Come i cinesi vedono gli italiani

«Sempre in ritardo e un po’ infantili. Noi sogniamo la Bellucci di Malena». Il presidente Xi Jinping ama citare Dante e Petrarca. «Gli uomini fanno troppi elogi, a volte poco sinceri». «Il senso della famiglia e l’amore per la cultura ci accomunano».

Come i cinesi vedono gli italiani
di Guido Santevecchi
(pubblicato su corriere.it il 25 agosto 2022

Sono «zuqiù», cultura, gondola, genio e lentezza, bella vita e caos, superpotenza artistica e anche le scarpe le parole che vengono in mente ai cinesi quando parlano di Italia.

Andiamo con ordine, a volte anche di importanza nella percezione mandarina dell’italianità: «zuqiù» significa piede-palla, il football che è anche espressione di prestigio politico-culturale.

Non per niente Xi Jinping ha ordinato di costruire ventimila scuole di calcio per inseguire il sogno di vedere la Cina campione del mondo. Si dice che il segretario generale abbia una passione per l’Inter, sbocciata nel 1978, ben prima della nascita del giovane presidente Steven Zhang, quando i nerazzurri sbarcarono avventurosamente a Pechino (volo di 29 ore) per una serie di esibizioni nello Stadio dei Lavoratori e Sandro Mazzola, che si era ritirato da un anno, giocò un tempo rischiando l’infarto.

In tribuna c’era l’universitario Xi. Sta di fatto che l’Italia è sempre considerata dai cinesi maestra del calcio, tanto che Marcello Lippi, ribattezzato Yin Hu (Volpe d’argento) è stato chiamato a guidare la nazionale rossa per anni, rispettatissimo nonostante i risultati non proprio brillanti.

Il Mister ha bellissimi ricordi cinesi: «Il presidente Xi mi mandava complimenti e saluti attraverso i ministri dello sport». Oltre ai saluti, Volpe argentata ottenne un ingaggio favoloso. «Yidalì»: si dice così Italia in cinese. Sembra semplice, ma non lo è. Perché i tre ideogrammi che compongono il suono Yi-da-lì hanno creato ai sinologi qualche incertezza.

Lo segnalava in un saggio del 1961 Giuliano Bertaccioli, diplomatico e accademico: nessun dubbio sul suono «da», fornito dal carattere che identifica «grande»; e su «lì», reso da quello che si usa per «interesse» o anche «guadagno».

Il dilemma viene con «Yì»: ci sono diversi omofoni e quindi può dare l’idea di «pensiero» o «giustizia». Ecco che Yidalì può suonare come «Paese che pensa al grande guadagno»; oppure «Paese che dall’essere giusto trae un grande guadagno». Un’Italia di mercanti, oppure di grandi ideali etici. I commerci comunque sono nel Dna dei cinesi, che sanno meglio di noi chi sia stato Marco Polo, lo considerano un «collega» e lo citano spesso.

Amici di Pechino mi ricordano che circola anche un soprannome, per noi, un gioco di parole basato sull’assonanza tra Yidalì e yidaì (senza la elle) che significa «naif, simpatico e spontaneo».

Prendiamolo come complimento. Ogni discorso tra politici mandarini e ospiti venuti da Roma parte immancabilmente dall’affermazione che «Cina e Italia sono simili, due superpotenze della cultura accomunate da migliaia di anni di Storia».

Seguono ricordi di Marco Polo e Matteo Ricci e un richiamo alla Via della Seta verso Venezia. A Xi piace citare Dante e Petrarca, che ha letto da ragazzo.

Ma che cosa pensa in cuor suo del nostro Paese un funzionario governativo di Pechino? «Ho vissuto in Italia e ho avuto problemi con la burocrazia», comincia un amico di cui non possiamo fare il nome («sai, non vorrei mettere in imbarazzo il mio dipartimento»).

Anche io ho conosciuto la burocrazia cinese ed è dappertutto, ribatto. «Sì, ma da noi a Pechino funziona bene e tutto è online». Uno a zero per la burocrazia cinese. Il funzionario però subisce davvero «il fascino per la vostra arte e la cultura, fattori che proiettate benissimo all’estero, anche da noi».

Nella classe media cinese (più di 350 milioni di anime) «lo stile di vita italiano è popolare, apprezziamo anche la vostra cucina e non è scontato per noi». Il dirigente ministeriale è un politico navigato: «Vi consideriamo amici, vi abbiamo offerto aiuti all’inizio della pandemia mandando alcuni dei nostri medici che avevano fatto esperienza nei giorni tragici di Wuhan e poi non possiamo dimenticare il vostro sostegno quando ci fu il terremoto terribile nel Sichuan».

Ma la gente comune? «Beh, vi pensa passionali, rilassati, creativi, artisti del design ma anche abituati al ritardo: sai, c’è una barzelletta: “In Italia, a parte la Ferrari tutto è lento”».

L’ultima considerazione è una frecciata: «Il problema, visto dal nostro governo, è che non sapete mai bene dove stare, scherzosamente, con ironia, ci ricordiamo il vostro ruolo nella Seconda guerra mondiale, partiti con un’alleanza e arrivati con un’altra».

Il riferimento è al grande entusiasmo del nostro governo per l’adesione alla Nuova Via della Seta , proclamato nel 2018 con il Memorandum d’intesa presto abbandonato in archivio: «Sì, in questo non ci sentiamo proprio soddisfatti».

Dopo la politica, avventuriamoci nella psicologia delle masse. Prendiamo in prestito una «indagine sul campo» condotta nelle strade di Pechino da Federico Roberto Antonelli, direttore designato dell’Istituto di cultura italiano in Cina.

Il dottor Antonelli, figlio di una sinologa, ha fatto le scuole elementari a Pechino negli anni ‘80, parla il mandarino con accento pechinese ed è stato raffinato e grintoso consigliere giuridico in ambasciata.

«Ho raccolto in un taccuino i dialoghi in taxi a Pechino. Come in tutti i Paesi del mondo, anche i tassisti pechinesi amano chiacchierare e siccome nel traffico mostruoso i tempi morti si allungano, i discorsi sono in proporzione. Mi sono divertito a chiedere dell’Italia: gli argomenti in ordine di citazione erano 1) il calcio; 2) le scarpe; 3) la cultura. Un tassista mi parlò di Boccaccio e delle sue novelle tradotte in cinese, un altro di Pavarotti e della lirica, anche L’ultimo imperatore di Bertolucci è nella memoria. Qualcuno mi parlò di un film albanese degli Anni ‘50 con la citazione “Mussolini ha sempre ragione”. E poi tutti sognano Monica Bellucci di Malena».

E le scarpe? «Rappresentano il made in Italy, elegante ma solido».

Quali difetti ci rimproverano? «I più esperti ci rimproverano la mancanza di continuità».

Dopo il sondaggio a tassametro, uno condotto dall’Università del Guangdong. Ce lo illustra la professoressa Zhang Haihong, 44 anni, direttrice del Dipartimento di Italiano: «Abbiamo intervistato un campione di donne cinesi nate negli Anni ‘90: gli italiani sono considerati entusiasti e creativi, ma non sembrano molto seri. Gli uomini risultano simpatici e gentili, ma vivono ancora nell’orgoglio di essere la culla del Rinascimento, sono bravi a comunicare e parlano veloce e ad alta voce, gesticolano, sembra che stiano ballando o persino litigando. Sono abituati a incoraggiare gli altri e fare molti complimenti. Se vogliono, possono elogiare illimitatamente, il che fa sentire che non sono abbastanza sinceri».

Chen Ou, giornalista di Pechino, 40 anni, è netto nell’analisi. Difetti: «Sul fronte politico, gli italiani seguono quasi sempre quelle americane; nel welfare, l’onere per il bilancio statale è diventato troppo gravoso; la sicurezza sociale è un problema, ci sono troppi ladri e truffatori per le strade». Meriti: «Siete calorosi e amichevoli, avete un atteggiamento sano nei confronti della vita e amate lo sport. La cucina è favolosa».

Sun Yeli, 60 anni, chief economist dello Shanghai Sunpower investment Group ha un aneddoto: «Nel 1990 ho fatto una vacanza a Venezia. Abbiamo preso la gondola. Il gondoliere era gentile, con un volto scuro, scultoreo e una figura forte. Remava e cantava, ci ha spiegato con entusiasmo le attrazioni di Venezia. Secondo me questo gondoliere era un patrimonio culturale immateriale vivente di Venezia. L’avevamo soprannominato “Il bello sulla gondola”. Ora sto gestendo un progetto di rinnovamento urbano a Xuzhou, nella provincia dello Jiangsu. Qui abbiamo ricostruito Piazza San Marco con un piccolo canale dove ho messo due gondole. Non vedo l’ora di avere qui i veri gondolieri veneziani. Saranno sicuramente un successo sul web!».

Ma un difetto lo abbiamo? «Un po’ presuntuosi, un po’ troppo avari sul denaro».

Zhang Na, 47 anni, imprenditrice pechinese del settore tech ha viaggiato tra Cina e Italia 50 volte in 20 anni. «Il lifestyle mi ha conquistato, con quella bella abitudine di riunirsi per il caffè al mattino e per l’aperitivo al pomeriggio. Un merito degli italiani è quello di fare una sola cosa alla volta, così vi concentrate meglio, anche se nella percezione cinese questo è spesso considerato come una mancanza di efficienza. Incompatibilità? Noi ceniamo alle 17.30, da voi bisogna aspettare fino alle 20, o addirittura fino alle 21. Anche i professori arrivano spesso fuori orario e dicono che 15 minuti sono “ritardo accademico”».

Blanche Wang lavora nel design: «Siete solari, salutate prima degli altri, attaccate discorso e siete spiritosi. Certo, la lentezza a volte è esasperante ed è inutile cercarvi durante le vacanze di agosto, anche i ministri vanno al mare ad abbronzarsi».

Zhang Gangfeng, laureato in sociologia a Trento, è rimasto colpito dal «senso della famiglia che ci accomuna, la mamma italiana si occupa molto dei figli, come le nostre, anche troppo. La cultura conta molto per noi e vi vediamo come i custodi del giardino antico dell’Europa».

Zhang dopo Trento ha studiato economia sociale, è passato agli investimenti stranieri in Cina e ora è docente alla School of Management all’università dello Zhejiang: «Voi vi basate sulle piccole imprese, che sono flessibili ma hanno troppo fretta di guadagnare subito, con pochi investimenti strategici. Spesso nella testa dei cinesi siete innovativi e geniali, ma poco perseveranti, per questo siete di seconda categoria rispetto a tedeschi, francesi e inglesi».

Zhang ricorda che già negli Anni 90 il premier Zhu Rongji spiegava che gli «italiani sono indubbiamente molto intelligenti, ma mancano di visione di lungo periodo».

Riassume Guido Giacconi, ingegnere, veterano della Cina con la sua società di consulenza In3act e vicepresidente della Camera di commercio europea: «Ci vedono inventivi, geniali, edonisti, politicamente instabili; quando salgo sul palco per una conferenza mi presentano come discendente di una cultura plurimillenaria, naturalmente elegante, poi se siamo preparati nel campo delle nuove tecnologie si sorprendono».

Yu Weiwei, che lavora da venti anni nell’ufficio di corrispondenza del Corriere ha avuto modo di conoscerci nel bene e nel male. «Esiste un eterno bambino nel cuore degli italiani, che li porta a essere vicini all’essenza della vita. Non amano fingere. Un grande imprenditore cinese mi ha detto una volta che “l’integrazione tra arte e industria rende unica la creatività italiana, un dono da invidiare per tutti gli altri popoli”. Io ho imparato lavorando con voi che “fare bella figura è molto importante”. Gli italiani sono contraddittori. Sembrano molto allegri e persino superficiali ma nel frattempo molto profondi nei loro pensieri e nelle riflessioni, giudicano sempre. Sembrano in ritardo perenne, ma spesso fanno un lavoro di grande qualità all’ultimo momento».

Si è meritata l’encomio della tv cinese la dottoressa Cristiana Barbatelli, da trent’anni consulente per gli investimenti di piccole e medie imprese a Shanghai. Durante il lockdown ha vestito la tuta ermetica bianca e si è impegnata da volontaria nel sostegno agli anziani bloccati in casa. Perché lo ha fatto? «Ho deciso di vivere una storia d’amore con questo Paese che mi ospita, in amore ci sono alti e bassi, incomprensioni che si superano con la fiducia che nasce sempre dall’amore per la gente intorno a noi. Facendo la dabai (grande bianca, nel gergo della lotta cinese al Covid, ndr) ho conosciuto tutti gli anziani del mio palazzone, ora ci chiamiamo per nome, li ho conquistati anche con i miei gnocchi al sugo d’anatra».

Ultima battuta per l’amico funzionario ministeriale: «Siamo molto vicini, ora lo siamo di più anche nel calcio, niente mondiali per voi e per noi».

Il commento
di Carlo Crovella

Non è escluso che, in un futuro non remotissimo, l’intero pianeta possa essere un immenso impero cinese. Magari senza occupazione militare, perché il tutto avverrà sul terreno economico. In un tale scenario il modo di ragionare, i ritmi, gli obiettivi saranno “cinesi” per tutti, anche per noi europei. Iniziamo a capire in cosa dovremo “cambiare”. Il ritmo di vita, pare essere la prima novità che riguarderà noi italiani.

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Come i cinesi vedono gli italiani ultima modifica: 2022-10-30T04:17:00+01:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “Come i cinesi vedono gli italiani”

  1. Off topic , condivido questa cosa di Cominetti.
    Ne aspetto uno che racconti di quella spedizione di neri, nepalesi, cinesi, portoricani e marocchini gay, sul K2.
    .
    .
    Peraltro molto vicina a quella della spedizione di sole donne al K2.
    .
    .
    Dobbiamo costruire spedizioni appositamente per farci dare lezioni di inclusivita ?
     

  2. Siamo stati fortunati noi italiani durante il covid, che il nostro paese si è comportato molto bene con tutti noi.
    Che culo che abbiamo avuto!
     
    L’articolo manco l’ho letto.
    Ne aspetto uno che racconti di quella spedizione di neri, nepalesi, cinesi, portoricani e marocchini gay, sul K2.

  3. Senza alcuna offesa ma non ci tengo tantissimo ad essere accomunato ad un paese che ha fatto quel che ha fatto durante il COVID. Il mondo é cosí perché la gente dimentica troppo presto e troppo facilmente. Ricordatevi cosa hanno combinato durante il COVID agli anziani. Personalmente non ho nulla contro qualsiasi cittadino che rispetta  Leggi e lavora, ma non ho fretta di essere accomunato ad una Nazione dove internet é imbavagliato e che ha trattato come merda gli anziani durante il covid. Credo ci si debba preoccupare piú per come noi vediamo il loro paese che il loro paese noi. LA gente ha memoria cortissia a quanto vedo, tornate indietro con gli articoli dei giornali sul COVID e la CIna. 

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