concetto di cannibale. Non tutti i cannibali sono così cannibali, ma certo è che il numero di cannibali è molto cresciuto (sia in valore assoluto, sia soprattutto in percentuale rispetto ai frequentatori della montagna, a loro volta “esplosi” di numero in totale: per cui i cannibali oggi sono incontenibili) negli ultimi decenni, per tanti motivi, tutti più o meno rientranti nel principio di una maggior facilità nell’accesso ai monti.
Fra i numerosissimi motivi (tecnici, logistici, anche di disponibilità finanziarie individuali) di facilitazione nell’accesso ai monti, vi è anche una maggior attività delle guide. La guida di un tempo, severa, arcigna, che accompagnava solo sull’ascensione della Valle (il Cervino, il Gran Paradiso, ecc), non esiste quasi più., per non dire che non esiste proprio più. Le guide sono a loro volta aumentate di numero (rispetto a molti decenni fa) e offrono un’assistenza diversificata, accompagnano i clienti sulle ferrate come a fare un’escursione in MTB o una discesa di canyoning. I tempi attuali sono “multitasking” e neppure la professione di guida ne esce indenne.
Pur non avendo mai assoldato una guida in vita mia, non ho nulla contro le guide, perché svolgono egregiamente il loro lavoro. Non sta alle guide occuparsi di “educare” i frequentatori della montagna. Qualcuno magari lo fa, più che altro all’interno di rapporti consolidati con clienti strutturali, ma la guida che prende uno sconosciuto, lo porta su e poi giù deve solo preoccuparsi dell’incolumità del cliente e non di innalzare la levatura morale dello stesso. Quindi nell’episodio, non si poteva far altro che gestire questi signori nel modo descritto.
Il ruolo educativo non va caricato sulle guide, dunque. Dovrebbe esse invece abitudine indiscutibilmente acquisita da parte di tutti gli appassionati della montagna. Quelli che ci vanno per piacere e non per lavoro, intendo. A maggior ragione questo vale per chi occupa ruoli ufficialmente didattici oppure organizzativi: istruttori CAI, più o meno titolati, capi gita di uscite sociali, punti di riferimento di gruppi, sosttosezioni ecc. Una specie di ruolo “paterno” o quanto meno da “fratello maggiore”, verso i meno esperti: occorre contenere la propensione al cannibalismo. In primis nel comportamento individuale: autocontrollarsi per evitare qualsiasi cannibalata in prima persona. E voi nei confronti degli altri, che siano allievi, gitanti della sociale, iscritti al programma collettivo, ma manche amici e parenti in un’uscita privata. Far veder che si rimettino le bucce d’arancia nella scatoletta del cibo (per portarle a casa anziché spargerle in vetta, nonostante siano biodegradabili) è importante come insegnare il recupero col paranco dal crepaccio. Anzi a me vien addirittura da dire che è PIU’ importante: il recupero colò paranco lo trovi spiegato su ogni manuale, lo trovi in rete come video ecc. L’abitudine a saperti muovere in un certo modo, compreso il non spargere rifiuti, è invece cosa impalpabile, che non si trova da nessuna parte e che si insegna/si impara solo con la diretta visione reciproca gita dopo gita.
Io sono molto sensibile a questo risvolto della montagna, cioè la didattica che travalica il semplice insegnamento delle manovre tecniche. Sono stato educato a questo “valore etico della montagna” fin dalla culla, per l’impostazione dei miei genitori, e poi grazie ai miei istruttori che io considero Maestri di vita prima ancora che esperti di montagna. A mia volta porto avanti questo approccio in 40 anni consecutivi da istruttore. Il discorso vale a prescindere dalle performance tecniche: preferisco che un allievo si stabilisca su livelli tecnici intermedi (se quelli sono i suoi talenti) ma che abbia quell’educazione generale che io collego al concetto di andar in montagna. In 40 anni credo di aver passato centinaia di allievi, alcuni sono diventati anche molto più forti di me (uno è arrivato a fare il Pilone Centrale…) , ma la cosa rilevante è che NESSUNO è un cannibale. Il corollario è che, se impari a non esser un cannibale in montagna, questo ti aiuta a non esser un cannibale nella vita di tutti i giorni. Per quest’ultimo risvolto io sono molto sensibile all’aspetto educazionale che si trasmette attraverso l’insegnamento della montagna.
Per chi fosse interessato a maggior dettagli sul concetto di didattica che punta a creare dei “non cannibali”, sia in montagna che nella vita quotidiana, segnalo una mia recente intervista rilasciata al quotidiano La Stampa: https://www.lastampa.it/montagna/2022/02/14/news/settant_anni_con_le_pelli_sotto_gli_sci_orgogliosi_di_essere_la_prima_scuola_di_scialpinismo_in_europa_-2855200/
Buona giornata a tutti!
Una filippica e poi ? Scopro che siete su una ferrata che incarna proprio quella montagna cannibale che esalta il ” mi piace vincere facile” ingabbiando le rocce di fili di ferro e scalette…ma di che stiamo parlando dai suuuuu
Non so chi sia sto Crovella, però dalle mie parti usiamo il termine cannibale per indicare le guide alpine, che piuttosto che incassare portano in montagna chiunque e dovunque, rompendo le palle a tutti, soprattutto ai local. E se la tirano pure mettendo adesivoni sulle macchine, (che naturalmente usano per arrivare sistematicamente fino alla fine della strada esistente con dubbi permessi). Poi cannibali perché usano le falesie che NOI abbiamo chiodato e che sono luoghi per noi di aggregazione, per fare i loro corsi del cavolo e minare la tranquillità di tutti. Cannibali!!
Racconto molto divertente… “Ben” è quel genere di persone che mi farebbe ribollire il sangue… Hai ben fatto a mantenere per quanto possibile il self-control… Io non so se ci sarei riuscito.
Che brutta avventura… gente così l’ho guardata solo da lontano, per mia fortuna.
A Napule dicessero :”che s’ha da suppurtà pe magnà !”.Ottima la scelta finale preventiva, la famosa catena di sant’Antonio .Comunque anche ai Pronto Soccorso, succede questo e pure peggio.In certi negozi del mio paesotto, appena una Tipa entra per acquistare abbigliamento, la si fa attendere e parte una diramazione di telefonate di allarme.Infatti la Signora , molto affabile, aveva precedenti:chiedeva sempre di pagare a rate e poi ne pagò solo una o due.Per lei non ci sara’ mai la taglia giusta …e se c’e’ tempo si chiude la porta con un “torno subito”.Poi anche nei paesi del vicinato parte il”riconoscimento”. Si fa cosi’ anche per “lavoranti da assumere”con terra bruciata attorno circa i loro precedenti professionali(molto scarsi e inaffidabili)