Quattro racconti che sono quattro sfide con un solo uomo protagonista. Siamo nel campo dell’alpinismo, dell’arrampicata, ma le atmosfere più rarefatte non sono quelle delle più alte montagne, sono quelle dei limiti umani nel lungo viaggio della ricerca di se stessi. Nell’ultimo dei quattro racconti il percorso da fisico diventa completamente fantastico, con la scoperta di creature ancestrali addormentate nel cuore della roccia che diventano orribili realtà, come mostri che s’intravvedono insiti nel nostro stesso profondo.
Per ammissione dell’autore Roberto Zannini, ispiratore di questo libro è l’americano Howard Phillips Lovercraft (1890-1937), praticamente il padre di vari generi letterari come l’horror, il weird e il pulp, a sua volta influenzato da scrittori come Edgar Allan Poe.
Più precisamente, a ispirare Roberto Zannini, è stata la lettura di Le montagne della follia (At the Mountains of Madness), romanzo che Lovercraft scrisse nel 1931, quando già era famoso per i suoi racconti brevi del Ciclo di Cthulhu.
Le montagne della follia, più fantascienza che horror, racconta come una spedizione nell’Antartico si trasformi in una sequela di inquietanti ed enormi scoperte, dove si fa riferimento ad ere precedenti allo sviluppo dell’umanità sulla Terra, a culti innominabili e segreti, a razze aliene e incomprensibili e ai loro dei, i Grandi Antichi.
Nel tentativo di Lovercraft di scrivere questo catastrofico romanzo d’avventura, a me non sembra che ci sia uno sviluppo dei personaggi e, al tempo stesso, mi pare che l’unica cosa cui l’autore sembra veramente interessato è narrare il mito dei Grandi Antichi. Barili on the rock invece arriva a questo solo nell’ultimo racconto, alla fine stupendoci, perché il lettore non immagina che dopo tre racconti dedicati al mondo dell’attuale ma anche futuristica competizione in montagna possa seguire un horror come il quarto, Il lavoro di una vita. Anche se forse potevamo aspettarcelo già dopo la lettura del primo racconto, dove, proprio come Virgilio fu guida a Dante nel primo dei suoi viaggi, quello all’Inferno, un’attraente sagoma nera femminile porta il protagonista Vico a scalare un’inconcepibile Pilastro della Tofana in pieno inverno, da solo e di notte.
Contrariamente al romanzo ispirante di Lovercraft, in Barili on the rock la resilienza del lettore e dei personaggi non è mai spinta al limite della sopportazione. Non ci sono troppi dettagli, c’è molta azione con vere emozioni di fondo. La prosa è asciutta, con pochi aggettivi. A volte si scorge con terrore un linguaggio nero e indecifrabile che Zannini ci fa supporre esistesse già prima della parola; un linguaggio che lascia tracce fetide ovunque, nelle grotte, dietro a rocce cadute, in fondo agli abissi di ghiaccio.
Piuttosto che riportare un brano del libro, abbiamo preferito pubblicare qui la brillante prefazione, fatta nientemeno che da Heinz Mariacher, e la postfazione dello stesso autore.
Prefazione
di Heinz Mariacher
Ho conosciuto Roberto Zannini nel 1978, nei pressi della Casa Cantoniera sotto il Piz Ciavazes, faceva parte del gruppo di arrampicatori mestrini amici della Luisa. Me lo ricordo un tipo tranquillo, non era un fanatico delle vie dure (come noi), uno che apprezzava il fattore socializzante dell’arrampicata, le serate in compagnia degli amici allietate da qualche buona bottiglia. Ci eravamo poi persi di vista, sapevo che faceva disgaggi e che aveva inventato Roboclimber, un robot arrampicatore da utilizzare nei lavori più pericolosi in parete. lo, per questo robot, avevo naturalmente subito pensato ad applicazioni molto più utili, come ripulire e chiodare nuove vie d’arrampicata, stando comodamente seduto all’attacco e manovrando leve e bottoni.
Non immaginavo però che alla creatività in campo “meccanico” di Roberto si aggiungesse uno stupefacente talento letterario. D’altronde nel suo rifugio fuori dal mondo, nascosto all’interno del Forte di Primolano, dove coltiva lamponi a tempo perso, le serate solitarie sono un invito a sedersi davanti al computer e far viaggiare la fantasia, bisogna riconoscere che questo gli è ben riuscito. Luisa si è subito impadronita del suo manoscritto, felicissima che i caratteri fossero abbastanza grandi da poter leggere senza occhiali (cosa di cui si vergogna molto, riesce ancora a fare una trazione su un braccio ma decifrare le tabelle delle calorie è diventata un’impresa impossibile). Per fortuna era brutto tempo, lei è salita sulla cyclette con le bozze in mano e dopo un paio di tappe da Tour de France ha raggiunto la parola FINE. Adesso era arrivato il mio turno. Appena letto il titolo, Barili on the rock, avevo subito pensato alle botti e al buon vino, che dopo tanti anni passati in Italia ho imparato ad apprezzare anche troppo. Invece la Luisa mi ha detto subito che i “barili” sono tutt’altra cosa, molto meno tranquilla, da scoprire nell’ultimo racconto, ma non poteva assolutamente spiegarmelo così e rovinarmi la sorpresa, dovevo proprio leggerlo tutto io. A dire il vero non posso dirmi un gran lettore, sono ormai lontani i tempi di Hermann Hesse e Siddharta e anche la filosofia più recente dì Carlos Castaneda è ormai passata di moda come Separate Reality. Il tempo per sedermi tranquillamente sul divano a leggere è diventato sempre più difficile da trovare. Non sono neanche riuscito a finire Il Codice Da Vinci, nemmeno La Morte sospesa e George Livanos ce l’hanno fatta. Ci sarebbe sempre quell’oretta sacra passata la mattina sul gabinetto, ma purtroppo e tassativamente dedicata a rispondere alle e-mail e anche così sono sempre in ritardo. I mesi sono trascorsi e finalmente si è realizzata la congiunzione favorevole. Con un forte temporale è saltata la corrente, treadmill e cyclette inutilizzabili, il laptop con la batteria scarica, luce non sufficiente per dipingere, insomma non avevo più scuse e ho iniziato la lettura. ‘Ehi, ma qui si parla di gare d’arrampicata!”. Un argomento che la Luisa trova appassionante, si tiene sempre aggiornata, mi consuma tutte le ore di connessione della chiavetta per seguire il Live Streaming delle Coppe del Mondo, ma a me proprio non dice (più) niente! Luisa insiste ‘Va’ avanti, vedrai… ” e pian piano mi son fatto prendere dal filo della narrazione. Nei primi tre racconti siamo in bilico tra il genere fantasy e l’ambientazione in un futuro prossimo possibile se non probabile, il mondo delle competizioni è rappresentato realisticamente, lo scenario dolomitico viene raffigurato con cognizione di causa, con descrizioni accurate dei luoghi e delle vie, alcuni riferimenti a persone e fatti NON sono puramente casuali, con personaggi realmente esistenti e situazioni verificatesi in passato. Anche le tecnologie “futuristiche” messe in atto in realtà sono già in essere e necessitano solo di venir sviluppate e applicate a larga scala, basta solo pensare al Roboclimber.
Il tutto viene naturalmente condito da elementi di fiction (horror puro nella quarta storia), che rendono la lettura avvincente anche per chi è poco esperto di montagna.
Bene espressi anche i dubbi esistenziali e le considerazioni filosofico-etiche del protagonista Vico, sulle logiche conseguenze di un dubbio sviluppo dell’arrampicata avviatosi parecchi anni fa.
Nei dialoghi tra Vico e l’amico-rivale viene a galla una punta di rammarico per i vecchi tempi, “climbers che adesso non riesco a sopportare… con la testa piena solo di discorsi di gradi e passaggi… una generale voglia di non fare un cazzo che non sia arrampicare. ..” e ancora “… non ci mancano solo le possibilità del vecchio grande alpinismo… ci mancano la pulsione dei grandi, la loro voglia dì fare… “. Parole d’oro per i vecchi nostalgici come me. Ma non preoccupatevi, il libro non è adatto solo a una serata in rifugio, si fa leggere con piacere anche durante le ore di attesa nella zona d’isolamento delle gare. Speriamo solo di non trovare le classifiche di Dolomitica nelle News di Planetmountain l’anno prossimo.
Howard Phillips Lovercraft
Perché Barili on the rock
di Roberto Zannini
Adesso che avete finito il libro vi domanderete, forse più di prima, il perché di questo strano titolo. Barili on the rock. Per capire davvero la faccenda bisogna tornare al 1985.
Ero appena rientrato dall’ennesimo viaggio in Messico ed una telefonata di Giovanni Groaz mi aveva fatto subito ripartire per la Calabria. Scilla, nome che già da solo evoca mostri mitologia. Bisognava sistemare una frana insidiosa sopra alla ferrovia, grossi massi rotondi affogati in un pendio di fango. Già qualche masso era rotolato fino alla linea con tutti gli inconvenienti immaginabili. Pioveva e faceva quel freddo umido che solo l’inverno al Sud ci riesce a dare. Dormivamo in una pensione senza riscaldamento e alla sera si mangiava in camera, pane e olive il più delle volte, in ogni caso dieta da pastore. Non c’era televisione, cinema e nemmeno il miraggio di un rapido ritorno a casa. Non c’era neanche granché da leggere. I libri di filosofia di Giovanni e una copia di Montagne della follia di Howard Phillips Lovecraft che avevo preso con me all’ultimo momento. Fu questo libro, un’edizione Sugar tascabile, l’unico sostenitore delle nostre serate. Se ne cibò Gianni Menestrina e poi lo stesso Giovanni (abbandonando Platone e quant’altro), lo lesse a pezzi anche Almo Giambisi credo e poi venne divorato da Lorenzo Massarotto e anche da Cristoforo mi sembra, il fratello di Giovanni.
Insomma tutta la squadra venne introdotta ai misteri della visione lovecraftiana. In quei giorni non si faceva altro che parlare di “barili”, di steatiti a cinque punte, di Antiche Cose. Al quadro conosciuto della Calabria invernale, del cantiere, della pensione si era sovrapposta l’immagine mentale di un’Antartide preumana popolata da esseri venuti dallo spazio.
Roberto Zannini
Come spesso succede una volta finito il cantiere ci eravamo persi di vista. Solo con Giovanni ero rimasto in contatto. Nel corso degli anni abbiamo sviluppato un nostro codice di comunicazione in cui il Barile (maiuscolo) ha di sicuro una parte dominante. Questo che a prima vista può sembrare solo un semplice recipiente è diventato molto di più e dire diventato risulta improprio perché il Barile lo era già (molto di più) prima della nostra scoperta. A supporto posso citare Il barile di Amontillado di Edgar Allan Poe, le già decantate forme a barile delle Antiche Cose, per non parlare del fin troppo conosciuto barile di petrolio e al suo prezzo, incubo che emerge ogni giorno nelle nostre case.
Barili sono sparsi un po’ in tutta la letteratura. Il barile delle mele ne L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson. Il gavitello, un piccolo barile impeciato, cui sì sostituì la bara di Queequeg nel Moby Dick di Herman Melville. Si potrebbe continuare per un pezzo.
Quando poi mi sono messo a scrivere questi racconti li ho spediti alla mia stretta cerchia di amici per una lettura critica. E’ stato Giovanni Groaz, dopo averli letti, che ha suggerito il titolo. Barili on the rock. Il connubio tra mistero e roccia. Perché è questo che il Barile rappresenta. Una forma consueta e conosciuta che può celare al suo interno il mistero stesso, l’essere più abominevole, il liquido più mortale. Se non ci credete provate a immaginarvi sul fondo marino dentro alla carcassa di una nave affondata mentre recuperate un barile rugginoso da cui esce un filo di fluido che oscura l’acqua intorno a voi. Cosa sarà? Pesticida? Il liquido di raffreddamento di un reattore nucleare? Acido o marmellata di prugne? Non penso che ci siano dubbi in proposito.
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