Ciao vecia!
di Chiara Stenghel
(dal suo profilo fb, 20 ottobre 2020)
Chissà se le rocce che hai tanto amato si ricorderanno di te. Se ricorderanno la tua eleganza e il tuo rispetto. Lo so bene perché quella mattina in cui è finita la mia vita per come la conoscevo, ti ho lasciato andare senza protestare contro il caldo torrido di agosto e la tua cocciutaggine: eri stanco e nervoso.
Sapevo che Tavolara ti avrebbe restituito il buonumore. Ogni volta rimanevo stupita dalla capacità della roccia di rasserenarti; pur nella sua perenne immobilità, aveva il dono a me sconosciuto di placare le mareggiate del tuo animo lasciandomi basita e invidiosa. La trasformazione era evidente e immediata: al tocco di un appiglio gli scorni della vita quotidiana svanivano, le tue membra si rilassavano. Non so quante volte ti ho osservato, assonnata e incredula, immergerti nel tuo mondo.
Chissà se il calcare che hai amato si ricorderà del tuo tocco e dei tuoi passi. Chissà se un giorno si ricorderà anche di me, che avrei fatto qualsiasi cosa pur di trascorrere qualche ora assieme. Osservo la mia mano sinistra che conta ora due fedi nuziali e mi investono prepotenti mille ricordi della tua: appigli, carezze, discussioni animate, strette amichevoli… Le tue mani circoscrivevano il mio orizzonte sicuro, un luogo certo e accogliente in cui le parole erano superflue.
Perché noi due, papà, di parole ne abbiamo scambiate tante (gentili, furiose, amorevoli, arroganti, tenere), ma non erano queste a definire il nostro rapporto. La cifra esatta del mio legame con te stava nella spontaneità del silenzio, nella superficialità dei discorsi.
Non mi occorreva spiegare nulla e spesso non c’era niente da dire, nemmeno dopo litigate furibonde. Nel luogo sicuro che tracciavi con il tuo gesticolare io ero me stessa, finalmente liberata dai modi affettati del mondo accademico e da quelli mediati dei rapporti acquisiti, potevo parlarti nella nostra lingua del cuore, l’unica in cui, a discapito di tanti anni di studio, riuscivo a esprimere i concetti più astrusi e complessi della vita. Un rituale accogliente, il nostro, indifferente al tempo e allo spazio, che esordiva così: “Ciao vecia”.
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Vincenzo: “La montagna forse non si ricorderà di me, ma io di lei si. In eterno, fin che campo benché ora privato non solo delle sue vette ma anche dei più semplici sentieri. Amen”.
Signori, Vincenzo ha la sensibilità di un poeta.
P.S. Continua cosí!
Invidio con amminarazione questo rapporto tra padre e figlia a me sconosciuti come mi è sconosciuto il rapporto tra me che praticato le vette con arrampicate estreme senza alcuna mia figlia ora anche lontane per l’ego terreno. La montagna forse non si ricorderà di me , ma io di lei si. In eterno, fin che campo benché ora privato non solo delle sue vette ma anche dei piu più semplici sentieri. Amen
<3
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Ciao Sten !
Io non so se le rocce ricordano, ma di certo chi arrampica, chi ama le rocce, chi ama Arco e chi l’ha incontrato ricorda Ciano Stenghel con affetto e ammirazione.
E’ sempre bello leggere dell’amore di un figlio o figlia per uno dei genitori, anche se come in questo caso, ahimè, postumo