Il lago effimero
di Enrico Martinet
(pubblicato su La Stampa il 19 luglio 2019)
Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)
Effimero, quindi la sua scomparsa è imprevedibile, straordinaria quanto la sua comparsa. È il lago glaciale nel cuore del Monte Bianco, in una conca a ridosso dell’Aiguilles Marbrées, con nel cielo il Dente del Gigante. Paesaggio da favola. E lì, come un fantasma si è manifestato per choc termico un lago dalle acque di cielo. Ma quando sono arrivati insegnanti e allievi (26 professori di medie e superiori) dei cinque giorni di corsi di cambiamenti climatici del Summer School di Ghiaccio Fragile, non c’era che il segno del suo limite, un’ombra nel bianco del ghiaccio. Assorbito, svanito. «E proprio quando eravamo lì – dice l’organizzatore del corso, il geologo piemontese Gianni Boschis – siamo stati testimoni di un crollo importante, un pezzo di granito grande quanto un’auto che si è staccato dalle Aiguilles. Il collega francese Philip Devine stava illustrando che cosa capita con temperature alte sulle Alpi, come la scomparsa del permafrost, il collante glaciale che tiene insieme gli strati di roccia. Ed è avvenuto il crollo».

Per un lago effimero che è stato assorbito, altri ne sono sorti, ma non sul ghiacciaio del Gigante, sul fronte del Miage, in Val Veny, una delle due vallate del versante di Courmayeur del Bianco che fanno da piede al massiccio montuoso. Quello che era il lago del Miage, con il ghiaccio spesso 20 metri a far da sponda, si è diviso in quattro pozze e il muro glaciale si è dimezzato. Ancora Boschis: «Abbiamo constatato un fenomeno interessante. La grande frana caduta sul ghiacciaio nel 1940 è migrata verso il lago per due chilometri e ora lo ha raggiunto. Il ghiaccio è ora sovrastato da massi di frana, alla rinfusa». Un modo per i professori-allievi di constatare come si muove e in quanto tempo una massa glaciale. Ancora Devine ha spiegato che «il lago del Miage non ci sarà più come prima perché non ha più sufficiente alimentazione dal ghiacciaio».
La Val Veny, che ha caratteristiche himalayane, ha riservato un’altra sorpresa ai corsisti, un fiore, la Dorys octopetala, famiglia delle rosacee, che è un fossile vivente. Assomiglia a un anemone, vive sulle morene e ora, per colpa del cambiamento climatico, rischia l’estinzione. Boschis: «Cerchiamo di portare nelle scuole quello che i libri di testo non riportano. Questo è lo scopo di Ghiaccio Fragile. Ci sono testi per i nostri ragazzi che non indicano neppure Artico e Antartico».
Di sera ceniamo all’aperto a tremila metri
di Mariachiara Giacosa
(pubblicato su Corriere della Sera (cronaca di Torino) 25 luglio 2019)
Per toccare lo zero termico bisognerebbe fare un salto enorme dalla punta estrema del Monte Bianco. Il regno di Frozen quest’anno non si trova nemmeno sulla montagna più alta d’Europa. Al Col Major, 4750 metri, martedì 16 luglio 2019 il termometro segnava 9,8 gradi. E ieri giovedì è andata anche peggio: per arrivare allo zero termico il radiosondaggio di Cuneo Levaldigi è dovuto salire fino a 4900 metri alle due di notte e a 5016 alle due del pomeriggio. Al Rifugio Torino, a 3375 metri, ieri sera si cenava all’aperto. «Però dalle 20 le temperature scendono e si deve rientrare: la notte andiamo ancora sotto zero» spiega il gestore Armando Chanoine: «E per fortuna».

Quanto fa caldo sul Monte Bianco in questi giorni?
«Eh abbastanza. Di giorno le temperature salgono parecchio, anche fino a 15-20 gradi, ma per fortuna abbiamo ancora una buona escursione termica e le minime vanno sotto lo zero. E’ una condizione privilegiata perché garantisce la tenuta della neve anche nelle prime ore del mattino, fino alle 11. Poi certo dopo quell’ora si “suda” anche quassù. Si fa per dire».
Le alte temperature mettono in pericolo la tenuta della montagna?
«Certo non le fanno bene. Il caldo insolito aumenta la fusione del ghiacciaio, favorisce l’apertura dei crepacci e la caduta di seracchi. Si sgretolano i canali, soprattutto se la stagione precedente è stata molto secca. A patire sono in particolare le vie più frastagliate. Però non siamo in questa condizione. E’ vero, fa caldo, ma la montagna tiene bene. Io sono anche guida alpina e ogni mattina controllo le condizioni del ghiacciaio. Fino ad ora la situazione è buona e gli alpinisti possono uscire in sicurezza. Vedremo più avanti».
Qual è il periodo più critico?
«Agosto rappresenta senz’altro il momento più difficile. Nelle stagioni normali, già dalla seconda metà del mese, iniziano i temporali in quota, con nevicate già sopra i 3500 metri: in quel modo si mettono in sicurezza la neve e i ghiacciai. Se invece fa troppo caldo e le nevicate si fanno attendere fino alla fine di agosto, o all’inizio di settembre, come è accaduto lo scorso anno, allora la montagna soffre. E le condizioni si fanno difficili».
In questi giorni di gran caldo in pianura avete un boom di prenotazioni?
«Noi lavoriamo con gli alpinisti, quindi abbiamo il pienone quando le condizioni della montagna sono buone. E in questi giorni è così. Nelle giornate di bel tempo riempiamo le 160 camere disponibili. Chi fugge dal caldo invece viene qui soprattutto in giornata per trovare un po’ di fresco con un pranzo al nostro ristorante. Da quando abbiamo la nuova funivia Skyway questo tipo di turismo quotidiano è aumentato moltissimo».
Avete anche voi i clienti del pranzo con le infradito?
«Arrivano persone non attrezzate, soprattutto nel fine settimana: pranzano qui, poi vorrebbero scendere verso il ghiacciaio, toccarlo, farci un passeggiata. Noi guide alpine siamo qui anche per impedirlo. Non ha senso che si corrano rischi per inesperienza o equipaggiamento inadeguato».
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