Cima Una (Einserkofel): Weg del Jugend
(il capolavoro della coppia Steger-Wiesinger del 1928)
di Alberto De Giuli
(pubblicato su albertodegiuli.com nel novembre 2023)
Dei progetti verticali possono diventare vere e proprie ossessioni? Chiedetelo a me, e vi posso dire senza un attimo di esitazione: Cima Una.
Le Dolomiti di Sesto, insieme alle Odle, sono le montagne del mio Libro Cuore. Ci andavamo in famiglia quando io e mia sorella eravamo piccoli, così diverse dalle Odle che sono family friendly con i prati e le malghe, e il panorama da cartolina. Sulle Dolomiti di Sesto calpesti e guardi solo roccia, i prati sono di fronte sulla cresta di confine con l’Austria, e giù a fondovalle.
Quando in macchina da San Candido arrivi a Sesto, guardi sulla destra e la Meridiana comincia a svelarsi. Cima Nove, poi la Dieci che tutti conoscono come Croda Rossa di Sesto, la Undici famosa per la Strada degli Alpini, la Dodici che in italiano si chiama Croda dei Toni, e poi la Cima Una. Qualche anno fa, in occasione della prima salita alla Cima dei Tre Scarperi, il gruppo guide della Drei Zinnen Alpinschule (che sono Amici e montanari veramente avanti) posizionarono degli specchi su ogni vetta della meridiana, che si “accendevano” all’ora esatta. Straordinario!
Quando incominciai a scalare in montagna, quasi 20 anni fa, una delle prime guide che acquistai fu quella di Richard Goedeke sulle Dolomiti di Sesto. Io che di tedesco non ci capisco una beata mazza, mi perdevo comunque tra gli schizzi ben fatti, rimanendo impressionato dalle lunghissime parole in tedesco, piene di consonanti. Così pian pianino cominciai a capire il significato di alcune delle parole chiave del gergo arrampicatorio: festem o bruchige fels, freikletterei…e una delle parole più “consonate” che mi ha sempre affascinato :anspruchsvolle. Bestiale! Moralmente impegnativo, vuol dire questa parola da Azzeccagarbugli.
E’ così che Goedeke definisce la Weg der Jugend (Via della Giovinezza) sulla parete nord di Cima Una (Einserkofel), cui dedica una bella descrizione a parole, tra l’altro con tutte quelle paroline in tedesco che mi piacciono, e uno schizzo ben fatto. “Aperta dalla coppia Hans Steger e Paula Wiesinger il 10 e 11 settembre del 1928. Grandiosa arrampicata libera alpina, impegnativa (anspruchsvolle!) per la lunghezza e per l’esposizione, lungo una linea ideale e nel complesso su roccia solida, ma poco protetta. Camini di tutte le sorti, tiri chiave lungo fessure molto aeree. Una delle grandi classiche della zona, una performance complessiva superiore alle classiche delle nord delle Tre Cime”.
La Weg der Jugend è tra le 100 vie scelte nel classico libro Scalate Estreme di Walter Pause. “La fisionomia tipica della parete dolomitica, impressionante, fredda e severa. L’architettura di questa massiccia parete, di 800 metri (azz!) di dislivello, su cui il sole non batte mai (molto poco), costituita da lastroni color nero come l’inchiostro e giallo come lo zolfo, con canaloni, camini e fessure tormentate, spesso ricolme di neve (forse 40 anni fa…), affascina per la sua violenza e la sua inospitale nudità”. Questa la sua presentazione della parete nord di Cima Una. Prosegue con la difficoltà nel trovare il punto giusto d’attacco, che un eccellente fiuto è necessario, di bivacchi per perdita di orientamento…Insomma, una via da mettere nella lista dei desideri per gente preparata e mossa da vera passione. Queste sono le poche informazioni che riuscii a trovare a quel tempo su questa via, nessuna traccia su Internet nemmeno sui Forum. Tecnicamente, l’attacco di questa direttissima alla parete nord è in comune con la via Dibona-Rizzi-Mayer. Partendo un po’ sulla destra rispetto alla verticale sotto la cima, si segue una rampa verso sinistra fin poco sotto la gigantesca parete gialla e strapiombante, limitata a destra e sinistra da fessure strapiombanti.
Questo alone di mistero sulla Via della Giovinezza è anche alimentato dalla grossa frana che nell’ottobre del 2007 ha interessato la parete nord di Cima Una, portando via tutta la seconda parte della via Dibona e delle altre classiche di inizio del ‘900, e coprendo di detrito la parte bassa della parete nord.
Solo negli ultimi anni avevo ripreso in mano la relazione della Weg der Jugend, un po’ perché avevo visto una foto di una ripetizione recente della via e poi curiosando su Internet avevo trovato un sito/archivio proprio sulle vie del libro di Walter Pause con report, immagini e dettagli sulle ripetizioni. La frana degli anni precedenti non aveva intaccato la via, il detrito ormai non disturbava più di tanto chi si era di nuovo avventurato lungo Weg der Jugend. A testimoniare la ripresa dell’attività un libro delle salite a metà parete, ma sempre con visite sporadiche. Veniva confermata la bellezza della via, i pochi chiodi (e vecchi) ma la buona proteggibilità e qualità della roccia rispetto alla vicina Schranzhofer sulla Nord della Croda dei Toni (anch’essa nel libro di Pause).
L’estate 2022 con GioPilli (chi se non lui poteva diventare il prediletto per questo grande progetto), iniziata all’insegna del gran caldo e meteo stabile, ci vide già pimpanti e rodati ai primi di luglio sullo Spigolo nord dell’Agner. Ne uscimmo molto soddisfatti, ma con una buona dose di stanchezza che si fece sentire anche nelle arrampicate successive. Sapevo che Hannes Egarter di Sesto, un giovane e forte collega, era lo specialista della via sulla Cima Una (avendola ripetuta qualche volta), e gli telefonai per avere qualche dettaglio in più. Trovai anche 3-4 sue foto su Facebook lungo dei tratti che pensavo fossero quelli chiave e che mi avevano incuriosito molto, in particolare quella di un crocifisso di ferro infisso da qualche parte sulla parete, immaginavo.
Io volevo battere il ferro finché era caldo, l’incubo della Weg der Jugend si era completamente impossessato di me e riuscii a strappare un “andiamo a vedere” da GioPilli, oltre ad una partenza notturna stile Agner. Al parcheggio in Val Fiscalina era freddo (cane), partimmo imbacuccati alla luce delle frontali, con zaini carichi di materiale. Su per la Valle Sassovecchio il ritmo non era quello che volevo, Gio era più distante del solito (teniamo sempre una discreta distanza tra noi, ormai ci sono abituato, come se fosse importante – più per lui che per me – restare tra i propri pensieri). Il cielo era nero come la pece, dopo un’ora di marcia i contorni delle montagne cominciarono ad apparire. Eravamo ancora tra i mughi quando la parete prese un timido colore. Era (e lo è) impressionante. Imponente, severa. E pure complessa. Mi ricordo che “mandai giù”, poi guardai GioPilli… e avevo capito che quel giorno non avremmo combinato nulla.
“La sfida è importante e va approcciata nel modo corretto. Il sopralluogo dà importanza alla sfida”, queste le parole di Antonello, un mio caro amico e compagno di avventure. Un’altra delle sue perle di saggezza, che dispensò dopo aver ricevuto il mio messaggio sul dietrofront. Fu davvero una giornata importante perché ci rendemmo conto della dimensione della parete, e presi molte foto sulla parte bassa della via. Non conoscendo la parete, una volta giunti all’attacco, la grande rampa nasconde tutto ciò che sta sopra, il rischio di perdersi (o perdere molto tempo prezioso) è realistico.
Arriviamo a questa estate del 2023. Non facile e liscia come la precedente, il meteo ballerino delle prime settimane non ha aiutato a mettere su metri verticali di spessore. Ma forse è stato anche un bene. Con GioPilli siamo sempre partiti a bomba, chiuso i progetti estivi ai primi di luglio per poi sentirsi scarichi quando il gioco si sarebbe dovuto far duro. La Costantini-Apollonio nel giorno del mio compleanno è stato un bel colpo insieme, anche di calore. La Weg der Jugend era sempre lì che mi punzecchiava, e Gio lo sapeva. Ma erano tante le incognite che assillavano più lui che me… poche ripetizioni, poche informazioni sulla via, “sarà bagnata?”. Anche questo era un bel punto interrogativo. Unito alla poca voglia di fare una levataccia. Ai primi di agosto, per il compleanno di Gio, siamo andati a ripetere l’Hochleistkante, una bellissima via alpina sulla Lista, di fianco al rifugio Comici. È stata un’ottima scusa per studiare ancora una volta la parete prima di rientrare alla macchina. Io che ormai avevo analizzato al microscopio quelle 4 foto di Hannes, col binocolo in mano cercai di individuare quelli che presumevo fossero i tiri in oggetto (e lo erano), ma soprattutto capire dove fosse il passaggio per entrare nel grande catino che porta alla placca nera (primi tiri di VI-). I dubbi rimanevano su quei 50 metri appena sotto, in quel tratto di parete sopra la grande rampa. Una serie di fessure parallele… quale prendere?
Finalmente il D-Day arriva il 14 agosto. Al parcheggio dell’albergo Dolomiti in Val Fiscalina questa volta era ben più caldo, gli zaini più leggeri del primo tentativo. GioPilli sempre col suo margine di distacco, io tormentato dalle incognite e dall’emozione sentivo già le braccia stanche dai giorni precedenti. Una volpe ci seguì lungo i primi tornanti sopra il rifugio Fondovalle, ogni tanto mi giravo dicendo “Tutto bene, Gio?”. La sua risposta pronta e sicura mi fece capire che l’uomo era ON, carico. E mi rassicurava, mi caricava. E’ fondamentale in missioni del genere, a maggior ragione per me che sono “guida con un cliente”, avere il compagno pronto e motivato. Decisi di andare con calma sul ghiaione che porta all’attacco per non tirarci il collo. Le previsioni erano quasi perfette (temporali solo verso sera e oltre la cresta di confine), molte ore di sole davanti… ”e mal che vada bivaccheremo da qualche parte”. Erano questi gli accordi.
Appena metti mano sui primi metri di una via del genere, capisci che sarà una grande avventura dove è d’obbligo tenere gli occhi sempre aperti. La roccia è sbiancata, non è il massimo, probabilmente perché solo negli ultimi anni non è coperta da un piccolo nevaio perenne. Uno sguardo a destra dove c’è la “lapide Loschner” sopra la cengia, “stiamo davvero scalando sulla Nord di Cima Una!”, mi dicevo, intanto ero più di 15 metri sopra il ghiaione ma di protezioni buone non ero riuscito a metterne. Quasi 40 metri e trovai un primo chiodo con cordino, poco sopra un altro che ho integrato con un dado per sostare. Raggiunta la grande rampa, mi son spostato a destra e a sinistra di un chiodo con cordino che abbiamo usato per sostare, ma non riuscivo a capire dove montare su per la parete. Fessure di V non ne vedevo, mi son riguardato una foto di Hannes che deve per forza rappresentare la placca fessurata che non trovavo. Il tempo passa… che fare? Mi decisi, e poco a destra della sosta son partito per una paretina verticale con piccoli appigli dove tutto va testato. Devo solo rimanere concentrato e salire in alto. E ci son riuscito a non farmi prendere dal panico. La prima protezione, un vecchio chiodo, penso di averlo passato dopo oltre 10-15 metri da terra. Proseguii a tentativi, su e giù per quelle fessure parallele che pochi giorni prima avevo studiato col binocolo. Sapevo di dover raggiungere quella nicchia gialla appena sotto il catino… ma salendo dove? Finalmente trovo la chiave giusta, appena sotto la grottina un cordino vecchio lungo la fessura e una mitragliata di chiodi vecchi e recenti mi indicano la sosta. Siamo giusti!
Dice ancora Walter Pause : “Questa via si imprime nella nostra memoria con immagini estremamente severe: non c’è raggio di sole che asciughi la roccia, che riscaldi chi si ferma a riposare. Si sale soli soli, si cerca la via, si vede una traccia, un chiodo, si aspetta che il capocordata trovi un nuovo punto di fermata, e dall’ombra fredda della parete si guarda in giù nella soleggiata Valle Fiscalina, dove i viandanti sono visibili come piccoli puntini”. Non può esserci descrizione sintetica più precisa di questa. Penso che GioPilli si sia proprio sentito così lungo la prima parte della salita (300 metri), dove i chiodi sono meno delle dita di una mano, e la roccia, oltre ad essere ancora un po’ sporca dalla frana del 2005, necessita molta cautela. “Chissà se costoro si rendono conto che lassù c’è qualcuno che anela a un po’ di sole e un po’ d’acqua di ruscello!” Qui posso dire che se ne resero ben conto che qualcuno stava armeggiando su una parete nei paraggi, quando Gio staccò un vecchio televisore di roccia di 25 pollici dalla parete (l’aveva annusato e non aveva alternative). Pensavo si fosse spaventato a morte, e invece, come se nulla fosse, Gio archiviò subito il disgaggio e si mise di nuovo in moto. Molto bene.
Raggiunto il catino mi ricordo di aver tirato un bel sospiro di sollievo, la via da qui è chiara, la placca nera, il primo tratto chiave della via e poco più alto. La roccia in quella lunghezza è nera e solidissima, un cordone rosso mi incasina mandandomi troppo a destra invece di prendere subito “la fessura che corre, con un angolo di 50 gradi, verso sinistra con pochissimi appigli per le mani e piedi (estremamente difficile)”. Questo primo tratto chiave presenta 2 o 3 chiodi vecchi, sporcati dalla terra e non integrabili, sul VI grado. La sosta è sopra sulla cengia, un bel cordone indurito in alto su due chiodi.
Con un traverso a sinistra di una quindicina di metri su una mensola, si entra nel sistema di camini che portano al grande “anfiteatro”. Le lunghezze scorrono veloci, la roccia è finalmente pulita dai detriti, qualche chiodo di sosta e lungo i tratti più difficili indicano la via giusta. Ricordo che sia Hannes che Daniel (Rogger) mi dissero al telefono di evitare il profondo camino dell’Anfiteatro (spesso bagnato e ostico), seguendo una bella variante di due lunghezze del padre di Hannes Pfeifhofer. Questa è ben segnata nello schizzo di Goedecke, una scatola di metallo con il libro di vetta (ormai sgualcito dall’umidità e dalle muffe) sta ai piedi della sosta di attacco. Qui è ben tenere a mente le tempistiche. Noi, considerando le perdite di tempo, siamo arrivati qui in meno di 6 ore. Ti senti già in alto, ma stando ai miei colleghi sei a metà via.
Sono due lunghezze molto esposte e ripide quelle della variante, di bella roccia. La seconda sosta in particolare è molto aerea! Un traverso finale riporta in cima al camino evitato, da qui “si sale la fessura di destra, giallo-biancastra, inclinata in fuori e con frequenti, piccoli tratti di muschio, fessura che richiede all’arrampicatore il massimo dispendio di forze ed è di assoluta difficoltà (in questo tratto di 20 metri furono infissi due chiodi)”. Dovrebbe essere stato il secondo tiro chiave sulla carta, era tutto asciutto e personalmente non abbiamo trovato particolari difficoltà. Senza fare traversi come da relazione, ho seguito il mio intuito e i ricordi delle binocolate, e con un lungo tiro mi son trovato sulla comoda cengia obliqua dove si sosta e dove Steger e Wiesinger bivaccarono. Il crocifisso è qualche metro più a destra, dove la salita prosegue.
Non ricordo più se da quella sosta sono 2 o 3 le lunghezze che portano in cima ad un grosso spuntone che segna la fine del pilastro. Ricordo invece benissimo quanto erano stanche le mie braccia! Sono tiri bellissimi ma ripidi, a volte strapiombanti, lungo fessure molto atletiche con qualche chiodo utile per capire la direzione. Arrivato in cima allo spuntone era tutto uno sfasciume, non ho avuto altra scelta se non prendere 3-4 cordini lunghi e prendere dentro “un po’ di materiale” per sostare.
La cima da quel punto è vicina, si deve scendere brevemente su sfasciumi per prendere un sistema di caminetti facili che portano ad una grande terrazza dove una lastra gialla, fessurata sia a destra che a sinistra, richiederà l’ultimo sforzo prima delle facili roccette che portano in vetta. Qui ho attaccato a sinistra, una bella “scimmiottata” atletica, come l’ho definita, incastrando i piedi e pompando sulle braccia fino all’ultimo chiodo della via, di quelli vecchi come avevamo incontrato sotto con l’occhiello bello largo. Ancora un breve strapiombo e finalmente… è quasi finita.
Gli ultimi 80 metri della via sono come salire su una paretina di piatti rotti, bisogna stare attenti, la vecchia croce in ferro è a pochi passi ormai. Sto tirando il fiato anche adesso mentre scrivo, dopo quasi 6 ore dal libro di via siamo in cima. Un grido liberatorio di esultanza, un solitario dalle Crode Fiscaline che ci guardava. Il panorama e la luce erano magici, divoriamo quel poco che ci è rimasto in zaino, firmiamo il libro di vetta (e sfogliando le pagine, scopriamo di aver ripetuto la via esattamente un anno dopo gli unici ripetitori del 2022, una cordata di Sesto), ammirammo le Tre Cime da questo insolito punto di vista, la Croda dei Toni di fronte, e ci preparammo per la discesa, che nessuno dei due conosceva.
Devo ringraziare Daniel Rogger per lo schizzo che mi inviò l’anno prima, è stato molto prezioso. La via normale è abbastanza evidente, con diversi ometti e ancoraggi (dove necessari), ma molto detritica in alto. Con una calata finale lungo la variante Schmitt ci potemmo finalmente slegare e scendere veloci per evitare di tirar fuori chissà da dove le pile frontali.
Verso le 8 dal bel prato sotto Cima Una, prima dell’inizio della cengia che porta al rifugio Comici, chiamai il rifugio pregandoli di tenerci qualcosa da mangiare. La stanchezza era molta, ma la vista del Comici dal tracciolino esposto sopra la Val Fiscalina Alta era già di per sé rigenerante. L’aria frizzante fuori, entrammo nella calda sala del rifugio e a Gio si appannarono subito gli occhiali. Penso la prima birra sia durata un flash, il gusto della pancetta di maiale con patate che ci avevano preparato lo ricordo come se il piatto ce l’avessi ora davanti. Un’altra birra era d’obbligo, pure la grappa, la discesa alla macchina era ancora lunga. Ci mise il buonumore, e alleviò pure le fatiche, quando alla luce delle frontali ci incamminammo in direzione del Fondovalle.
Penso sia stata la giornata più impegnativa che ho passato tra i monti con un cliente. Mi sentivo completamente ingaggiato, come piace a me. Le incognite di una via poco ripetuta, ma che ormai era diventata per me un incubo, non mi spaventavano più di tanto, perché sapevo ce l’avremmo fatta. Perché in queste uscite non c’è solo la guida, deve esserci anche il compagno o cliente in palla, e GioPilli quel 14 agosto era nella sua condizione psicofisica migliore di sempre. Saliva, non faceva molte domande, non guardava troppo in giro (chiodi, soste, ecc.), mi passava il materiale, ciucciava il camelback e si andava su.
Penso che questa Weg der Jugend sulla Cima Una meriti più visite, e spero che questo mio racconto sia di stimolo ai veri appassionati. A mio parere la via asciuga più velocemente di quanto le relazioni ufficiali scrivano, la scalata è sempre libera e raggiunge il VI grado (quello vero). Quanto al materiale, una serie di friend fino al 2 è più che sufficiente, insieme a qualche dado, 8-10 rinvii e cordini per allungare le protezioni. Lo schizzo di Richard Goedeke è nel complesso corretto, non sono trenta tiri di corda ma intorno ai 25, e spesso sui 50 metri, non 30 come scrive lui. Chiodi e martello erano all’imbrago ma non li abbiamo mai utilizzati, né abbiamo dovuto ribattere chiodi. Le soste sono spesso a due chiodi nella parte alta, altrimenti vanno integrati benissimo con i friend. Per me è il capolavoro che questa coppia di incredibili scalatori ci ha lasciato sulle Dolomiti. Noi due che qualche anno fa abbiamo ripetuto insieme fa la “Stegerona” (come l’abbiamo sempre chiamata) sulla Est del Catinaccio, potremmo definirla la Piccola Steger rispetto alla Weg der Jugend, usando come esempio le due Micheluzzi al Piz Ciavazes.
Qualcuno potrebbe chiedermi “Perché proprio questa via?” La risposta è abbastanza semplice. Non mi sono mai piaciute le scelte scontate. Saremmo potuti andare in Marmolada a fare Don Quixote, oppure a tirare un po’ di chiodi sulla Cassin alla Trieste o sulla Ovest di Lavaredo. Weg der Jugend era diventato il mio chiodo fisso, doveva essere la degna conclusione dell’estate con GioPilli, un grande banco di prova per le prossime avventure che sogniamo. Ho letto moltissimo sulla storia dell’arrampicata su roccia in Dolomiti, nel suo libro Vertical. 100 anni di arrampicata su roccia Messner cita la Weg der Jugend come una grande realizzazione del 1928, e nella classificazione per difficoltà delle vie in Dolomiti di fine Anni Venti, questa superò la Solleder in Civetta e addirittura la Micheluzzi al Pilastro sud della Marmolada di Penia, considerata da molti la scalata più impegnativa dell’epoca. E poi tra le ripetizioni illustri c’è anche quella di Hermann Buhl. Richard Goedeke nel suo libro Luft unter den Sohlen, monografia dedicata sempre alle Dolomiti di Sesto racconta la sua epica ripetizione della Weg der Jugend, scelta come “piano b” al posto della Hasse-Brandler, molto trafficata. Fu il gestore del Locatelli a consigliarla: una via bellissima, dove non si fa la coda, non servono staffe né tirare chiodi.
Ora tocca a voi andare a ripeterla!
Alberto De Giuli è Guida Alpina dal 2008, vive a Borca di Cadore per la maggior parte dell’anno. Organizza uscite per piccoli gruppi con gli sci, giornate di arrampicata in Dolomiti e salite alle grandi cime delle Alpi.
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Gran bel racconto e complimenti per la splendida salita.
Ci sono cresciuto all’ombra di quella parete. Ed ho sofferto come se avessi perso un familiare quando c’è stata la grande frana. Questa via non è neppure nei miei sogni più arditi, tuttavia grazie al tuo racconto, mi ha fatto pensare di potermici cimentare. Grazie!
Grazie molto gentile, sono in debito di una birra.
Per Alberto Benassi. La frana non ha intaccato la via, ha solo sporcato di dedito la prima parte fino alla rampa.
Grandissimi. Complimenti.
Une belle voie qui donne envie d’y aller voir de plus près !
Una domanda per Alberto: la frana quindi non ha creato problemi particolari alla prima parte della via? Grazie per la risposta
Grazie
Io non ho mai scalato
Conosco bene la zona
Ci vado tutti le estati da olang in bici fino al rifiugio fondovalle
Bellissimo articolo
Grazie
Piacevole racconto che facilita il compito di chi vorrà misurarsi su questa severa e intrigante parete – complimenti al relatore per la brillante ripetizione e per la moderna visione della professione.
Cioè non il 5C di oggi, quando tutti dicono: dai che vuoi che sia è solo 5c, facile🤣
Be’, alzi la mano (preti compresi) chi nel proprio lavoro non è mai stato opportunista.
E quello della guida è un lavoro.
Per onestà non si dovrebbe mai generalizzare, perché le responsabilità sono sempre individuali. E chi non ha mai peccato scagli la pietra.
Ma se molti travisano con l’eresia della mercificazione, forse c’è ne sono “altri” che questa “eresia” , l’hanno istigata con dei comportamenti diciamo… un pò opportunisti…?
Grazie a tutti!
Complimenti De Giuli per la scelta di questa via. Come tante altre vie non alla moda, carica di grande valore alpinistico. Visto l’impegno richiesto, complimenti anche per la grande responsabilità di andarci con un cliente. Bello e avvincente il racconto che fa venire la voglia di andarci.
Bellissimo racconto! Anche io vado in Val Pusteria da tanti anni e ho sempre guardato quella parete. Sapevo della via, adesso andrò a ripeterla!!! Grazie!
Bel racconto Albi! Fa venire voglia e fa capire che per fare la guida ci vuole prima di tutto grande passione. Aspetto che purtroppo molti travisano con l’eresia della mercificazione del tempio-montagna. Dalle tue righe si capisce che non è così.
Sul fatto che il tuo cliente parlasse poco e che non facesse domande trovo notevole che tu lo scriva. Perché sono così i clienti migliori al contrario di quelli che si dichiarano “esperti” che spesso sortiscono il solo effetto di farti perdere un sacco di tempo.
L’alpinismo non è un’attività democratica e quello che importa è portare a casa la pelle con un minimo di divertimento. A noi ci pagano, ci viviamo, non è male, anche se è sempre un lavoro spesso duro. Lo capisci quando torni a casa mentre fai la doccia.
Il buon Goedecke a volte pecca di ottimismo definendo come belle vie delle autentiche schifezze. Anni fa gliel’avevo anche detto. Buono che in questo caso sia stato sincero.
Ciao. Marcello.