Corno Stella, via De Cessole (AG 1965-007)
(dal mio diario, 1965)
Lettura: spessore-weight*, impegno-effort**, disimpegno-entertainment**
1 maggio 1965. Nel cuore della notte, alle 2.10, Vincenzo Bruzzone mi prende in macchina, poi a GE-Nervi per raccogliere Giova Scabbia e di lì a Di Negro per prendere i due Calcagno. Solo alle 2.45 partiamo definitivamente.
Alle 6 siamo alle Terme di Valdieri. A me e Gianni il rivedere questi posti ci ricorda l’ultimo brutto Natale (vedi https://gognablog.sherpa-gate.com/il-primo-bivacco/). Partiamo alle 6.40 sulla strada ancora innevata che porta al Gias delle Mosche. La neve è molto dura e andiamo spediti, con un tempo che non è dei migliori ma per ora regge.
Corno Stella, via De Cessole, e rifugio Bozano
Al Gias del Saut ci appare la parete ovest dell’Argentera, ancora molto innevata. Però gli speroni sono liberi e domani si potrebbe, partendo molto presto arrivare in vetta all’Argentera. Alle 9.30 arriviamo al rifugio Bozano 2453 m, al cospetto di tutto il circo delll’Argentera (Catena delle Guide, Corno Stella, Serra dell’Argentera e Catena della Madre di Dio). Qui al rifugio non c’è nessuno e, dopo esserci sistemati, partiamo alle 10.30 per il Corno Stella. Se il tempo fosse stato più bello, e non così infido, Gianni ed io avremmo attaccato la via Campia. Però le nuvole sono troppe, così ripieghiamo sulla De Cessole, la bella e storica via, la più classica al “più nobile scoglio delle Alpi Marittime”. Lino, Giova e Vincenzo andranno invece sullo Spigolo Basso.
Saliamo velocemente su per il conoide nevoso, fino a trovarci all’attacco delle cenge, che sono ricoperte di neve. Abbiamo con noi solo una piccozza per cordata. Gianni ed io arranchiamo abbastanza faticosamente su per un pendio di neve durissima e dopo breve tempo siamo all’attacco. Gli altri invece dovranno sudare parecchio ad oltrepassare le cenge, ridotte a pendii di ghiaccio con un po’ di neve sopra. Dopo i preparativi, Gianni attacca veloce una fessura (che poi risulterà essere una variante) di IV+. Poi per una parete e in cima a un canalino. Da qui incomincia la traversata sulla destra di sessanta metri. Graduata di III a noi sembra più facile: la darei di II+, però un’arrampicata magnifica. La roccia è di una compattezza eccezionale e il sole velato ogni tanto si fa vedere. Il vuoto sotto di noi cresce poco a poco. Siamo su una via nobile, degna di un rispetto ben diverso dal solito che si ha per vie più difficili. Mentre saliamo, pensiamo ad Andrea Ghigo (detto il Lup), Jean Plent e Victor De Cessole che nel 1903 superarono questa via con gli scarponi chiodati.
E arriviamo così alla base del famoso mauvais pas, il passaggio “cattivo”. Guardiamo. Jean Plent superò questi 22 metri di IV e IV+, senza alcun mezzo artificiale di assicurazione in scarponi chiodati. In un tempo in cui, in Alpi Marittime, il moderno alpinismo non era neppure lontanamente alle porte.
Noi stiamo veramente gustando l’arrampicata, senza alcun pensiero né preoccupazione. Tocca a Gianni superare il mauvais pas e io, piuttosto dispiaciuto, gli cedo il passo. Supera molto elegantemente questo tiro di corda eccezionale e la foto che gli faccio penso gli farà ricordare per sempre quel bel momento. Ora tocca a me. Il sacco sulla schiena non mi dà alcuna noia e ben presto siamo di nuovo riuniti. Riparto io e terrò il comando fin quasi in vetta. Il canale erboso finale è ricoperto di neve ghiacciata e lo evitiamo sullo speronino di sinistra. L’uscita in vetta è infida, con quattro o cinque dita di neve fresca su un sottile strato di vetrato. Gianni è costretto a piantare due chiodi sul pianoro sommitale! Con molta attenzione arriviamo alla croce della vetta. I nostri amici non ci sono e non sono ancora passati. Sostiamo un poco, traversiamo al masso più alto, dove è nascosto il libro di vetta. Dalla nebbia, sotto, vediamo la fucilata del Canalone di Lorousa. Intorno, vette magnifiche. La Ovest dell’Argentera di profilo, la bellissima cresta che porta dalla Forcella del Gelas di Lorousa all’omonima cima, l’Oriol, la Cima Mondini…
I nostri amici non arrivano. Prudentemente scendiamo giù alla vetta inferiore, facendo anche qualche poco pericolosa scivolata. In quel mentre spuntano fuori. Gli è occorso un piccolo incidente: Lino, capocorda, è volato per otto metri ed è stato tenuto da Giova; si è ripreso subito e ha ripreso da primo agevolmente. Per loro, come immaginavamo, il punto brutto è stato nella traversata delle cenge. Sotto una piccola buferetta cominciamo la serie delle doppie e dopo un bel po’ ci ritroviamo, non troppo asciutti, al rifugio Bozano, dove nel frattempo sono arrivati un sacco di torinesi e quattro francesi. Passiamo la notte non tutti bene, perché Giova ha molto mal di gola e Gianni è roco. Il mattino dopo è tutto nuvolo e non si vede a dieci metri. Gira e rigira sull’argomento, decidiamo di andare in tre (Giova, Gianni ed io) ad attaccare il Canale Nord del Colletto De Cessole, per poi salire sulla Cima Maubert, scendere al Colletto della Madre di Dio e di lì definitivamente alle Terme di Valdieri. Gli altri due scenderanno per il sentiero. Nevica. Usciamo dal rifugio, traversiamo sotto alla Ovest dell’Argentera e poi sotto a tutta la Catena della Madre di Dio credendo di essere appena sotto al Canalone Freshfield! Non si vede nulla, non si capisce nulla e la neve, a tratti, è schifosa. E così, con la coda tra le gambe, scendiamo per il vallone e ci ritroviamo vicinissimi a Gias del Saut e cioè esattamente sotto alla Madre di Dio! Ma che senso dell’orientamento e delle distanze abbiamo? Sfido chiunque con quella visibilità. Lentamente poi alle Terme, pranzo e ritorno a Genova.
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Anni ’70, con Francesco Leardi facemmo questa via. Era una Domenica. Il Lunedí lui tornava in fabbrica e io a scuola.
Ho capito quel Lunedì mattina che quel giorno della settimana Non doveva rappresentare anche per me un perenne incubo. Andammo così poco dopo a fare le selezioni per il Corso di Guida Alpina…
“Quando salendo creavi il mondo.” (Fosco Maraini)
Giugno 1965. Sulle orme di mio padre e di mio zio Francois Salesi a 17 anni con due amici Massimo Pisano, 17 anni e Silvio Maiga, 16 anni, ho affrontato e salito anch’io da capocordata la mitica salita alla via De Cessole al Corno. E’ stato il banco di prova per una lunga vita da alpinista e scialpinista per tutte le montagne delle alpi e non solo. Quando l’alpinismo era ancora avventura….
Una corda da 40 m in tre, un martello, tre chiodi 5 moschettoni qualche cordino comprato dal negozio di ferramenti, e una corda da 6 mm da 40m per le doppie.
queste storiche foto in bianco e nero sono stupende. Altri tempi.