Metadiario – 134 – Capodanno con i bolognesi (AG 1985-007)
È quasi notte del giorno di Santo Stefano quando arrivo a una grotta sul fondo della Còdula di Luna e vi trovo i miei amici bolognesi assieme a quella Giuliana Scaglioni che lavora per noi a Milano. Erano i ragazzi che avevo conosciuto qualche anno prima, due di loro avevano aperto l’Urlo a Punta Pegna (Maréttimo) e io, mentre scrivevo Mezzogiorno di Pietra, avevo bisogno di informazioni al riguardo. In seguito avevamo fatto amicizia, più volte ero andato a Badolo ad arrampicare con loro; inoltre Mirko Giorgi e Marco Piva erano stati da me a Champoluc per salire la Cascata del Pinter di sinistra.
La compagnia era numerosa e simpatica, ragazzi di vent’anni che rappresentavano bene quella gioventù di sinistra, ben inserita nelle opere di solidarietà sociale, che nel credo comunista non vedeva l’unica felicità possibile. Invece di pensare che l’arrampicata era una “fuga dalla realtà” la vedevano come motivo di ulteriore e divertente aggregazione. In più il loro gruppo aveva una provenienza speleologica, dunque era ben affiatato e abituato al lavoro in compagnia.
Anche loro erano scesi dal cuile Buchi Arta. Proprio dove la cresta di Titiddai si affonda nella Còdula di Luna, lì si erge una bella struttura di calcare esposta a ovest che loro avevano chiamato Castello della Quinta Ansa: da lì al mare di Cala di Luna erano infatti cinque le “anse” della Còdula. Già l’anno precedente avevano iniziato un lavoro sistematico di apertura di brevi vie, rigorosamente dal basso, ma con ganci e spit.
Nella grotta si erano sistemati come a casa, c’era perfino un piccolo impianto stereo con due o tre cuffie. La cucina era attrezzatissima. Scoprii anche che c’era chi cantava, chi suonava la chitarra, chi faceva da mangiare bene e chi faceva massaggi professionali.
Il 27 dicembre 1985 salii con Mirko e con Mauro Zanichelli Nice Guys, poi con Lorenzo Nadali e Giuliana andammo a “violare” il Birillo, un campaniletto che avevamo notato sulla sinistra idrografica, proprio di fronte alla Punta Pigas. Ne risultò una breve via, non facile, che chiamammo Buster Keaton.
Ancora con Lorenzo e Giuliana, più Fabrizio Fidelio, il giorno dopo salimmo sul Castello della Quinta Ansa la via Psyco Killer, nome mutuato direttamente dallo stupendo pezzo dei Talking Heads, uno dei gruppi che di più era gettonato la sera in caverna.
La loro cultura musicale era decisamente più avanzata della mia, più aperta alle nuove suggestioni degli anni Ottanta: ricordo quanta impressione mi fece ascoltare What Use dall’album Half Mute dei Tuxedomoon
nella versione live, ma meglio ancora
nella versione in studio.
Sazi di quella zona, il 29 dicembre risalimmo a Buchi Arta e ci trasferimmo nella regione di Baunei. Avevamo una voglia matta di scalare: sulla strada che sale a tornanti da Baunei verso il Golgo, visto un torrioncino a destra di un tornante a sinistra, ci fermammo. C’era già una via chiodata: con Andrea Verni aprimmo un monotiro, Per scaldarsi, che arrivava alla sosta di quella via. Che subito dopo salimmo a moulinette.
Dopo un giorno di cattivo tempo, l’ultimo dell’anno ci regalò la salita all’Aguglia di Goloritzé: finalmente potei apprezzare la bellezza dell’arrampicata libera di quell’itinerario che invece quattro anni prima era stato il piccolo inferno della Sinfonia dei Mulini a Vento. Eravamo in sei, Augusto Gimmi De Col con Mauro, Lorenzo con Giuliana, Mirko con me. E ripetei, potendola finalmente vedere, anche l’emozionante discesa che invece con Manolo avevo effettuato nel buio più ignoto e nell’uragano scatenato.
Ormai eravamo lanciati, i ragazzi si erano estasiati il giorno prima nel guardare la maestosa parete di 400 m del Monte Ginnircu: ci domandavamo se non era possibile aprirvi un itinerario meno impegnativo di Sintomi primordiali.
Notammo sulla destra della parete, su quello che potremmo chiamare un vago sperone sud-est, una possibilità. Il 2 gennaio 1986, scesi per il Buch’ e Scala, Mirko, Gimmi, Mauro e io c’ingaggiammo a destra di un’enorme chiazza d’edera, per poi salire su meravigliosa roccia a gocce. Raggiunta una cengia più o meno a metà parete, scendemmo facilmente alla base per poi il giorno dopo continuare logicamente sul filo dello sperone. Ma a due lunghezze dalla fine incontrammo dei chiodi! Dunque eravamo stati preceduti, e solamente dopo qualche settimana venimmo a sapere da chi: da Maurizio Oviglia e Bruno Poddesu, 17 maggio 1985. Questi avevano rinunciato alla prima parte, scoraggiati dall’edera, e avevano iniziato dalla cengia, chiamando la via col nome di Murales. Che noi abbiamo seguito con qualche variante in arrampicata libera. Durante la salita, come è abbastanza naturale tra giovani maschi, si era fantasticato su un mondo di donne del tutto disponibili: così chiamammo la nostra sezione, che andava egregiamente a completare Murales, la Gabbia delle Donne. Nello stesso tempo Lorenzo Nadali e Giuliana, che non celavano la loro simpatia reciproca, salivano sull’Aguglia di Goloritzé una loro via nuova, bellissima: Buon anno simpatia.
Pioggia e maltempo c’impedirono altra attività. Caricai Giuliana nel mio furgone e ci avviammo verso Olbia: in una schiarita dell’ultimo giorno prima del traghetto per Genova (5 gennaio) salimmo sulla Punta di Sant’Andrea (Rocche di San Pantaleo) per un estetico spigolo a tafoni di granito, Una donna per amico. L’ultimo regalo di quella Sardegna invernale.
Ogni volta che leggo un tuo racconto, caro Alessandro, mi stupisco della delicatezza che esprimi e gioisco della tua costante volontà di condividere così tanti pezzetti di vissuto.
Bellissimo il video dedicato a Gimmi!
Poliedrica persona con cui, durante un viaggio nel deserto di Wadi Rum (credo fosse il 1994), discutevamo ogni sera di fotografia e non solo, convenendo sulla magia della luce residua serale che si trova tra il crepuscolo e il raggio verde. Istante difficile da cogliere, anche mentalmente, ma che se lo scopri non ti abbandona più. Un po’ come Gimmi era.
Inoltre, oggi che in molti danno per scontato il paradiso arrampicatorio che è la Sardegna, ci tengo a ricordare che Nadali, Zanichelli e De Col hanno aperto sull’Aguglia di Goloritzé (o Monte Caroddi) la via più bella dell’isola: Itu Damagoni/Il mio veleno.
Se uno non la sale, secondo me, non può dire di avere arrampicato in Sardegna.
Grazie Alessandro, bei ricordi, bello stile, queste sono le migliori vacanze di Natale in assoluto!