Caro bollette, a rischio la stagione sciistica

Il caro bollette sta mettendo in ginocchio i titolari degli hotel di montagna (già provati dal Covid e da una stagione invernale, la scorsa, non esaltante). E anche i gestori degli impianti a fune, che si aspettano un aumento dei costi cinque volte maggiore rispetto al 2019, guardano ai prossimi mesi con grande preoccupazione. Così si cerca di correre ai ripari: c’è chi ha già deciso di aumentare i prezzi dei servizi (skipass, camere) e chi risparmia dove può (ristorazione e fonti energetiche): “Ma fino a che punto possiamo aumentare le nostre tariffe? Poi in vacanza non va più nessuno”. E intanto è arrivato il primo stop ufficiale da parte di un comprensorio sciistico.

Caro bollette, a rischio la stagione sciistica
di Alberto Marzocchi
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 9 ottobre 2022)

Prima il Covid, poi la siccità – e dunque un inverno senza neve – e ora l’impennata dei prezzi di gas, elettricità e gasolio. La stagione invernale, per il comparto che ruota intorno al mondo della neve e della montagna, si annuncia così in salita da far temere il peggio.

Per dirla in altri termini: la chiusura della catena di alberghi in Salento, per via del caro bollette, potrebbe non essere un caso isolato. Anzi, gli hotel di Alpi e Appennini potrebbero fare la stessa fine.

A maggior ragione se è vero quanto hanno dichiarato, in questi giorni, alcuni gestori degli impianti di sci: stop alle seggiovie in settimana. Con la ricaduta, in termini economici, su commercianti, albergatori, ristoranti e maestri di sci.

Il primo stop stagionale, ufficiale, è già arrivato: la stazione di Panarotta 2002, sopra le montagne di Levico Terme, in Trentino, non aprirà: “Fare altrimenti sarebbe un salto nel buio e non possiamo fare i kamikaze – ha raccontato il presidente Matteo Anderle a il Dolomiti – è una decisione sofferta, ma tra i costi per le bollette, l’innevamento artificiale e il lavoro tecnico, la situazione per noi è diventata insostenibile”.

Panarotta conta 18 chilometri di piste e quattro impianti di risalita. Insieme alla stazione Funivie Lagorai fa parte della Skiarea Valsugana e Lagorai.

Peggio del CoViD
Gli appassionati sanno già che lungo tutto l’arco alpino ci sono stati ritocchi all’insù dei prezzi degli skipass. Fatta eccezione per il Monterosa Ski e per le stazioni del Friuli-Venezia Giulia (che fanno caso a sé, perché beneficiano di partecipazioni pubbliche) tutti gli altri comprensori, a poco a poco, stanno aumentando le tariffe dei biglietti.

“Per pareggiare i costi dell’energia – dice Massimo Fossati, presidente di Anef Lombardia – dovremmo alzarli del 30%. Ma è ovvio che a quel punto, con l’inflazione che colpisce tutte le famiglie, le persone non andrebbero più a sciare. È un cane che si morde la coda”.

Al momento l’aumento è di circa il 10%. “Ma è frutto di una decisione presa questa estate – rivela Fossati – e non è detto che nei prossimi mesi la percentuale non salga. Ci aspettiamo che i costi complessivi, rispetto al 2019, saranno quintuplicati“. A sentire gestori degli impianti a fune e albergatori, la situazione è pure più grave di quella patita con la pandemia.

E infatti c’è chi sta pensando se non convenga tenere le saracinesche abbassate (i titolari di hotel) o addirittura fermare cabinovie e seggiovie durante la settimana: il costo dell’energia, negli scorsi anni, pesava tra l’8% e il 15%, mentre ora ha abbondantemente superato il 30%.

“Sono convinto – continua il presidente di Anef Lombardia – che alla fine gli impiantisti terranno aperto. Il motivo? Se si fermano loro, si ferma tutta la montagna. Il turismo invernale ruota intorno ai comprensori sciistici”.

Tuttavia dal Piemonte stanno arrivando indicazioni diverse. Giampiero Orleoni, presidente di Arpiet, l’associazione delle imprese del settore del trasporto a fune a cui aderiscono i principali comprensori della regione, ha fatto sapere all’Ansa che le stazioni potrebbero decidere di “ridurre il numero di impianti apertichiudere in alcune giornate feriali o vendere skipass variabili a seconda del costo dell’energia”.

Secondo Orleoni si tratta di contromisure per fare fronti ai rincari dell’energia, ma al momento “non è stato deciso nulla, sono solo idee. Aspettiamo fine ottobre”.

La “tempesta perfetta”
Nell’incertezza generale – lo sconto del 30% sugli aumenti delle bollette, deciso dal governo, per ora è in vigore fino a novembre – gli imprenditori stanno tappando i buchi, qui e là, come meglio possono. “Un chilo di burro, l’anno scorso, mi costava 4 euro, ora 12.

Il pollo è salito da 2,4 a 10 euro, un sacchetto di pellet da 4 a 13 euro – spiega Gianni Battagliola, presidente di Federalberghi Trentino e titolare di due hotel a Folgarida – ai miei colleghi sto consigliando di fare attenzione alle derrate alimentari, nei prossimi mesi, per cercare di ridurre i costi, di fare un check-up energetico su macchinari e impianti di illuminazione, magari non performanti; in più, consiglio di abbandonare i listini fissi per le camere e di adottare quelli variabili e di ritrattare, dove possibile, gli accordi coi tour operator.

Al netto di tutto questo – continua Battagliola – ci troviamo in una ‘tempesta perfetta’. Non possiamo alzare i prezzi all’infinito, altrimenti chi va in vacanza?“

Il paradosso a cui si sta assistendo, per esempio per gli hotel di montagna, è che con il pellet introvabile (o, se reperibile, a costi esorbitanti) converrebbe ritornare al gasolio (il cui prezzo, comunque, è salito) coi danni all’ambiente che tutti conosciamo.

L’altro paradosso è che gli albergatori stanno pensando di mettere alcuni servizi a pagamento. Un esempio su tutti: il centro benessere. “Ma così scontentiamo il 90% della clientela, e non è detto che chi sarà disposto a pagare possa coprire i mancati guadagni delle persone che vi rinunceranno”, dice Battagliola. Che sulla chiusura dei comprensori in settimana è categorico: “Significherebbe, per noi e per l’economia montana, il fallimento assicurato“.

Il ragionamento che fanno gli albergatori, al momento, è questo: “C’è chi valuta se aprire col primo di dicembre (giorno che dà inizio, tradizionalmente, alla stagione, NdR), chi sta pensando di rinviare l’apertura e chi di tenere chiuso.

In mano, nell’incertezza generale, non abbiamo nulla: ci sono tante persone che si informano, ma pochi quelli che prenotano e che ci garantiscono che verranno”.

Le richieste al Governo
Sia dal lato impiantisti sia da quello degli albergatori sale la medesima richiesta all’attuale governo e – ovviamente – al prossimo: fare di più.

“Va bene il credito d’imposta per l’energia – continua Battagliola – ma qui abbiamo bisogno di un tetto al prezzo del gas. In più, come è stato fatto dal Conte 2 col Covid, serve una moratoria sui mutui e la cassa integrazione agevolata per i lavoratori. Durante la pandemia un’azienda di medie dimensioni, per quanto riguarda i ristori, ha ottenuto circa il 3-4% del fatturato annuo. Ma con le misure citate poc’anzi, siamo sopravvissuti. Il governo dev’essere più coraggioso”.

Ai comprensori sciistici, che dovettero restare chiusi, andò meglio: lo Stato garantì il 49% dei ricavi da biglietteria sulla media degli ultimi tre anni (come fatto in Francia). “Ora però non siamo compresi tra le aziende energivore – spiega Fossati – e ho l’impressione che non ci sarà un intervento ad hoc per gli impianti a fune. L’importante è che vengano prese misure per tutti i cittadini. Serve dare più potere d’acquisto alle famiglie”.
Twitter: @albmarzocchi
Mail: a.marzocchi@gmail.com

Il commento
di Carlo Crovella

Mi è già capitato di affermare pubblicamente che non è “bello” gioire per avvenimenti che, seppur indipendentemente dalla volontà umana, comportino dei danni ad altri cittadini, quanto meno in termini di mancato lavoro.

Tuttavia, pur rispettando le probabili difficoltà economiche di chi è coinvolto nel turismo montano, non posso nascondermi dietro facciate ipocrite e ho il coraggio di dire apertamente che l’eventuale chiusura degli impanti sciistici è una buona notizia per chi davvero ama la montagna.

Lo abbiamo sperimentato negli inverni scorsi, quando imperava la pandemia con le sue restrizioni. Non ripeto considerazioni già espresse a suo tempo: gli interessati le possono trovare in questo articolo del marzo 2021: https://www.sherpa-gate.com/altrispazi/la-rinascita-dei-monti-della-luna/

La bellezza di salire con le pelli sui pendii fatti apposta per lo sci (altrimenti non ci avrebbero costruito gli impianti) e la sorpresa di vedermi attraversare la strada da due caprioli, laddove, in inverni “normali”, incontravo solo mandrie di pistaioli del tutto scapestrati con la montagna, è una cosa che non ha prezzo. Se devo implicitamente augurarmi che altri cittadini siano costretti a trovare altri lavori, ammetto pubblicamente che mi assumo pubblicamente tale responsabilità ideologica.

Ma sono cose che ho già detto nel 2021. Ora vorrei fare un passo in più, aggiungendo delle considerazioni che vanno oltre alla mia posizione ambientalista e la mia preferenza per una montagna d’antan non massificata.

Dobbiamo porci il problema se, a prescindere dalle conseguenze sull’ambiente (negatività che comunque restano “in pista” – perdonate il gioco di parole…), abbia ancora senso, per il sistema Italia, tenere in piedi il circo bianco degli impianti. In particolare mi riferisco ai grandi comprensori sciistici figli degli anni ‘70, ma proliferati (nelle Occidentali come anche in Dolomiti) per decenni.

La sensazione è che sia un mondo “drogato” dai sostegni pubblici, senza i quali non starebbe in piedi a prescindere dalle difficoltà degli ultimi anni (prima pandemia e poi rincari energetici). Lo si evince anche dall’articolo qui riportato: gli operatori (che siano gestori di impianti o albergatori, poco importa) “invocano” ulteriori sostegni pubblici. Insomma il circo bianco è un malato cronico che resta in vita solo grazie al ”metadone” pubblico: in pratica anche il cittadino di Siracusa, che magari non ha mai visto la neve in vita sua, contribuisce senza rendersene conto.

Possiamo ancora permettercelo, come sistema Italia? Non abbiamo problemi e voci di costo a sufficienza?

Un paradosso è poi la considerazione che gli alberghi di montagna, per migliorare il loro conto economico, potrebbero richiedere pagamenti specifici alla clientela per servizi finora inseriti nelle tariffe. Come esempio si citano i centri benessere, le famigerate SPA (piscina, bagno turco, massaggi, estetista, ecc.). Altro che amanti della montagna! Se il turista è attirato da queste cose, non è un “vero” appassionato di sci, ma un turista “all round”. Per lui la settimana bianca è solo un pretesto di vacanza e quindi chiudergli gli impianti non rappresenta un’imperdonabile violazione di un diritto (presumibilmente) intoccabile.

Quale soluzione, oltre alla chiusura totale dei comprensori sciistici? Forse la realtà dei fatti sottolinea quanto sia fondata l’ipotesi che molti di noi “veri appassionati della montagna” stiamo avanzando da anni: poche stazioni sciistiche, solo piccole e leggere, solo skilift (niente mega seggiovie a 6-8 posti), piste di nuovo gobbute come ai bei tempi, molto fuori pista lasciato allo stato brado. Ovviamente innevamento naturale, con calendari di apertura impianti dettati dalle precipitazioni naturali e non dai bacini artificiali che alimentano i cannoni.

Insomma: ritorno a una montagna a misura di “veri” appassionati della montagna stessa e soprattutto di “veri” appassionati dello sci in quanto tale. In poche parole: meno gente, meno incassi, meno costi, bilanci in equilibrio fisiologico e… più pulizia (in tutti i sensi).

Caro bollette, a rischio la stagione sciistica ultima modifica: 2022-10-31T05:41:00+01:00 da GognaBlog

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6 pensieri su “Caro bollette, a rischio la stagione sciistica”

  1. Mi sembra che in questo articolo e nei commenti si faccia un po’ di confusione. Il caro energia mette a rischio il sistema sci come sta mettendo a rischio ogni altra impresa. Penserete mica che chi ha una fabbrica di pezzi meccanici in pianura non abbia gli stessi problemi degli impianti da sci, forse ne ha anche di piu’. Su questo tema e’ chiaro cosa bisogna fare e non sto qui a dirlo, anche per salvare posti di lavoro o aiutare chi lo perde. Altro tema e’ quanto il sistema sci rovini la montagna. Su questo si che dobbiamo dire con forza che il sistema sci come oggi e’ e come lo si vuole ROVINA la montagna. Era giusto portare la coppa del mondo di sci a plateau rosa’? No non lo era perche’ sarebbe stato uno scempio ed un affronto alla natura. Quei soldi potevano e dovevano essere investiti per la protezione dell’ambiente non per creare un evento altamente inquinante che con la montagna non ha nulla a che vedere. Il caro bollette non ha nulla a che vedere con la salvaguardia dell’ambiente montano. Nel senso che non e’che risolto il caro bollette il problema non c’e’ piu’. Se chi gestisce i territori montani non capisce che bisogna investire sulla salvaguardia dell’ambiente se no non ci sara’ piu’ un ambiente…. e pero’ siamo qui a parlare di nuovi impianti, di skilift nel vallone delle cime bianche, di sci coppa del mondo su un ghiacciao che in estate e’ “morto” dal caldo e nell’ultimo mese teatro di ruspe che portavamo neve ovunque. Questo e’ il problema: a me non fa piacere se la gente perde il posto di lavoro ma d’altra parte sarebbe l’ora di smetterla di investire in ambito turistico su provvedimenti CONTRO l’ambiente semplicemente perche’ fra un po’ non ci sara’ piu un ambiente. Questo vale anche per le spiagge…. scrivo dalla liguria, alberghi, parcheggi, stabilimenti balneari ovunque…
    Attendiamo quell’amministratore che dia una svolta, al mare, in montagna o ovunque sia e dia una chiara, sincera e concreta ( non ideologica) idea di protezione ambientale.
     

  2. Da decenni ci sono studi sull’insostenibilità del circo bianco su tutto l’arco alpino, quindi Francia, Svizzera, Austria, etc. Nessuna stazione sopravvive senza fondi pubblici. Un’economia da ripensare, nella maggioranza delle nostre valli non vi è stato nessun impegno in questa direzione. Che i montanari tornino a mungere capre senza impianti da sci è una visione semplicistica. Una buona percentuale della manodopera stagionale utilizzata negli impianti sciistici proviene dalla città, il personale che interviene per manutenzione non è personale locale.  L’economia montana esiste, è variegata e complessa. Invece che buttare soldi per sostenere impianti energivori e ambientalmente devastanti sarebbe opportuno iniziare a investire seriamente sui servizi. I giovani rimangono in montagna se si può crescere un figlio e allo stesso tempo lavorare, ed un anziano se trova un luogo che lo accoglie dignitosamente nei suoi ultimi anni di vita. In montagna la gente ci resta se ci sono servizi quali trasporti e comunicazioni efficienti. Internet non ci serve per Dzon, ma la connessione ci serve per lavorare e deve essere presente tutti i giorni. La connessione dati ci serve per accedere ai servizi del comune, accedere ai servizi sanitari senza percorrere chilometri, serve alla gran quantità di piccoli artigiani per scambiare informazioni, fare ordini su un territorio dove i chilometri pesano.

  3. Sono anche io un amante della montagna pacifica, che deve subire l assalto dei turisti che ogni fine settimana ci bloccano la valle incolonnati per ore.
    Ma se salta tutto….. Salta proprio tutto, e qui la gente cosa fa? Torniamo a tagliare legna? A mungere le capre?
    Se il pensiero dei responsabili di questo blog e quello espresso in questo articolo smetterò di leggervi! Perché un minimo di pietà e di buonsenso e d obbligo!
    Solo 30 anni fa in alcuni paesini delle nostre montagne tagliavano le gomme delle auto o ne riga ano la carrozzeria ai turisti .
    Vogliamo tornare lì?
    Io sinceramente spero solo che la tragedia che ha portato a questi estremi trovi una soluzione pacifica al più presto altrimenti sarà quella che regge il paese di industria a crollare , altro che quella dello sci, e poi ve li sognerete i bei tempi in cui funzionavano le funivie. 
    Moderatore significa moderare anche i toni, non aizzare. 
    Buona continuazione.
     

  4. Non mi pare di avere mai avanzato l’ipotesi di un collasso “forzato” del sistema, bensì quello di ritorno al modello leggero e naturale. Non abbiamo bisogno di smontare noi umani il circo dei grandi comprensori: ci sta già pensando la Natura. Nei giorni scorsi ho compiuto alcune escursioni nelle valli del Nord ovest: mai vista una situazione così “anti-sciistica” a fine ottobre. Non un filo di neve e temperature incompatibili con l’ipotesi di sparare neve. Non so come si potrà aprire per le feste… Il sistema collasserà da solo. Temo che tenere in vita un carrozzone del genere, che orami è antieconomico per l’intera collettività nazionale, non sia alla portata dell’Italia, visti i ridottissimi margini di manovra sui conti pubblici. Segnalo che iniziano ad emergere, anche nell’informazione “mainstream”, posizioni di questo tipo, a conferma che qualcosa sta cambiando.
     
    Il tema è come intervenire per modificare il sistema, avendo come obiettivo quello di riportarlo verso l’impostazione “naturale” (poche stazioni, piccole e leggere, aperte solo con neve naturale, quando c’è). A tal fine dovrebbe lavorare il Ministro competente, quello del Turismo. Pur essendo io un sostenitore storico dell’attuale maggioranza, non ho una gran considerazione del Ministro del Turismo, Daniela Santaché. Primo perché di montagna non pare capirne molto (al limite si intende di locali in riva al mare…) e poi perché fa parte di quel mondo “briatoresco” che è il peggio del consumismo che si sia mai visto. Sono capaci di “accettare” la chiusura degli impianti sciistici per totale mancanza di neve, ma di farci al loro posto delle piste per i go-kart.

  5. – premetto che non sono portatore d’interessi (adesso usa dire così) per attività alberghiere o altro legate allo sci da discesa; anzi, da molti anni il mio metodo di risalita sono le pelli, ma non posso condividere le considerazioni in calce all’articolo perchè sono troppo semplicistiche e per certi versi eccessivamente ciniche; mi spiego meglio, affermare che dispiace se “altri cittadini dovranno trovare altri lavori” significa liquidare una realtà costituita da migliaia di persone e famiglie che, piaccia o no, sulla stagione invernale dello sci basano una buona parte del loro reddito. Ora, tralasciando le elucubrazioni sul retroterra culturale e consumistico che ha creato il carrozzone dello sci da discesa, ritengo che comunque un collasso a breve o medio termine di tutto il settore catapulterebbe l’economia di molte aree alpine in uno stato recessivo che andrebbe ben oltre quello vissuto in generale. Per questo motivo bisogna mettere in conto che un ritorno più o meno forzato allo sci d’antan e a una certa visione romantica della frequentazione della montagna non può prescindere dal sostentamento delle persone di cui sopra altrimenti si assisterà paradossalmente ad un secondo esodo dalle montagne verso la pianura come già avvenuto all’inizio del secolo scorso. In quel caso avremmo ancora più spazi per risalire con le pelli (se nevicherà ancora) ma probabilmente avremo posteggiato l’auto in un luogo semi abbandonato (inquinando come di consueto per raggiungere la località di partenza). Ergo, il problema è molto complesso e non mi sento di liquidarlo con posizioni radicali del tipo “mi spiace tanto ma meglio così per i veri Frequentatori della montagna”.

  6. In questa tempesta perfetta non si è parlato di un altro aspetto che per quest’anno è ancora forse peggiore: il clima. Siamo agli inizi, può ancora succedere di tutto, ma le premesse non sono buone.

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