Cento meno Uno
(versi sparsi ben allineati)
di Matteo Bertolotti
(pubblicato su Lo Zaino 18 e su lozaino)
Pasqua 2022
Sto arrampicando con Silvano Arrigoni alla Cima alle Coste e all’improvviso, con la coda dell’occhio, riconosco un omino che si muove lentamente qualche centinaio di metri sotto di noi. Dai movimenti, simili a quelli di chi toglie la polvere dal proprio mobilio, riconosco Luca Pilati, che con Pino Moser è impegnato nella ripetizione e pulizia del suo itinerario preferito: la via Dinosauri. Un veloce saluto e dopo qualche ora ci appostiamo al Bar delle Placche Zebrate per parlare di progetti sorseggiando birre. Non ricordo quante ne ho bevute e nemmeno se il caldo della giornata fosse tale da giustificare un simile apporto idrico. Il clima è festoso e ripaga delle fatiche lavorative della settimana.
Ad un certo punto, Luca mi guarda e con gli occhi di un orsacchiotto che chiede un po’ di miele, sottovoce mi sussurra una frase: sto per farti una domanda alla quale devi assolutamente rispondere con un sì. Conosco Luca dal 2012 e so benissimo che certi sguardi, accompagnati da una tonalità di voce simile a quella del peccatore penitente, sono il preludio di una proposta alpinistica piuttosto intensa. Resto sorpreso quando, anziché parlarmi di ripide pareti, mi confida il desiderio di correre con me e altri amici la prossima edizione del Dolomiti di Brenta Trail. La gara si sarebbe corsa il 10 settembre partendo e arrivando al Lago di Molveno. Capisco che qualcosa non torna. Una proposta indecente l’avevo messa in cantiere, ma quella di correre su e giù per le erode, collezionando dislivello, proprio non me la sarei mai aspettata. Luca, di fronte al mio sguardo, quello di una persona che sa di aver esagerato con le birre, aggiunge: sai, il Franz poco dopo l’operazione alla testa e alle terapie aveva corso la versione lunga del trail (64 chilometri – 4200 metri di dislivello positivo, NdA). Una sberla a doccia fredda. Luca Franz Franceschini, trent’anni appena compiuti, da due anni non è più con noi per colpa di una fottuta malattia che l’ha portato via troppo presto.
L’invito, che in realtà vivo più come un dovere, viene alleviato dal fatto che avremmo corso la versione X-Terra, che prevede 45 chilometri di sviluppo e un dislivello di 2850 metri.
Non avevo ancora partecipato a gare di nessun tipo e da lì a pochi mesi avrei corso, insieme a Davide Martini e Alessandro Ferrari, la storica gara del Passatore. 100 chilometri ininterrotti che da Firenze conducono a Faenza. Certo, correre sui sentieri è ben diverso dal gareggiare sull’asfalto ma, a conti fatti, penso che sarà un buon allenamento.
Guardo il Monte Brento cercando un po’ di silenzio e penso che è il modo migliore per ricordare il Franz. Nessuna serata pubblica, con foto e brindisi, ma solo tanta fatica da condividere con un gruppo ristretto di amici, anche loro impegnati a vivere la mia stessa fatica. Sono convinto che ognuno di noi, durante la corsa, dialogherà in intimità con i propri ricordi.
Estate
Il caldo atroce dei mesi più importanti per un alpinista allontana da me la voglia di allenarmi, tuttavia capisco che non posso prendere sottogamba il trail che lentamente si sta avvicinando a me. È grazie all’ospitalità e amicizia di Susanna Martinelli e Alessio Guzzetti, che prendo il coraggio di percorrere, in solitaria e in giornata il Sentiero Roma seguendo la variante Risieri che, partendo da Predarossa, coincide con il tracciato del celebre Trofeo Kima.
Settembre – La settimana della gara
Lentamente si avvicina il weekend della gara e il venerdì pomeriggio prendo una mezza giornata di ferie, una delle ultime che mi rimane da consumare in questo strano 2022. L’idea è quella di salire a Molveno per evitare una sveglia antelucana e ritirare per tempo il pettorale. Data la vicinanza a Pinzolo, approfitto per organizzare una pizza con Mirko Ferrari. E l’occasione per dare una voce ai diversi messaggi scambiati negli ultimi tempi. L’incontro parte con uno spritz, poi un altro e poi un altro ancora, per finire con una birra media e una pizza. Le parole si susseguono disordinate come se fossero il filo di una grande matassa ingarbugliata. Sogni, viaggi, progetti e tanta semplicità quotidiana. Poi, la spiazzante domanda: ma sei davvero sicuro di voler correre il trail dopo tutto quello che hai bevuto? Rispondo all’amico dicendo che il mio obiettivo è quello di arrivare e che, come spesso Davide Martini mi ricorda, noi siamo alpinisti e non podisti. Prima di congedarci, Mirko mi offre la possibilità di dormire sul suo divano. Dopo una breve titubanza, accetto di buon cuore l’invito. Certamente alla gara arriverò più riposato.
10 settembre 2022 – ore 7.30
Dopo aver spillato sui pantaloni il mio pettorale con il numero 99 (porca paletta! un numero in più e avrei potuto avere il 100), e superato il controllo zaini, ha inizio la gara. Corro con la spensieratezza di un bambino, ben consapevole dell’intensa giornata che mi appresterò a vivere.
Intorno a me ci sono tante altre persone e mi interrogo sul perché della loro presenza a questa fatica. E incredibile guardarli negli occhi. Una comunità di sconosciuti, che si muove, anzi corre, insieme.
Raggiunto Andalo iniziano salite importanti e per me e tante altre persone, è impossibile continuare a correre. Qui si “macinano” i metri di dislivello più importanti e la fatica non lascia abbastanza spazio alla testa per elaborare le emozioni. È dopo aver superato il ristoro di Malga Spora che la mente inizia a mettere da parte la fatica e lasciare lo spazio alle emozioni, ed è così che il primo ricordo va al Franz e alle nostre, poche per la verità, giornate trascorse in parete. È la sua tenerezza ad alleviare la mia fatica, resa ancora più fastidiosa dai pesanti crampi che mi colpiscono e che non mi abbandoneranno per il resto della giornata. Chi passa a fianco a me riconosce il dolore che sto sopportando e tutti, chi con un cenno, chi fermandosi, mi chiedono se ho bisogno di qualcosa, di un aiuto. Prendo definitivamente coscienza che non sto partecipando a una competizione dove la rivalità corre alla velocità della luce. Sento il calore di una comunità che sta condividendo fatiche, emozioni, sorrisi. Mi accorgo di essere parte di un gruppo di amici, anche se è la prima volta che il mio sguardo incrocia quello di una ragazza di Helsinki che parla benissimo l’italiano o quello di Donato, un simpatico signore di Bergamo, con il quale condivido un tratto del percorso.
Una comunità unita che si muove per un obiettivo comune. Come dicevano i latini: Citius, Altius, Fortius. Communiter. Più veloce, più in alto, più forte. Insieme… Sarebbe davvero una grande cosa se si riuscisse a traslare questo semplice concetto da un trail alla vita quotidiana del mondo intero. La mente mi porta alla schifosa campagna elettorale che stiamo vivendo, alla guerra in Ucraina e alle mille altre ingiustizie che ci sono nel mondo e che spesso non appaiono sulle strisciate dell’ANSA. Penso che forse, tutti, dovrebbero partecipare almeno una volta ad un trail, ma penso anche che forse, ho messo in fila dei pensieri un po’ assurdi. Certo è che, sotto il sudore di questa corsa, riscopro l’importanza del concetto di comunità: dell’essere piuttosto che dell’apparire e del tendere piuttosto che del chiedere.
Poi riprendo a faticare nel ricordo del Franz. Al rifugio Tuckett il cielo si scurisce. Le previsioni norvegesi di YR, alle quali solo Luca Filati non crede, erano ben chiare: rovesci isolati a metà mattina e nelle prime ore del pomeriggio. Alcune persone che da tempo stanno marciando con me, approfittano del tetto del rifugio per mettersi un guscio impermeabile, lo, essendo molto sudato, preferisco continuare con gli abiti che ho addosso e, mentre scambio un saluto al povero fotografo costretto a rimanere appostato sotto l’acqua qualche decina di metri sotto al rifugio, penso che il cielo stia piangendo di tristezza. Quanto mi manca il Franz! Sono pensieri stupidi, insensati eppure tremendamente forti e vivi ancora adesso che, nella mia incapacità, sto cercando di tradurre delle emozioni in parole. Trovo il coraggio di superare l’ennesimo attacco di crampi e proseguire verso il rifugio Brentei e l’ultima ripida salita alla Bocca di Brenta.
Mentre a fatica arranco sul ghiaione a sinistra del tratto attrezzato, che normalmente è seguito dagli escursionisti, sento un gruppo di ragazzi tifare per me con l’aiuto fracassoso di alcuni grossi campanacci. Effettivamente manca poco al rifugio Pedrotti, dove avrò la possibilità di mangiare qualche pezzette di cioccolato e ricaricarmi prima dell’infinita discesa verso Molveno. Improvvisamente l’occhio ricade sul pettorale e questa volta leggo “cento meno uno”. 100 è a tutti gli effetti un numero bello tondo e penso che possa rappresentare la “perfezione assoluta” delle persone, ma tutti gli esseri umani sono imperfetti e fallibili. Serve un po’ di umiltà e una buona dose di coraggio per ammetterlo, ma è assolutamente così. Un mancare che ci rende diversi, e la diversità, spesso è una ricchezza. La discesa prosegue lungo la Val delle Seghe, supero il rifugio Croz dell’Altissimo e con un lungo districarsi in mezzo ai boschi arrivo a Molveno. Oltrepasso il centro storico e mi porto in riva al lago, a poche centinaia di metri dall’arrivo. Ora c’è il sole e guardando il cielo ringrazio Dio, quello in cui credo a periodi alterni, per questa giornata. Ultimamente sto riscoprendo i Vangeli. Non durante una messa, ma per i cavoli miei a casa. Si può credere o non credere, ognuno di noi può fare come vuole, ma in quelle parole sono contenuti messaggi universali che possono migliorare (o forse addirittura salvare) il mondo intero. L’indomani scopro che il Papa aveva pronunciato durante l’Angelus queste parole: Chi ama si preoccupa di chi manca, ha nostalgia di chi è assente, cerca chi è smarrito, attende chi si è allontanato. Perché vuole che nessuno vada perduto.
Varco il traguardo dopo undici ore e una manciata di minuti. Intorno c’è festa, intorno ci sono persone sconosciute che applaudono e intonano canti. Intorno c’è una comunità e la famiglia di Luca Franz Franceschini. Sono felice e dalla vita non ho bisogno di altro. Buon cento meno uno a tutti.
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W w Crovella. Proprio è uno sport che non capisco, è così piacevole e curativo andar lenti contemplando. Se serve al militare ero cecchino scelto
Racconto che istiga al sorriso. Ce ne fossero…
Eh già, questi “cannibali” che corrono per il cronometro e distruggono le montagne (cit. Crovella), eliminarli tutti e subito!