Il 18 marzo 2017 a Milano, presso il Circolo El Salvadanée, si è tenuta l’assemblea Attuare la Costituzione, un dovere inderogabile, seconda tappa, dopo l’incontro di Roma del 22 gennaio 2017, di un percorso che vede impegnati Comitati, Organizzazioni e persone per l’attuazione della Costituzione italiana.
Attuare la Costituzione
di Paolo Maddalena
Quadro Generale di riferimento
Il successo del No al referendum ha dimostrato che la maggioranza della popolazione italiana si è resa conto del fatto incontestabile che stiamo vivendo in un “sistema economico predatorio” (causato dal pensiero unico dominante del neoliberismo), che produce arricchimento per pochi (globalizzazione dei capitali) e impoverimento per molti (globalizzazione della miseria); mentre nei primi trenta anni del dopo guerra ci eravamo abituati ad un “sistema economico produttivo” (di stampo Keynesiano) che produceva la redistribuzione della ricchezza e il benessere di tutti.
La verità è che il pensiero neoliberista, che ha agito con estremo attendismo sin dagli inizi degli anni ottanta del secolo scorso (si pensi alla lettera di Andreatta a Ciampi, con la quale il Ministero del Tesoro sollevò la Banca d’Italia dall’obbligo di acquisire i buoni del Tesoro rimasti invenduti, causando l’innalzamento dei tassi di interesse sul libero mercato e l’aumento irrefrenabile del nostro debito pubblico), si è concretamente affermato con due “strumenti micidiali” per gli interessi economici della collettività: la “privatizzazione” dei beni e servizi pubblici da un lato, e la “creazione del danaro dal nulla” (“cartolarizzazioni” e “derivati”), dall’altro. Basti pensare che sono stati privatizzati: le banche pubbliche (cosicché anche la Banca d’Italia è divenuta praticamente una banca privata), le industrie pubbliche (eliminandosi così il loro legame con il territorio e dando luogo alla loro delocalizzazione con conseguente perdita di posti di lavoro), ed inoltre: isole, montagne, tratti di spiaggia e numerosissimi immobili di carattere artistico e storico, mentre con la privatizzazione dei servizi si sono create delle vere e proprie “pompe aspiranti” della ricchezza nazionale, poiché i profitti sono andati a multinazionali, e cioè fuori dell’Italia. Si tenga presente, inoltre, che con le “cartolarizzazioni” e i “derivati”, e cioè mediante la “finanziarizzazione” dei mercati, si è creata una ricchezza fittizia (di per sé causa di instabilità economica), della quale hanno fruito massimamente le banche e le multinazionali, i cui dissesti finanziari sono stati poi riversati sulla collettività.
Il programma del 18 marzo 2017
E non sfugga che il passaggio della ricchezza nazionale dal “pubblico” (e cioè dalla proprietà collettiva del Popolo) al “privato” (e cioè alla proprietà privata) ha fatto in modo che nel mercato prevalessero di gran lunga gli interessi privati sugli interessi collettivi, di modo che sono oggi i privati che dettano legge ai Popoli e non più questi a porre le norme valevoli nei confronti di tutti.
In altri termini, si è avuto un capovolgimento ordinamentale nel senso che se prima era il diritto emanato dai Parlamenti che legiferava sull’economia, oggi è l’economia privatizzata che impone al diritto le norme da seguire. Di conseguenza, le leggi dei governi succedutisi dal 1980 in poi, e specie negli ultimi anni, hanno protetto gli interessi economici delle imprese molto è più che quelli dei cittadini. Non è più il principio di eguaglianza la stella polare del diritto, ma il maggior profitto dei singoli e delle imprese. E ciò ha investito anche la legislazione europea, che sovente ha calpestato i diritti fondamentali dei Popoli a favore delle multinazionali e delle banche.
Insomma, la sovranità dei Popoli si è trasformata in una sovranità dei mercati, ai quali si deve, tra l’altro, la determinazione del livello dei prezzi, del valore delle monete e dell’ammontare dei tassi di interesse.
A questo punto appare chiaro che, se davvero si vuole il benessere collettivo dei Popoli e non il privilegio di pochi, diventa urgente e indispensabile, per un verso l’abrogazione delle varie leggi incostituzionali le quali hanno legittimato la creazione del danaro dal nulla (vedi allegato n. 1 “Aspetti finanziari”), e per altro verso la “restituzione” al Popolo della proprietà collettiva dei “fattori della produzione” (si possono alienare le merci, ma non le entità che le producono) unitamente alla gestione dei servizi pubblici essenziali. In tal modo lo Stato comunità tornerebbe ad essere un vero protagonista del mercato capace di risolvere qualsiasi crisi economica e qualsiasi attacco della speculazione finanziaria (vedi allegato n. 2 “Aspetti proprietari”).
L’imperativo categorico diventa, insomma, l’attuazione del Titolo terzo della Parte prima della Costituzione, dedicata ai “rapporti economici”, tenendo presente che, sia i Trattati internazionali, sia i Trattati europei, sono “norme interposte”, soggette al controllo di legittimità della Corte costituzionale.
Questo documento è corredato da due allegati, leggibili nella versione integrale in pdf.
La sede della BCE a Francoforte
Attuazione della Costituzione economica – Elenco delle priorità
Premessa
La globalizzazione dei capitali, e la conseguente globalizzazione della povertà, insieme con la “gabbia” costituita dalle prescrizioni che ci vengono imposte dalla BCE, dalla Commissione (sempre più prona a tutelare gli interessi della Germania e a essere estremamente rigida nei nostri confronti) e dal Fondo monetario internazionale (espressione di enormi capitali “privati” di carattere mondiale), ci impongono di adottare in un primo momento “provvedimenti urgenti”, per arginare la crisi in atto che ogni giorno fa perdere colpi alla nostra economia nazionale, e poi “provvedimenti a carattere definitivo”, necessari per risolvere il problema nella sua interezza (mediante revisione dei Trattati europei, valutazione dell’uscita dall’euro, possibile costituzione di un “euromed” tra i Paesi di economie simili che si affacciano sul mediterraneo, ecc.).
E’ indubbio, comunque, che allo stato delle cose, l’adozione di provvedimenti urgenti può essere frutto solo di un’azione diretta dei cittadini e delle cittadine effettuata sulla base dei poteri di “partecipazione” che ad essi assegna la vigente Costituzione repubblicana. Basti pensare che lo sfacelo economico nel quale ci troviamo è dovuto proprio a leggi che ci hanno propinato i “nostri rappresentanti politici” a partire dagli inizi degli anni novanta fino ad ora. Leggi che hanno tradito il popolo italiano per favorire gli interessi della grande finanza e delle multinazionali, come del resto suggerisce il pensiero neoliberista dominante.
Conviene allora ricordare che la “partecipazione popolare” può svolgersi, sia sul “piano legislativo” (proposta di legge popolare e referendum, artt. 72 e 75 Cost.); sia sul “piano amministrativo”, utilizzando quanto dispone l’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione (a proposito dello svolgimento di attività di carattere generale da parte di cittadini singoli o associati secondo il principio di sussidiarietà) e la specifica disposizione di cui agli articoli 9 e 10 della legge n. 241 del 1990, secondo la quale “i portatori di interessi diffusi” devono essere ascoltati dal “responsabile del procedimento” concernente interessi generali e possono estrarre copia dei provvedimenti a tali interessi inerenti; e sia sul “piano giudiziario”, con l’esercizio dell’azione popolare, ai sensi del citato art. 118 Cost., ultimo comma.
E si deve sottolineare che fondamentale, a proposito della “partecipazione popolare”, è la recente sentenza della Corte costituzionale n. 275 del 2016, la quale ha sancito la prevalenza giuridica della tutela dei “diritti fondamentali” sul “pareggio di bilancio”, improvvidamente introdotto in Costituzione dal governo Monti. E che altrettanto fondamentale è il richiamo alla teoria cosiddetta dei “contro limiti”, in base alla quale la Corte costituzionale si è sempre dichiarata competente a “vietare” l’ingresso nell’ordinamento giuridico italiano di norme europee lesive di diritti fondamentali. Due orientamenti giurisprudenziali, dunque, indispensabili per l’attuazione piena dei principi fondamentali della nostra Costituzione repubblicana.
Tutto ciò premesso, le materie sulle quali intervenire urgentemente nei termini appena descritti dovrebbero essere le seguenti.
Primo punto
Vietare le “privatizzazioni di beni e servizi pubblici essenziali”, le cosiddette “delocalizzazioni” e le “svendite”.
Questi divieti si possono far valere, sia, ove ancora possibile, sul piano amministrativo, altrimenti, sul piano giudiziario, impugnando gli atti o i comportamenti della P.A. che operano questi trasferimenti di ricchezza da tutti i cittadini a singole persone fisiche o giuridiche. Si deve ricordare, infatti, che, mentre l’art. 41 Cost. afferma che “l’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, l’art. 42 della Cost. prevede che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge (cioè dalla volontà suprema del Popolo)… “allo scopo di assicurarne la funzione sociale”, e, infine, che l’art. 43 Cost. sancisce che “a fini di utilità sociale”, “determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fronti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”, dovrebbero essere riservate “allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti”. Basti pensare che le “privatizzazioni”, le “delocalizzazioni” e le “svendite” pongono in primo piano l’interesse privato, e di conseguenza svuotano completamente di significato le sopra ricordate disposizioni costituzionali, tutte rivolte a tutelare primieramente l’interesse pubblico. Ed è da sottolineare che il disprezzo maggiore per l’interesse pubblico è avvenuto con la “privatizzazione” dei demani idrico, marittimo, minerario e culturale, di cui al decreto legislativo n. 85 del 2010 (il cosiddetto “federalismo demaniale”), in base al quale si stanno svendendo isole, montagne, tratti di costa, i fari, gli immobili dello Stato (e cioè dei cittadini) di interesse artistico e storico e così via dicendo. E si tenga presente a questo proposito che la “privatizzazione” spezza il legame tra bene (industria) e territorio, per cui il bene può circolare nel mondo come circola il suo titolare, producendo disoccupazione e miseria.
Secondo punto
Altro capitolo strettamente legato a quanto si è appena detto è quello che attiene alla necessità del passaggio alla proprietà pubblica comunale dei “beni e dei terreni abbandonati”. Lo consente il citato art. 42 della Costituzione, il quale afferma, come si è appena visto, che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge …. allo scopo di assicurarne la funzione sociale”, afferma cioè, senza ombra di dubbio, che “l’inadempimento della funzione sociale”, e a maggior ragione il perseguimento di fini antisociali (come è il licenziamento dei lavoratori) fa “venir meno” la tutela giuridica, e cioè la tutela e la garanzia del diritto di proprietà privata. Questa disposizione costituzionale, come è ovvio, contraddice il principio dell’imprescrittibilità dell’azione di rivendica della proprietà privata disposta dal codice civile, ma nessuno può porre in dubbio che quest’ultimo principio, risalente al 1942, quando l’ordinamento giuridico italiano era dominato dallo Statuto albertino, deve ritenersi tacitamente abrogato proprio dalla citata disposizione dell’art. 42 Cost. Ora l’Italia è piena di industrie e capannoni abbandonati ed è mai possibile pensare che il popolo italiano deve portarsi sulle spalle queste rovine in ossequio di una disposizione di legge ordinaria superata da una precisa disposizione della vigente Costituzione? Questo recupero alla “proprietà pubblica” è in corso di attuazione da parte di due benemeriti Comuni, il Comune di Napoli e il Comune di S. Giorgio di Pesaro, mentre un folto gruppo di volontari e volontarie sta lottando per attuare la medesima cosa nel Comune di Ciampino.
Terzo punto
Assolutamente importante è la “nazionalizzazione” delle banche e delle industrie che vengono salvate con danaro pubblico.
La storia dell’economia italiana dal 1990 in poi è una storia di “fallimenti” privati e di “salvataggi pubblici”: appare chiaro a chiunque che è urgente e indispensabile che i beni, sui quali, come dice Carl Schmitt, anche se privati, insiste sempre una “super-proprietà del popolo”, una volta che siano finiti in malora e salvati con il danaro del popolo, ritornino (si ricordi che la proprietà privata deriva da cessioni volute dal Popolo di parti della proprietà collettiva) nella proprietà di quest’ultimo per essere adibiti a fini di utilità sociale. Va da sé, poi, che occorre prevedere sanzioni severissime per i dipendenti e amministratori pubblici che violino i loro doveri. Una colpa imperdonabile pesa oggi su coloro che con il loro comportamento scorretto nell’esercizio di pubbliche funzioni e di pubblici servizi, hanno dato man forte al neoliberismo oggi imperante, agevolando la diffusione dell’idea secondo la quale “il privato” sarebbe meglio “del pubblico”, mentre si tratta di una pura “menzogna”, poiché affidare beni e servizi pubblici a privati, vuol dire che questi ultimi sono legittimati per legge a perseguire i loro personali interessi (hanno diritto al profitto), mentre, se fossero dipendenti pubblici l’obiettivo della loro azione dovrebbe essere soltanto il perseguimento di “interessi pubblici”, con la conseguenza di essere sottoposti a ben altre disposizioni di carattere civile, amministrativo, contabile e penale.
Va ricordato in questo quadro la urgente necessità di istituire una “banca pubblica”, che, sulle orme della KFW tedesca, aiuti le imprese in difficoltà sottraendole alla morte certa verso cui le sospinge la politica di austerity imposta all’Italia. Sarebbe sufficiente, a tal fine, trasformare la Cassa Depositi e Prestiti, da “Tesoreria del Governo”, in una banca commerciale. Mentre, d’altro canto, si dovrebbe immediatamente provvedere, quanto meno, a separare le banche commerciali dalle banche d’investimento.
1947, i lavori dell’Assemblea Costituente
Quarto punto
Difendersi dalle attività degli “speculatori finanziari”, i quali, come è noto, sono in grado di agire fittiziamente sullo spread tra i titoli del Tesoro tedeschi e quelli italiani, con valutazioni del tutto arbitrarie, che incidono peraltro pesantemente sulla tutela dei diritti fondamentali del Popolo Italiano.
A tal riguardo, è estremamente importante restringere il campo di applicabilità delle “vendite allo scoperto” nelle transazioni finanziarie, e vietare l’istituto dell’anatocismo bancario. E’ evidente poi che si dovrebbe provvedere con urgenza ad una “revisione” del nostro debito pubblico, per depurarlo dagli effetti delle speculazioni finanziarie indotte dalle Agenzie di rating, le quali, come si è visto, agiscono per lo più in modo arbitrario manipolando l’uso dei dati economici effettivi.
Quinto punto
L’istituzione di un “Difensore del Popolo”, organo formato da volontari e volontarie con preparazione in materie giuridiche ed economiche, che siano democraticamente eletti/e e che abbiano come fine essenziale quello di segnalare all’opinione pubblica l’emanazione di leggi incostituzionali e di aiutare anche le Associazioni e i Comitati ad agire sul piano giudiziario con “azioni popolari” dirette a portare dette leggi all’esame della Corte costituzionale.
Comunicato stampa
Napoli, 16 maggio 2017
Si è svolta a Napoli, il 14 maggio scorso, l’assemblea “Napoli, città per l’attuazione della Costituzione” nel meraviglioso scenario della Sala dei Baroni del Maschio Angioino, con il patrocinio del Comune di Napoli, che ha trattato il tema centrale dell’attuazione della Costituzione come unico rimedio per la situazione di strapotere della finanza, il cui unico obiettivo è il proprio maggior profitto ai danni dell’ambiente e dei lavoratori.
L’assemblea, molto partecipata da persone e organizzazioni entusiaste e provenienti da ogni parte d’Italia, fino ad esaurire la capienza della Sala dei Baroni, si è aperta con i saluti della Città da parte di Carmine Piscopo, Assessore ai Beni Comuni del Comune di Napoli e con l’assunzione della presidenza da parte di Lidia Menapace, partigiana, e Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte costituzionale.
Il discorso introduttivo ha delineato l’orizzonte di questo percorso e ne ha precisato la prospettiva sociale e politica: un fronte comune, una grande forza popolare per l’attuazione della Costituzione, non partitica e senza obiettivi elettorali; organizzazioni e persone nell’esercizio della sovranità popolare che lavorino costantemente per attuare “dal basso”, e quindi dalle Città, la Costituzione italiana del ’48.
Di grande rilievo i contenuti, le testimonianze e le proposte della giornata:
– il rilancio dell’Osservatorio Beni Comuni, riunito in modalità straordinaria in pubblica assemblea con la presidenza di Alberto Lucarelli (Università Federico II Napoli) e la presenza di Sergio Moccia (Università Federico II Napoli), Gianfranco Borrelli (Università Federico II Napoli), Paolo Maddalena e il contributo di Paolo Berdini (Urbanista) e Carmine Piscopo. L’Osservatorio Beni Comuni ha annunciato a Latina, il primo luglio, la sua seconda convocazione: da Napoli questa modalità e questo impegno possono diventare a servizio di tutto il Paese;
– il confronto tra Amministratori e Sindaci, introdotto dal Sindaco di Napoli Luigi De Magistris che ha sancito il passaggio dalla Città Ribelle alla Città per l’attuazione della Costituzione, Napoli prima città in Italia, e che ha visto la presenza dei Sindaci di Latina (Damiano Coletta), Quarto Flegreo (Rosa Capuozzo), Chiusano San Domenico (Carmine De Angelis), Polistena (Michele Tripodi), con la Vice Presidente Vicario della Città Metropolitana di Roma (Gemma Guerrini), il Presidente dell’Anci Campania e Sindaco di Afragola (Domenico Tuccillo), e l’Assessore ai Beni Comuni del Comune di Napoli (Carmine Piscopo).
Gli operatori hanno animato la seconda parte del confronto: per il Lavoro, Giorgio Cremaschi (Eurostop), Rinaldo Valenti (Rational di Massa), Claudio Gentili (Lucchini di Piombino), Vittorio Terracciano (Confimpresa Caserta); per l’Economia, Alberto Micalizzi (Iassem), Stefano Sylos Labini (Ass. Paolo Sylos Labini), Davide Storelli, Carmine Mirone e Carlo De Cesare (Caritas Diocesana di Napoli); per la Salute, Lucio Pastore (Asrem), Salvatore Rainò (L.U.I.M.O.), Italo Testa (Forum Sanità Pubblica Molise), Luca Mandara (Comitato Ospedale San Gennaro); per la Cultura e l’Ambiente, Ivano Spano (Università Padova), Mauro Scardovelli (Aleph Umanistica), Albina Colella (Università Basilicata), Cristiana Mancinelli Scotti (Forum Salviamo il Paesaggio), Glauco Benigni (Web Activists Community), Marina Veneri (Ciampino Bene Comune);
– l’annuncio del Sindaco di Latina, Damiano Coletta, che il prossimo 1 luglio la città di Latina promuoverà lo stesso tipo di percorso;
– la presentazione dello strumento giuridico popolare “Giuristi per l’azione popolare”, a supporto di ogni azione per l’attuazione della Costituzione, che ha visto l’introduzione appassionata e convinta di Antonio Ingroia, e la partecipazione di Paolo Maddalena e Alberto Lucarelli, del costituzionalista Massimo Villone e degli avvocati Giuseppe Libutti, Oreste Agosto e Alessandro Diotallevi (moderatore). Gruppo giuridico permanente che dopo solo qualche settimana dall’appello del Presidente Paolo Maddalena può contare l’adesione di oltre 30 giuristi da ogni parte d’Italia.
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