Città più verdi
di Silvia Granziero
(pubblicato su thevision.com il 13 giugno 2022)
Questi ultimi anni hanno esacerbato in molti un bisogno di contatto con gli spazi verdi che nei ritmi frenetici del quotidiano era soltanto sopito, ma che è una necessità per il nostro benessere fisico e mentale e serve anche a far fronte all’emergenza climatica. La pandemia, infatti, ha imposto nuove riflessioni sulla vita nelle città, la loro organizzazione, socialità e struttura e i lockdown hanno convinto molti a decidere di trasferirsi fuori dai grandi centri per stare più vicini alla natura.
Le città, però, continueranno a essere i cuori pulsanti della vita a livello globale e a crescere. Oggi, oltre il 55% della popolazione mondiale vive nei centri urbani e nel 2050 dovrebbe essere il 68%, e questa tendenza sembra essere rispettata anche in Italia. Perché questa condizione sia vivibile è indispensabile aumentare la quota di spazi verdi presenti nelle città; questi, infatti, sono essenziali per la salute a partire dall’impatto delle temperature estive: il calore generato dalle attività umane, dai mezzi di trasporto e dalle industrie, in città, resta intrappolato nel cemento e non si disperdere nell’atmosfera, con l’effetto di produrre vere e proprie isole di calore, con temperature fino a 3-4°C in più rispetto all’ambiente circostante. Gli alberi, oltre a migliorare la qualità dell’aria, fanno ombra, mentre l’erba favorisce la traspirazione dei suoli e ne mantiene l’umidità.
Piantarne quanti più possibile è quindi fondamentale: secondo il neurobiologo botanico Stefano Mancuso ne servirebbero mille miliardi entro il 2030, di cui almeno due miliardi in Italia nel breve periodo. Bisognerebbe innanzitutto fermare la deforestazione, ma anche il contributo delle città può essere importante, con effetti positivi a catena in diversi ambiti. Gli studi psicologici, infatti, hanno dimostrato che trascorrere regolarmente tempo nella natura contribuisce al buonumore, alla creatività, a un maggiore senso di connessione sociale e a una riduzione dell’ansia, benefici direttamente proporzionali all’intensità e alla durata della contatto con la natura. Parchi, boschi, aiuole, viali alberati e ogni appezzamento d’erba contribuiscono nel loro piccolo a un benessere di cui ci si accorge soprattutto quando vengono a mancare. Vale, infatti, anche il discorso contrario: la lontananza prolungata dal verde oggi minaccia la salute fisica e mentale di milioni di persone, motivo per cui l’accesso alla natura è diventato una questione di giustizia e benessere sociale, tanto che esistono gruppi di attivisti che ne chiedono il riconoscimento come diritto legale.
Questo, infatti, è importante non solo per i singoli, ma per l’intera comunità. Studi condotti nel 2021 dimostrano infatti che più le persone sono a contatto con la natura, più tenderanno a essere sensibili nei confronti dei problemi ecologici, e quindi a mettere in atto comportamenti in favore dell’ambiente. Il tempo trascorso nel verde invece purtroppo è sempre più ridotto a causa di un insieme di fattori come l’urbanizzazione estrema e gli attuali ritmi di vita che lasciano poco spazio al tempo libero e quindi alle passeggiate nella natura, perché spazi verdi ridotti implicano anche una minore frequenza con cui i cittadini hanno modo di accedervi. A incidere, poi, sono anche la dipendenza da smartphone – su cui mediamente passiamo più di 4 ore al giorno – e le nuove abitudini sociali dell’infanzia che nella nostra società portano complessivamente a trascorrere la maggior parte del tempo al chiuso, alimentando una distanza dalla natura che si traduce in una vera e propria alienazione dall’ambiente circostante. È stato calcolato, per esempio, che negli ultimi vent’anni in Inghilterra e Galles lo sviluppo edilizio ha decimato l’accesso delle comunità al verde, da intendersi come qualsiasi area pubblica urbana dedicata al tempo libero che includa piante o specchi d’acqua. Per la maggior parte delle persone persino avere un terrazzo è un lusso, figurarsi un giardino; eppure, questi surrogati di natura in miniatura durante la pandemia si sono rivelati vitali. Non a caso, il lockdown ha spinto molti a sentire una rinnovata necessità di contatto con il verde.
Sono le comunità marginalizzate ed economicamente più svantaggiate a vivere più lontane dalle aree verdi, soffrendone maggiormente, quindi, le conseguenze: questo avviene innanzitutto perché nei quartieri più vivibili e tranquilli – con più spazi verdi, quindi – gli alloggi costano di più. Negli Stati Uniti gli alberi nei parchi collocati nelle aree urbane più sorvegliate dalla polizia, che si trovano in quartieri abitati prevalentemente da persone Nere, razzializzate, o con basso reddito, subiscono più tagli, per esempio, se le piante bloccano la visuale delle telecamere della polizia. Questi parchi, inoltre, non sono disegnati per essere vissuti, con panchine e spazi per il gioco, ma per lo più solo attraversati. I dati più recenti mostrano anche nette differenze nelle possibilità di accedere agli spazi verdi a seconda delle leggi urbanistiche e dei piani regolatori vigenti all’epoca in cui un edificio o un quartiere sono stati progettati e costruiti: in Inghilterra, gli alloggi edificati tra il 2009 e il 2021, hanno fino al 40% in meno di spazio verde nelle vicinanze rispetto alle aree in cui le abitazioni risalgono al periodo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Di conseguenza le persone che vivono negli insediamenti costruiti dal 2000 in poi hanno molte meno probabilità di trascorrere del tempo nel verde, con fino a 9 milioni complessivi di visite ad aree naturali in meno ogni anno.
Questo, quindi, come dimostrano alcune ricerche psicologiche, si traduce anche in un danno al benessere sociale, perché il distacco dei cittadini dalla natura mina la probabilità che questi prendano coscienza dei problemi ambientali e si attivino per chiederne la soluzione. Risulta infatti meno probabile che mettano in atto pratiche come la raccolta differenziata o la partecipazione a progetti di volontariato ambientale e in generale sono meno le possibilità di incidere positivamente sull’andamento della crisi climatica, non tanto attraverso le piccole azioni, come il riciclo della plastica, ma soprattutto nelle scelte di consumo che impattano di più sull’ambiente, in particolare quelle che riguardano i settori dell’alimentazione, dell’abbigliamento e dei trasporti. Inoltre viene minata la disponibilità dei cittadini a fare pressione sui governi affinché agiscano davvero e la smettano con le chiacchiere.
Per fortuna, a livello locale diverse amministrazioni hanno aumentato la loro sensibilità sul tema e così, alcune città, a partire da Parigi, stanno investendo notevolmente in termini economici e di sforzi di ripianificazione urbanistica per aumentare gli spazi pedonali e ciclabili chiusi al traffico ed estendere gli spazi verdi – dalle dimensioni dei giardini pubblici alla piantumazione massiccia di nuovi alberi, fino alla creazione di tetti giardino – aumentando la qualità della vita dei cittadini e contrastando le isole di calore. Altri esperimenti riguardano invece la produzione alimentare, con orti urbani che hanno il beneficio anche di fare da incubatori sociali, riunendo le comunità con impatti positivi significativi sulla salute e sul benessere psicofisico. L’orticoltura urbana, infatti, è una nuova tendenza che riguarda la pianificazione delle città e la radicale revisione dell’utilizzo della terra, sfruttando tetti e altri spazi per coltivare ortaggi a chilometro 0 e contribuire alla difesa della biodiversità, soprattutto degli insetti impollinatori. Iniziative come questa non possono incidere in modo significativo sulla produzione di cibo, ma permettono ai cittadini di stare a contatto con un pezzetto di verde in più, magari prendendosene cura direttamente e riconnettendosi così alla produzione di cibo più vicino a casa. Il bisogno di contatto con la natura, anche in città – che è il luogo in cui vive la maggior parte delle persone – richiede una nuova pianificazione urbana e nuovi investimenti. È più che mai necessario garantire che tutti possano accedere al verde e sviluppare una connessione con l’ambiente naturale, componente essenziale della stessa transizione ecologica, centrale per realizzare una vera giustizia ambientale, perché – come dice il detto – “l’ambientalismo senza lotta sociale è solo giardinaggio”.
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del resto la confusione nasce anche dalla convinzione che le uova non le fanno le galline ma il centro commerciale…
15 Paolo Gallese, cosa vuoi che ti dica. La confusione può essere presente in tanti aspetti del vivere quotidiano, è uno dei tanti problemi collaterali insiti in una società complessa. Possiamo cercarne le ragioni, attribuire le colpe, fare qualcosa per evitarla o ridurla. Dopodiché bisogna che le persone e le famiglie facciano anche la loro parte, non si può, come sovente accade, delegare alle istituzioni pubbliche e private, l’insegnamento di ogni aspetto della vita e poi prendersela o fare causa quando succede l’inaspettato. In realtà i modi per imparare a discernere ci sono e nemmeno pochi, spesso a frenare è la pigrizia più che l’ignoranza.
Quando io ho asserito che parlare di avvicinare la Natura sarebbe un’altra cosa rispetto ad ammantare le città di verde, non intendevo polemizzare sul sì o no. Mi sembra ovvio e ridicolo.
Ma pongo un problema: lavorando con i bambini su questi temi ci siamo accorti da diversi anni (e includo anche le famiglie spesso) che si sta creando una pericolosa confusione. Una percezione di ciò che è “ambiente naturale” a volte in grado di generare anche pericolo, avvicinando con pari ingenuità un parco cittadino e un ambiente selvatico.
Vi sembra esagerato? Bè, soprattutto nei grandi centri urbani, vi assicuro che non lo è.
Magari parliamo di questo e non di verde sì o verde no nelle città.
C’è sempre qualcuno su questo blog per cui ciò che conta è far polemica. E’ ovvio che una città più verde non sarà mai Natura allo stato brado come è ovvio che Roma non diventerà parco naturale nonostante i cinghiali vi circolino indisturbati.
In futuro il 68% della popolazione vivrà in città. Forse sarebbe preferibile che ogni abitante del pianeta, 8 miliardi oggi, 9/10 in futuro (stante le previsioni), avesse una casa singola con un pezzo di giardino privato o meglio ancora di terreno coltivabile? Mi sa che dopo andare a cercare un fazzoletto di Natura sarebbe una bella gara. Basta vedere la differenza di superficie e abitanti fra New York, zeppa di grattacieli, e Los Angeles, piena di case basse.
Poche pippe su palliativi che fanno cultura? Vai così.
Il concetto è chiaro. Parliamo di bilanciare un pochino il cemento col verde spontaneo (ovvero piante autoctone che possano vivere tranquillamente nel territorio) creando altresì parchi urbani fruibili e orti perchè no. Miglioriamo la qualità di vita in senso fisico e “chimico”. Lavoriamo un pochino sul diminuire l’impatto devastante ahimè inevitabile dell’antropizzazione e limiamo qualche virgola di temperatura nel microclima delle città cemento (il partivo e piante di alto fusto aiutano e molto e lo si capisce anche senza che ce lo dica un nobel). Dunque poche pippe su boschi verticali e biodiversità. Usiamo la testa e il senso critico
vero.
Ma allora che facciamo , aumentiamo il cemento?!?!? e togliamo tutto il verde perchè è solo un espediente?
Non mi sembra che sia il poco verde cittadino il problema. Caso mai è l’eccesso di cemento, asfalto, che poi crea anche problemi di assorbimemto delle acque piovane. Non è il ciuffo di erba il problema , non fa male alla salute. Caso mai il pattume lasciato li a marcire.
si, pieni di pesticidi e diserbanti, chi fanno tanto bene alla salute, nostra e a quella del terreno.
@8 Considerato il tono del tuo intervento, sai come ti rispondo? Arrangiati, esiste google. E come prima ricerca digita biodiversità, perchè a quanto pare non hai la più pallida idea di cosa significhi. Forse sei convinto, come molti altri peraltro, che 10 mila ettari di terreno coltivato a mais o a soia siano Natura.
7@ qualche dato verificato sulla stratosferica biodiversità cittadina vs le sterminate pianure padane o spari nonsensi a caso?
La natura non necessariamente si ritrova dove c’è il verde, ogni città italiana contiene più biodiversità di quanto se ne possa trovare nelle monocolture sterminate della pianura padana. Per questo è importante insistere su questa strada. A volte le apparenze ingannano.
Scusate il T9
Salvatore il benaltrismo non c’entra. Certo che vogliamo più verde. Ma non facciamolo passare per avvicinamento alla Natura. Non avvicina che a me ma diversa, più bella, urbanizzazione.
Se si vuole parlare di avvicinamento alla Natura parliamo di altre cose.
Le citta’ le puoi colorare di verde ma non sono la natura, e se il 68% vivra’ nelle citta’ spiace per loro ; gli orti urbani come i boschi verticali sono espedienti per avere intorno un po’ di colore , una fotografia di cio’ che non e’. Articolo deprimente perche’ mette il vivere nel verde urbano nella prospettiva del carcerato volontario con la piantina di limoni alla finestra. Mah….
Quindi, non vogliamo avere più verde in città? Certo si può, anzi si deve, fare molto di più; oppure avere intanto un po’ più verde e meno cemento e consumo di suolo ci fa schifo? Meglio evitare il “benaltrismo”, l’atteggiamento per cui il problema è sempre “ben altro”
Anche mia.
Senza dimenticare l’idolatria di totem quali il Bosco verticale e proseliti.
Surrogati di natura. Espedienti autocelebrativi di certo progressismo. Di fatto, campioni di una direzione fasulla che nulla ha a che vedere con la critica all’urbanizzazione e alla cementificazione se per perorarne ulteriormente la causa sotto mentite spoglie.
L’articolo è bello. E giusta l’istanza a più verde in città. Ma attenzione a non creare degli “acquari” verdi.
Sono sempre stato contrario al messaggio “più verde in città, più si recupera un contratto con la Natura”. Quella è una forma diversa, più elegante, di urbanità. Non c’è nulla di naturale se non il falso messaggio che sia invece il primo passo per un recupero della nostra sensibilità.
È un recupero al bello e al miglior vivere, non all’apprezzamento della Natura.
Ma è opinione mia.