Basta plastica usa e getta

L’appello di Greenpeace
Salviamo i mari
(pubblicato nel 2015)

Per firmare la PETIZIONE:
https://attivati.greenpeace.it/petizioni/no-plastica-aziende/

Le grandi multinazionali continuano a produrre e vendere sempre più plastica, utilizzandola soprattutto per imballaggi monouso. Di tutta la plastica prodotta però più del 90% non è mai stato riciclato.

Ogni minuto, ogni giorno, l’equivalente di un camion pieno di plastica finisce negli oceani, provocando la morte di tartarughe, uccelli, pesci, balene e delfini. Dobbiamo intervenire alla fonte e le aziende devono assumersi le loro responsabilità.

La responsabilità delle aziende
Basta entrare in un supermercato o in un negozio per rendersi conto di quanta plastica inutile viene utilizzata per confezionare alimenti, bevande, prodotti per l’igiene domestica e personale. Ne abbiamo davvero bisogno?

Aziende come Nestlè, Unilever, Coca-Cola, Pepsi, Ferrero, San Benedetto, Colgate, Danone, Johnson & Johnson e Mars, hanno invaso la nostra vita quotidiana, e di conseguenza i nostri oceani, con plastica spesso inutile ed eccessiva.

A partire dagli anni Cinquanta sono stati prodotti oltre 8 miliardi di tonnellate di plastica, pari al peso di 47 milioni di balene blu!

Da allora, le grandi aziende hanno continuato a fare profitti inondando il mercato di plastica monouso, nonostante l’inefficacia del sistema di riciclo e spesso senza darci alternative.

Da sole, le aziende di beverage in tutto il mondo producono ogni anno oltre 500 milioni di bottiglie di plastica usa-e-getta. Con tutta la plastica presente oggi negli oceani potremmo fare 400 volte il giro della Terra.

Riciclare non è la soluzione
Il 90% della plastica prodotta non è mai stata riciclata. Ora è dispersa nell’ambiente, e lì resterà per anni:

Fare una corretta raccolta differenziata è un dovere di ogni cittadino, ma è ormai chiaro che il riciclo da solo non basta più. La colpa non può essere scaricata solo sui consumatori, quando le aziende ne vendono sempre di più: la produzione attuale raddoppierà i volumi entro il 2015 per quadruplicarli entro il 2050!

La plastica uccide gli animali
Tartarughe, uccelli marini, balene e delfini… Sono 700 le specie animali vittime dell’inquinamento da plastica. Scambiata per cibo, ne provoca la morte per indigestione o soffocamento.

Dai Poli, come in Antartico, al punto più profondo degli oceani, la Fossa delle Marianne, fino al vicino Mar Mediterraneo, la plastica una volta ingerita da pesci e crostacei può entrare nella catena alimentare e arrivare fino sulle nostre tavole.

L’inquinamento da plastica è un’emergenza grave, che sta minacciando la sopravvivenza di animali che dipendono dal mare per vivere, e che in esso invece, trovano la morte.

Le nostre richieste
Entro il 2021 entrerà in vigore la direttiva europea sulla plastica monouso, che vieterà numerosi oggetti in plastica come posate, cannucce e piatti. Questa normativa è un passo avanti, ma non interviene in modo risolutivo sugli imballaggi più utilizzati: bottiglie e confezioni per alimenti.

Le grandi multinazionali, che producono la maggior parte di questi imballaggi, ancora oggi non si assumono le proprie responsabilità e continuano a inondare il mercato con enormi volumi di plastica usa e getta.

Per questo chiediamo alle grandi aziende come NestlèUnileverCoca-ColaPepsiFerreroSan BenedettoColgateDanoneJohnson & Johnson e Mars di impegnarsi subito a ridurre la produzione di imballaggi in plastica e investire in sistemi di consegna alternativi.

Non c’è più tempo da perdere, o alle generazioni future lasceremo in eredità un Pianeta di plastica!

Per firmare la PETIZIONE:
https://attivati.greenpeace.it/petizioni/no-plastica-aziende/

Tutte le FALSE alternative alla plastica
(bioplastiche, packaging sostenibile, carta)
di Elvira Jiménez  – Global Project Lead della campagna plastica
(pubblicato su greenpeace.org il 1° ottobre 2019)

L’inquinamento da plastica è una delle minacce ambientali più gravi dei nostri tempi e non è solo la crescente quantità di plastica che finisce in mare a preoccupare, ma anche il legame tra la produzione di plastica e i cambiamenti climatici. La plastica d’altra parte deriva da fonti fossili come il petrolio e gli impatti ambientali collegati alla sua produzione e smaltimento sono rilevanti: le stime indicano che entro la fine del 2019 la produzione e l’incenerimento dei rifiuti in plastica sarà responsabile di una quantità di emissioni di anidride carbonica pari a quello di 189 centrali elettriche a carbone. In un simile scenario le preoccupazioni crescenti da parte dei consumatori in tutto il mondo hanno iniziato a produrre i primi effetti: sempre più produttori e rivenditori di beni di largo consumo promuovono i propri prodotti come sostenibili, e non è raro trovare sulle etichette frasi come “Packaging sostenibile in carta”, “Plastica biodegradabile”, “100% riciclabile”. Ma cosa significano veramente questi slogan? Sono davvero la soluzione efficace alla crisi dell’inquinamento da plastica?

Una bottiglia di plastica trasparente alla deriva nel patch oceanico di spazzatura. Su di lei vivono briozoi, nudibranchi, granchi e crostacei. L’equipaggio della nave di Greenpeace MY Arctic Sunrise ha documentato il Great Pacific Garbage Patch fatto di plastiche e di altri rifiuti marini, un miscuglio di plastiche e micro, ad oggi grande due volte il Texas, nel bel mezzo della parte settentrionale dell’Oceano Pacifico.

Guardiamo nel dettaglio quali sono le soluzioni proposte finora dalle grandi multinazionali:

LA CARTA. La carta sembra una soluzione eco-friendly e nella nostra percezione è vista come un materiale con minor impatto ambientale, oltre ad essere una “soluzione” piuttosto semplice da adottare per le multinazionali. Eppure, se consideriamo che la carta deriva dal legno e le foreste sono ecosistemi con un’elevata biodiversità, di fondamentale importanza nella lotta al cambiamento climatico, non è difficile rendersi conto che una sostituzione degli imballaggi in plastica con quelli in carta finirà per avere un impatto gravissimo sulle foreste, sulla biodiversità e sul clima del Pianeta.

LA PLASTICA BIODEGRADABILE. Il ricorso alla plastica biodegradabile rappresenta un’altra “soluzione” attorno alla quale si è creata molta confusione. Con il termine bioplastiche ci si riferisce alla plastica di origine rinnovabile, che può essere biodegradabile e/o compostabile. I due termini in realtà non sono la stessa cosa, spesso le bioplastiche sono costituite in gran parte plastica tradizionale di origine fossile e sono biodegradabili solo in ambienti controllati con particolari condizioni di temperatura ed umidità che raramente si trovano in natura, mentre sono compostabili solo in specifici impianti industriali. In mancanza di tali impianti (il che è ancora molto comune) la plastica, che sia biodegradabile o compostabile finisce per essere smaltita in discarica, bruciata o dispersa nell’ambiente, provocando gli stessi impatti della plastica tradizionale. Inoltre la maggior parte della plastica a base biologica proviene da colture agricole che, oltre a competere con la produzione di alimenti, cambiano l’uso del suolo e aumentano le emissioni di gas serra.

PLASTICA RICICLABILE AL 100%. Sempre più di frequente, tra gli scaffali dei supermercati, ci imbattiamo in prodotti dagli imballaggi etichettati come riciclabili al 100%. È importante sottolineare che il fatto che un prodotto sia riciclabile non significa che sarà riciclato. Più del 90% di tutta la plastica mai prodotta non è mai stata riciclata. Il problema non è tanto la qualità del materiale usato per realizzare l’imballaggio, quanto la quantità che ne viene prodotta. I sistemi di riciclo non sono in grado di far fronte alla crescente massa di rifiuti che vengono prodotti. Perciò è più facile che la plastica finisca in discaricabruciata o dispersa nell’ambiente che riciclata. Inoltre, la plastica non può essere riciclata all’infinito, questo a causa del fenomeno di downcycling: invece di essere utilizzata per nuovi imballaggi, viene riprocessata per prodotti di qualità inferiore non riciclabili. Inoltre, negli ultimi anni è cresciuta la quantità di packaging composto da diversi materiali (poliaccoppiati) difficili, se non impossibili, da riciclare. Se consideriamo poi che produrre plastica vergine spesso costa meno rispetto a quella riciclata, è facile rendersi conto che, anche se delle tipologie di plastiche sono tecnicamente riciclabili, non significa che saranno riciclate perché trovano difficile collocazione sul mercato. Anche per questo l’industria si sta muovendo verso nuove tecnologie come il riciclo chimico, i cui impatti sono preoccupanti perché impiegano sostanze chimiche pericolose, richiedono un uso intensivo di energia e infrastrutture costose e ancora poco efficienti.

Occorre adottare sempre più contenitori riutilizzabili

Le aziende con queste strategie continuano a non risolvere il problema e si ostinano a non voler abbandonare un modello di business basato sull’usa e getta che fa guadagnare molto e costa poco (ma tanto al Pianeta). Si limitano a sostituire un materiale con un altro e ad investire in sistemi di riciclo sperimentali, potenzialmente pericolosi ed inquinanti, nonostante il riciclo si sia dimostrato finora una soluzione indubbiamente inadeguata.

Vi starete domandando “quale può essere allora la soluzione“?
Produrre meno rifiuti, specialmente rifiuti in plastica. Le previsioni ci dicono che la produzione di plastica aumenterà in maniera esponenziale nei prossimi anni, è quindi urgente che le aziende produttrici di beni di largo consumo (cibi, bevande, prodotti per la cura della persona e della casa) investano in modelli di consegna basati sul riuso, lo sfuso e la ricarica che non prevedano il ricorso ad imballaggi monouso. È necessario che le multinazionali si prendano un impegno con i consumatori, dichiarino obiettivi di riduzione chiari e piani concreti per raggiungerli, smettendo di sprecare le risorse limitate del nostro Pianeta.

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Basta plastica usa e getta ultima modifica: 2020-04-28T04:11:24+02:00 da Totem&Tabù

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16 pensieri su “Basta plastica usa e getta”

  1. UNA VOCE FUORI DAL CORO
    Scusate ma il Silvestri è sempre il solito rompi….i!
    Utilizzo la minore quantità di plastica possibile.  Comunque la riciclo al 100%. Ne butto nell’ambiente lo 0%. Scusate l’ovvietà ma i sacchetti abbandonati lungo la strada nella foto o quelli finiti in mare non ci sono finiti da soli …. ce li ha buttati qualcuno, no? Allora dove sta il problema? Nel sacchetto di plastica o da qualche altra parte?
    Con estrema franchezza… 
    Massimo Silvestri 

  2. A proposito dei pesi consegnati dai genitori, consiglio la lettura del libro “Le village de l’Allemand (Il villaggio del Tedesco) di Boualem Sansal.
    Magari quando non siete troppo giù di morale 🙂

  3. Che bello scoprire che anche tu conosci quei luoghi e sai quanta magia contengano!
    Se li hai vissuti, fanno parte di te.
    È importante fare pace con quello che hanno fatto i nostri genitori nel passato. Mio padre ha lavorato in fabbrica per anni, minando anche la sua salute. 
     
    Pensando a situazioni come quella delle raffinerie, a pochi chilometri da casa mia, mi sembra sempre assurdo che a volte ci impegniamo a costruire scuole dall’altra parte del mondo e non siamo in grado di guarire certe ferite dietro l’angolo.

  4. Grazia, ma lo sai che mio padre ha lavorato al polo industriale Sincat di Siracusa e che io ho vissuto a San Focà per qualche mese, che andavamo a fare il bagno al lido di Fontane Bianche, la sera a Augusta a mangiare il gelato e che con mia sorella ci nascondevamo nell’Orecchio di Dionigi per giocare a nascondino e correvamo tra l’anfiteatro romano e la Fonte Aretusa e nei fine settimana scorazzavamo sull’Etna…. Erano gli anni ’60. Purtroppo credo che anche mio padre abbia contribuito a certe nefandezze industriali del mezzogiorno, ma con la consapevolezza di allora, che era ben diversa da quella di oggi.

  5. Adoro Marcello! 
    ——
    Sì, c’è un popolo dietro l’industria dell’imballaggio, quella del petrolio, dei prodotti chimici di ogni sorta, della droga, della prostituzione, della criminalità….
    Ma sarebbe più nobile che tutti questi “impiegati” svolgessero altre attività più salubri. 
     
    A proposito delle raffinerie potrei raccontare molte cose. Sono state impiantate in aree che erano veri e propri paradisi terrestri, spingendo gli abitanti a   barattare la salute con un lavoro. Naturalmente nessuno ha mai raccontato che il loro  habitat sarebbe stato avvelenato per sempre. In quelle aree ancor ora, nonostante i morti e gli ammalati non si contino più (altro che covid19!), si può sentire qualcuno recitare lo slogan sapientemente diffuso “meglio un lavoro che morire di fame”.
    Se siete mai stati al sud, sapete che per morir di fame bisogna proprio impegnarsi, vista l’abbondanza di frutta e verdura in ogni dove. 

  6. Il segreto dello smaltimento dei rifiuti è produrne meno possibile!

    A ragione Grazia, bisogna produrre meno rifiuti, è tanto che lo dico quando mi trovo a parlare di questo problema. Lo so che c’è un’industria dell’imballaggio, con gente che ci lavora,  ma c’è da cambiare.
    Non ha senso che sia  più  il contenitore che il contenuto.

  7. Anch’io sono fermamente convinto che l’agire individuale sia fondamentale, infatti se non avessi fatto la guida alpina avrei fatto il terrorista, ma da solo.

  8. Marcello, che quadretto! Mi hai fatto ridere!
    ——-
    Io credo molto nell’azione individuale, ma a volte le contingenze ti obbligano a rivedere i gesti a cui sei arrivato in tanti anni di esperienza. Per esempio ora non posso recarmi dagli amici contadini fuori porta e non posso spendere i buoni che il comune mi ha generosamente elargito dal mio amico fruttivendolo oppure in erboristeria, poiché sono spendibili solo in certi supermercati. 

  9. A febbraio 2018 in Olanda, Paese UE, dove vivono quei cattivoni contrari ai Corona Bond ma paradiso fiscale allo stesso tempo, è stato inaugurato il primo di 74 negozi EKOPLAZA che vende 680 prodotti alimentari confezionati senza l’utilizzo della plastica ma con imballaggi riciclabili o biodegradabili come vetro, metallo o carta. In alcuni Paesi Governi e governati: bla, bla, bla. In altri Governi e governati: Fatto!

  10. Il mercato è principalmente dettato dai consumatori.
    Chi produce e spaccia droga, per esempio, può farlo esclusivamente perché c’è chi ne fa uso e lo stesso vale per la plastica, le armi e tutto il resto.
    Il consumatore è il principale responsabile ed è dall’educazione di quest’ultimo che dipende tutto.
    Stamattina ho dovuto fare la coda in un’edicola-tabaccheria che rilascia pure certificati anagrafici convenzionata con il Comune (che è chiuso). Davanti a me c’era una signora che con tutta calma sceglieva il colore di alcune mascherine che poi non ha acquistato perché quella del colore che le piaceva non era disponibile nel materiale che preferiva. Poi si è spostata al banco tabacchi dove ha acquistato 6 pacchetti di sigarette di marche diverse e dei gratta e vinci.Mentre usciva non le ho dato un calcio nelle caviglie solo perché eravamo in stazione e c’era un presidio di polizia che mi avrebbe arrestato subito, ma la tentazione è stata forte.
    Purtroppo siamo circondati da una maggioranza totalmente idiota che decide per tutti, espone il tricolore alla finestra e canta insieme ai vicini dicendosi che andrà tutto bene. Un disastro!

  11. Il segreto dello smaltimento dei rifiuti è produrne meno possibile!
     
    Marcello, chi compra bibite in bottiglie di plastica nuove gravemente anche alla propria salute, visto che è stato provato che micro-particelle di plastica si mescolano al liquido, senza contare l’esposizione a luce e calore che subiscono i bancali tra una consegna e l’altra. 
    Da anni:
    – compro frutta e verdura dove posso usare la mia borsa;
    – acquisto tutte le erbe sfuse (quando non le raccolgo personalmente) portando i miei contenitori;
    – prendo l’acqua da bere alla fontana;
    – produco un detergente a base di lieviti, zucchero e frutta;
    – compro detergenti sfusi per la casa e per il corpo riempiendo i miei contenitori;
    – uso solo sapone fatto in casa;
    – produco il dentifricio;
    – produco creme per il viso e balsami riparatori;
    – uso fazzoletti e tovaglioli di stoffa;
    – non uso pellicola o alluminio;
    – riparo i miei abiti e li uso il più possibile, comprese le scarpe per correre e per andare in montagna (senza sottostare al marketing che invita a cambiarle ogni due per tre);
    – non accetto stoviglie monouso e porto con me un set di legno, se non si può avere vetro o metallo;
    – consumo gelati e granite 🙂 nel bicchiere ripiegabile che usavo per i trail;
    – mi sposto quanto più possibile a piedi;
    – non compro snack o simili;
    – non uso bevande e gel energizzanti;
    – scambio libri.
    Chissà quante altre cose ho dimenticato! 🙂

  12. @Matteo
    Sarei d’accordo… ma per la soluzione 1 è necessario che ci siano questi prodotti.
    Per la soluzione due: ovvero la tassa che hanno provato ad introdurre l’anno scorso, e che ha sollevato un polverone tale che poi non hanno fatto nulla… Magari fosse possibile… 
     

  13. Le aziende non cambiano mai la loro linea se non conviene economicamente, aspettarselo mi pare folle.
    Due le strade che vedo: la gente inizia a comprare più volentieri oggetti con meno plastica (basterebbe uno spostamento del 10%) oppure una bella tassa -pesante-  sugli imballaggi eccessivi (qualcosa del tipo quando il peso dell’imballaggio è paragonabile o supera quello del prodotto).
    Francamente non vedo altro

  14. Giustissima la petizione… se le aziende cambiano il loro modo di produrre e distribuire, allora tutti i consumatori, volenti o nolenti devono adeguarsi.
    Speriamo che la petizione possa contare davvero.

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