Attilio Tissi, mio padre
di Giuseppe Bepi Tissi
(pubblicato su Le Alpi Venete, autunno-inverno 2024-2025)
Tutte le immagini provengono dall’archivio di Giuseppe Tissi
«Se tu avessi fatto una cosa del genere saresti il più forte alpinista italiano», gli aveva detto Parizzi. Papà mi raccontava di quella volta che, per testare le proprie attitudini all’arrampicata, aveva provato per la prima volta ad arrampicare salendo e scendendo dalla Gusèla del Vescovà nel gruppo della Schiara, sopra Belluno, 40 metri di IV grado, da solo, senza corda o strumenti di sorta, principiante assoluto, con i calzerotti di lana ai piedi. L’aveva raccontato ad Aldo Parizzi, fortissimo arrampicatore della scuola bellunese, e non era stato creduto. Quella risposta però gli aveva fatto sospettare di avere del talento. Era il 1929.
«Ma, dopo, Parizzi ci ha creduto?», la mia domanda di bambino mi urgeva in gola. Ridacchiò, come spesso faceva: «Credo proprio di sì».
Il primo sospetto di essere portato per l’arrampicata lo aveva avuto pochi anni prima quando lavorava per la Montecatini sulle Alpi Apuane: era riuscito a passare su una parete di una cava di marmo dove nessuno ce l’aveva fatta. L’estate successiva alla Gusèla, il 1930, la Sezione Agordina del CAI decise di intitolare la cima inviolata della Terza Pala di San Lucano alla principessa Maria José, che aveva sposato quell’anno il principe Umberto, erede al trono. La Terza Pala infatti, a differenza delle prime due, si mostra impervia da tutti i versanti e nessuno l’aveva mai salita. Dato che si tratta di una montagna rilevante e ben distinta dalle circostanti, poteva essere considerata l’ultima cima inviolata delle Alpi? Lascio la risposta agli esperti. Il toponimo “Cima Maria José” comunque durò poco, ora si chiama di nuovo Terza Pala.
L’intitolazione lanciava una sfida: alcune guide agordine tentarono infatti di scalarla, ma conclusero che non si poteva perché c’erano “gli appigli reversi”. Papà e il suo amico Giovanni Andrich decisero allora di provare, per vedere chi dei due fosse più bravo. L’incrocio di sfide era fitto: la sfida personale con Andrich; la sfida con le guide agordine; la sfida con Parizzi e la scuola bellunese (non dimentichiamo l’atteggiamento di sufficienza che i bellunesi hanno sempre avuto nei confronti degli agordini, cui riservavano il soprannome di gnass); la sfida politica col regime fascista, che avversava (e questo a papà era costato il licenziamento dalla Montecatini); la sfida tra alpinisti italiani e tedeschi, fino a quel momento insuperabili, tanto che nessun italiano aveva ancora ripetuto la via Solleder-Lettenbauer del 1925 sulla parete nord-ovest della Civetta, considerata la più difficile delle Dolomiti. Si procurarono corda, moschettoni e dei rudimentali chiodi con anello. C’era il problema dell’enorme zoccolo da superare, ma si fecero accompagnare da un cacciatore locale, di Col di Prà, tale Dai Prà, che conobbi casualmente trentacinque anni dopo quando acquistai da lui una vecchia Vespa 125, quella col fanale sul parafango, e che mi raccontò l’episodio.
Con loro salirono lo zoccolo anche gli amici ingegneri Ohannés Gurekian e Nino Biadene (sì, proprio lui, molti anni dopo uno degli imputati e poi condannato per la tragedia del Vajont). Papà ora svolgeva lavori nell’Agordino per la Montecatini, e poi per la SADE, con la piccola impresa edile che aveva fondato. Giunti in cima allo zoccolo, Gurekian e Dai Prà scesero e i tre rimasti bivaccarono. Accesero un fuoco e Andrich per poco non andò a fuoco anche lui. Il giorno dopo anche Biadene scese. Rimasti soli, papà e Andrich iniziarono la scalata vera e propria, fino in vetta, dove lasciarono un biglietto con le firme all’interno di un porta-uovo di alluminio, sotto un ometto di sassi, una “capsula del tempo” ritrovata più di mezzo secolo dopo da Ilio ed Ettore De Biasio (1). La cima non sarà raggiunta per altri 41 anni, quando nel 1971 Roberto Lagunaz e Giuseppe Costantini compiranno la seconda ascensione assoluta e prima invernale. Dopo il successo sulla Cima Maria José, per tutta l’estate papà e Andrich non fecero che ripetere vie famose preparandosi al botto, che fecero in settembre: la prima ripetizione italiana e prima senza bivacco della via Solleder. Con l’affermazione sportiva papà si metteva al riparo da aggressioni per la sua avversione al regime – e probabilmente l’amicizia con Andrich, iscritto e attivo nel PNF, già serviva.
Quattro anni dopo, nel 1933, scalando con Leopoldo di Brabante, principe ereditario del Belgio, un campanile in Civetta e battezzandolo Campanile di Brabante, la messa in sicurezza si rafforzò: Leopoldo infatti era fratello proprio di Maria José, il cui nome sembra aver portato fortuna a papà, che era socialista e antimonarchico. Il clima dell’epoca emerge da una lettera inviata dal Podestà di Agordo al Prefetto di Belluno, trovata in Prefettura nel 1945 dopo la Liberazione:
MUNICIPIO DI AGORDO
N. 3612 di prot. – 9 Nov. 1933 Anno XII
Oggetto: RISERVATA A S.E. IL PREFETTO DI BELLUNO
Ho appreso in questi giorni che si vuol conferire la Croce di Cavaliere della Corona d’Italia al Sig. Tissi Attilio di Vallada, qui domiciliato.
Reputo mio preciso dovere di Podestà, di fascista e quale Ufficiale dell’Esercito di far presente all’Eccellenza Vostra, quanto appresso:
Il Tissi è stato, e sarà sempre antifascista e antimonarchico come lui stesso ebbe più volte a dichiararsi. Il Tissi fu l’unico abbonato alla Giustizia e all’Avanti fino alla pubblicazione di questi giornali per i quali sottoscrisse anche in denaro. L’allora Segretario Federale e il Capo Zona Avv. Bonsembiante si interessarono di questo, perché fosse licenziato dalla Montecatini dalla quale dipendeva. Ha sempre ostentato l’avversione al Regime e ha tenuto a dichiarare che anche la sua attività alpinistica, svolta per forze di cose nell’ambito delle Associazioni controllate dal Partito, non voleva dire che avesse per nulla modificato le sue opinioni politiche. Bontà sua il Tissi dichiara di non esplicare nessuna attività politica.
Il Tissi e il suo degno amico Avv. Zandò, noto anch’egli come deciso quanto impotente antifascista, all’epoca del plebiscito del 1929 non ritenendo agevole votare contro se ne andarono a fare una passeggiata in Sicilia.

Solo la leggenda di grandi aderenze nel campo alpinistico ha fatto credere ad una certa immunità e soltanto così si spiega se il Tissi non è incorso in quei frequenti infortuni cui sono andati incontro tutti gli altri antifascisti dichiarati. D’altra parte si è voluto da dirigenti locali sempre sperare in un ravvedimento perché non era discaro che un autentico campione sportivo venisse nelle nostre file, ma il Tissi, anche nella recente apertura delle inscrizioni, si è ben guardato di presentare domanda d’inscrizione al P.N.F.
Contro il Tissi al locale Segretario Politico di recente è stato presentato reclamo da imprenditori fascisti i quali trovano ingiusto che lui, antifascista, possa lucrare dall’appalto della manutenzione della linea ferroviaria Bribano-Agordo, lavoro che gestisce assieme con suo cognato che nelle ultime elezioni votò contro il Regime e che dalla Svizzera fu segnalato alle autorità per la sua attività antifascista. Va da sé che un’eventuale distinzione onorifica premierebbe una particolare attività, ma in questo caso, sarebbe l’interpretazione di tutti, che è lecito nell’anno XII° potersi dichiarare antifascisti. Non esagero affermando che l’eventuale conferimento di una onorificenza sarebbe accolta in tutto l’Agordino come una mostruosità, e sarebbe una mortificazione a tutti quelli che danno disinteressatamente da anni la loro appassionata opera per il Regime.
La mamma di Tita Fumei lo riterrebbe un insulto al martirio di suo figlio. Con assoluta fiducia e devozione nell’Eccellenza Vostra, ossequio. Il Podestà
Benché la lettera si qualifichi da sola e appaia vergognosa ai nostri occhi di oggi, soprattutto per il riferimento ai «… frequenti infortuni cui sono andati incontro tutti gli altri antifascisti dichiarati», per onestà intellettuale occorre ricordare che sotto le altre dittature dell’epoca dichiararsi pubblicamente antigovernativi comportava ben altro, di solito la scomparsa nel nulla.
Il contatto con Leopoldo gli era stato proposto qualche giorno prima dell’impresa dal barone Carlo Franchetti con una cartolina:
“Carissimo, v’è il Duca di Brabante che vuol far gite con me ma io non posso che condurlo su terzi gradi. Hai voglia più tardi di guidarci? Se mi scrivi possiamo combinare qualche bella gita”.
Pochi giorni dopo la conquista del Campanile di Brabante, mentre percorreva la strada Belluno-Agordo, nella curva che precede Candaten, papà si schiantò con la sua moto, un’Ariel 1000, contro un carro, riportando lo schiacciamento di un corpo vertebrale che mise fine alla sua carriera alpinistica, anche se continuò ad arrampicare su livelli minori di difficoltà. Domenico Rudatis, che era sul sellino posteriore, riportò lesioni più gravi e non gliela perdonò mai. Papà, ricordo bene, guidava malissimo l’automobile, posso solo immaginare come fosse in sella a una moto. Leopoldo di Brabante gli scrisse una lettera di auguri. Diversi mesi dopo l’incidente, nell’estate del 1934, passò dalla montagna al Lido di Venezia, luogo più rilassante. Dal repertorio fotografico, peraltro, sembra che si fosse ripreso bene. Nel 1935 avrebbe quindi conosciuto mia madre al rifugio Vazzoler, fine del celibato.
In Liberazione, una raccolta di memorie e altre considerazioni del 1985 (2), Rudatis si vendica, non senza buone ragioni, rievocando la prima allo spigolo ovest della Torre Trieste in Civetta, nel 1931, con papà e Andrich. A Rudatis sarebbe piaciuto bivaccare in cima sotto le stelle nella tiepida notte estiva, ma papà volle testardamente scendere subito perché era un suo punto d’onore sportivo non bivaccare mai, come era riuscito a fare sulla Solleder. La notte però li sorprese durante la discesa e, smacco!, dovettero bivaccare su un terrazzino per accorgersi, alle prime luci del giorno, di essere a un metro dal sentiero.

Così commenta Rudatis: «Come aspetto Tissi pareva proprio un discendente della valida razza dei Cro Magnon che erano nelle Alpi trentamila anni fa e forse più. Inoltre la sua fronte bassa e le forti arcate sopraciliari aggiungevano un residuo tipico dei Neanderthal che hanno preceduto i Cro Magnon molte migliaia di anni prima». E conclude ironicamente: «Certamente erano razze molto più solide di noi moderni». Il contrasto tra il misticheggiante Rudatis intriso di filosofia indiana e il mio neandertaliano genitore non poteva essere più stridente, eppure l’amicizia continuò anche dopo la fine delle imprese alpinistiche, come testimonia la fitta corrispondenza tra i due, dal 1930 al 1946, con coda polemica nell’immediato dopoguerra per le diverse opinioni politiche.

Il lato neandertaliano del mio vecchio deve essergli però servito per riuscire a non parlare durante un mese di “interrogatorio”, chiamiamolo così, da parte delle SS, alla caserma “Jacopo Tasso” di Belluno, interrotto dal tentato suicidio tagliandosi le vene di un polso e poi dal colpo di mano di un commando partigiano che, con la complicità di una “talpa” italiana nel comando tedesco, lo liberò la notte di San Nicola del dicembre 1944. Con qualche difficoltà perché il capo del commando, Ugo Peg Praloran, che aprì la porta della cella con il doppione delle chiavi procurato dalla “talpa”, aveva un leggero accento tedesco essendo nato a Berlino e papà, che non lo conosceva, non voleva uscire pensando che lo portassero al capestro. Peg gli puntò contro la pistola per convincerlo. Quella stessa notte fece avere alla moglie Mariola un biglietto in cui la informava dell’evasione e le diceva di nascondersi, cosa che lei fece con la figlia di sei anni. Riparato in Alpago fino alla Liberazione, vi conobbe Harold William Tilman, ufficiale inglese di collegamento tra la Resistenza bellunese e gli Alleati.
Bill Tilman era un famoso alpinista, aveva al suo attivo la conquista di una delle vette del Nanda Devi, in Himalaya, a 7434 m, la quota e la cima più alte mai raggiunte allora e, successivamente, un tentativo all’Everest ancora inviolato, dove era arrivato senza bombole d’ossigeno a quota 8150 m, di nuovo la più alta mai raggiunta dall’uomo. In Alpago Tilman faceva delle escursioni ma con rammarico non trovò mai dei compagni che salissero con lui, nemmeno papà, perché «Tissi era troppo occupato e comunque quelle montagne non erano molto interessanti per un sestogradista (3)». Papà, che era freddolosissimo, si stupiva che Tilman facesse il bagno in gelidi ruscelli. Anni dopo la sua morte, studente di Medicina, scopersi che la ridotta resistenza al freddo e la lentezza motoria e verbale, che pure lo caratterizzavano, sono sintomi tipici dell’ipotiroidismo, da cui con ogni probabilità era affetto. Questo potrebbe essere stato un ulteriore motivo per non amare i bivacchi all’aperto, esperienza penosa per uno che dormiva abitualmente con sette coperte quando sua moglie ne usava una (dormivano ovviamente in letti separati). Le doti necessarie per l’Himalaya e per l’arrampicata in Dolomiti sono notoriamente molto diverse. La piccola impresa edile che aveva fondato a fine anni ’20 si sviluppò gradualmente, quantunque frenata nella crescita dall’ostilità del regime, e fece un balzo dopo la guerra con il primo importante lavoro per la SADE: la costruzione del Ponte-Tubo parabolico sulla forra del Vajont, che collegava la galleria proveniente dal Lago di Pieve di Cadore con quella che scende alla Centrale di Soverzene, prima ancora della costruzione della diga.
Alle prime elezioni repubblicane, nel 1948, papà fu eletto al Senato per il Partito Socialista Democratico, pur non avendo svolto una campagna elettorale; infatti non sapeva parlare in pubblico e in generale parlava poco e con una certa difficoltà, mentre per iscritto si esprimeva più facilmente. Lavorò soprattutto nella Commissione Lavori Pubblici, cosa che lo indusse a non partecipare mai a gare pubbliche con la sua impresa, ritenendo che vi fosse un’incompatibilità (oggi si chiamerebbe conflitto d’interessi).
A sostegno della teoria di Rudatis sta il fatto che le impronte delle circonvoluzioni della corteccia cerebrale nei crani fossili neandertaliani mostrano uno scarso sviluppo delle aree del linguaggio, mentre le aree visive sono molto rappresentate. Negli ultimi anni, però, la scoperta di geni neandertaliani negli europei ha confermato l’incrocio tra i due gruppi e ha cambiato la percezione di questa eredità: i dipendenti del Natural History Museum di Londra si sono sottoposti al test del DNA e, intervistati, sembravano fare a gara a chi avesse percentuali più alte di Neanderthal. Una signora nera si rammaricava di non averne neanche un po’, infatti i Neanderthal non sono mai vissuti in Africa. Così va il mondo, quella che ieri era un’offesa diventa oggi una qualità. Chissà cosa direbbe Rudatis.
Note
(1) – Ettore De Biasio, Pale di San Lucano, Luca Visentini Editore, Cimolais, 2004.
(2) – Domenico Rudatis, Liberazione. Avventure e misteri nelle montagne incantate, Nuovi Sentieri, Belluno, 1985.
(3) – Harold William Tilman, Uomini e montagne, Centro di Documentazione Alpina, Torino, 2001 (titolo originale When men and mountains meet, Cambridge-London, 1946. Traduzione italiana a cura di Mary Archer).
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Complimenti per il ricordo di Tissi da parte del figlio, sono articoli interessanti per comprendere l’alpinismo dolomitico di quel periodo.
Ho avuto circa cinquanta anni fa la fortuna di fare una delle prime ripetizioni
della sua via alla Tofana con il mio caro amico Heini Holzer.
Tutti due eravamo piccoli e leggeri l’ideale per quel percorso molto friabile.
Quindi avrebbe già avuto una mentalità sportiva.
Da quello che so io Tissi frequentava abitualmente le cave di tutta l’ Italia del nord per lavoro aeva un impresa edile…
Era stato anche in una falesia da me frequentata che inizialmente era una cava per materiale edile.
Sembra che avesse pure infisso dei chiodi da roccia .
Agordini:Gnass
Bellunesi:Sajoć
C’è qualcuno qui dentro ,in provincia in Valle A. o fuori che sa che significato hanno?
Lavorare nelle cave in quei tempi era assai dura e pericoloso. Che facesse il cavatore o il lizzatore? Forse aveva qualche incarico particolare.
Di influenza anarchico-carrarina ci sta che ne abbia respirata, vista la sua avversione al regimi imposti con la forza.
Tissi ed Andrich , due incredibili talenti della scuola bellunese / agordina.
Ho letto che Tissi e i suoi primi compagni di avventura ripeterono vie rispettabili ancora prima di conoscere i nodi e le tecniche di assicurazione…
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Qualche tempo fa’ a Milano conobbi un Tissi che faceva il medico, vista la mia amministrazione per Attilio , gli chiesi se era un parente, e mi confermo’ che era il figlio.
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Verosimilmente lo stesso che ci ha regalato questi appunti del tempo.
Alberto ,per andare a lavorare nelle cave ,mi da l’idea che non se la passasse molto bene e doveva dedicarsi più al lavoro che altro. Chissà se nel frattempo ha imparato anche un po di anarchia
Caro Gianfranco, l’ho letto, l’ho letto. Certo che con tutta la classe di Tissi, e con quello che c’era ancora da fare in quei tempi in Apuane, poterva dedicarsi a ben altro che un muro di cava.
“Il primo sospetto di essere portato per l’arrampicata lo aveva avuto pochi anni prima quando lavorava per la Montecatini sulle Alpi Apuane: era riuscito a passare su una parete di una cava di marmo dove nessuno ce l’aveva fatta”
Benassi come puoi ben vedere ,pure Tissi passo`per le pareti delle cave apuane
“L’avversione per i sentieri battuti è prova di un intelletto indipendente, anche se tale indipendenza può a volte rivelarsi molto cara” H.W. Tilman
Frase questa che si posiziona a meraviglia sulla vita e le scelte sopratutto politiche di A.Tissi.
Gratitudine al figlio di aver reso disponibili a noi voraci onnivori gognablogghi questi
importanti ricordi della vita paterna.
Questa è buona, Applauso!!
In alpinismo la democrazia non esiste.
Il ne faut pas tout mélanger.
Et les défauts n’enlèvent pas les qualités.
Io non ho svicolato proprio, sei tu che non vuoi (puoi) capire.
Dipende tutto dalla definizione che usi per le parole: io non sono democratico tanto quanto Meloni non è fascista.
Io non ho affatto protestato per il fatto che si parlava delle idee politiche di Attilio Tissi.
Di piú, ritengo che prima dell’alpinista sia doveroso conoscere e valutare l’Uomo. Ne discussi una volta nel forum a proposito di Heinrich Harrer, primo salitore della parete nord dell’Eiger ma fiero SS del Terzo Reich. Mi ricordo che in quella occasione mi scontrai con Carlo (Crovella), di idee differenti.
Ciò che contesto – anzi, che mi ripugna – è tirare in ballo la Meloni quando si parla del Ventennio: è come sommare le mele con le pere, come servire i cavoli a merenda e pretendere che gli altri commensali li accettino in silenzio. Si tratta di squallida speculazione politica che si riversa interamente contro i suoi autori: ci rivela chi siano questi soggetti, sedicenti “antifascisti” (anche Stalin era “antifascista”!) ma NON democratici (nel senso che ho spiegato piú volte, anche nei giorni scorsi).
Adesso ripeto la domanda a Matteo: tu sei democratico? Hai già svicolato una volta.
Condivido pienamente le parole di matteo. Il coraggio di un uomo, che si manifesti su una montagna o contro una dittatura merita la nostra ammirazione. È importante ricordarlo in un momento nel quale si sta tentando di instaurare in Italia uno stato autoritario di tipo fascista. Credo che sia importante dirlo qui come in qualunque altro luogo.
Dai Bertoncelli, parlando di Tissi non si può non parlare di politica, e quindi di fascismo e antifascismo. Poi ci si mette anche l’attualità, anche questa nessuno può fingere di ignorare
Bertoncelli, allora tu se vuoi intervenire parla solo dell’articolo.
Conosci Tissi?
Hai mai fatto una sua via?
Matteo, se vuoi pubblicare opinioni sull’attuale situazione politica – del tutto fuori luogo nel contesto dell’articolo – approfitta della bacheca di qualche cellula di partito, in stile anni Settanta (o anni Cinquanta?). Eviterai cosí di infastidire chi desidera limitarsi ad Attilio Tissi. Grazie.
P.S. Per gli sproloqui semmai è disponibile anche Totem & Tabú. Vedi per esempio il brano di oggi: lí potrai scatenarti.
“da una lettera inviata dal Podestà di Agordo al Prefetto di Belluno:
Il Tissi non è incorso in quei frequenti infortuni cui sono andati incontro tutti gli altri antifascisti dichiarati
…è stato presentato reclamo da imprenditori fascisti i quali trovano ingiusto che lui, antifascista, possa lucrare dall’appalto…“
Perfetta descrizione dell’Italia e dell’Europa a cui si ispira e che vorrebbe la nostra presidente del consiglio.
E magnifica medaglia sul petto di un grande uomo e un alpinista grende e visionario, le cui vie sono apprezzate, ripetute e temute ancora oggi.