Carteggio Gervasutti-Devies (1942-43)

Si ripropone l’interessante carteggio che Giusto Gervasutti e Lucien Devies intrattennero ad inizio anni ’40 sul “grande” tema della gradazione delle difficoltà alpinistiche.

Lucien Devies, parigino, fu uno dei compagni di cordata di Gervasutti. Non l’unico, certo, forse neppure il più “intimo” (questo fu probabilmente Renato Chabod), ma sicuramente un socio importante, sia sul piano operativo che di confronto intellettuale.

Lucien Devies in età avanzata

Le loro imprese storicamente più rilevanti sono state realizzate nel Massiccio del Delfinato. Si tratta della prima ascensione della parete nord-ovest dell’Olan (1934), della prima salita della cresta sud-est del Pic Gaspard (1935) e della prima della parete nord-ovest dell’Ailefroide, la cosiddetta Muraille de Coste Rouge (1936), considerata la Walker dell’Oisans: celebre quest’ultima perché Giusto la salì, tutto da primo, con diverse ammaccature (due costole fratturate, un taglio profondo e sanguinante al labbro e due denti ballerini), conseguenza dell’aver inciampato durante l’avvicinamento al buio rotto solo dalla lanterna a mano.

Nel 1937 i due dispongono di meno tempo libero, vuoi per impegni vari, vuoi per qualche acciacco. Si limitano ad alcune ripetizioni nel Bianco, fra cui la parete nord del Petit Dru (terza salita) e la via Dibona alla Dent du Requin: giornata quest’ultima che passa alla storia per la celeberrima foto di Gervasutti in vetta, scattata da Devies. E’ la foto simbolo di Giusto.

Giusto Gervasutti in vetta all’Aiguille du Requin

Negli anni successivi i loro rapporti si allentano, ma non per dissidi o questioni personali. Semplicemente l’Europa stava scivolando verso la guerra e, oltre alle difficoltà logistiche e di comunicazione, Italia e Francia si trovarono su due schieramenti opposti. Il rapporto fra i due rimane però ottimo e, nel corso dell’evoluzione che registra il clima bellico, riprendono a scambiarsi qualche missiva.

L’argomento chiave è sempre quello della montagna e in particolare la questione della gradazione delle difficoltà, tema su cui Gervasutti aveva già pubblicato un articolo sulla Rivista Mensile del CAI addirittura nel 1933.

A metà guerra circa, Devies lo ricontatta perché nel frattempo era impegnato nella stesura della Guide du Massif des Écrins e, a seguire, nella celebre Guida Vallot del Monte Bianco e gli tornava utile rifare il punto sul tema gradazione delle difficoltà.

Lucien Devies in età matura

A quasi 80 anni di distanza, lo specifico scambio epistolare innesca una nota di tenerezza: nel pieno della II Guerra Mondiale, con tutte le difficoltà del caso (non ultimo di trasferimento della posta fra due Nazioni dove si svolgevano ancora azioni belliche o di guerriglia), due uomini riescono ad estraniarsi dalle tragedie che li circondano e si concentrano su gradi, difficoltà, passaggi, chiodi, prime ascensioni, ripetizioni… La montagna affratella, non c’è che dire.

Pur con uno spostamento numerico verso l’alto delle difficoltà odierne, il tema concettuale sembra ancora così attuale, che vale una volta di più l’annotazione di Devies: non è rilevante la data delle lettere, potrebbero esser state scritte oggi.

Lucien Devies in età giovanile

Forse per chi non appartiene alle ultime generazioni, è più facile seguire il dibattito fra Gervasutti e Devies, poiché si parla di IV, V e VI grado e poi di montagne e di pareti ben note. Può darsi che il dibattito, traslato verso l’altro della scala numerica, sia anche oggi più o meno simile, ma per molti degli alpinisti classici (come il sottoscritto) riesce complicato comprenderlo fino in fondo, in quanto la differenza fra VIII, IX e X grado sfuma in un mare magnum indistinto.

L’introduzione e le lettere di Devies furono pubblicate sulla Rivista del CAI (giugno 1968) in versione originale, cioè in francese. Qui si è preferito tradurle per una completa comprensione da parte dei lettori. Un caloroso ringraziamento ad Agnès Dijaux di Oulx (Val Susa) per la traduzione dal francese.

Chi avesse piacere di approfondire maggiormente la conoscenza di Giusto Gervasutti, come uomo e come alpinista, può richiedere, seguendo la procedura indicata qui sotto l’e-book (formato pdf) dal titolo L’unico, il vero, il solo fortissimo, elaborato nel 2016 per i 70 anni dalla sua scomparsa.
Per ottenere il pdf su Gervasutti è sufficiente inviare singole mail di richiesta all’indirizzo crovella.quadernidimontagna@gmail.com, specificando nell’oggetto GERVASUTTI e segnalando nel testo il proprio NOME e COGNOME, seguiti dall’indicazione GognaBlog. L’autore provvederà ad inviare via mail il pdf a fronte di ogni richiesta pervenuta, oltre a rispondere agli eventuali quesiti (Carlo Crovella).

Presentazione del Carteggio Gervasutti-Devies (1942-43)
di Lucien Devies (presidente della Fédération Française de la Montagne – CAAI)
(pubblicato sulla Rivista Mensile del CAI, giugno 1968)

Le lettere che stiamo per leggere sono state redatte 25 anni fa (rispetto al 1968, NdR). Riguardano il sistema di gradazione delle difficoltà.

Mentre si preparava la Guide du Massif des Écrins e pensando alla Guida della Chaîne du Mont-Blanc (Vallot, NdR), ero riuscito a radunare all’interno del Groupe de Haute Montagne (GHM) una commissione per trarre una lezione dal vissuto degli anni passati e aggiornare la scala delle difficoltà per queste due opere.

Ma ero anche andato a consultare Giusto Gervasutti, il compagno delle grandi imprese, l’amico con cui scambiavo idee e progetti.

Anche se la maggior parte delle sue vedute corrispondeva alle nostre, non dovevamo necessariamente seguirlo nello sgradare sistematicamente, considerando che la quotazione dei passaggi e degli itinerari fino al IV grado era utilizzata senza contestazione e quindi non bisognava tornare su quello che sembrava già acquisito.

E’ nello stile conciso e rapido ma chiarissimo, come di sua abitudine, che si esprime Giusto Gervasutti. Certo la questione del grado di difficoltà è una questione secondaria. Intanto le sue lettere mettono in luce l’obiettività del suo giudizio e il fondo del suo pensiero

Queste lettere hanno 25 anni (rispetto al 1968, NdR), non le avevo più aperte, per paura dell’emozione. Rileggendole, ho potuto credere di averle appena ricevute. Ma sì, non guardate la data: sono state scritte oggi.

Carteggio Gervasutti-Devies (1942-43)
(pubblicato sulla Rivista Mensile del CAI, giugno 1968)

Parigi, 12 novembre 1942
Carissimo Giusto, sono stato molto felice di ricevere la tua lettera del 30 settembre e di avere buone notizie.

Cosi, la classe, più ancora la tenacia e la scelta hanno vinto: la tua vittoria sulla Est delle Grandes Jorasses è una vittoria magnifica. Ne capisco tutto il valore che può avere per te, mi congratulo e me ne rallegro caldamente, condividendo con amicizia.

Quel che succede qui è una tendenza a rivedere il grado delle grandi scalate di quinto e sesto grado. E come sempre si traduce con un abbassamento dei valori riconosciuti anticamente. Me ne preoccupo e lo condivido con te, per aver un tuo parere perché ci tengo a fare le cose molto bene per la mia Guide du Massif des Écrins, ormai molto avanti.

Guide du Massif des Écrins con autografo di Devies

Il quarto grado è stabilito. Il suo limite inferiore è segnato dal Petit Dru e dal Grépon (anticamente 3° superiore); comprende l’Aiguille Mummery, la via Mayer al Requin (è la via Dibona, NdR), l’Aiguille de Roc, la parete est del Grépon senza la Knubel (celebre fessura di alta difficoltà, NdR). Il suo limite superiore può essere marcato con la via Ryan della parete nord dei Grands Charmoz. La discussione inizia da lì in poi, per gli itinerari aperti in particolare dalle cordate di Allain, Fourastier e la nostra. La tendenza è di riportare le grandi scalate delle giovani generazioni a un livello poco superiore a quello dei grandi exploit di Franz Lochmatter. La cordata Marullaz considera la cresta sud della Noire de Peutérey della stessa difficoltà della via Allain dello spigolo nord-est dei Grands Charmoz e della via Ryan dell’Aiguille du Plan, cioè un 5° grado. Potremmo avere cosi un 5° grado anche per la via Allain al Caïman e la prima via Allain alla Meije. Egli considera i passaggi difficili di quest’ultima via e la via Allain ai Grands Charmoz come un 5° grado ma inferiori alla fessura Knubel del Grépon, ch’egli valuta al limite inferiore del 6° grado. 

Edouard Frendo trova (ma l’ha fatto come secondo) il nostro passaggio più duro sull’Olan come tecnicamente un po’ più facile della Knubel.

Vorrei che mi comunicassi le tue annotazioni, ma soprattutto che mi facessi sapere, in modo da tenerne conto nella mia ricerca, come consideri in ordine decrescente di difficoltà le nuove vie e le grandi classiche (Petit Dru, Grépon, Dent du Requin via Mayer, Grépon parete est senza Knubel, Aiguilles du Diable senza Isolée, Aiguille Noire de Peutérey cresta sud) fatte da te, ma anche i passaggi più noti o più difficili, con l’indicazione in gradi di difficoltà aggiornati ai gradi attuali in vigore nella guida Marmolada di Ettore Castiglioni.

Do molta importanza a queste informazioni per il grado di difficoltà della Guide du Massif des Écrins, che voglio allineare per quanto possibile a quella delle Dolomiti e alla catena del Monte Bianco. Con amicizia, Lucien Devies

Torino, 31 maggio 1943
Caro Lucien, ho risposto in data 15 dicembre 1942 alla tua lettera del 12 novembre 1942. Non avendo però più avuto nessuna notizia da te immagino sia andata perduta come altre.

Ti riscrivo perciò tutto ciò che ti avevo già scritto allora. Ti ringrazio per le tue felicitazioni per la mia campagna alpinistica dell’estate 1942.

Data la mia ben nota pigrizia ho fatto le relazioni sia della via diretta al Monte Bianco che della Est delle Jorasses, ma non ho ancora estratto le note tecniche.

Mi auguro che tu quest’anno abbia potuto rimetterti completamente dalla tua ricaduta e riprendere l’attività in montagna. Fammi sapere qualche cosa sui tuoi programmi di quest’estate. Io conto di andare una decina di giorni nel Gruppo di Brenta e poi un’altra decina a Courmayeur. Però non ho in programma nessuna prima ascensione, ma solamente delle ripetizioni di «classiche».

Apprendo dalla tua lettera il nuovo indirizzo sulla classificazione delle difficoltà. Effettivamente anche da noi c’è la tendenza netta a diminuire la valutazione delle difficoltà. Naturalmente per le prime ascensioni resta sempre un margine e quindi bisogna osservare la regola, già stabilita dal Rudatis, di attendere due o tre ripetizioni per poter definire la difficoltà più esattamente. Comici aveva già proposto di stabilire un abbassamento fisso: per esempio di mezzo grado ogni 5 ripetizioni, ma questo è errato perché si riferisce solamente alle salite chiodate sulle quali ad ogni ripetizione aumentano i chiodi lasciati infissi. Io ho adottato il sistema, che tu già conosci, di definire la difficoltà con l’uso di un determinato numero di chiodi. Naturalmente con questo sistema il limite superiore del 6° resta solamente per la prima ascensione. Qualunque ripetizione ovviamente non potrà più avere la medesima difficoltà poiché i chiodi che una cordata lascia in una «prima» estremamente difficile sono numerosi. Per i gradi inferiori invece trovo che questo sistema è il più razionale.

Nelle classifiche su granito questo viene a essere semplificato perché l’assicurazione è in buona parte naturale.

Per ciò che riguarda l’Olan trovo abbastanza esatto portarlo al 5°. Bisogna tener conto che l’Olan ha un solo passaggio veramente difficile e che io questo passaggio ho dovuto «lavorarlo». Quindi da quello che ho detto prima l’apritore di nuove vie dovrebbe già tener conto sulla propria impressione di difficoltà una diminuzione di ½ grado.

Ora ti do le recenti classifiche del nostro gruppo torinese sulle salite compiute in questi due anni, in Dolomiti e in Bianco:

Campanile Basso di Brenta, via comune: 3°; via Fehrmann: 4° sup. (senza uso di chiodi); via Preuss: 5° grado inferiore (con uso di 5 chiodi).

Cima Piccola, normale: 2° sup.; Helversen: 3° sup.; Fehrmann: 4° sup.

Cima Grande, via Dibona con variante Steger: 4° grado; via Dülfer: 5° grado; parete nord, con i chiodi esistenti: 5° grado sup.

Cresta sud della Noire: 5° sup. con 9 chiodi.

Per ciò che riguarda le classifiche delle Aiguilles di Chamonix mi resta piuttosto difficile pronunciarmi perché è passato troppo tempo da quando io le ho fatte e perché la suola di gomma sulle scarpe ha notevolmente influito sulle salite in granito. Ritengo però non ci sia la proporzione che tu mi esponi fra le vie comuni del Grépon, Dru e le nuove vie Allain. In generale noi abbiamo seguito questo criterio:
– diminuzione di un grado di tutte le salite fino al 5°;
– trasporto al 5° di molte classiche considerate di 6°.

Per le altre mie salite resterei come segue:
Ailefroide: 5° sup., Pic Gaspard: 5°, Gugliermina: 6° inf., Est delle Grandes Jorasses: 6°.

Naturalmente bisogna sempre tener conto che si parla solo di difficoltà tecnica e non d’impegno, altrimenti sorge sempre la questione della salita breve e della salita lunga. Le grandi imprese vanno considerate a parte come valore intrinseco. D’altronde vedi che nelle ripetizioni dell’Olan i ripetitori hanno impiegato lo stesso tempo nostro, dedotto il bivacco e il maltempo. Se noi andassimo ora a ripetere l’Olan ben allenati, non impiegheremmo più di otto ore. Ora anche noi ci stiamo stabilizzando sulle classifiche e io spero che alla prossima campagna che riusciremo a fare nelle Aiguilles si potrà senz’altro definire una scala per il Monte Bianco.

Resteranno sempre da giudicare le salite miste e quelle di ghiaccio, le quali daranno molte difficoltà.

Tienimi al corrente di ciò che fate e cerca di non lasciarti vincere dagli anni, contro i quali lotto energicamente anch’io. A fine stagione ti riscriverò per dirti ciò che abbiamo fatto. Con una stretta di mano, Giusto

Gervasutti alla Parete dei Militi, Valle Stretta, 1941. Arch. Area Documentazione Museo Nazionale della Montagna.

Parigi, 10 agosto 1943
Caro Giusto, ho consegnato la mia Guide du Massif des Écrins all’editore e ho incominciato a lavorare sulla guida aggiornata della catena del Monte Bianco.

Ho già fatto la redazione delle Aiguilles de Chamonix e incomincio il Monte Bianco. Ho fatto diverse conferenze a Chamonix con Pierre Allain, Armand Charlet, Edouard Frendo e Robert Jonquière e abbiamo fissato il grado che servirà di base alla guida. Ti mando in allegato una copia della nota preparata a tale fine.

All’epoca mi avevi detto che la via al Gugliermina era da classificare sullo stesso livello dell’Ailefroide. Ma non mi dici niente della parete nord delle Grandes Jorasses, della parete nord dei Dru e delle vie Solleder alla Civetta e al Sass Maor. Mi piacerebbe che tu mi dicessi come vedi la classifica di tutte queste vie, l’una rispetto all’altra.

Porgo i miei cordiali saluti. Lucien Devies

Gervasutti in Dülfer: notare le pedule da arrampicata con la suola in feltro. Arch. Area Documentazione Museo Nazionale della Montagna.

Torino, 1 settembre 1943
Caro Lucien, ricevo la tua lettera del 10 agosto con le precisazioni sui gradi delle difficoltà.

Mi spiace che tu non sia ancora in efficienza fisica per poter riprendere le grandi ascensioni e mi auguro che tu lo possa essere per la prossima stagione.

Io quest’anno in primavera ero allenatissimo. Il 28 giugno ho compiuto con il migliore dei miei allievi, Longo Tonino, la salita della cresta sud dell’Aiguille Noire in ore 9¼. Se la stagione fosse stata propizia contavo di ripetere la via Cassin alla Walker, ma il 20 di luglio, ritornato a Courmayeur in gita domenicale ho avuto uno spiacevole incidente che avrebbe potuto avere conseguenze gravissime. Con Ettore Giraudo e Piero Ghiglione ho fatto la cresta nord dell’Aiguille di Leschaux. In discesa, sul facile ghiacciaio, fummo investiti e travolti da una valanga staccatasi cento metri sopra di noi, dalle rocce del Gruetta. Dopo averci trascinato per una sessantina di metri la valanga ci precipitò in un crepaccio. Fortunatamente dopo 15 metri il crepaccio era chiuso dalle slavine primaverili e così Giraudo che era rimasto fuori dal crepaccio non ebbe lo strappo e poté ancorarsi. Ghiglione venne sepolto dalla neve, io invece riuscii a liberarmi subito. In seguito, liberato Ghiglione, risalii a braccia per la corda che Giraudo aveva fissato. In due estraemmo Ghiglione. Io subii una distorsione al ginocchio e una lesione alle costole che mi immobilizzarono per un mese. Ora sono completamente rimesso, ma sono richiamato alle armi.

Tutto ciò mi è dispiaciuto alquanto perché ho perduto il magnifico periodo di bel tempo di metà agosto. Ma un altr’anno ho buona speranza di poter agire nella zona Colle del Gigante-Montenvers, con tutti i miei allievi, e di poterci così rivedere.

Un altro incidente ha colpito in questi giorni Luigi Carrel. Mentre portava a compimento la prima ascensione della parete sud della Punta Giordano venne colpito da una pietra che lo fece precipitare. Restò appeso alla corda, ma con ferite multiple e un braccio fracassato. Ora sta meglio.

A parte ti accludo alcune considerazioni rilevate in questi ultimi tempi sulla valutazione delle difficoltà. Ti abbraccio, Giusto

Parete est delle Grandes Jorasses: il “capolavoro” alpinistico di Gervasutti. Arch. Area Documentazione Museo Nazionale della Montagna.

Nota del Redattore. Oggi i gradi della scala UIAA si esprimono con i numeri romani. In questo testo invece sono espressi con i numeri arabi: abbiamo preferito lasciare così.

Considerazioni
di Lucien Devies
(pubblicato sulla Rivista Mensile del CAI, giugno 1968)

Dato l’esiguo numero di salite con difficoltà omogenee resta ormai confermato il concetto di specificare la difficoltà media menzionando i passaggi più salienti. Molte delle classifiche da me determinate nel periodo 1933-1938 risentivano dello sforzo di dare una classifica integrale alla somma delle difficoltà incontrate. Ora comprendo che questo sistema, che tendeva sulle grandi imprese ad avvicinare la valutazione delle difficoltà al valore delle salite, è da scartare perché infirmato dalle troppo numerose piccole salite con difficoltà analoghe. Quindi bisogna proprio accontentarsi che la valutazione dia soltanto un’indicazione ad uso della compilazione delle guide, concetto che del resto io avevo già espresso in precedenza in un mio articolo sulla Rivista del CAI nel 1932 (in realtà pubblicato nel febbraio del 1933, NdR). In conseguenza di questo concetto i gradi tipo dovranno però essere definiti da salite omogenee, per non creare confusione, mentre verranno egualmente mantenute nello stesso ordine di grado le salite non omogenee in base alle difficoltà dei passaggi che hanno. Così non mi sembra buono come esempio del 5° inf. la traversata des Aiguilles du Diable.

Ailefroide, parete nord-ovest: la via Gervasutti-Devies (1936) sale proprio in centro alla parete

Per ciò che riguarda il 5°, che voi tenete come definito sugli esempi classici, si verifica un certo squilibrio tra il 4° e il 5°. Ma la classifica non può essere una cosa perfetta e necessita di una certa elasticità. Per il 6° grado bisognerebbe modificare la definizione che il 6° sup. è il massimo possibile in roccia, ecc. Questa definizione ha valore soltanto per chi compie la prima ascensione. Non è possibile che chi ripete una salita già effettuata tre o quattro volte e quindi con un certo numero di chiodi piantati compia lo stesso sforzo del primo salitore, quindi i migliori arrampicatori nella loro forma migliore nelle ripetizioni avranno sempre un margine di forze a disposizione. Stabilita questa premessa sarà necessario studiare se converrà scontare in anticipo la diminuzione di difficoltà che subiranno le prime ascensioni, oppure se converrà tenere vacante il 6° superiore per le ripetizioni. Cosa che si verifica già adesso del resto perché in questa categoria troviamo soltanto le salite compiute una volta o due e così classificate dai primi salitori, salvo poi declassarle come proponeva Comici dopo un certo numero di ripetizioni.

Olan, parete nord-ovest: la via Gervasutti-Devies (1934) percorre l’evidente pilastro che esce poco a destra della vetta principale

Forse sarebbe più logico considerare il 6° come una categoria a sé, eliminare i limiti inf. e sup. e mettere come esempio una salita omogenea con molti passaggi di 6° con chiodi soltanto di assicurazione (Gugliermina) considerando nello stesso grado tutte le salite aventi passaggi di 6° e fissando il numero dei chiodi necessari.

Grandes Jorasses – Parete nord (1935):
Ailefroide – Nord-ovest: 5°sup.
Olan – Nord-Ovest: 4° con un pass. di 5° sup.
Noire – Cresta sud: 4° con un pass. di 5° e 5° sup.
Petit Dru – Nord: 4° con un tratto di 5°.
Aiguilles du Diable 3° con un passaggio di 5°.
Gugliermina – Sud: 6° limite inferiore.
Pic Gaspard – Sud: 4° con passaggi di 5°.
Civetta – Via Solleder: 5° sup.
Sass Maor – Est: 4° con un tratto di 5°.
Cima Grande – Nord: 5° sup.

Le salite compiute con abbondante uso di chiodi, direttissima alla Walker, via Ratti alla Noire, via Sandri alla Noire, Jorasses parete est, (non conosco le ultime salite francesi) non si possono classificare se non provvisoriamente.

La traversata delle Aiguilles du Diable è un cattivo esempio di limite perché troppo poco omogenea.

In generale sarei d’avviso di tenere come esempi salite brevi ma con difficoltà uniformi per non creare dei confronti tra le grandi salite.

Il Sass Maor e il Petit Dru, che hanno le stesse caratteristiche, se più frequentate e chiodate dovranno essere declassate.

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Carteggio Gervasutti-Devies (1942-43) ultima modifica: 2020-05-08T05:13:47+02:00 da GognaBlog

8 pensieri su “Carteggio Gervasutti-Devies (1942-43)”

  1. Bell’articolo che rievoca l’amicizia fra due esponenti di punta dell’alpinismo, che neanche la guerra potè interrompere. Grazie Carlo.

  2. Ho avuto occasione di avere numerosi scambi di informazioni con Lucien Devies. Egli curava la Cronaca Alpinistica sulla rivista Montagne et Alpinisme del CAF e GHM. ed io curavo la medesima rubrica sulla Rivista Mensile del CAI. La rubrica di Lucien Devies è stata la miglior Cronaca Alpinistica che io ho letto sulle varie riviste. Era precisa e competente, non si limitava alle notizie ma le commentava con indagine tecnica e storica. Divenne la guida per me nel riportare le notizie alpinistiche, prima sulla Rivista Mensile, successivamente sulla Rivista della Montagna del CDA.
    L’impressione che ho avuto di Devies, attraverso gli scambi di informazioni, è stata di una persona molto competente, gentile e aperta, un vero signore. Aveva le sue opinioni che esprimeva con fermezza, come ad esempio la sua contrarietà alla posa di bivacchi fissi lungo i grandi itinerari sopratutto nel gruppo del Monte Bianco, secondo lui diminuivano l’ampiezza dell’impresa ed arrecavano grave danno a quell’ambiente che doveva rimanere intatto, come lo avevano trovato i pionieri. Opinione in gran parte condivisa anche da me.
    Mi è rimasto un gran bel ricordo del personaggio Devies

  3. Da vecchione quale sono l’articolo mi è piaciuto moltissimo. Ringrazio Gogna e Crovella per averlo riproposto. Molto bello.

  4. Ringrazio moltissimo per  il prezioso scambio epistolare tra i due alpinisti.
     
    Ho conosciuto Gervasutti grazie all’articolo di Carlo Crovella pubblicato nel novembre 2016 sulla rivista del CAI, a seguito del quale lo contattai ricevendo l’interessante pdf. Da allora la foto di Giusto che scala con la pipa è sul mio frigorifero.
    Colgo l’occasione per ringraziare ancora Carlo per il suo contributo. 

  5. @ 2: Gervasutti scriveva in italiano (testuale nell’articolo), Devies in francese. Si capivano  perfettamente così. Non è chiaro come parlassero a quatt’occhi. Probabilmente con una specie di “esperanto” casereccio, mixando parole di italiano e francese con termini di dialetto piemontese e dei patois di confine. Gervasutti, come è noto, non era piemontese (bensì friulano), ma, trasferitosi a Torino, frequentava assiduamente l’ambiente alpinistico, dove il dialetto “scappava” con facilità (a livello di frasi idiomatiche capita ancora adesso – boia faus! -, figuriamoci a quei tempi). Arvedze neh (arrivederci)

  6. Si dice da sempre che se si aspetta un po’ di tempo il grado scende.
    Per me è vero, ho provato a ripetere delle piccole e grandi vie dopo 30 anni.
    Prima avevo gli scarponi, ora scarpette.
    Prima i ramponi alla Rebuffat e le picche con la becca orizzontale e si scavava, ora picche e ramponi che si attaccano quasi da soli dappertutto
    Prima i chiodi col martello e i cunei, ora friends, nuts e bendiddio
    Prima schizzi delle vie e ora relazioni particolareggiate
    Prima scendevo dalla normale, ora scendo spesso in doppia da dove son salito e lascio tutto all’attacco.
    Prima dovevo chiodare spesso anche le soste, ora trovo tanto bel materiale  molto solido
    Prima ero pesante con tutto, dai vestiti agli zaini, al cibo, al materiale, al fornello, alla tendina, ora sono leggerissimo, solo qualche chilo.
    Prima guardavo il cielo, ora le previsioni e i miei amici hanno sempre il telefono per le emergenze (per ora mai avute).
    Penso sia sceso un poco il grado complessivo delle grandi vie, sia diminuito moltissimo il grado di conoscenza dell’alpinismo, sia sceso un po’ il grado di alcuni passaggi difficili, sia sceso di molto il rischio e si sia alzato di tantissimo il grado di piacere e giocosità delle vie…..
    In apertura è tutto molto più difficile da realizzare: sia trovare cosa fare, sia salire e scendere spesso per anni, sia pulire la roccia per renderla sicura, sia portare il trapano e il saccone con tutto ciò che ci viene in mente, sia documentare ciò che si sta facendo con foto e video fatte da soli, da amici appostati vicini, sia da droni svolazzanti sia da fotografi con enormi teleobiettivi… 
    I gradi appunto cambiano, ma il grado che l’uomo è capace di fare da solo si alza lentamente di UNO: prima sei, poi sette, ora otto, il nove richiede ancora dei cantieri 🙂 
    Il grado della vanità però cresce di continuo 🙂 

  7. Grazie per questo contributo molto interessante. Gervasutti esercita un fascino fortissimo. Ricordo ancora l’emozione con cui, sbarcato a Philadelphia per finire il dottorato, trovai una vecchia copia delle Scalate nelle Alpi (Gervasutt’s climbs) nella biblioteca dell’University of Pennsylvania. Era stata letta decine di volte. Non mi fece passare il mal di montagna ma fu una ri-lettura piacevolissima. 
    Una curiosità: nei suoi scambi con L. Devies, Gervasutti scriveva in italiano o in francese?

  8. Ricordo di aver letto – non ricordo dove – che una volta il regime fascista in modo perentorio invitò Gervasutti ad arrampicare solo con alpinisti italiani. Lui rispose che erano fatti suoi, che arrampicava per passione, che sceglieva i suoi compagni di cordata anche per amicizia. Purtroppo non rammento le parole esatte, ma il significato era proprio quello. Quanti avrebbero osato rispondere cosí?
     
    E pensare che Giusto fu perfino accusato da qualche anima bella di essere un fascista! Potenza dell’ignoranza…

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