Fra le tante ansie che assillano le vite di tutti noi in questi mesi di pandemia, gli appassionati di escursionismo e degli altri sport di montagna sembrano averne anche qualcuna speciale, che pare fatta su misura per loro, come se già non ce ne fossero abbastanza in questo molesto anno bisesto…
C’è ancora bisogno di libertà
(anche in tempi di cigno nero)
di Serafino Ripamonti
(pubblicato su trekking.it il 5 giugno 2020)
Per venire subito al sodo, la preoccupazione che molti amanti dell’outdoor chiaramente percepiscono è questa: tutte le limitazioni della libertà personale e i divieti istituiti nel nome del superiore e sacrosanto interesse del controllo della pandemia non rischiano forse di aprire definitivamente la strada a quella concezione sicuritaria della società che già da tempo è ormai in cammino?
Moltiplicarsi di ordinanze
Negli anni passati escursionisti e alpinisti hanno già esperito questa tendenza, con il progressivo moltiplicarsi di ordinanze mirate a regolare e gestire l’accesso e le modalità di fruizione dell’ambiente montano, in particolare per quanto concerne l’esposizione ai suoi pericoli intrinseci.
Le attività più interessate da questi provvedimenti sono lo scialpinismo e l’escursionismo invernale, ambiti sui quali le autorità locali intervengono con frequenza sempre maggiore per emanare divieti alla frequentazione di determinate aree montane, in occasione del verificarsi di particolari situazioni di pericolo legate alle condizioni del manto nevoso e alle valanghe, col rischio, come già è avvenuto in alcuni casi, che il divieto, una volta istituito, poi non venga più rimosso, onde evitare guai al legislatore stesso…
A ciò si associa anche una certa tendenza colpevolistica da parte dei tribunali, che, nell’esprimersi sui casi relativi agli incidenti in montagna, in particolare quelli legati al distacco di valanghe, sembrano sempre più propensi ad adottare una linea dura, giudicando questi fenomeni come dolosi e quindi individuando colpevoli ai quali infliggere pene.
Celebre è il caso dei due studenti tedeschi arrestati per aver provocato una valanga nella zona di Livigno. Valanga che, peraltro, non aveva arrecato danno a persone o cose.
Limitazioni per le escursioni estive
Però ce n’è anche per gli escursionisti estivi, come dimostra l’ordinanza del Parco Nazionale delle 5 Terre, che ha deciso di consentire l’accesso ai sentieri solo a chi indossa “calzature idonee”, stabilendo pesanti sanzioni (da 50 a 500 euro) per chi venisse sorpreso a camminare senza le attrezzature appropriate, ovvero con ai piedi normali scarpe da città o, addirittura, le famigerate ciabatte infradito.
Tutto ciò alla luce del fatto che, negli anni passati, diversi escursionisti che indossavano questo tipo di calzature, si sono trovati in difficoltà sui sentieri o addirittura hanno dovuto essere soccorsi per incidenti più o meno gravi.
Ancora più scalpore ha fatto la scorsa estate il “numero chiuso” imposto dalle autorità del versante francese del Monte Bianco, che hanno limitato gli accessi alla via normale della montagna solo agli alpinisti che prenotano il pernottamento al rifugio Goûter. Per tutti gli altri vige il divieto assoluto ovviamente sanzionato con salatissime contravvenzioni.
La preoccupazione rispetto a queste tendenze regolamentatrici – così in contrasto con la concezione ormai consolidata da almeno 200 anni nella pratica delle attività outdoor in ambiente montano, che vede lo spazio naturale come un luogo di esercizio della libertà e della responsabilità personali – non è solo un puntiglio di pochi esaltati, ma rappresenta sicuramente uno dei temi all’ordine del giorno per le grandi associazioni depositarie della cultura dell’alpinismo e dell’escursionismo.
Le preoccupazioni del mondo dell’alpinismo e della montagna
Lo dimostra il manifesto dell’Assise dell’Alpinismo, documento col quale le principali associazioni francesi di montagna (Fédération française des clubs alpins de montagne, Fédération française de la montagne et de l’escalade, il Groupe de haute montagne, il Syndicat national des guides de montagne, il Syndicat national des gardiens de refuge et gîtes d’étape, il Syndicat national des professionnels de l’escalade et du canyon, il Syndicat national des accompagnateurs en montagne, l’Union des centres sportifs de plein air, la Grande Traversée des Alpes e Mountain Wilderness) si sono date lo scopo comune di promuovere determinate tematiche fra le quali spicca quella della libertà di accesso ai luoghi della pratica delle diverse discipline outdoor.
Ancor più mirata è la funzione dell’Osservatorio per la Libertà in montagna, istituito nel 2012 dal Club Alpino Italiano, dall’associazione Guide Alpine Italiane, dal Club Alpino Accademico, dal Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico e dalla Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo Scialpinismo e Arrampicata libera del CAI. Proprio al fine di “evitare regolamentazioni unilaterali e limitazioni della pratica alpinistica da parte di autorità e privati, assicurare e promuovere il libero e responsabile accesso ed esercizio alpinistico in montagna come forma di un’esperienza unica che va garantita anche alle generazioni future”.
Il timore condiviso da molti è appunto che, dopo la pandemia di CoViD-19, regolamenti unilaterali e limitazioni diventino la norma socialmente condivisa e accettata.
I mesi di lockdown in fondo hanno dimostrato non solo che si possono sospendere libertà costituzionali fondamentali, come quella di movimento nell’ambito del territorio nazionale, ma anche che la collettività è decisamente ben disposta e docile rispetto a queste limitazioni, allorquando siano applicate in nome del bene superiore della pubblica sicurezza.
Porte spalancate alla società sicuritaria dunque? Certo qualche timore in tal senso è più che giustificato, ma forse ci sono buone ragioni per intravvedere anche la possibilità di sviluppi positivi.
Quelle limitazioni e quei regolamentazioni unilaterali, che fino a pochi mesi fa andavano a incidere sulla vita di pochi e sparuti gruppi sociali (escursionisti, alpinisti, scialpinisti, ecc.) oggi sono esperienza collettiva di tutta una nazione, qualcosa che si fa presente nella quotidianità di ciascuno di noi.
Tutti abbiamo percepito la differenza che passa fra un provvedimento drastico, ma adottato secondo un criterio di razionalità e con la chiara finalità di scongiurare il verificarsi di un disastro collettivo, e le regolamentazioni isteriche e prive di un fondamento basate su constatazioni sensate, il cui vero obiettivo, più che che evitare o contenere un danno, è piuttosto quello di evitare che un giorno qualcuno possa accusare il legislatore di non aver preso tutti i provvedimenti necessari per evitare che il danno si verificasse.
Il rischio di derive sicuritarie
Oggi è chiara a tutti, perché tutti l’abbiamo sperimentata, la differenza che c’è, ad esempio, fra il divieto ad uscire di casa imposto come estremo argine a un virus ormai fuori controllo, e certi provvedimenti di dubbia razionalità, come quello emanato nelle scorse settimane dal sindaco di Genova, la città dove vivo, che impone l’obbligo di utilizzo della mascherina anche quando si sta all’aperto, indipendentemente dalla presenza o meno di altre persone a distanza ravvicinata.
L’incongruenza di tale imposizione è palese: quando si mantiene la distanza di almeno 2 metri dagli altri, indossare la mascherina è solo un inutile aggravio di disagio, che, probabilmente, gran parte dei cittadini finiranno comunque col disattendere, senza che nessuno se ne accorga.
Quei pochi sfortunati che verranno colti in “flagranza di reato” si vedranno forse appioppare qualche odiosa sanzione (odiosa proprio in quanto sanziona un comportamento che in realtà non è dannoso per nessuno), impartita da qualche zelante funzionario.
Credo sia evidente la ratio di provvedimenti come questo: vietare un comportamento di per sé innocuo per timore che i cittadini ne abusino, sconfinando nell’illecito e provocando danni alla società. Un po’ come vietare l’uso dell’automobile per paura che qualcuno vada contromano.
Questo è proprio uno di quegli esiti paradossali a cui può giungere la deriva sicuritaria che tanti appassionati di montagna da anni denunciano e contrastano.
Dietro questa denuncia non c’è la pretesa di poter fare sempre e in ogni caso quel che si vuole, quanto piuttosto la volontà di difendere la propria libertà di azione e di scelta anche quando questa espone al rischio dell’errore, del fallimento, del danno per sé e per gli altri.
Tale rischio, infatti, fa parte dell’essenza stessa della libertà, che, come ci hanno insegnato coloro che hanno traghettato l’uomo occidentale fuori dalla sua “condizione di minorità”, è qualcosa di grande e allo stesso tempo terribile.
Agire preventivamente in nome della sicurezza per chiudere ogni spiraglio all’errore e al pericolo equivale a soffocare lo spazio vitale della libertà.
Tutela della salute e della libertà
È in questa forbice che occorre trovare il delicatissimo e sempre dinamico equilibrio fra i doverosi interventi a tutela della salute e le isterie sicuritarie, avendo sempre consapevolezza che le decisioni, più che dai principi assoluti (Libertà vs Sicurezza), dovrebbero essere orientate dalla constatazione delle conseguenze.
Quanti incidenti, quanti morti, quanto dolore costa il nostro modo di esercitare la “libertà di andare dove voglio” fra le montagne? Quanta infelicità, quanta frustrazione, quanta perdita in qualità della vita e in realizzazione di sé stessi si paga all’idolo della sicurezza?
Esercitare la libertà, dicevamo, significa essenzialmente e inevitabilmente esporsi al pericolo (ossia al rischio che si verifichi un evento dannoso) e l’esperienza di questa esposizione è qualcosa che in determinate situazioni e ambienti è più in evidenza rispetto ad altri.
Chi ha a che fare con l’ambiente naturale, come gli appassionati di montagna, conosce bene il senso di sottile inquietudine che precede e accompagna l’escursione lungo un sentiero, una salita alpinistica o una discesa in scialpinismo.
L’abitudine lo rende quasi impercettibile, ma quello stato di allerta ci accompagna sempre ed è pronto a manifestarsi al minimo inconveniente.
Scegliere di fare una certa escursione è un esercizio di libertà e lo si attua mettendo in campo tutte le proprie risorse emotive e cognitive: ci spingono la fantasia, la passione e il sogno, in un serrato confronto con l’esperienza, la consapevolezza delle proprie capacità e la conoscenza delle difficoltà da affrontare.
Si può essere più o meno prudenti in questo confronto con se stessi, ma, in ogni caso, la scelta che ci porta “là fuori” ci mette in una situazione di rischio, in quanto ci espone ai pericoli di un ambiente dove, chiaramente, la sicurezza non può essere garantita.
Lungo il sentiero ci può cogliere un temporale, una banale scivolata può avere anche conseguenze letali, una salita alpinistica espone ai pericoli di un ambiente che non è esagerato definire ostile e una gita sugli sci o con le ciaspole impone il confronto con quell’elemento mai completamente prevedibile che è la neve.
Esercitare la libera scelta di andare nella natura significa mettersi nelle condizioni di poter subire e/o provocare un danno a se stessi e agli altri.
Questa, però, non è una condizione specifica dell’attività outdoor, ma qualcosa che pertiene a tutta l’esperienza umana.
Non abbiamo forse percepito la stessa inquietudine nei primi giorni di libertà dopo il lockdown, quando abbiamo avuto la possibilità di uscire di casa e abbiamo dovuto decidere se e come “avventurarci” nel mondo esterno a casa, affrontando il pericolo di un virus che sappiamo essere ancora presente?
Forse il maggior contributo che attività come l’escursionismo e l’alpinismo, che spesso vengono definite con ironia “socialmente inutili”, possono dare alla collettività sta proprio nella loro consapevolezza e “confidenza” con l’essenza rischiosa dell’esercizio della scelta e della libertà.
Ambiente naturale – Ambiente cittadino
Vale la pena di riflettere sulla distinzione, spesso data per pacifica e acquisita, fra l’ambiente naturale (outdoor) come luogo dell’incertezza e dell’esposizione al pericolo e l’ambiente umano e cittadino (indoor) come luogo dove tutto può essere “messo in sicurezza”, gestito con attrezzature e organizzato in base a procedure che, se ben applicate, possono dare la certezza che andrà tutto bene.
È davvero così? Quello che è avvenuto con la pandemia di CoViD-19 non ci ha forse dimostrato che le cose stanno in modo affatto differente?
Nelle prime settimane di diffusione del virus in occidente da più parti si è sentito evocare il celebre “cigno nero”, esempio paradigmatico dell’evento inatteso, imprevedibile, di ciò che si fa beffa di tutte le certezze e le procedure.
La pandemia e il suo sviluppo hanno imposto alla coscienza collettiva della società ciò che, fino a qualche mese fa, era esperienza possibile solo nel privato: appunto l’imprevedibile, l’irreparabile, ciò per cui non siamo preparati e rispetto a cui non c’è prevenzione o rimedio.
Lo scandalo, l’ineluttabilità della malattia e della morte sono qualcosa che ciascuno di noi, singolarmente, sperimenta e conosce, ma la collettività, almeno fino a prima della pandemia, ne aveva una percezione ben diversa.
Chi, fino all’apparire di questo cigno nero, si sarebbe mai immaginato che una tale tempesta potesse imperversare da un capo all’altro del Pianeta, senza che tutta la nostra scienza e la nostra tecnologia potessero fare qualcosa per arginarla? A fare la differenza nella battaglia ancora non conclusa contro questo mostro non sono state le procedure e le attrezzature.
Basti pensare che, alla fine, l’unica arma di cui abbiamo potuto disporre, assolutamente rudimentale e primitiva, è stata la stessa con cui si combattevano le epidemie ai tempi di Renzo e Lucia o del Boccaccio: l’isolamento e il distanziamento sociale.
L’insegnamento collettivo di questo cataclisma è abbastanza chiaro: non è vero che “qui dentro”, nell’ambiente umano, si può dare una condizione di non esposizione al pericolo.
Non è vero che attrezzature e procedure sono il viatico per la sicurezza assoluta. Anzi, tale supposizione è forse la più grande delle illusioni e il maggiore dei pericoli, perché ci rende ciechi e sordi, come chi finisce in un fosso perché tiene gli occhi fissi sulla mappa piuttosto che guardare il terreno che gli sta attorno.
La mappa non è il territorio e, in caso di discordia fra i due, è meglio, per la propria salute, ricordarsi che è sempre il territorio ad avere ragione…
Questa è una delle consapevolezze più importanti che possiamo trarre dalla frequentazione dell’ambiente naturale.
Se davvero la montagna e la natura, come si suole dire, sono maestre e palestra di vita, questo è l’insegnamento che possono dare e che varrebbe la pena di promuovere e valorizzare: la sicurezza assoluta è una superstizione e la vita, in qualsiasi ambiente e condizione (sia outdoor che indoor) è costante esposizione ai pericoli.
Le attrezzature, le procedure, le regole e i divieti sono solo un ausilio per affrontare siffatti pericoli e non una garanzia di poterli evitare.
Quando il cigno nero compare, quando il pericolo si manifesta, non sono le “calzature idonee” quelle che ci salvano, ma la nostra capacità di decidere cosa è opportuno fare e cosa no, e di farlo guardando al territorio e non alla mappa.
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non ci illudiamo affatto, sappiamo benissimo che siamo in un sistema che limita la nostra libertà. C’è chi lo accetta completamente perchè gli fa comodo, c’è chi proprio non si fa domande e gli va bene così.
C’è chi invece di domande se ne fa e tante. Vive in questo sistema cercando di non far stritolare del tutto il proprio libero pensiero critico. Serve a cambiare qualcosa? Sicuramente no. Ma almeno a vivere da esseri pensanti che non beccano sempre dove il sistema sputa.
…..è proibito proibire…..
Sulla libertà non esprimo più commenti. Ognuno si goda quella che ha se ne è capace.
Caro Antonel, ti devo 2 precisazioni:
1) so anch’io cos’è il terrorismo. Sono nato a Genova a due passi da dove è stato ucciso il povero Guido Rossa e dove si trovava il covo della colonna BR Ludmann. Ho avuto i padri di amici e amiche gambizzati e uccisi e pure “militanti” che si sono persi o ritrovati, ma questo lo sanno solo loro.
Comunque sono del “61 e nel “68 mi ciucciavo ancora il dito, per fortuna, perché non so se quello vostro sis davvero servito.
2) il tuo QI quanto è?
Pisano d’adozione.
Non ho mai smesso (compatibilmente) caro Simone. Ne’ saggezza ne’ ascetismo (non sono di mia competenza). Ognuno ha il suo ruolo nella commedia. Solo un po’ di buon senso di piccola taglia fondato sui tanti errori commessi. Buona nuova settimana.
..devi..
Pasini stai diventando troppo saggio ed ascetico…devo tornare per monti!!
@antonel. Chiudiamo in modo leggero, ma non tanto, questa domenica di fine giugno. Come tu probabilmente sai, il QI misura uno dei tanti tipi di intelligenza: l’intelligenza logico-simbolica. Spesso risulta poco correlata con l’intelligenza psico-motoria, fortemente sviluppata in molti climber. Il caso del nostro stimato prof. Monaco, eccellente in entrambe, è abbastanza raro, ma lui è pisano, mi pare, e i pisani hanno storicamente caratteristiche di eccellenza peculiari, a parte il carattere. Se guardi un po’ le biografie di molti famosi climber noterai che molti non hanno portato a termine gli studi, molto probabilmente perché poco adatti alle costrizioni del sistema educativo e al tipo di prestazione prevista in modo privilegiato dalla scuola tradizionale non montessoriana (a parte le questioni economiche). Il tuo criterio, applicato rigorosamente, trasformerebbe dunque in paria molti personaggi che ammiriamo. Che la libertà, l’eguaglianza e la fraternità siano con te e con i ricordi del 68 capitolino. Ad maiora.
risposta al commento 63 di Cominetti: io invece sono razzista,non per il colore della pelle nè per il censo,bensì per il quoziente intellettivo.Confinerei volentieri quelli che hanno un QI inferiore a 100 perchè deficienti o stupidi.Quanto alla “libertà” argomento del pezzo devo farti constatare che nessuno è realmente libero nemmeno tu.Tutti siamo inseriti in un sistema dalla nascita alla morte (numero di iscrizione INPS, codice anagrafico,codice tributario,libretto di collocamento, busta paga, ricevute, fatture,eccetera) ed il sistema lo abbiamo accettato,chi non lo accetta è fuori.Mi sembra che parli a sproposito di libertà visto che siamo prigionieri e schiavi di una società capitalistico-consumista e ci illudiamo di essere liberi,ma facciamo ciò che il sistema vuole mai quello che vogliamo noi.Quanto al terrorismo io ho fatto il ’68 a Roma quando occupavamo la scuola e facevamo le barricate contro lo strapotere della democrazia cristiana e contro i fascisti che a quell’epoca brulicavano da ogni parte.Sono del 51 ed il terrorismo l’ho visto in faccia di persona.Saluti.
spezzo un alancia, metaforica, in favore di Cominetti.
Credo che lo spessore, la profondità e originalità della persona traspaia da tutti i suoi scritti e quindi quel metterei le bombe si poteva ben prendere come una metafora infelice.
Apprezzabile la sua precisazione, perchè la violenza, anche in forma di metafora, aiuta poco e spesso offre argomenti a coloro che invece argomenti meno bombaroli possono utilmente contrastare.
Nel merito tuttavia condivido quello che dice Cominetti e anch’io trovo sempre più disagio a confrontarmi con un paese che trovo ogni giorno più degradato, dove non vi sono più regole, dove anche il solo andare per la strada è diventata un’avventura per stomaci forti… e non parliamo di aver a che fare con le istituzioni.
Sarà l’età, ma se sino a qualche tempo fa pensavo che per la liberà si potesse combattere in mezzo agli uomini e ho passato la vita a farlo e, nel mio piccolo o grande, continuo in quella direzione, me ne andrei anch’io volentieri in qualche bel paesino sperduto delle mie valli (anche son lontane da quelle dove vive Cominetti, senza motoseghe ma con una zappa e un pò di animali da cortile e non (che non mangerei), perchè ormai temo che l’unica vera forma di libertà sia star lontano dal meccanismo sociale che negli ultimi trenta anni ci è stato pesantemente imposto e dagli homini antropocentrici che ha prodotto.
Tuttavia in tutta questa diatriba, che ho letto un pò in velocità perchè oltremodo noiosa, mi ha colpito un anatema lanciato a Cominetti e rimasto senza commento.
E che mi è parso più inopportuno e assai più volgare di alcuni accenni naif all’essere terrorista.
.
ok Marcello. Non dire più, neppure per scherzo, metterei delle bombe. A chi come me aveva 20 anni e quel giorno era in Statale vengono i brividi ( e prudono anche un po’ le mani, anche se ormai vecchiette). Grazie.
Premetto che detesto la violenza e il mio dire che avrei fatto il terrorista capisco sia facile da fraintendere. Chiedo scusa per questo.
Mi scontro giornalmente con ingiustizie e squilibri sociali portati avanti da incapaci che si trincerano dietro poteri acquisiti con la disonestà. Sono per me la feccia umana (un po’ come i cannibali di Crovella che noto anch’io, ma non mi disturbano più di tanto) che metterei ai servizi sociali, per non dire di peggio. Se li descrivessi qui mi verrebbero a prendere i carabinieri a casa. Ecco, quelli li terrorizzerei volentieri. Terrorista in tal senso. Credo che ognuno di noi provi sensazioni simili e vorrebbe fare il terrorista contro le ingiustizie che vede e a volte subisce.
Va meglio?
Cominetti, lo dico con rispetto e anche dispiacere. Avevo pensato di tacere ma poi certi ricordi e certe ferite personali me lo hanno impedito. Leggo sempre con interesse quello che scrivi. Trovo i tuoi racconti divertenti e stimolanti. Perché te ne esci con queste battute sul terrorismo? Sei di Genova, dove Guido Rossa, un mito per molti di noi che hanno vissuto quegli anni, fu ucciso dai terroristi. Sei un uomo maturo, una guida a cui le persone affidano la loro vita, un padre e un punto di riferimento. Conosco persone che sono venute in montagna con te e che ti stimano. Queste parole mi hanno creato un grande imbarazzo. Non sono degne di te. Sei molto meglio. Va bene amare la provocazione ma questa volta hai esagerato. Sinceramente.
Per fare l’apologia del terrorismo queste quattro banalità non bastano. Non sai di cosa parli, e non è che mi interessa neanche continuare in questa discussione imbarazzante. Rilevo solo che non sei credibile. Amen
Cornioli ricordati che il terrorismo non è solo l’Isis odierno (creato dagli Usa e poi abbandonato a se stesso) ma assieme alla guerriglia ha scandito la storia delle ingiustizie verso il popolo. Il Sistema in cui viviamo a me non piace e lo trovo squilibrato a favore della disonestà e della furberia, quindi lo combatto ma civilmente, comportandomi in maniera un po’ anomala. Se fossi più giovane e probabilmente meno codardo qualche bomba la metterei. Se questo non ti piace e mi trovi disgustoso non so cosa farci. Sapessi quante cose e persone io trovo disdicevoli ma vivo lo stesso.
Cominetti se continua a disturbare la lezione, la mando da Preside.
VannoVengonoOgni tanto si fermanoE quando si fermanoSono nere come il corvoSembra che ti guardano con malocchio…
FD
(Fabrizio De Andrè, Le nuvole)
Per uscire dal tema. Anni ’80, ma prima dell’inizio della caduta dei regimi comunisti, avevo dato un passaggio sul mio pullmino Volkswagen T3 a una coppia di alpinisti polacchi dalle 3 Cime fino a Misurina. Un tragitto che richiede circa un quarto d’ora di viaggio. Avevano addosso un forte odore di cipolla che quasi mi faceva lacrimare gli occhi, ma almeno erano simpatici e pieni di entusiasmo. Il mio pullmino non era certamente da usarsi come testimonial dell’arbre magic, ma quell’odore di cipolla era davvero esagerato. Dopo qualche mese mio padre si mise alla guida del T3 per portarlo in officina per normale manutenzione mentre io ero all’estero per montagne. Al mio ritorno, quindi dopo altri mesi di tempo, la manutenzione non era ancora stata fatta e mio padre mi disse che era stato a causa del forte puzzo di cipolla che emanava l’abitacolo del mezzo e che lui, persona estremamente parca quanto spartana nella vita, non ce la faceva a guidarlo anche se per pochi minuti per raggiungere l’officina.
@124: se ti esprimi in modo criptico, il destinatario del tuo messaggio non capirà mai
Crovella invita a smettere, richiama e spera non occorrano ulteriori azioni…
Non è che si sarà montato la testa un filin di troppo…forse troppe cipolle!
Comunque, come si reagisce credo sia sintomatico di quello che si pensa: qualcuno si polemizza, qualcuno si defila e qualcuno pretende la repressione.
Come sono sintomatiche le metafore che si scelgono parlando di montagna
A completamento del commento 124:
“Non discutere mai con un idiota: la gente potrebbe non notare la differenza.” Di A. B.
“Io non parteggio per nessuno, mi oppongo solo a chi sragiona.” Di A. G.
Duri, tutti, ma ancora perfettamente calzanti coi nostri tempi.
“Se non riesci a demolire un ragionamento, demolisci il ragionatore.” di P.V.
“La croce è fatta di due bastoni, uno lungo e uno corto. Scegli quello che vuoi ma uno ti tocca.” Di mio nonno.
Forse sarà perché sono tornato in VdA dopo tanti mesi ma certi dibattiti mi danno questa sensazione. Lo scalatore, abile, competente, parte bene, fluido, armonico, equilibrato, poi improvvisamente perde il controllo, va in affanno, si scompone, inizia a inveire. Umano, molto umano, a chi non è capitato. Però, cari vecchi ragazzi, siamo tutti persone di esperienza, avremmo dovuto imparare a mantenere il controllo anche nei passaggi difficili. È comprensibile, ma brutto da vedere dal basso. A me dispiace sempre per lo scalatore che fino a quel momento ho ammirato e vorrei dirgli : “Fermati, prendi fiato, ritorna in equilibrio, ce la puoi fare!”
Il minimo della motosega è argomento sacrosanto. Per non parlare dell’affilatura della catena. Ho 3 motoseghe e passo il tempo, che magari altri dedicano alla TV , nel bosco. Vivo nel mio mondo con obbligate parentesi nell’altro perché mi reputo una persona civile.
Sul resto sorvolo che è meglio, perché do il giusto peso di ogni giudizio a seconda della bocca da cui proviene. Ma questo è un problema mio.
Faccio solo presente che in ogni mio commento non sono mai venuto meno al tema della libertà contemplato nell’articolo. Avrò espresso punti di vista discordanti con quelli di qualcuno tanto da essere addirittura RICHIAMATO. Come qualcosa di difettoso e che tende a sovvertire un ordine stabilito da qualcuno che si è nominato giudice.
Mi sbaglierò, ma mi sembra che ci dia qualcosa di fondo che non va.
No, non credo di straparlare. Da qualche tempo tu hai preso una deriva molto maleducata, fastidiosa e per nulla utile alla qualità del dibattito sul Blog. Mi hai portato alla conclusione che, se non sai più auto-limitarti entro i limiti della civile convivenza, sarebbe meglio per tutti non vedere i tuoi contributi, né più né meno come ieri è stato espulso Sgarbi, il cui comportamento non è risultato consono. Ti ho già invitato nei giorni scorsi a smetterla con questo modo di fare, lo dico ora esplicitamente al di sopra di ogni possibile dubbio interpretativo. Mi auguro che non ci sia più bisogno di ulteriori richiami.
Ma che c’entrano un chitarrista ed uno stuntman? Chiunque potrebbe citare qualche nome noto nel proprio ambito ma sconosciuto ai più. Affermare poi di non sapere chi è Sgarbi è chiaro atteggiamento snobistico: in qualsiasi bar di sicuro, anche solo per farsi due risate, qualche volta se ne è parlato (oltre che di come si regola il minimo della motosega).
Crovella dai. Rido per non piangere. Le tue opinioni le rispetto in nome delle differenze che ci sono tra gli individui ma il pianeta senza esseri umani è stratosferica. Cazzo si scrive con la zeta e non con la ics! Ma che fai? Giochi a fare il prete?
Non credo che questo blog vada sanificato da chi la pensa come me o diversamente da te. Non credi di straparlare?
E chi sarebbe Sgarbi?
Se ti parlo di Andy Fairwheather Low o di Evel Knievel sai chi sono?
Ma io non ho affatto la posizione di Antonel. Verificate il commento n. 97. Sottolineo questo solo per dimostrare che molti di voi leggono con estrema superficialità e poi parlano a vanvera, specie quando coinvolgono i risvolti personali degli altri commentatori, stile Cominetti che si suiciderebbe se suoi figlio fosse come me.
Faccio appello a tutti gli interessati alla “sanità” del Blog affinchè facciamo capire a tutti che questo tipo di commenti non fanno bene al Blog stesso. Chi li fa si riduce ad alter ego di Sgarbi che ieri è stato addirittura portato fuori di peso dalla Camera dopo aver insultato due sue colleghe di partito. Il Blog non ha bisogno di queste cose e sollecito anche un comune autocontrollo di tutti in tal senso, altrimenti si mescolano le considerazioni sui temi propositi con caxxate a vanvera. Queste ultime meglio non coinvolgerle, non credete?
Piuttosto vi invito a leggere questo articolo sul ritorno della foca monaca nell’Isola di Capraia:
https://www.lastampa.it/la-zampa/altri-animali/2020/06/25/news/isola-di-capraia-la-foca-monaca-torna-nella-sua-grotta-dopo-60-anni-1.39009820
La cosa bella è che c’è di nuovo la foca (viva la foca!), la cosa brutta è che, nonostante le ordinanze, pare che qualche “fenomeno” sia entrato con la barca nella grotta, rischiando di disturbare e quindi far scappare la foca.
Ecco se le “carestia” (come l’ha definita Pasini) che sta incombendo sulle nostre teste dovesse portare all’eliminazione delle tentazioni “turistiche” e far tornare il pianeta allo stato naturale… ebbene viva la carestia! Da tempo mi sono convinto che la libertà, la vera libertà è auspicare un pianeta senza la specie umana.
Infatti come vengono definiti i dipendenti (che sono persone!!!) dagli esperti?
RISORSE UMANE.
E nelle grandi aziende ci sono i: RESPONSABILI delle risorse umane. Che di solito sono incaricati di spremerli.
I Sabaudi mangiavano/no pane e cipolla ma i Savoia…???
Gallese, ho tutto il rispetto per chi se la passa male economicamente anche perché rientro nella categoria, nonostante le paventate eredità (magari!) attribuitemi da Bortot . Faccio parte di un settore in crisi da sempre, le guide alpine, e proprio per questo siamo diventati nel tempo maestri dell’arrangiarsi. Ricordo però che ogniqualvolta la mia categoria ha sollevato il problema dell’abusivismo, che rappresenta il più grande ostacolo allo svolgimento sereno e legale della nostra professione, c’è sempre stata una levata di scudi da parte di associazioni parrocchiali d’ogni sorta e di alpinisti della domenica, in nome della sacrilega mercificazione della montagna. Non mi sembra che, a parte problemi evidenti di carattere legale, noi guide alpine si stia sempre lì a piangerci addosso in attesa del collasso crovelliano.
Come anche l’alpinismo insegna, gli ostacoli vanno superati e non solo discussi.
La mia posizione opposta al modello Crovella-Antonel deriva dalla mia esperienza di vita nei confronti dell’economia tutta. Quando Crovella scrive che lui è professionalmente coinvolto nell’analisi economica e che le sue sono le sole fonti attendibili, scappo a gambe levate!!! Mi ribello e ribadisco che se un mio figlio fosse così probabilmente mi suiciderei. Da che mondo è mondo l’economia è lo strumento (o l’arma) del potere nei confronti del comune cittadino (che infatti Crovella non è dichiaratamente) che vede nel.cosiddetto capitale umano una risorsa da sfruttare. Poi l’educazione sabauda ti fa mangiare pane e cipolla ma intanto da lunedì a venerdì giochi a rischiatutto sulla pelle del cittadino di cui non fai parte. Mi sembra un po’ tutto orientato da una parte sola. Io in quel calderone non mi ci sono mai sentito e non ci voglio finire, come nella barzelletta del bunga bunga.
Tra poco va in ombra la falesia dove andrò a scalare. Ora questo è il mio pensiero.
Se vogliamo aggiungere un comparto cui si pensa sempre poco, dovremmo parlare del terzo settore.
Dato che in questo blog spesso si chiacchiera di sensibilizzare, di informare, soprattutto i bambini, sappiate che migliaia di cooperative come la mia sono per terra.
La chiusura delle scuole e la mala gestione della stessa, sta distruggendo un intero comparto essenziale, sotto il profilo culturale ambientale.
Noi teniamo duro, sappiamo fare bandi e stiamo morendo a scriverne, ci siamo inventati di tutto per campare. Il governo, a noi piccoli non blasonati, è stato solo capace di offrire prestiti agevolati.
Non ci lamentiamo e andiamo avanti a testa bassa. Ma è una discreta catastrofe per centinaia di migliaia di persone, già abituate a pane e cipolla.
Io ho le mie fonti di informazioni di stampo professionale e quindi molto attendibili e fondate. Il riferimento a TV e giornali è per dire che “ma voi, che siete normali cittadini (e non coinvolti come professionisti dell’analisi socio-economica) non avete proprio la minima cognizione della realtà che ci circonda? Basta ascoltare quello che dicono e che riportano i comuni mezzi di informazione…”
Dico questo perché il tema dell’articolo parlava di “bisogno di libertà”. Se stessi a vedere tutto il negativo che c’è intorno (ma voi che lo trattate come pane quotidiano, cosa fate per migliorarlo?) parlandone al prossimo col solito tono di minaccia tanto in voga, farei trascorrere il tempo che potrei dedicare a cose più allegre e pure più produttive.
Sono in un bar a bermi un caffè e ascolto. Di economisti, politici e tuttologi che tengono comizio, mi sembra ce ne siano già troppi. E fuori non succede niente.
Grazie Bortot, incasso e mi spiego. La crisi economica che avrebbe colpito maggiormente l’Italia e altri 3 paesi nel mondo (già questa sa di bufala), è sicuramente provocata dal virus che ha bloccato molte attività ma pure dal vivere al di sopra delle possibilità di una grande quantità di persone. Le crisi spesso servono a fare un bel reset, se vogliamo vederne un lato positivo. Vivere nel paese del Bengodi a vita è impossibile. Nel mio piccolo vedo che mio figlio si è adattato a fare un lavoro che non è certo il suo ma lo pagano e ha rinunciato a certe cose che la situazione attuale non rende consigliabile affrontare. Mia figlia finita la scuola lavorerà tra pochi giorni in un rifugio perché vuole comprarsi un’automobile (mica gliela compro io), in luogo di andare al mare con le amiche. Certo, questo non fa riaprire i cinema di Belluno ma mi fa pensare che se vuoi/puoi vivere a “pane e cipolla” (cosa che condivido pienamente del buon Crovella), significa che prima pretendevano troppo. Senza fare nomi, nei parcheggi di una nota azienda del bellunese, le auto degli operai sono spesso molto più costose di quelle dei dirigenti. Questo non lo dicono né i giornali, né la TV , ma se ci passi converrai anche tu che sia quantomeno strano e però strettamente collegato alla crisi di cui parli.
In casa mia la TV non c’è da decenni e decenni e i giornali li leggo, anche se sono vecchi, per passatempo nelle sale d’aspetto o nei bar. Infatti vivo in un mondo tutto mio ma non sopporto di informarmi da chi vuole farmi essere pecora di un branco cui non voglio appartenere.
Se non facessi la guida alpina farei il terrorista ma l’ho capito tardi e ora per la seconda opzione sono troppo adulto, quindi continuo a scalare montagne finché non mi arriverà un sasso in testa.
Credo che la vita duri un lampo. Cerco di prenderne quello che mi sembra il meglio.
Verissimo, la situazione di quasi normalità che stiamo vivendo è sicuramente molto alterata dal blocco dei licenziamenti. Non so se quando questo verrà tolto ci saranno “milioni di affamati per strada”, ma sicuramente vivremo una profonda crisi, aggravata dal fatto che lo spazio di manovra è molto stretto a causa del debito pubblico già enorme.
Italia tra i 4 Paesi al mondo più colpiti dalla crisi economica„”Dalle mie parti tutto ha ripreso normalmente”!? Ma come si fa a scrivere una fesseria del genere? Probabilmente per Cominetti il lavoro è un optional, forse può contare su una cospicua eredità ma di certo Crovella ha pienamente ragione e non lo dicono solo giornali e televisione. L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ci ha classificati tra i 4 paesi al mondo che hanno subito il danno economico più pesante e che faranno più fatica a risollevarsi, per non parlare di cosa accadrebbe nel caso di una ripresa dei contagi. Settori come meccanica, elettrodomestici, auto, trasporti, artigianato, edilizia, cinema, concerti hanno subito cali di oltre il 20% e non è che ora le cose vadano meglio mentre lo Stato ha portato il livello di indebitamento a cifre mai viste e prima o poi pagheremo il conto. Per quanto riguarda il turismo la realtà è che le città d’arte, le spiagge sono ancora mezze vuote ed è là che si formano i grandi numeri; può essere che in certe aree montane le cose vadano meglio (qui a Belluno no) ma l’incidenza economica è minima, a parte per chi ci vive. Cominetti trova ridicolo chi si informa leggendo i giornali? Continui pure a basarsi su ciò che vedono i suoi occhi, sentiremo sicuramente altre panzane come questa.
Ma Crovella, davvero basi la tua informazione su televisione e giornali? Ora si spiegano tante cose!!!
Capisco poco di metafore (che avrebbe capito un bambino se ci riferiamo a quelle stra-ribadite puntualmente a ogni commento del “nostro”) e di economia, ma so che per generare capitale serve che soldi e lavoro girino. O mi sbaglio? Quindi ogni attività sarà produttrice di reddito tasse e capitale, incluse quelle legate alla montagna come al mare alle città d’arte, ecc. Io non so dove vive Crovella (a Torino, ma non so cosa vede con i suoi occhi) ma dalle mie parti (Veneto e Trentino Alto Adige) tutto ha ripreso normalmente. Hotel, ristoranti rifugi, funivie, noleggi di attrezzature, beauty farm e tutto il resto. La gente prenota, arriva, consuma e gira normalmente, mettendo la mascherina al chiuso e tenendo la distanza di un metro. Ormai tutti si sono abituati e portano pazienza. Anch’io vivo in maniera semplice alla “pane e cipolla” e certe cose del sistema anche prima mi facevano orrore, ma vedo che sono riprese con slancio. Ora mi trovo in Ogliastra (Sardegna) dove la situazione è identica. Gli operatori sono ottimisti perché per luglio e agosto c’è il tutto esaurito (infatti tra due giorni torno in montagna) e comunque ora ci sono tedeschi e svizzeri oltre a italiani, che scalano, pedalano e camminano sui sentieri. Sono un po’ meno del solito ma i locali e le spiagge sono piuttosto popolate. Insomma, c’è aria di normalità. Io giro per falesie e vado in bici e incontro altri appassionati (cannibali compresi) e amici e conoscenti. Ci salutiamo col gomito ma interagiamo normalmente. Poi magari collasserà tutto e correremo all’assalto dei supermercati come preannunciato da Crovella, che sicuramente s’intende di economia più di me, ma per ora io preferisco stare al gioco, fare la mia vita secondo i principi di sempre con famiglia e amici, anche perché riesco a lavorare un po’ e magari qualcosa da mettere in tavola per ora me lo procuro, ma nel frattempo VIVO, perché lo scorrere del tempo non mi sorprenda troppo vecchio, o morto della tristezza che non ho. Faccio cose che mi piacciono, insomma. Da solo e in compagnia. E poi vedremo…
Allora faccio bene a preoccuparmi
Non ho paura della carestia. Io vivo con pane d cipolla anche in citta’. Per cuo sd arriva la fame e molti concittadini abbandoneranno lo stereotipo consumista non potro’che esser contento. Pero’ che la crisi sia li’per scoppiare e fuori di dubbio: basta guardare i tg e leggere i giornali. Oggi non ci sono ancora per strada milioni di disoccupati solo perché c’è il divieto giuridico momentaneo di poter licenziare. Appena lo tolgono, avremo milioni di affamati per strada. Il regalo dell’Europa, ammesso che arrivi davvero, sarà subordinato a richieste di riforme molto profonde, che incideranno significativamente nel modus vivendi della popolazione italiana. Il sacrificio sd non sarà economico in senso stretto sarà molto severo in termini sociali. In questo contesto tutto ciò che non è strettamente necessario per la pura sopravvivenza verrà messo in dizcusdione. Fra queste voci potrebbe rientrare anche il sistema di soccorso per chi si avventura nell’outdoor e in particolare in montagna, in quanto la collettività considera queste attività come degli hobby. È irrilevante se chi fa montagna lo fa spendendo milioni o mangiando pane e cipolla, come me o Gallese. Stiamo parlando dei costi pubblici del sistema di assistenza garantito. Cmq chi non crede a queste mie valutazioni, si attivi nelle sedi opportune (parlamentari, ministri ecc) per sostenere le sue esigenze con adeguata attività di lobbying. Limitarsi a esprimersi proteste su un blog di montagna, per quanto importante, non produrrà nessuna modifica del trend. Bisogna contrapporsi a tale trend, sd non lo si condivide. Non e’ il mio caso, per cui non tocca a me darmi da fare per contrastarlo. Buona notte a tutti
@Crovella. Ognuno ha i suoi incubi. Il tuo è la carestia. Io temo invece un mare di soldi a debito, su cui già stanno affilando i denti squali e squaletti di ogni tipo, legali e illegali. La grande abbuffata della ricostruzione con un debito pubblico mostruoso. Ma il calabrone continuerà a volare. Non so bene perché continuerà a farlo, ma ho la percezione che così avverrà. Vedremo, intanto coltiviamo speranze, viviamo l’estate e magari compriamoci un gps collegato ad una polizza, non costano tanto. Come dico sempre ai miei, così non fate perdere tempo al Soccorso, trovate subito il caro estinto e non avete cause legali complesse per l’eredità(modesta).Alegher…alegher….non finisco il detto milanese perché piuttosto volgarotto, anche se Gogna ha sdoganato la parola culo.
Sul “lusso”, Carlo, non sono d’accordo. Io vado per monti (e parecchio in alto), quasi come i membri della Pel e Oss. E mangio quel che mi porto.
Andare in montagna in modo rustico e autonomo si può.
Però ho capito cosa volevi dire, tranquillo. Era solo una precisazione.
Finalita’ (e NON attivita’) fondamentali per la collettività nazionale sono, a titolo di esempio, l’istruzione (scuola), la sanita’ (che pero’ sara’ sempre piu’ sbilanciata sul fronte epidemie, dopo le recenti esperienze), la rete ferro-stradale, la rete infrastrutturale, il pagamento di stipendi pubblici e pensioni, la cassa integrazione per i lavoratori privati, i contributi a fondo perduto per le partite iva ecc ecc ecc. In parole povere, aiutare i milioni di potenziali disoccupati che saranno sull’orlo della fame. Se non arriva il “regalo” dell’Europa (che in ogni caso sarà molto inferiore a quanto ora prospettato, piu’ lontano nel tempo ed elargito a tranche) temo che vivremo tempi molto molto duri. Se davvero si configura uno scenario negativo del genere, l’assistenza a chi svolge attività ludiche, cioè att8vita’ come hobby (come è l’andar in montagna) potrebbe rivelarsi un lusso che la collettività non non avrà più voglia di permettersi. Gli appassionati di montagna saranno a dir tanto 1 milione, su 60 milioni di cittadini. Gli altri 59 milioni ci diranno: attaccatevi al tram, non vi diamo più i soldi per il soccorso pubblico e garantito. Sarà un discorso che verrà fatto a TITTE le voci di costo “collaterali”, quindi non solo alla montagna, ma certo coinvolgerà anche la montagna.
e qui mi preoccupo….quali saranno queste attività FONDAMENTALI ???
Per chi “non capisce” le metafore “privatizzare i profitti e nazionalizzare i costi” e come fare il frocio con il culo degli altri.
“Pochissimi riescono a comprender il linguaggio figurato e l’utilizzo di metafore. “
Eggià.
Per fortuna che ci sei tu che osservi, analizzi e pontifichi…sul dito