Basically Absurd Technology

B.A.T.

Dal 12 al 18 ottobre 2002, sulla parete del Caporal in Valle Orco (versante meridionale del massiccio del Gran Paradiso) Valerio Folco e Massimo Farina hanno tracciato una nuova via in arrampicata artificiale moderna di 5 lunghezze, con difficoltà fino all’A3. Se l’artif moderno è lo stile in cui Folco eccelle, per Massimo Farina, invece, si è trattato di un debutto nel quale però si è trovato subito a suo agio. Massimo ha infatti aperto il 3° tiro, il più estetico e forse il più impegnativo della via. I due sono stati aiutati da Alex Busca, guida alpina di Gressoney, collega di Massimo nell’Esercito, e Davide Grimoldi, alpinista di Milano, mentre Marco Spataro, guida alpina di Champoluc, appeso ad un vuoto assoluto, riprendeva il tutto.

Junk show alla S3 di B.A.T. (1a solitaria)
Valerio Folco durante la prima ascensione di B.A.T.

Secondo Valerio Folco: “Si tratta della più bella linea di artificiale che io abbia mai salito in Valle Orco. Il suo nome, B.A.T. (Basically Absurd Technology), significa anche pipistrello”.
Continua Valerio: “Un pipistrello che però in questo caso è stato preso come marchio di una linea di materiale d’arrampicata, sviluppata dal mitico Warren Harding, americano e apritore nel 1958 del Nose su El Capitan in Yosemite. Per me Warren è stato l’unico vero scalatore di big-wall perché univa genio nell’arrampicata a un pizzico di follia nella vita di tutti i giorni. Warren non è più con noi e questa via vuole essere un mio piccolo pensiero rivolto ad una persona che ho sempre ammirato molto“.

Queste le caratteristiche tecniche di B.A.T.la via ha uno sviluppo di 250 metri suddivisi in 5 difficili lunghezze di corda fino all’A3 che ci hanno impegnato per di 7 giorni di arrampicata dura e faticosa. Le soste sono tutte ottime e abbiamo lasciato un po’ di materiale fisso in parete per agevolare una ripetizione. La parete è molto strapiombante e l’ambiente è veramente notevole. Con B.A.T. ora c’è una piccola parte di Yosemite anche a casa nostra“.

Massimo Farina durante la prima ascensione di B.A.T.

Note
Da Gullliver
a cura de IlConteVlad

Ormai famosa, viene ripetuta in media 1 volta all’anno. Sale un bellissimo pilastro a onde, faccia destra del diedro Nanchez. Ambiente spettacolare e molto severo, è sempre strapiombante. Soste ottime a spit.

Sul sito www.valeriofolco.it si trovava schizzo e relazione originali (le “x” erano rivetti, non spit!) ed il bellissimo video di 20 minuti girato in apertura. Oggi il sito non è più raggiungibile.

Ormai un po’ di materiale è in posto (gli head e alcuni pecker), io consiglio di portare:
16 pecker (4 grandi, 6 medi e 6 piccoli)
3 rurp
15 heads (soprattutto medi e piccoli)
18 rivet hanger (cinch e keyhole, robusti..!)
8 LA (anche spessi e lunghi)
7 KB vari
2 angle medi
1 serie micronut
1 serie nut fino ai medi
2 serie cliff pointed (ottimi i grapplin della Camp, ai BD bisogna fare la punta!)
Alcuni big hook (una serie completa di pika spoonbill o una di ibis, dal 2 al 4, io le avevo entrambe)
1 serie alien
1 serie camalot C3
1 serie camalot C4 fino all’2
50 singolini e 10 rinvii
Corda da 60m + fisse.
Opzionali: tricam piccoli, ballnut piccoli,

E’ un A3 molto più severo di tutte le vie che ho relazionato qui finora!!

Il Diedro Nanchez del Caporal con, a destra, il tracciato della B.A.T.

Avvicinamento
La via inizia 30 m sotto il diedro Nanchez, su una placchetta completamente liscia sotto una grossa cengia. Un rivetto poco visibile a 4m da terra, vicino al bordo dello spigolo). 35 minuti faticosi.

Descrizione
L1: molto pericoloso, si rischia di cadere a terra da 10-12m con atterraggio su massi. Se non è mortale, di certo non ci si rialza con le proprie gambe. Dato in origine A2+R è ora un più congruo A3+R, sia secondo Folco che alcuni climber americani che lo hanno salito di recente: molti dei piazzamenti di copper si sono rovinati per le successive martellate, rendendoli meno sicuri. Detto questo, a voi la scelta. Si parte sullo spigolo fino a prendere un rivetto a 4 m di altezza. Da qui sono 8m di heads in un vago fessurino, molti in posto ma forse non tutti. Si traversa poi verso dx seguendo una rampetta inclinata fino quasi alla fine e si sale la placca appoggiata con rivetti e hook. Si arriva in cengia e a sx si trova la sosta (2 chiodi). Cengia comodissima, ottima da bivacco. 15 m più a sx c’è la sosta a spit di Colpo al cuore. 40m.

L1 alternativi: si può arrivare in cengia salendo L1 di Colpo al cuore, 7a o A1 facile su spit e qualche friend/nut o, credo – non provato ma a vista sembrava fattibile -, salendo il primo tiro di Tempi duri, nel sistema di fessure poco protette a dx della partenza di B.A.T., e poi traversare a sx in cengia.

Anna Torretta

L2: tiro lungo e impegnativo. Parte con rivetti e alcune cliffate fino a prendere l’evidente fessurina che traversa 15m ascendendo a sx. La prima parte è su chiodi e qualche hook, poi qualche friendino e nut, 2 chiodi in posto, le staffe son sempre nel vuoto. Giunti alla fine del diedrino si piega a dx con difficilissimo movimento su hook traballante a prendere il primo di alcuni copper. Da qui si prosegue con rivetti (due collegati da fettuccia, utilizzati x calarsi o smezzare il tiro se è tardi), poi verso sx al tratto chiave del tiro: una fessurina appena accennata da salire con una lunghissima serie di piccoli heads intervallati da 3 rivetti. Da un ultimo rivetto con cordino (non son riuscito a recuperarlo…) si deve uscire in libera 2 m a sx alla sosta (facile, sarà III/IV ma il difficile è uscire dalle staffe..). Sosta su cengetta x i piedi su 2 spit ed 1 rivetto. 50m, A3 moderno davvero esigente. Se si cade al momento sbagliato e si strappano i copper, credo che 20 m di volo si raggiungano facilmente… c’è chi ha ipotizzato si possa arrivare in cengia da fine tiro… molti zig zag e conseguenti attriti. Ambiente spettacolare, la roccia non sempre è ottima, attenzione a un “blocchetto” instabile (ma non son riuscito a buttarlo giù..) presso l’ultima serie di rivetti, centrereste chi sta in cengia.

Erika Morandi

L3: si parte inventandosi come prendere due rivetti. Qui inizia una lunga fessurina che si sale con heads e pecker, più alcuni nut/friend medio-piccoli. Dopo 15-20m si traversa verso sx con un rivetto + regalo di natale anticipato… Con due passi in libera si salta su una comoda cengia, dove inizia la seconda parte del tiro, una lunga e bellissima lama giallo-bianca dove le protezioni in posto sono poche (io non son riuscito a togliere 2 pecker). La roccia non è il massimo, il bordo si sgretola abbastanza. Un’ultima genialata fa saltare su un basamento da cui si arriva in sosta con una cliffata. 3 spit di sosta, 50m, A3 moderno, un po’ meno impegnativo di L2. Alla S2 è presente una vecchia fissa che sale verso una sosta alta di Colpo al Cuore. Sembra dare fastidio ma serve per calarsi in doppia da quest’ultima, senza non si riuscirebbe a rientrare in sosta.

L4: si sale una lama sottile, fragile e leggermente expanding a sx della sosta coi cliff, poi serie alternata di rivetti e heads decisamente a dx. Il tiro prosegue dritto tutto su cliff, head e rivet (forse ce n’è qualcuno in più dei 12 della relazione originale). Il ribaltamento sulla cengia di sosta si fa coi cliff giganti e non è paglia… Una sosta a due spit sulla placca appoggiata serve per fissare la corda al secondo, la sosta vera è qualche metro a dx. 40m, A2 ma solo perché le cadute non sono pericolose come nei tiri sotto, ma tecnicamente è molto impegnativo anche questo tiro.

L5: parte su pecker e rurp, poi chiodi a sx, ribaltamento su cengetta lichenosa, serie pecker, poi KB e friend. Usciti verso sx si arriva in sosta 6 o 7 metri più sopra, sul piano. 20m, A2. Più semplice degli altri, ha comunque una partenza interessante sopra ad una grossa cengia piatta. Senza un lungo cheater stick (1,5 m) bisognerà bucare per oltrepassare il pecker rotto sotto il rivetto. Portarsi piastrina e dado 8mm, c’è un filetto di fianco al primo pecker.

Anna Torretta

Discesa
In doppia sul Nanchez. Per scendere in doppia sulla via (sconsigliato ma fattibile) servono assolutamente delle fisse tra S4 ed S3 e tra S3 ed S2.

Tentativo in solitaria
di IlConteVlad, 1 novembre 2013
Tentativo in solitaria a lungo sognato, KO tecnico al quarto tiro dopo 5 giorni non consecutivi in parete.

Un’esperienza mistica che mi ha fatto spostare un po’ più in alto la mia personale asticella.

Non ho salito il primo tiro, aggirandolo per colpo al cuore.

Secondo tiro spaziale ed impegnativo, la seconda metà ha lunghe serie precarie su head, cliff e rivet. Poco meno di 7 ore per salirlo.

Terzo tiro leggermente meno impegnativo, si riesce ogni tanto a mettere qualche protezione migliore (nut medio-piccoli e buoni pecker). 4h e 30.

Quarto tiro più facile solo sulla carta. In realtà è A2 solo perché molto strapiombante e con cadute meno pericolose.

Dopo 10m sul quarto tiro mi si è rotto un copperhead (scemo io!) e ho sbottonato altre 3 protezioni sotto. Non me la son sentita di proseguire, avendo constatato che i miei rivet hanger non reggono neanche una minima caduta. Sono sceso davvero triste ma sapendo di aver fatto la cosa giusta..
Però ora vediamo…

Non avendo portaledge ho usato delle fisse (ne servono 130m fino ad S3) che fanno campata unica da sosta a sosta.

Un grazie a Folco e Ben Lepesant per le info sulla via.

Anna Torretta (a sinistra) ed Erika Morandi in cima a B.A.T.

B.A.T. per Anna Torretta e Erika Morandi
(da planetmountain.com, 7 luglio 2004)

Anna Torretta ed Erika Morandi hanno sperimentato e salito l’artificiale moderno di B.A.T. La via era stata salita, in prima ripetizione, da Elena Davila, Anna Lazzarini e Silvestro Stucchi, nell’estate del 2003.

Sono 5 lunghezze, con difficoltà fino all’A3, in cui Anna ed Erika hanno “viaggiato” per 7 giorni con 5 bivacchi in parete. Un “gioco”, a fare Big Wall sulle pareti di casa, che Anna ci racconta con l’ancora “fresco” ricordo dell’esperienza solitaria dello scorso anno su Zodiac, nell’immensa parete del Capitan… Risultato, capitani o caporali che siano: anche noi abbiamo la nostra (grande) California!

La cengia della S1 e la prima parte della L2

Basically Absurd Technology
di Anna Torretta
(pubblicato su planetmountain.com, 7 luglio 2004)

“Voglio salire B.A.T. tutta di un fiato, senza scendere, sarà una piccola Big Wall, una Mini Wall in Valle dell’Orco!”

Una risata prolungata a pieni polmoni risuona sotto al Caporal. Penzolo a un metro da terra. Il rinvio a espansione che ha fermato la caduta si trova 6 metri più in alto, non esploso, rido di cuore! Se si fosse aperto il dissipatore sarei arrivata a terra, rido, non penso, e guardo verso l’alto. L’A2 di Folco ha una R maiuscola nella relazione, significa che in caso di volo, si vola a terra! – Questo è solo A2, come sarà l’A3? ? penso tra di me mentre mi apro l’imbragatura.

Sono alla sosta del ‘Picchio Rosso’, un uccellino grigio con il petto e le ali rosse salta sulla parete di fronte a noi. Oggi è il quarto giorno che sono sul granito del Caporal, mi guardo intorno e scorro con la mente nelle giornate passate. Alzo finalmente gli occhi dal metro di roccia sopra alla mia testa, che per lunghi minuti e a volte ore mi ha tenuto occupata nei giorni scorsi, mi rilasso e mi allungo sul portaledge.

– Erika hai voglia di ingaggiarti anche tu?

Il primo tiro di A3 mi ha messa alla prova, due giorni passati a mettere cooperhead, cliff e microfriend. La via non molla mai!

E’ domenica, forse, sulle vie a fianco ci sono parecchie persone. Noi siamo fuori dal tempo, e dallo spazio, una parete liscia e strapiombante solcata da diedri, lame e sottili fessure ci divide dalle altre cordate, siamo sui grandi strapiombi di B.A.T., la via di artificiale moderno aperta da Valerio Folco. Sono con Erika Moranti e stiamo cercando di fare la seconda ripetizione della via.

Uno sguardo sulla S3 prima del volo

Cosa vuol dire artificiale moderno? La progressione è più difficile e faticosa delle vie classiche, aperte 10 anni fa, la scala delle difficoltà è ristretta verso il basso, l’ingaggio aumenta; si usano copperhead, cliff, sky-hook, rurp, beak, tutta la ferraglia da artificiale, senza eccezioni. In realtà non trovo differenza tra i tiri di A2 e quelli di A3.

Siamo fuori dal tempo poiché è la via che detta le ore alla nostra salita, siamo fuori dallo spazio reale perché siamo sul portaledge da 4 giorni e tutti le nostre azioni sono dettate dalle sue dimensioni e dalla dimensione strapiombante della parete.

Sembra proprio di essere sul paretone californiano del Capitan. La prospettiva salendo cambia incredibilmente, le corde, le staffe, sono sempre nel vuoto. Ho iniziato ad arrampicare in Valle dell’Orco, sono stata molte volte al Caporal, ma non mi sono mai resa conto che questa parete strapiomba così tanto. Non avrei mai pensato di salire il Caporal in stile Big Wall!

La settimana scorsa a Courmayeur decido di chiamare Valerio (Folco), è più di un mese che ho in testa di andare a ripetere B.A.T., ma non mi decido mai a partire. Devo sapere se i punti di sosta sono preparati o li devo attrezzare, penso tra di me. Telefono a Valerio che mi invita a scendere a casa sua a scambiare due chiacchere.

Il tempo di scendere da Courmayeur a La Salle, un quarto d’ora di macchina, e il Folco mi ha già preparato la stampa della relazione e mandato in registrazione il film, girato sulla via!

La lama della seconda parte della L3

Mi informo sul materiale che serve, mi informo su quei 40 copperhead riportati nella relazione. Valerio apre l’anta di un armadio bianco al piano semi interrato della sua abitazione e comincia a mettermi in mano i sacchetti che contengono le magnifiche teste di rame, piccoli, medi, grossi, e i ring, cioè copperhead fatti ad anello per le fessure orizzontali, di tutte le misure esistenti.

– Rurp ne hai? – mi chiede. Io insieme ai beak li uso moltissimo! Valerio mi presta i suoi cliff, il tendino per il portaledge, le staffe e mi fa una magnifica lezione sulle tecniche avanzate di artificiale. Io non so come ringraziare, adesso la via devo andare a farla, non ho più scuse per rimandare. Così sento Erika e decidiamo di provare quest’avventura la settimana successiva! Erika Morandi e io ci siamo conosciute alla Facoltà di Architettura di Torino. Ha già fatto delle vie in artificiale, è un po’ matta e ha voglia di provare cose nuove, è la compagna giusta!

I rivet hanger e i copperhead strappati

Martedì pomeriggio, in cima al Caporal, dopo cinque bivacchi in parete, Erika e io ci abbracciamo, la via è finita, ci ha messo a dura prova!

Mi sono sentita un po’ in California, mi sono sentita fortunata ad avere una parete così dietro a casa; ho stretto un rapporto di amicizia con Erika che ci accompagnerà in futuro, ho portato a termine un progetto, sto già pensando al prossimo… Complimenti Valerio, B.A.T. è fantastica!.

B.A.T. è stata salita dal basso integralmente, dal secondo tiro. Dopo il volo del primo giorno, una cena a base di trote di Ceresole al forno, fatta da Jianlu (Gianluca Jodice), e del buon vino bianco ci ha rimesse a posto per attaccare la via: per passare 5 notti sul portaledge, per condividere paure, emozioni, momenti esaltanti e quelli un po’ meno.

Sono partita nel dubbio di essere in grado di uscire dalla via, ci siamo riuscite!

La prima solitaria
di Fabio Elli
(pubblicato sul suo profilo fb il 27 ottobre 2023)

B.A.T. in solitaria è stata la mia più grande avventura di sempre. 10 anni fa, proprio in questi giorni, il più scarso climber della domenica che abbia mai frequentato si è presentato sotto la più difficile e pericolosa via che potesse concepire, da solo.

È stato folle. Non lo scalarla, non il provarci, ma avere la convinzione che ci sarei riuscito.

La mia regola base in montagna è “se non sai esattamente cosa ti aspetta là sopra allora non sei ancora pronto a salirci”.

Questa è stata l’unica volta dove consapevolmente ho dovuto metterla da parte.

Mi ero preparato in ogni modo possibile, per anni, ma niente poteva essere abbastanza.

Là sotto, schiacciato da quei 250 metri di granito strapiombante, ho dovuto zittire il cervello e dar retta al cuore. La mia vita doveva passare da lì.

Sono stati 11 giorni (divisi in 3 tentativi in 12 mesi) in cui ho messo tutto sul piatto, un distillato di conoscenze, incoscienza, fatica, amore, voglia di vivere, palle.

La prima volta non è andata bene, son dovuto scendere quando ormai credevo di esserci, ma non ho mollato l’osso, fino alla fine.

I giorni grandi. Il Fabio sceso da quella parete era un altro, diverso da quello che aveva staccato i piedi da terra. Quello che mi accompagna ancora oggi.

Non ho mai più salito né vissuto una cosa così totalizzante, così demanding, così bold.

Forse.

A volte mi fa bene ripensarci.

Fabio Elli alla sosta 2, dopo 7 ore e il tiro più duro della sua vita
Il passo più duro della via
“Sempre brutto uguale!”
Dopo il volo sulla L4
Fabio Elli sulla L3 di B.A.T.
Fabio Elli in cima
Basically Absurd Technology ultima modifica: 2023-11-15T05:01:00+01:00 da GognaBlog

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17 pensieri su “Basically Absurd Technology”

  1. Mamma montagna e papà Alpinismo dettero alla luce un figlioletto molti anni fa …figlio anche della ricostruzione post bellica era sempre col perforatorino in mano , il papà con qualche tiratina d orecchio e consiglio affilava le punte  o comprava nuovi chiodi che mai bastavano…
    Ora è cresciuto si è fatto maturo e rispettato da tutti i fratelli maggiori e minori ha imparato il risparmio ma per contro usa  tutti gli aggeggi in commercio per togliere ogni possibile zona comfort tra una sosta e l altra , il suo è un cammino poco capito e spesso criticato, sempre in bilico su scale e cordini malfermi  preoccupando gli anziani genitori che qualche volta pure loro si chiedono dove hanno sbagliato.
    Sempre però benevoli nell’ ascoltarlo in nuove storie e tetti impossibili quasi in discesa…Esagerato!come sempre!
     

  2. 10 Regattin

    Comprendo, capisco e  rispetto la tua lontananza di concetto di scalata dall’artifciale. Sono il primo a dire evviva le diversità. Mi è solo sembrato un pò riduttivo accostare  l’artificiale moderno al lavoro di  manutenzione di una ciminiera.  Cosa che invece potrei essere accordo con l’artificiale degli anni delle super direttissime  a goccia d’acqua, dove la progressione sulle pareti più lisce e strapiombanti era garantita  da una filata di chiodi uno dietro l’altro. Bastava avere pazienza, perseranza e tanta voglia di martellare e faticare. Infatti le vie venivano aperte in tanti giorni, il culo se lo facevano gli apritori, mentre i ripetitori, salivano lo stesso itinerario   in poche ore perchè completamente attrezzato. Diverso è l’artificiale moderno, dove anche le ripetizioni richiedono molto tempo, perchè l’itinerario non è sufficentemente attrezzato o quello che c’è è assai precario. Se al lavoro lo vogliamo avvicinare, è comunque un lavoro di grande abilità e consapevolezza dei rischi che ci si deve assumere. Detto questo bisogna comunque riconoscere che sulle grandi pareti del mondo, le più remote e difficili, anche per le dure condizioni ambientali,  l’artificiale moderno è praticato e spesso risolutivo. Almeno fino ad ora.

  3. 10. Benassi, massimo rispetto per Bridwell e le sue imprese, ci mancherebbe, non sono come Crovella che in una sola frase cancella quasi un secolo di evoluzione dell’arrampicata! Detto questo, per me trascorrere il tempo a spiattellare blocchetti di rame con cavetto su rugosità della roccia, cui attaccare una staffa alla quale affidare il proprio peso, e talvolta la propria vita (L1: molto pericoloso, si rischia di cadere a terra da 10-12m con atterraggio su massi. Se non è mortale, di certo non ci si rialza con le proprie gambe.(…)Se si cade al momento sbagliato e si strappano i copper, credo che 20 m di volo si raggiungano facilmente… c’è chi ha ipotizzato si possa arrivare in cengia da fine tiro) è molto lontano dal mio concetto di arrampicata, e lo ritengo molto più simile ad un lavoro, tutto qui.
     

  4. Da un lato, non credo nemmeno io che l’arrampicata artificiale possa essere considerata solo come il lavoro acrobaitico di alcuni operai su edifici verticali. Tanto è che, per esempio, proprio della via della Rivoluzione citata da Manera ho ancora ricordi netti a distanza di 35 anni, la lametta fessurina del secondo tiro, come il tetto verso sinistra del terzo con i chiodi a lama accoppiati dal basso verso l’alto (saranno ancora lì?). Se una via te la ricordi dopo 35 anni vuol dire che qualcosa ti ha lsciato… e ci credo, con quello scudo pazzesco che comunque è il Caporal.Dall’altro credo che salire in libera usando solo quello che la roccia offre sia una sensazione unica, a mio avviso irripetibile e che nessun’altra specialità può dare (artif, dry tooling, piolet traction….). 

  5. 11) Mi sono divertito ed esaltato nel risolvere i problemi in artificiale senza praticare fori nella roccia.

    E non è da tutti, ci vuole grande maestria, fantasia, abilità e pelo sulla pancia.

  6. È diversa da questa per tecnica e mezzi, ma l’artificialata più esemplare della storia, per me  resta quella di Maestri sul Torre col compressore.
    Bella o brutta che la si voglia considerare rappresentò un gesto di anarchia bellissimo, che comunque costò 53 giorni in parete d’inverno (sul Torre, non a Kalymnos) portandosi su un peso enorme, senza previsioni meteo, con incertezze abbattute a suon di fori nella roccia ma in condizioni proibitive.
    Non ho mai amato quella via e sono contento che l’abbiano smontata, ma ho amato quegli uomini per la loro indipendenza e la loro determinazione.  Umanamente cosi tanto valorosi da farmi dimenticare dell’etica  oltraggiata, ma anche per questo fu una grande impresa! 
    Sempre giudicata negativamente, ma ci pensate a essere lassù nel 1970, soli nel vento e fuori dal mondo. Non è forse quello che ogni alpinista ha sempre cercato?
    Ognuno porta dentro un ricordo, delle sensazioni, che se sono belle ci accompagnano per tutta la vita e nessuno può togliercele. E fanculo agli altri.

  7. Bell’articolo che ci voleva.
    Quando ancora non esisteva il concetto di arrampicata libera moderna (sportiva), mi sono divertito molto praticando l’arrampicata artificiale ove con la “libera” tradizionale non si riusciva più a progredire. Ho piantato centinaia e centinaia di chiodi, usato cliffhanger ed altre diavolerie, in posizioni a volte assurde e questa ricerca fantasiosa mi esaltava. Dopo l’apertura della via della Rivoluzione al Caporal dove ho praticato gli unici cinque buchi nella roccia della mia carriera per infiggere altrettanti chiodi a pressione, decisi ni non portare più il punteruolo per la pratica di fori per “pressione”. la mia decisione non derivava da motivi etici ma semplicemente perché sapendo di poter fare un buco per un pressione poteva diventare una scappatoia che limitava la fantasia nell’inventare ancoraggi a volte assurdi per la progressione in artif. malgrado tale decisione sono tornato indietro una vola sola: su quella che divenne Etoilles Filantes, cinque anni prima della salita di Piola.
    Mi sono divertito ed esaltato nel risolvere i problemi in artificiale senza praticare fori nella roccia.

  8. In sostanza mi sembrano più simili ad operai che salgono a fare manutenzione su una ciminiera, rischi che si corrono a parte. 

    Si può condividere oppure no, ognuno ha la propria visione, ma paragonare le grandi vie di un Jim Bridwell su El Cap ad una specie di rischiose evoluzioni di operai addetti alla manutenzione di una precaria ciminiera, sinceramente mi sembra un po riduttivo 

  9. Ricapitolando: dal primitivo gesto di salire una parete, piccola o grande, sono derivate almeno una decina di discipline, dal boulder alla salita di un 8000, passando per il dry, il dws ecc, tutte con vari elementi in comune. E poi c’è l’artificiale moderno, che, a mio avviso, in questo mondo della progressione verso l’alto si colloca in una dimensione totalmente slegata da tutte le altre: non fosse per quell’aggregato di minerali  sul quale ci si muove, parebbe più simile ad un lavoro, con tutto quell’armamentario, il fatto che la roccia non la tocchi praticamente mai, ai piedi non hai scarpette da arrampicata. In sostanza mi sembrano più simili ad operai che salgono a fare manutenzione su una ciminiera, rischi che si corrono a parte. E, dovendo pesare poco di tuo, poco democratica. Detto questo, gran rispetto per chi si ingaggia in queste rischiose avventure, però, come già detto da altri, per fortuna del SSN, ben poco attraenti.
    4. Lascia il mondo com’è.. almeno così ogni tanto trovi qualche rinvio nuovo fiammante prima di un passo chiodato appena un pò lungo 😉

  10. Battimelli ma sei matto a scrivere certe cose. Concordo con te.
    Personalmente ho sempre praticato l’artificiale e anche ultimamente ho aperto vie con passi in artif. Non vedo quale sia l’orrore. Mi sembra che sulle grandi pareti del mondo l’artif. sia ben praticato e sia risolutivo.

  11. @4 Concordo ! Dai, tolgo la polvere dalle mie staffe di alluminio d’antan 😜

  12. Certo, “e meno male” che non va e non andrà di moda l’artificiale moderno di cui si parla nel post. Sai gli incidenti….
    Però fatemi dire, da vecchio bacucco qual sono, che avere riempito il mondo, in nome della “libera”, di gente che se tocca un chiodo si sente in dovere di andare dal confessore a chiedere perdono, e che non sa tirarsi fuori dalla m…a perché non sa infilare un piede in un cordino, e che magari si priva del piacere di fare una bella salita perché non ha il livello in libera quando potrebbe permettersela con gran godimento con un po’ di artificiale, beh, non mi sembra un gran risultato. Senza pensare all’A5 di Bridwell, forse reintrodurre un minimo di pratica dell’artif nella formazione di base non sarebbe proprio un’idea malvagia.

  13. Una costrizione autoindotta dai risvolti sicuramente psichedelici (leggi Jim Bridwell su Sea of Dreams & C.) che mai andrà di moda.

    E meno male!!

  14. Un mondo a parte.
    Se scalare in genere è un modo di spostarsi molto lento, l’artificiale moderno è il PIÙ lento in assoluto. Una costrizione autoindotta dai risvolti sicuramente psichedelici (leggi Jim Bridwell su Sea of Dreams & C.) che mai andrà di moda. 

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