Ho proposto a GognaBlog la pubblicazione di un brano del mio co-tutor alla tesi del mio Dottorato, il prof. Mauro Varotto, Responsabile Comitato Scientifico Centrale del CAI Gruppo Terre Alte. Credo offra spunti interessanti sul tema impegno sociale, comitati ambientalisti, cittadinanza attiva, community, ecc. Mentre siamo sfiaccati e con poco tempo libero avendo creato NOI un sistema che ci sta triturando e ci sta illudendo sui temi libertà/felicità/prospettive, le associazioni pullulano sempre di più come pure i comitati ad hoc a fronte dei disastri ambientali in Veneto (operoso e produttivo, forse meno green di altre regioni): trovo che questo studio traini dei pensieri sul futuro dell’associazionismo, troppo frantumato, moltiplicabile e carrierista di piccoli poteri e visibilità. E i giovani si impegnano, trovando spazio in questa pletora di comitati spontanei? Mi domando e non so rispondere (Ines Millesimi).
Comitati spontanei in rete
(le nuove forme di aggregazione e mobilitazione sul Web, tra rischi e opportunità)
di Mauro Varotto
La diffusione in Italia negli ultimi dieci anni di Internet, divenuto strumento di comunicazione non ancora «per tutti» ma certamente ormai non più solo «per pochi», coincide in maniera abbastanza curiosa con la crescita del fenomeno dei comitati spontanei di protesta relativi a istanze di tutela o denuncia di problemi riguardanti il territorio, l’ambiente e il paesaggio intesi come bene comune (Shutkin, 2000). Un po’ in tutta Italia si registra negli ultimi tempi un crescendo per diffusione e importanza di gruppi debolmente strutturati di cittadini, non incanalati in forme di rappresentanza istituzionale, organizzati su base locale e attivi prevalentemente per protestare contro interventi che minacciano la qualità della vita (Bobbio, Zeppetella, 1999; Della Porta, 2004).
In particolare, nel caso veneto, tale aumento è stato monitorato e mappato dall’Osservatorio sui comitati spontanei in Veneto (www.paesaggivenetisos.org), e sulla base di tale campione si intende in questa sede avviare una riflessione sulle interazioni tra i due fenomeni e tentare una prima risposta ad alcuni interrogativi: c’è una relazione tra la diffusione del Web e la crescita per numero e importanza dei comitati? Se sì, in che modo Internet condiziona e trasforma il loro ruolo, le azioni e gli esiti dei conflitti di carattere ambientale, territoriale o paesaggistico? In che modo i nuovi strumenti di comunicazione veicolano e orientano la partecipazione civica?
Comitati spontanei in Veneto: uno sguardo al fenomeno
La proliferazione dei comitati di protesta nel territorio regionale veneto nell’ultimo decennio conferma quella «ondata di conflittualità» già registrata sul finire degli anni Novanta del secolo scorso, come fenomeno che già nei decenni precedenti veniva registrato come mutamento in atto nella composizione sociale del dissenso (Faggi, Turco, 2001).
In particolare in Veneto si è passati da 130 comitati registrati nel 1998 (Zamparutti, 2000) a 264 comitati attivi nel 2008. Si tratta di quantitativi con molta probabilità sottostimati, stante la difficoltà di monitorare movimenti di protesta in rapida evoluzione, ma tale margine di imprecisione non impedisce di affermare che ragionevolmente in un decennio si è assistito a un raddoppio dei fenomeni di protesta, in termini numerici da un comitato in media ogni 4 comuni della regione a uno ogni 2, da un comitato ogni 34.000 abitanti a uno ogni 18.000, con maggiore frequenza nelle province di Treviso (con il primato di 64 comitati), Venezia, Vicenza e Padova (rispettivamente con 58, 45 e 36 comitati nel 2009). Se consideriamo però la «densità sociale» anziché la «densità spaziale» dei comitati, le due province di Belluno e Rovigo, in coda alla classifica, balzano ai primi posti per numero di comitati in rapporto alla popolazione residente (un comitato ogni 11-12.000 abitanti). Si tratta quindi di un fenomeno capillarmente diffuso che ha assunto particolare evidenza in tutto il territorio regionale, pur coinvolgendo un numero ridotto, ma non trascurabile, di cittadini: volendo azzardare una stima molto grossolana (ipotizzando che ogni comitato coinvolga mediamente e sotto varie forme non più di 1.000 persone), la popolazione coinvolta in questi movimenti non supera i 250.000 abitanti, poco più del 5% della popolazione residente.
I motivi della protesta sono molteplici: nel 1998 quasi la metà dei comitati aveva a che fare con questioni riguardanti il problema dello smaltimento dei rifiuti, seguite in ordine di rilevanza numerica da conflitti per la realizzazione di impianti industriali, tutela di aree a valenza naturalistica, opposizione a impianti di estrazione di inerti (cave), elettrosmog e campi elettromagnetici, e solo da ultimo contro grandi opere infrastrutturali (tangenziali, orbitali, passanti autostradali ecc.). Dieci anni dopo, nel 2008, i motivi della protesta risultano distribuiti su diverse tipologie emergenziali, che ai problemi ambientali affiancano istanze di carattere culturale legate alla difesa del paesaggio inteso come patrimonio storico e identitario (Varotto, Visentin, 2008).
Quasi sempre (75% dei casi) i comitati dichiarano di avere come «nemico» o controparte le amministrazioni pubbliche, colpevoli di non tutelare adeguatamente il bene collettivo da interessi privati (è il motivo per cui il fenomeno negli Stati Uniti è stato anche definito «ambientalismo civico»: cfr. Shutkin, 2000). Gli alleati dei comitati in genere sono i comitati stessi: minoritari (20%) sono i casi in cui l’alleato è la stessa amministrazione pubblica (in genere a scala comunale) o i partiti (in genere rappresentati da Lega Nord e partiti di sinistra). I comitati infatti ripetono come un «mantra» e rivendicano la loro assoluta autonomia, diffidando spesso anche dell’appoggio di associazioni storiche di tutela dell’ambiente e del territorio (FAI, Italia Nostra, Legambiente, WWF), e cercando sostegno sempre più spesso in altri comitati «vicini» per territorio o tematica trattata.
Il ruolo del Web nei cambiamenti strutturali del fenomeno
Pur essendo diverse le motivazioni che hanno condotto a una trasformazione dei movimenti di protesta negli ultimi dieci anni, risulta evidente dal campione analizzato che anche la diffusione degli strumenti di comunicazione legati al Web hanno in molti casi favorito importanti trasformazioni del fenomeno rispetto alla sua iniziale «definizione» (Della Porta, 2004, p. 7), qui sinteticamente riassunte:
a) i comitati, in partenza «debolmente strutturati», assumono veste stabile sia in termini di strutturazione «fisica» (evolvendo verso forme di associazione regolarmente registrate destinate a durare ben oltre l’evento emergenziale per il quale si erano attivate), sia soprattutto in termini di strutturazione «mediatica», attraverso la registrazione di domini dedicati, la costruzione di siti Web e di account di posta elettronica, strumenti che garantiscono all’azione dei comitati stessi una maggiore rapidità, visibilità ed economicità di gestione dei contatti;
b) i comitati organizzati «su base locale» per emergenze di carattere puntuale negli ultimi dieci anni anche grazie alla rete si sono ramificati e collegati in coordinamenti tra comitati, che da «isole» si sono trasformati in «arcipelaghi», sulla base di una comune appartenenza territoriale (un gruppo montuoso, un bacino fluviale, un’area amministrativa) o di una battaglia per motivi e temi simili (ad esempio i comitati contro l’elettrosmog, contro le cave, contro le discariche, ecc.);
c) i comitati attivi prevalentemente «per protestare» contro interventi che minacciano la qualità di vita a livello locale, anche in ragione delle trasformazioni occorse nei due aspetti precedenti (la durata di vita e l’estensione territoriale della loro azione sotto forma di coordinamento), oggi si caratterizzano non solo per azioni di protesta ma anche di monitoraggio e di proposte alternative di tutela, progettualità sostenibile, partecipazione, fino a divenire in alcuni casi vero e proprio progetto politico a livello amministrativo locale (molte sono le liste civiche che hanno avuto origine da comitati in Veneto, alcune delle quali riuscendo anche a guadagnare il governo delle amministrazioni): tutte azioni che trovano spazio di pubblicizzazione e occasione di dibattito negli strumenti messi a disposizione gratuitamente dalla rete.
I comitati nel Web: i diversi livelli di interazione
Attraverso un’attenta analisi del campione di siti Web attivati dai comitati spontanei in Veneto è possibile scendere nel dettaglio delle funzioni che la rete assolve rispetto agli obiettivi che i comitati si prefiggono. Il campione esaminato ammonta a circa 70 siti Web riferibili direttamente o indirettamente ai comitati: è pur vero che meno di un terzo del totale dei comitati censiti è rappresentato in rete, ma si tratta di una minoranza significativa, se si considera che il sito Web accompagna pressoché tutti i comitati sorti negli ultimissimi anni e che tali comitati risultano essere tra i più attivi.
Al fine di riordinare e classificare le diverse funzioni che il Web assume per la vita dei comitati, è parso utile prendere spunto dai tre crescenti livelli della partecipazione individuati dall’Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD, 2001; Rocca, 2010): il livello dell’informazione, quello della consultazione, quello della partecipazione attiva, non riferiti in questo caso al rapporto decisore-cittadino, ma a quello tra comitato e società civile.
L’asse informativo: il Web come vetrina o bacheca elettronica
La prima, più semplice ma insieme fondamentale funzione che assolve la rete per un comitato è quella informativa: il sito Web è il biglietto da visita con cui il comitato si presenta, e al tempo stesso una prima importante «certificazione di esistenza». La rete consente ai comitati una visibilità superiore, in termini di numero e distribuzione dei contatti, rispetto alla visibilità reale, spesso limitata al contesto locale. All’interno di questo primo livello di interazione/comunicazione rientrano almeno tre importanti contenuti, presenti nei siti Web dei comitati meglio strutturati:
a) una vetrina in cui è presente una breve presentazione del comitato, delle sue origini, e del motivo della protesta (sempre più spesso descritto dettagliatamente con dovizia di informazioni tecniche, planimetrie, cartografie, testi di delibere, studi di fattibilità ecc.);
b) una vetrina che raccoglie notizie, rassegna stampa, immagini, disegni, video delle attività e iniziative avviate dal comitato a sostegno della propria protesta, ciò che contribuisce ad amplificare ulteriormente la visibilità e la ricaduta delle azioni intraprese;
c) una bacheca/calendario virtuale in cui si pubblicizzano iniziative e manifestazioni organizzate a sostegno delle istanze del comitato, ma anche eventi collaterali di sensibilizzazione su tematiche inerenti ai motivi della protesta, ciò che spesso contribuisce ad agganciare il caso locale a un livello di dibattito più ampio e articolato.
Come si può facilmente intuire, i comitati non si limitano all’utilizzo della rete per far conoscere la propria azione, ma sfruttano tutti i canali di comunicazione possibili, dalle tv locali alle radio, alle affissioni, alle lenzuola di protesta esposte lungo le strade o sugli edifici eccetera, ma il Web agisce in ogni caso da potente moltiplicatore della visibilità oltre la dimensione strettamente locale del problema, e al tempo stesso ne sostiene il successo, attraverso il tam tam virtuale che contribuisce a rafforzare la partecipazione a iniziative reali.
L’asse consultivo: il Web come «agorà» virtuale
Lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione e informazione «Web 2.0» consente ai comitati di sfruttare il proprio sito per animare dibattiti, escogitare nuove forme di adesione, avviare petizioni, stimolare la raccolta di fondi a sostegno della battaglia del comitato.
Possiamo distinguere in questo livello almeno tre importanti funzioni svolte dalla rete: la prima è quella della condivisione «attiva» tra utenti delle istanze del comitato, che si sviluppa attraverso dibattiti, scambi di opinioni nei forum collegati, nei social forum che animano la discussione sul tema al centro dell’attenzione, spesso non limitandosi a raccogliere soltanto commenti «a favore» dell’azione dei comitati, ma ricevendo anche pareri critici; dalla condivisione si passa al coinvolgimento attraverso strumenti virtuali di raccolta di adesioni/firme o petizioni on line, oppure mediante un sondaggio a favore o contro l’intervento; dal coinvolgimento si passa al sostegno economico attraverso strumenti per la raccolta di fondi (tramite erogazioni liberali o il pagamento di una quota associativa al comitato) con le procedure paypal o il bonifico con carta di credito, fondi che servono a sostenere i costi delle battaglie legali sostenute dal comitato.
Questo secondo livello di coinvolgimento amplifica certamente la forza e le opportunità di crescita e sensibilizzazione di un comitato, consentendo di raggiungere sostenitori a scala più ampia e livelli di coinvolgimento crescente (la sottoscrizione della protesta e il sostegno economico) rispetto al livello di semplice informazione o condivisione ideale delle istanze; il Web consente peraltro di raccogliere adesioni e pareri anche di utenti non direttamente coinvolti, e questo pone una serie di interrogativi sull’attendibilità delle adesioni on line, nonché sul controllo rigoroso della correttezza delle procedure di adesione o sondaggio: i sondaggi, i referendum, le petizioni sono infatti strumenti offerti dalla rete gratuitamente, ma totalmente privi di controllo (anche i più sofisticati sistemi di log-in, autenticazione, controllo dei cookies sono infatti aggirabili e superabili), e ciò rischia di screditare anche i risultati più significativi.
L’asse della partecipazione: il Web come rete e laboratorio civico
Ma il Web non è solo uno spazio pubblico in cui esprimere la propria opinione o adesione. Esso può fungere anche da laboratorio per nuove sperimentazioni legate a nuove forme di partecipazione e condivisione. Così, in molti casi la rete funziona da catalizzatore di istanze portate avanti da comitati affini, che si supportano vicendevolmente attraverso forme di coordimanento (come ad esempio il Patto di Mutuo Soccorso, il movimento Stop al consumo di territorio, il Gruppo Salvaguardia Valbrenta, ecc.) e la promozione di iniziative comuni collaterali all’azione di protesta. Il comitato “No Dal Molin”, ad esempio, ha attivato un Gruppo di Acquisto Solidale, sostiene la campagna per il referendum sull’acqua pubblica, costruisce iniziative di sensibilizzazione e approfondimento scientifico su temi di particolare rilevanza sociale, e tutto ciò ha nel Web il canale principale di diffusione e coinvolgimento.
Non c’è dubbio che la rete facilita in questi casi le mobilitazioni, la partecipazione civica, l’animazione di dibattiti e partecipazione, e ciò senza dubbio può contribuire a spiegare la lunga durata dei comitati, che vanno oltre la situazione emergenziale (il comitato «No Dal Molin» ad esempio continua a essere vivo e attivo con iniziative di partecipazione e mobilitazione nonostante la battaglia persa contro l’ampliamento della base americana a Vicenza), spostano il baricentro della loro azione dalla protesta alla proposta, favoriscono forme di coordinamento a distanza.
Rischi e opportunità: qualche riflessione conclusiva
La moltiplicazione e il rafforzamento dell’azione dei comitati negli ultimi anni è stata potentemente condizionata dunque dalla diffusione del Web. Ma questo rafforzamento porta con sé qualche elemento di criticità che qui vogliamo rapidamente sintetizzare in due aspetti:
a) l’utilizzo della Rete da parte dei comitati è in genere orientato al soddisfacimento del primo livello di partecipazione (quello informativo), molto più rari sono i casi di comitati che sviluppano anche i livelli successivi; questo fa sì che la rete, anziché innescare istanze di partecipazione civica intesa come dibattito, proposta e condivisione di scelte e orientamenti per il territorio e la qualità della vita, spesso si trasformi semplicemente in «megafono» delle istanze di una minoranza agguerrita che – in assenza di un consenso – alza il volume dello scontro e assolutizza il conflitto, forte anche della risonanza fornita alle proprie posizioni dalla rete e dai media. Questo impedisce di fatto, in molti casi, la ricerca di tentativi di conciliazione e mediazione tra posizioni che si contrappongono spesso in maniera troppo manichea rinunciando a qualsiasi soluzione di mediazione o compromesso.
b) la rete costituisce una formidabile occasione di accrescimento delle forme di sorveglianza democratica, sostenendo e facilitando l’operato delle «sentinelles de veille» o dei «lanceurs d’alerte», che Pierre Rosanvallon definisce come nuove forme di «(contro)democrazia» (Rosanvallon, 2006). Tuttavia tanti allarmi (o tante proteste) difficilmente fanno un progetto, soprattutto se l’estremizzazione delle posizioni favorita dall’uso limitato e limitante della rete produce la frammentazione del politico, «décomposition de l’appartenance, crise des intermédiaires et nouveaux identitè sociales» (Rosanvallon, 2006).
Per concludere, la rete non trasforma certo con un colpo di bacchetta magica i «comitati-isole» in un «villaggio globale» capace di riconoscersi e orientare la propria azione sulla qualità della vita, ma li stimola piuttosto a costituirsi intanto in «arcipelago», attraverso forme di coordinamento («multitude du campements», «communité de situation»: Rosanvallon, 2006) che attendono ancora di maturare ed evolvere verso forme più strutturate di legittimazione democratica che devono anche, necessariamente, uscire dal Web per ottenere ascolto e riconoscimento.
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Questo saggio di Mauro Varotto è inserito nell’opera Geografia sociale e democrazia, Aracne editore, marzo 2012. 396 pagg., formato 17×24 cm, Euro 22,00 (Euro 15,00 il file in pdf), ISBN 978-88-548-4642-5.
A cura di Claudio Cerreti, Isabelle Éliane Thérèse Dumont, Massimiliano Tabusi, Valentina Albanese, Barbara Aldighieri, Fabio Amato, Antonello Anappo, Paolo Barberi, Nicolas Bautès, Rachele Borghi, Lina Maria Calandra, Alberto Cardillo, Gianluca Casagrande, Gian Mario Castellani, Claudio Cerreti, Aline Chiabai, Livio Chiarullo, Arturo Di Bella, Isabelle Éliane Thérèse Dumont, Fabrizio Eva, Jean Marc Fournier, Robert Hérin, Annarita Lamberti, Mirella Loda, Marco Maggioli, Marluci Menezes, Ronald Minot, Valentina Petrioli, Alessandro Prunesti, Lorena Rocca, Francesca Romana Lugeri, Riccardo Russo, Marcella Schmidt Muller di Friedberg, Massimiliano Tabusi, Bruno Testa, Mauro Varotto.
Sintesi di Geografia sociale e democrazia
Il confronto fra gruppi e individui, progetti e interessi, culture e valori genera specifiche organizzazioni dello spazio geografico, dà forma allo spazio. Lo spazio è un prodotto sociale, così come l’organizzazione sociale è un prodotto anche dello spazio territorializzato. Lo spazio generato dalla dialettica democratica ha caratteri variabili secondo i contesti storici e geografici e secondo la scala in cui lo si prende in esame. Tanto più oggi, quando la dialettica democratica può utilizzare strumenti di comunicazione “non convenzionale”, compresi quelli definiti “virtuali”, che a loro volta producono spazi specifici di confronto che non sono meno reali dello spazio geografico tradizionalmente inteso. Sulle dinamiche spaziali prodotte da un accesso mai così ampio ai canali della comunicazione, sulle opportunità e sui rischi che questo accesso e la sua regolazione comportano per un felice esercizio del confronto democratico, si interrogano gli autori dei saggi raccolti in questo volume.
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Io credo, invece, che di interventi autorevoli quali quelli del Dott Varotto ne abbiamo ( ho) bisogno eccome, sono stanco di interventi autoritari ed autoreferenziali. Nello specifico ci ha azzeccato in pieno nella sua analisi che mi pare non senta il decennio trascorso. Fatto il paio con Eco che sosteneva che il web ha dato voce agli stupidi, mi fa piacere leggere qualche autorità anche di diversa specializzazione, visto anche che la multidisciplinarità è la scienza del futuro. Non credo che il Varotto volesse proporre soluzioni, ma una attenta analisi a chi queste soluzioni deve trovare. Grazie Sign Gogna
@Grazia Infatti è un testo del 2012… da lì a oggi (che parliamo di IA e di metaverso) ne sono passati bit sotto il ponte… 10 anni! Fra l’altro non è un’analisi sociologica o politologica, ma l’intervento in tema di movimenti sociali da parte di un geografo. Onestamente non ne avevamo bisogno.
Non mi pare che la conclusione dell’autore sia tale, ma si manifesta come un’ulteriore analisi di cui non si intravede lo scopo!