Chiodare… un sogno
di Michele Guerrini
- Con il bus di linea n.8 dalla stazione di Vicenza arrivo in piazza a Lumignano e dopo una breve camminata, sotto la famosa PARETE (a quel tempo esisteva solo la “classica”), con il compagno Francesco (Pellizzari).
La falesia di Lumignano classica
Scaliamo la Maruska e poi proviamo il Diedro della Sbrega come ci aveva consigliato Don Gastone durante un pomeriggio di allenamento nella palestra di Gogna.
15 metri senza un chiodo poi finalmente ne trovo uno ad anello, ma subito dopo non riesco a passare… Pianto un chiodo, lo accoppio a un nut e recupero il compagno.
Dopo alcuni tentativi siamo costretti a fare una doppia… (naturalmente recupero il nut e quindi mi calo sul chiodo che ho appena piantato).
A quel tempo si scalava con il casco, fettucce a tracolla, moschettoni sciolti all’imbrago (completo), dadi (i friend non erano ancora arrivati…) chiodi e martello.
- Torno a Lumignano e ripeto la Maruska ed il diedro della Sbrega (sperando di trovare il mio chiodo che nel frattempo avevano già tolto…), fessura Rossi, spigolo Conforto e provo lo Spigolo della Sbrega (allora gradato VI e A0), che a fatica riesco a fare (in A0).
- Sono due anni che mi alleno frequentando la palestra di roccia di Gogna (VI) e questa volta con Francesco (Marin) vado a Lumignano e ognuno per conto proprio ci scaldiamo salendo (slegati) la Conforto, scendendo dalla Rossi, poi pancia classica e ci leghiamo per provare lo Spigolo della Sbrega che viene così liberato (VI+).
Nei mesi precedenti Ugo (Simeoni) ha chiodato una placca con chiodi a pressione (unici ancoraggi artificiali utilizzabili su placche compatte) e così proviamo anche quella… Sarà forse il primo VII grado di Lumignano.
Anche Renato (Casarotto) ha chiodato due vie: uno spigolo tra la Conforto e la nuova via Simeoni (con 5 chiodi normali, uno dei quali “rubato” al mercato di Feltre) e una a destra della pancia classica proprio sopra l’Ulivo di Mario che segna l’arrivo del sentiero alla falesia.
Penso che la via di Renato sia stata la prima a essere chiodata calandosi dal bosco soprastante, provata con la corda dall’alto e poi ripetuta dal basso (un chiodo a pressione accoppiato a un Cassin dal profilo a U dopo i primi 8 metri e subito dopo un bel blocco di sinistro da eseguire in modo deciso in quanto la discesa non sarebbe stata delle più semplici; il secondo accoppiato con un camp in acciaio duro ai piedi del passo chiave e l’ultimo a circa 8 metri dalla sosta formata da un cordone su albero…).
- Diego (Campi) chioda a pressione (ma con chiodi artigianali dal profilo quadrato anziché tondo/conico e “testa” saldata), una placca a sinistra della Rossi (primo tiro VII- e il secondo A2), poi traccia una linea a destra del famoso Tetto Rosso (Arco d’oro) realizzando una via di A2 sempre con i suoi chiodi a pressione distinguibili anche dal colore rosso (rosso di sera…); chioda un paio di vie sulla Piramide e anche Macedonia a chiodi normali (il primo piantato solo per metà della sua lunghezza in un piccolo foro nella roccia giallo/marcia dell’attacco… passo chiave…).
Nel torrido luglio dello stesso anno, dopo aver letto decine di numeri della famosa rivista inglese Mountain e un sacco di bei libri (tra i quali Yosemite climbers di George Meyers e Montagna vissuta di Reinhard Karl), mi lancio dal basso nell’apertura di una via con l’amico Michele (Piccolo, papà di Carlo) con l’aiuto di chiodi normali, cliff, ancorette varie, chiodi a pressione, piedi sulle staffe e braccia gonfie a battere con il martello il perforatore a mano.
Quando però la pancia si fa più verticale esco dalle staffe e con un passo che mi rimarrà nel cuore per tutta la vita scalo la placca successiva fino ad una nicchia dove fortunatamente trovo delle clessidre per formare la sosta… (sosta attuale 2015). Nasce Margherita.
- Ripeto dal basso la pancia Casarotto che con i suoi 3 chiodi nei 25 metri di parete è una bella dimostrazione di forza di volontà, poi la Simeoni, la placca di Diego e tutte le vie più dure di Lumignano.
Inizio a chiodare altre vie nuove, ma questa volta utilizzo un perforatore a mano per chiodi a espansione con filettatura da 8 mm (Petzl da speleo): Marylin, Pistacchio, Phisical e molte altre.
Conosco Heinz (Mariacher) di cui ho letto le imprese sulla Marmolada e che ho visto scalare ad Arco con Roberto (Bassi) e a Lumignano con Luggi (Rieser, quello della Mephisto) mentre liberava Durlindana (primo 6c di Lumignano, via chiodata da Michele Piccolo in solitaria dal basso con chiodi normali, di cui uno ora è visibile al terzo spit, e chiodi a pressione oltre le famose ancorette, cliff, ecc…).
- Heinz mi fa vedere un tassello autoperforante (molto simile al Petzl) più lungo dei precedenti e con una filettatura da 10 mm… la manna per la sicurezza!!!!
Finalmente si riesce a chiodare in modo decente (comunque sempre a mano), anche le soste (la maggior parte delle quali è su piante…).
1982/83. Vado in Verdon con Propoli (Marco dal Zennaro), Giorgio (Poletto), Silvano, il Brocca e altri simpatici mestrini. Mi si apre un mondo sull’alta difficoltà e sulla chiodatura…
Al ritorno dalla Francia compro un Bosch a 24 Volt e proseguo la chiodatura di Lumignano iniziata anni prima, ma con ritmi notevolmente più veloci (vado a chiodare solo nei fine settimana, ma riesco a realizzare una via al giorno…).
Mi faccio fare, da una ditta dell’alto vicentino che lavora l’acciaio inox, 2000 piastrine con spessore da 2 mm e una buona parte la dò anche ad Heinz che nel frattempo sta chiodando ad Arco.
- Chiodo alcune vie con golfari (maschi) da 10 mm: mi sembra che tutto sommato vadano bene e mi fanno risparmiare un sacco di bulloneria, la trazione del volo è sempre corretta, che siano piantati su placca come in strapiombo. Ho terminato le piastrine e con questo “sistema” risparmio anche quelle. Visivamente però non mi piacciono, sono grossi, si arrugginiscono… così smetto di usarli lasciando alcune vie chiodate con questo sistema.
Chiodo quasi tutte le altre vie di Lumignano con i tasselli precedenti… Atomic Cafe, Passo Falso, El Somaro, MisterX, Ginevra, Papillon, Sharura, Technicolor, Il mago della Propoli, ecc.
- Sono rimasto 6 anni senza scalare, un po’ ribelle alla piega “sportiva” che aveva preso l’arrampicata dopo aver assistito alla manifestazione di Bardonecchia (anche se in quella occasione ci siamo divertiti parecchio visti gli eventi ad opera di Wolfgang Güllich, Marco Pedrini, Marco Ballerini…).
Nel frattempo mi sono dato al motocross, enduro e qualche gara internazionale come la Lignano Sabbiadoro.
Il richiamo della roccia però è profondo (anche perché in moto mi sono rotto più ossa, legamenti e articolazioni che in tutta la mia vita alpinistica…) e quindi decido di diventare Guida Alpina, professione che mi piace e presenta notevoli responsabilità reali e morali (anche da chiodatore).
Torno a Lumignano e trovo molte mie vie richiodate (con tasselli resinati e Upat, segno della tecnologia che sta cambiando…).
Vedo la via di Casarotto (la pancia) richiodata a tasselli e con un numero di protezioni che la rende sicura più di prima (ovvio) ma che “snatura” il valore storico della via e quello di chi la ripeteva con la chiodatura originale.
E’ praticamente diventata uno dei tanti 6b del mondo (Casarotto è morto sul K2 in solitaria aprendo una via nuova e ora la sua via di Lumignano con lui).
Molte mie vie subiscono lo stesso trattamento: dove i passaggi erano obbligatori, è ora presente una protezione in più, così da renderle “scalabili” anche ai più “paurosi” (Goccia d’arsenico, Odore dei sogni, ecc.).
Non è aumentata la sicurezza in quanto anche prima non si “moriva” se si cadeva (ma si facevano voli un po’ lunghetti); per contro si è tolta la possibilità di quel controllo mentale necessario alla salita e soprattutto non si è tenuto conto della storia (idea iniziale del chiodatore e sviluppo per la realizzazione).
Chiodo altre vie e comincio l’opera di richiodatura di alcuni itinerari. I golfari di “éclair d’argent” mi si spaccano non appena provo a svitarli!!!
Ho scoperto infatti che alla fine del perno era presente uno scarico da filetto che diminuiva il diametro in modo da creare una linea di frattura… (no comment).
La richiodatura verrà fatta soprattutto con tasselli di varie ditte presenti sul mercato (Hilti, Upat, Fischer, Raumer, Petzl, ecc…) e piastrine zincate o inox.
Con il tempo userò anche resina bicomponente epossidica, ma la messa in opera risulterà molto più lunga e meticolosa.
- La frenesia da chiodatore ormai ha preso il sopravvento e oltre ad aver richiodato la Nuova (sempre a Lumignano) e aver aperto altre vie sulla stessa parete, apro anche i miei “orizzonti” verso altri lidi e pareti, comprese 6 nuove vie sul Monte Pasubio chiodate praticamente da solo o (raramente) in compagnia di pochi amici disposti a “lavorare” a 200 metri da terra (in tutto una quarantina di tiri).
Intanto imperversa la “moda” della resina e quella brutta abitudine da parte di qualcuno di aggiungere delle “leccatine” della stessa qua e là per “creare” appoggi inesistenti in precedenza o di scavicchiare un po’ di più qualche tacca, lista o buco che prima si presentava solo come “intermedio”.
L’etica anche in falesia sta cambiando a favore del grado che cresce fino al 9a.
- Si scala sul 9b+, ma i chiodatori sono sempre gli stessi (solo più vecchi).
Come Guida Alpina ho seguito un aggiornamento sulla chiodatura a novembre 2015 (mese che purtroppo ricorderò per la tragica perdita di mia madre proprio all’ultimo giorno di corso).
Devo dire che i tre giorni passati con i 40 colleghi sono stati interessanti dal punto di vista tecnico e credo che verrà realizzato un manuale sull’argomento della chiodatura d’itinerari su roccia. Ma non potrà mai essere spiegata in un testo tecnico la passione, l’esperienza, la conoscenza, insomma il “Vissuto” (ANIMA) che ogni arrampicatore ha acquisito nella sua vita alpinistica (e artistica).
La realizzazione di nuovi itinerari è come la creazione di un’opera d’arte, visibile a tutti, ma nella quale solo all’artista è data la possibilità di conoscerne intimamente i segreti e il valore.
Alcune vie di roccia sono opere d’arte, passate alla storia per la loro bellezza indipendente dal grado.
Fin dall’inizio della mia storia di chiodatore ho investito tempo e denaro (il lato economico è meno rilevante, ma va ricordato che una via costa circa 40/50 euro e tenendo conto che ho tracciato più di 350 tiri…), ma soprattutto mi sono messo in discussione e come artista ho avuto la fortuna di emozionarmi di fronte ad alcuni capolavori e vissuto dei sogni (vedere una linea, chiodarla e ripeterla) con il piacere di trasmetterli anche ad altri.
Non tutte le frittelle escono col buco e non tutte le vie meritano fama e gloria, ma rimangono comunque nel cuore di chi le ha create.
Ora è giunto il momento di realizzare un progetto che prevede la rivisitazione e la riattrezzatura (mettendo in sicurezza gli itinerari e correggendo alcuni errori del passato) di tutta la falesia di Lumignano.
Molte linee le conosco per averle realizzate, altre sono opera di altri scalatori che conosco o di cui ho sentito parlare e molto diversi da me.
Vorrei che ci fosse coerenza, onestà storica e chiarezza su tutta l’opera che verrà eseguita (parlo di etica e non di sicurezza visto che si è già fatta una scelta tecnica univoca per tutto il materiale da usare…).
Mi piacerebbe che la maggior parte delle vie “scavate” fosse riportata “al naturale”, magari ponendosi dei limiti legati al grado o alla fattibilità con ragionevolezza, senza intransigenza e integralismi, per non stravolgere troppo guide cartacee e frequentatori assidui… (sì ad un 6b scavato che diventa 6c naturale, no a un 6b scavato che diventa 9b naturale per un gap troppo elevato, no ad un 8a scavato se diventa impossibile da naturale per non cancellare vie comunque storiche).
Si è dimostrato in effetti che molte vie (il 90%) sopra la chiesa e sotto l’eremo possono essere scalate senza scavati cambiando al massimo un grado o un grado e mezzo.
Michele Guerrini su Astrofisica, Soglio d’Uderle (Monte Pasubio). Foto: Stefano Maruzzo
Sarei dell’idea di togliere invece tutte le prese artificiali avvitate (settore Americani e un paio al Brojon).
Lascerei/rivaluterei tutti quegli itinerari storici sopra i quali sono state tracciate nuove linee senza una preventiva informazione sulla data di apertura o sul suo apritore (se quando si chioda si trova un chiodo arrugginito “forse” qualcuno in passato ce lo aveva messo prima di noi…)
Sono state chiodate delle nuove vie sopra dei vecchi itinerari aperti dal basso con chiodi normali e stopper da Carlo Franzina (poi morto in solitaria mentre percorreva lo spigolo Casarotto, a pochi metri dalla sommità della falesia) a destra della Piramide.
Questi e altri criteri derivano da una visione personale e un vissuto legati al momento storico durante il quale è nata e si è successivamente sviluppata questa meravigliosa attività, con valori (regole?) che nessuno al tempo ha scritto (nemmeno Kurt Albert, che fu il primo a bollare le vie liberate con un punto di vernice rossa) ma che erano condivisi da tutti indipendentemente dalla nazionalità o dai gradi raggiunti.
Per citare il pensiero dell’amico Tilo (Umberto Tilomelli), dal punto di vista etico-antropologico l’attrezzatura delle pareti d’arrampicata si sta trasformando come l’arrampicata stessa.
Chi comincia ad arrampicare oggi è assimilabile a chi si iscrive a un corso di pittura, a un corso di cardiofitness o a un corso di cucina… cerca distrazione e divertimento attraverso un’attività ludica e quindi chiede ogni comfort.
Chi ha scelto la montagna quando tutto era da inventare (vie, sicurezza, attrezzatura, etica, difficoltà) ha fatto una scelta di vita, non (solo) scelto un’attività sportiva di svago.
La distanza che separa chi dedica tempo, energie, risorse e fatica per chiodare e pulire una via, mantenere praticabile il sentiero e chi pretende di arrivare e fare il grado che ha come proprio obiettivo, senza faticare, senza rischiare, senza sporcarsi e avendo anche a disposizione le giuste vie di riscaldamento è una distanza incolmabile.
Spero che alcuni di questi pensieri possano suscitare riflessioni personali e interesse come sono sicuro che in altri scateneranno dissenso (ma tutti i chiodatori sanno che c’è sempre qualcuno cui lo spit sarebbe andato meglio più a destra o a sinistra o qualche altro che non vede l’ora che finisci la via e già ti chiede di provarla o ancora chi ti libera i tiri prima ancora che riesci a provarli…).
Chi chioda si mette in discussione e chi non chioda spesso discute e basta…
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LA DIGNITA’ ESISTE ANCORA??? … la persona che ha scritto questo articolo è la stessa che in una falesia di Lavarone(Piccoli) , l’anno scorso ho trovato a scavare prese e mettere chili di resina passaggio dopo passaggio sulla mia via (VIVA L’ETICA E IL RISPETTO PER LE VIE DI ALTRI). Circa un mese prima di questo episodio in falesia, dove chiaramente non ho potuto fare altro che tirargli le orecchie alla GUIDA ALPINA ( non so se quella patacca te la meriti ) , gli avevo tirato giù la corda dalla via facendogli sapere attraverso alcuni amici comuni che era meglio se stava lontano dalla via !!! Non contento una settimana dopo ha chiodato una nuova via (la falesia era al completo da un decennio ) in mezzo a due linee fantastiche un metro da una e un metro dall’altra , prendendo ad esempio “la moda che intanto imperversa della resina e quella brutta abitudine da parte di qualcuno di aggiungere delle leccatine della stessa qua e là per creare appoggi inesistenti cit. Guerrini“ ; NB: da metà via alla catena tutti i passaggi SONO STATI scavati o resinati VERGOGNA GUERRINI!!! A quel punto tutti i chiodatori storici della falesia in accordo anno deciso di schiodare la via e successivamente tappare tutto il disastro fatto che andava a rovinare entrambe le vie , una delle quali liberata (un bel 8b+ ROVINATO ) . Preciso che il Guerrini ha chiodato tre vie in questa falesia ( chiaramente tutte con buchi scavati o migliorati e resine ) , anni dopo che la falesia era stata chiodata; solo perché avendo chiesto il permesso attraverso un amico in comune gli abbiamo lasciato chiodare gli ultimi due spazi liberi (maledetta quella volta). Non contento è riuscito a tornare e richiodare la via con tasselli resinati … “la frenesia del chiodatore del 2006 cit. Guerrini); da quello che mi dice molta gente… dove passa fa danni !!! Ma tranquilli non finisce qui …
Un suggerimento alle guide alpine : se stilate un manuale sulla chiodatura spero non teniate in considerazione il modo di fare del vostro collega!!!
Condivido appieno il contributo di Comi
In effetti ci eravamo già sentiti sull’argomento all’epoca dell’aggiornamento dove ( giustamente ) si era molto parlato degli ” strumenti ” e dei ” materiali ” in uso ai chiodatori e si era ( ingiustamente ) tralasciata la ” visione”della parete nella sua INTEGRALITA’.
Valutando dal sistema circostante (sito ) all’aspetto storico ( vie già esistenti di solito con chiodi normali ),passando attraverso quella “IDEA” personale dettata dall’esperienza, come una firma,che rende diverse le caratteristiche degli itinerari tra loro.
Ed è proprio nella creatività che nascono le grandi differenze,valore assoluto di ognuno di noi.
Un bel contributo, fatto di passione. Ho condiviso con Michele l’aggiornamento sulla “chiodatura” e non si può non rilevare come l’invisibile attrazione verso gli “strumenti” in uso all'”artista” a volte supera l’ideazione o comprensione dell'”opera” stessa, ma tant’è.
Li vie sono come un opera d’arte? Può darsi che questo paragone possa essere un pò esagerato.
Ma è fuori dubbio, che sono l’espressione di chi le ha aperte. Del modo di concepire la scalata, l’espressione del proprio coraggio e delle proprie paure.
Per questo devono restare come sono state create. Un richiodatore se interviene, deve intevenire con il rispetto e i principi del restauratore.
Potrei portare l’esempio del monte Procinto in Apuane. Dopo vari incontri, discussioni si delineraroni due linie di pensiero.
Chi voleva schiodare e richiodare im modo sportivo, eliminando tutti i tratti di artificiale storico rendendo quindi obbligatoria l’arrampicata libera.
Chi voleva, si richiodare, migliorando la sicurezza delle vie, ma senza stravolgere dell’itinerario, rispettando la sua storicità.
Vista l’impossibilità di venire ad un accordo la cosa fu messa ai voti e vinse la linea del rispetto storico.
Ma il risultato della votazione non bastò a calmare le forti divarità di pensiero e concezione con il risultato che alla fine ognuno chiodò come credeva.
Carissimo Mic!
E’ vero: la realizzazione di nuovi itinerari è come la creazione di un’opera d’arte, visibile a tutti, ma nella quale solo all’artista è data la possibilità di conoscere intimamente i segreti e il valore.
Del resto la realtà produce una parte dell’arte, il sentimento la completa. (J. B. C. Corot)
E scrivi ancora: alcune vie di roccia sono opere d’arte, passate alla storia per la loro bellezza indipendentemente dal grado.
L’analogia con l’arte è calzante e la metafora dell’artista che dipinge un quadro, necessaria.
Nel tuo caso poi, ciò che scrisse Vincent Van Gogh è appropriato: “Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno”.
La descrizione che fai, così sorprendentemente accurata del materiale e dell’attrezzatura che impieghi quando realizzi “il tuo sogno”, è decisamente paragonabile alla tavolozza di un pittore che, minuziosamente, sceglie i colori per la sua opera.
E’ sacrilego e irriverente aggiungere “leccatine di resina” o tasselli a vie che sono semplicemente Leggenda.
Soprattutto si manca di rispetto alla Storia e si reca offesa a quei mitici alpinisti o arrampicatori sportivi che le hanno faticosamente attrezzate e create.
Infine caro Mic, è stato un vero privilegio condividere quegli anni vissuti insieme a Lumignano, per questo te ne sarò per sempre grata.
Mi scuso per la lungaggine e concludo con una riflessione metaforica: Montagna come Arte.
Cosa direbbe Paul Cézanne se vedesse dipinto sopra una delle sue tele più famose realizzata nel 1898 “La Montagne Saint –Victoire, un aereo 747 della compagnia Air France?
Grazie di cuore a te e a Propoli per avermi anche dedicato “Ginevra”. Ancora oggi sorrido ripensando a come è nata l’idea di chiamare quella via col nome della consorte di Re Artù!
Un grande abbraccio ad entrambi.
Vostra “Ginevra”.
Bellissimo articolo, complimenti. Si sente la passione, che bella cosa.
Il chiodo al quale si appendono i nostri respiri …visto da chi apre e da chi ripete… Grazie Michele.
Appassionante conoscere la storia raccontata da uno dei protagonisti. Il finale lo condivido; chi chioda oltre al coraggio e alla capacità di farlo deve avere anche il coraggio di diventare oggetto di discussione, che non sempre è appagante.
Bravo mic!!
Non è tutto oro quello che luccica
Molto bello il finale di articolo, complimenti, non si leggono spesso queste cose. Vi auguro troverete un accordo asulle prese scavate, ma la vedo dura! Riguardo a Renato: ho ripetuto una sua via nella falesia di Illegio. Dovrebbe essere rivalutato come arrampicatore avanti sui tempi, non solo conosciuto per le sue imprese alpinistiche
Bello!
Ogni tanto vedo negativo, altre volte positivo, non riesco a convincermi che l’arrampicata, io preferisco dire l’alpinismo, è come la vita: una ruota che gira, si va su e giù di continuo.
Peccato che da tanti anni l’evoluzione sia quasi esclusivamente basata su fattori tecnico-fisici e non mentali.
…..ma Korra ha ripetuto finalmente dopo 29 anni la via slovena……
……magari Renato verrà avvicinato…….
Complimenti per il gran lavoro, passato e futuro, e per il post, utile ed emozionante.
Antonio conosco bene Badolo, sigh..
Hai ragione Giando, le prese artificiali avvitate sono una vera schifezza. Non so se sia peggio l’appiglio scavato o la presa avvitata, sicuramente quest’ultima è orribile dal punto di vista estetico. Non so se sei mai stato a Badolo, dove, causa la conformazione della roccia, se non si fossero scavati appigli e appoggi sarebbe stato pressoché impossibile arrampicare se non in artificiale, ma posso assicurarti che a cavallo degli anni 80-90 i chiodatori dell’epoca sono riusciti a piazzare delle prese da palestra indoor per superare alcuni tettini e strapiombetti. Se avessero scavato, tanto Badolo è un groviera, sarebbe stato meglio.
Lumignano.. Che bei ricordi..
Prese artificiali avvitate.. Orrore!! Purtroppo ce ne sono anche in altre falesie, forse la cosa più laida che si possa fare in parete.