Correre all’estremo
di Doug Mayer
(pubblicato su trailrunnermag.com nel giugno 2019)
Traduzione di Luca Calvi
In Europa i trail runner muoiono. Non solo uno o due, ma sei negli ultimi due anni solo sul versante francese del Monte Bianco.
Muoiono mentre cercano di spostare in avanti i confini del nostro sport, andando ad aggiungere tratti tecnici, su roccia e su ghiaccio alle più tradizionali attività di trail-running.

Max Fabbro, guida d’alta montagna, fu l’ultimo a testimoniare un incidente mortale sul Monte Bianco (il nome della vittima non è stato rivelato) sulla linea ghiacciata della cresta che porta alla vetta due estati or sono.
“Era vestito da trail runner, con scarpe da trail, bastoncini, niente ramponi o piccozza. Gli chiesi come andasse e mi rispose: ‘Direi bene!’ ”. dice Fabbro. Subito sotto l’ultimo strappo finale verso la vetta le cordate si trovarono a provare in pieno la forza del pendio sommitale del Monte Bianco, il punto più alto dell’Europa Occidentale con i suoi 4807metri. Il vento soffiava fortissimo e la nebbia riduceva la visibilità pressoché a zero.
“E’ scivolato per circa trecento metri e poi è finito all’interno di un crepaccio per circa venticinque metri”. Fabbro si ferma per un attimo, a ripensare all’esito. “Lui è morto e adesso sono rimasti soli una moglie e due bambini”.
Alcune settimane dopo toccò a Jack Geldard di dover assistere alla caduta mortale di un trail runner. Già capo redattore della rivista UK Climbing, Geldard, residente a Chamonix, stava facendo il suo lavoro di guida poco distante dalla vetta del Bianco. Parecchi trail runner avevano già passato lui e i suoi due clienti quel mattino. Poi ne arrivò un altro.
“Ha cercato di sorpassare un gruppo e subito dopo ha iniziato a scivolare” – dice Geldard. Al momento le condizioni presentavano ghiaccio ovunque e il runner non aveva dispositivi da trazione su neve o ghiaccio applicati alle scarpe da trail-running. “Mi ricordo che non ha urlato, niente” – continua Geldard, che poté assistere alla scena del runner, in seguito identificato come Matthieu Craff, 29 anni, da Saint-Renan, Francia, che continuò a scivolare fino a scomparire dalla vista. Sapeva che ad aspettare Craff c’era un mucchio di blocchi di ghiaccio o seracchi.
“Avevo letto che c’era gente che tentava di salire il Bianco di corsa” – dice – “ed avevo pensato ‘Però, questa sì che è grandiosa’”.
E’ un fenomeno che si sta espandendo attraverso tutte le Alpi e non solo nella mecca mondiale degli sport estremi, Chamonix. A Grindelwald, in Svizzera, Ralph Näf, guida alpina e presidente della Eiger Ultra Trail vede abitualmente trail runner su vie che un tempo erano dominio esclusivo di scalatori esperti, come il versante ovest dell’Eiger.
“I runner stanno valicando la frontiera dell’arrampicata” – dice Näf , per poi aggiungere che i risultati non sono sempre piacevoli e lo dice da specialista di elisoccorso alpino e da capo formazione del gruppo di soccorso alpino regionale. “Certo, ci sono stati incidenti, eccome” – dice.
Una tendenza in crescita negli Stati Uniti
C’è da chiedersi se la tendenza dei runner dilettanti europei a spostarsi su terreno alpino stia andando anche verso il Nord America e se i rischi che ne deriveranno porteranno ad un numero maggiore di feriti e di morti nel nostro sport.
“E’ decisamente una tendenza in fase di crescita” – dice Hillary Allen, 30 anni, da Boulder, Colorado, una persona che ha tutte le credenziali per poter dire di conoscere la questione. Atleta professionista, ha partecipato a molte delle gare di trail più tecniche di tutta Europa, arrivando a piazzarsi prima e terza nelle ai mondiali di Skyrunning in Europa. A casa sua, in Colorado, ha collezionato una quantità notevole di impegnativi percorsi di trail-running in ambiente alpino, in particolare nella catena delle Elk Mountains, compreso il complicatissimo dal punto di vista tecnico Capitol Peak. Il richiamo è evidente.
“Mi piace starmene fuori per tutto il giorno a salire in montagna per vie ai limiti dell’alpinismo o comunque impegnative. Non occorre nemmeno muoversi per forza velocemente. Quel tipo di cose mi rendono davvero felice”. Quella sua bravura le è valsa il soprannome di “caprona”.
Anche la trail runner Trisha Steidl residente a Seattle vede una nicchia in fase di espansione. “C’è molta più gente che va ad inserire nei propri percorsi di trail running tratti di escursionismo per esperti o di arrampicata”.
Lei e suo marito, Uli, hanno affrontato un gran numero delle vette più alte del Pacifico Nord-Occidentale, muovendosi in stile veloce e leggero grazie al loro background legato al trail-running. Uli detiene il record di velocità sui 4392 metri del Monte Rainier, sfida accolta e risolta in 4h24’30”.
“Grazie ad applicazioni per i social media come Strava adesso è più semplice comunicare e vedere cosa stiano facendo gli altri” – dice Trisha. Questo flusso di informazioni ispira nuovi progetti creativi. “Fa scaturire un sacco di idee del tipo: ‘Oh! Non avevo mai pensato all’idea di concatenare questa vetta e quella cresta!’”.
A più di ottomila chilometri di distanza, nel villaggio di Grindelwald, posto tra le montagne svizzere, Näf osserva lo stesso effetto.
“I trail runner in cerca di nuove sfide sono sotto l’influsso che dagli atleti professionisti giunge fino a loro grazie ai social media. Si fanno dare la traccia GPX e vanno” – dice Näf.

Scarica e corri
Tanto in Europa che negli Stati Uniti il fattore social-media è una forza motrice per la crescita dei trail runner che vanno ad esplorare i terreni alpinistici.
“Gli atleti stanno promuovendo una sorta di tendenza a combinare running e scalata senza corde” – dice Allen. “E’ stupendo, perché così si incoraggia la gente e provarlo, ma può essere pericoloso”.
Dice Uli Steidl: “Instagram e Strava hanno molto a che fare con questa crescita. Qualcuno posta una foto e qualcun altro dice: ‘Voglio farla!’. Scaricano il file GPS e pensano: ‘Se seguo la traccia dovrei essere a posto’. Purtroppo, però, non funziona sempre così. Ciò che risulta sicuro con una spessa coltre nevosa a giugno può trasformarsi in agosto in una pericolosissima salita su rocce instabili”.
A fare da guida tanto sul terreno che online è Kilian Jornet, probabilmente il miglior trail runner del mondo. Non c’è nessuno che abbia fatto di più per questo nuovo mondo ibrido di running e di arrampicata del trentunenne trail runner catalano, che ha segnato i record di velocità su terreno ad alto tasso tecnico in tutto il mondo, dal Bianco all’Everest. Su YouTube, i video che lo mostrano sul Cervino ad alternare trail running e scalata in solitaria hanno avuto più di un milione di visualizzazioni.
Non tutti apprezzano l’approccio “leggero e veloce” per affrontare le grandi cime. Jean-Marc Peillex, sindaco di St. Gervais, Francia, dove inizia la normale al Monte Bianco, punta l’indice su ciò che lui stesso ha definito “l’effetto Kilian”. In risposta ai recenti incidenti mortali, Peillex ha emanato una serie di regolamenti che prevedono per gli alpinisti diretti alla vetta l’obbligo di avere con sé il necessario equipaggiamento di sicurezza. La polizia di montagna, dislocata sulla via normale, adesso ferma di routine gli scalatori per ispezionare gli zaini. Nelle località poste attorno al Monte Bianco in molti hanno trovato le scelte di Peillex decisamente forzate. La realtà, secondo loro, presenta molte più sfumature.
“Quel tipo di reazione non è adeguata” – dice Allen. “Vedo cosa fa Kilian e subito capisco quante siano le sue conoscenze e capacità. Non si può salire in vetta la Bianco subito, alla prima prova di trail running. Dobbiamo educare la gente, far loro formazione. I trail runner hanno necessità di essere proattivi e acquisire capacità e abilità per poter andare in montagna. Bisogna avere le attrezzature, la conoscenza e il necessario bagaglio mentale per poter fare buone scelte”.
Per il momento le autorità statunitensi sembrano essere d’accordo con l’approccio di Allen. Andy Anderson, di Truckee, California, lavora ed è attivo su ambedue i versanti. E’ il detentore dei record di velocità sul Longs Peak in Colorado e sul Grand Teton in Wyoming. Il record segnato su quest’ultimo, pari a 2h53’02”, è di 59 secondi migliore di quello precedente firmato Jornet sulla stessa via. Addetto al Servizio Previsione Valanghe della Foresta Nazionale di Tahoe, ha lavorato anche come ranger scalatore per il Servizio Parchi Nazionali sul monte Rainier e sulle Montagne Rocciose.
“E’ allettante provare qualcosa visto su Instagram” – dice Anderson. “Ma i trail runner dovrebbero prendere in considerazione l’idea di iniziare con qualcosa che rientri nei loro limiti. Per esempio andare di corsa fino alla palestra di arrampicata e salire qualche via. Poi andare di corsa fino ad una falesia e salire rapidamente la normale di discesa. Un anno dopo sarà possibile provare quella via importante e riuscire, finalmente, a farsi quella foto così bella da mettere su Instagram!”.
Da parte sua la Allen dice: “Mi metto in gioco con il mio intuito, lo ascolto, non ho la febbre della vetta. Posso tranquillamente girare i tacchi e dire: ‘Ehi, le montagne saranno qui anche un altro giorno’. Capitano anche le giornate no e va bene così”.
Lei è solita condividere quei momenti anche con i suoi follower sui social-media.
“Instagram può essere roba da sbruffoni. Io non ho paura di far vedere le giornate in cui pensavo di poter fare qualcosa di grandioso ed invece alla fine ho girato i tacchi. E’ importante essere flessibili”. La gente si trova nelle peste, scrive, perché “ormai si tende a pensare che sia normale avere la giornata perfetta, in cui si è al cento per cento, ed invece non è così”.

A volte è solo questione di sfiga
Gli incidenti avvengono anche alla faccia di qualsiasi pianificazione precisa. Anche Allen sa qualcosa di quei rischi: nonostante anni passati in montagna e nonostante la sua fama di attenta programmatrice, è rimasta vittima di uno dei peggiori incidenti di trail-running della storia recente. Nel 2017, mentre era in Norvegia a correre per la Tromso SkyRace, ha fatto un volo di cinquanta metri.
“Ad un certo momento faccio un passo lungo e ciò che mi ricordo subito dopo è che stavo volando. Hai presente quel momento in cui pensi ‘Oh cazzo! Sto per cadere!’?” – dice la Allen. “Ecco, quello non c’è mai stato”.
Allen si è rotta una dozzina di ossa. Ha dovuto attendere un anno per potersi dire guarita e alcuni traumi mentali ancora permangono. “Occorre la capacità di saper gestire i rischi, ma non si riesce mai a tenerli tutti sotto controllo. Poco importa quanto bravi si sia a farlo, un cinque per cento di rischio sarà sempre presente comunque” – dice. “Quello di Tromso è stato un incidente anomalo. Non ero per niente fuori dalla mia comfort zone. Mi alleno in continuazione su quel tipo di terreno. A volte è proprio solo questione di sfiga”.
La libertà dell’andar per monti
Per i runner che puntano sempre più in alto il mondo dell’alpinismo potrebbe avere qualcosa da offrire: la filosofia della libertà dell’andar per monti, in particolare il diritto di valutare liberamente i rischi, di fare scelte personali e di accettarne le conseguenze. Se fai un errore madornale, come quelli cui hanno assistito Jack Geldard e Max Fabbro, oppure se è stata solo scalogna, come la intende Hillary Allen, le conseguenze possono essere davvero pesanti. Il diritto di fare quelle scelte, però, liberi da intrusioni burocratiche, è molto caro per gli scalatori.
L’etica addossa la responsabilità direttamente sugli scalatori, sugli sciatori e adesso anche sui trail runner. Assieme alla libertà di valutare i rischi e di fare le scelte relative all’equipaggiamento per sé stessi arriva anche la responsabilità di minimizzare gli incidenti mortali tramite la formazione, la condivisione di informazioni e di conoscenze e spandendo a piene mani tutta la saggezza raccolta lungo la strada. “La formazione garantisce un risultato migliore rispetto alla presenza di un ente che vada a chiudere una via solo perché ritiene che sia pericolosa” – dice Anderson. “Nessuno vuol sentirsi dire cosa deve fare. Provate invece a formarli e ad offrire loro differenti opzioni e vedrete che faranno scelte più sicure”.
Smessi i panni del ranger, Anderson mette in pratica ciò che va predicando. “Ho barato sui miei record sul Grand Teton e sul Long’s Peak,” – scherza. “Vivevo lì e potevo scegliermi la giornata perfetta”. Minor fortuna ha invece avuto su un progetto a maggior distanza. “Ho fatto quattro viaggi in Italia per riuscire a salire di corsa il Cervino” – confessa con imbarazzo Anderson – “ma la condizione meteorologica non ha collaborato”.
Tornando alle Alpi, la prossima estate vedrà pressoché certamente più incidenti per la comunità del trail-running. Ralph Näf sarà lì a salvarne qualcuno.
“Ci piace pensare che più veloce equivalga a più sicuro” – dice Näf. “Ma molti dei trail runner mancano di nozioni di montagna e hanno una quantità ben inferiore di attrezzature di sicurezza rispetto a chi va a scalare. Come risultato il margine di sicurezza è davvero esile. Alla fin fine spetta a ciascuna singola persona determinare quanto rischio possa correre o meno”.
Nota.
Doug Mayer lavora ed è attivo sulle montagne attorno a Chamonix, in Francia, e porta scarpe da trail-running a quote basse e scarponi da alpinismo in alto. Gestisce Run the Alps, unagenzia turistica di trail-running.
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Luca M. … Ahahahahah!!!!!
Scusate, mi è uscita di getto! 😀
Sicurezza in montagna? Basterebbe vietare le go-pro e la saria fatta!
Non ne faccio un problema di tipologie di approccio sportivo, né di sensibilità all’ambiente.
Il problema credo che sia culturale, intendendolo come “mera conoscenza” dell’ambiente naturale. Temo insomma che, in barba a tutti gli sforzi fatti in ambiti d’ogni genere, la comunicazione di massa (dalla pubblicità ai social) abbia cristallizzato un’immagine della Natura come fosse un campo di espressione per sé stessi.
La Natura non viene percepita come un luogo caotico, estraneo, rischioso, pur nelle sue meraviglie, ma semplicemente come una palestra più grande. Dove la bellezza infonde una sensazione di piacere, di tranquillità. O dove l’impervio infonde una sensazione di forza, di sfida, di sforzo.
E in un mondo sempre più osannante verso il portare sé stessi in primo piano, verso la catarsi di una pur piccola volontà di potenza, nella religione del “io voglio, io sono, io posso”… il fatto che una serie di piccoli e grandi fenomeni geologici, atmosferici, stagionali, spesso poco percettibili, pongano dispettosi una lastrina di verglas sul nostro cammino, sfiora poco la mente di molti.
Anzi, diciamocelo chiaro: tanti non sanno neppure cosa sia il verglas. Non sanno leggere un terreno di sasssi e terriccio, non conoscono le nuvole, non riescono a capire il vento.
Se tutto il resto è tecnica, le cose che ho elencato non te le insegna nessun mega allenamento.
Come non ti insegna a reagire, quando un piccolo fastidioso fenomenino naturale… può significare la morte.
Sono un po’ stanco e dico queste cose senza mezzi termini. Per chiunque, runner, trekker, alpinista e chi più ne ha più ne metta.
Come diceva la pubblicità della Pirelli : la potenza (forza + destrezza + resilienza) non è nulla senza il controllo. Anche nella tradizione cattolica la fortezza e la prudenza si associano alla giustizia e alla temperanza. Purtroppo queste virtù non sono sempre distribuite in modo equilibrato negli uomini. Anzi spesso le prestazioni eccezionali nascono dallo squilibrio. Esploratori e coloni, rischio e sicurezza. Più una società si sposta da lato più l’altro cresce sotterraneo. La nostra società persegue il controllo e la sicurezza e fa crescere sotterraneo il bisogno di rischio, vedi movida erede della febbre del sabato sera. Per cui non so come andrà a finire con la componente rischio in montagna. Bruno Brunod ha fatto un video sul suo mancato record all’Everest in cui racconta quando lui, padre di 5 figli, ha deciso di non rischiare la morte a 400 metri dalla cima. La storia delle sconfitte è spesso molto educativa di quella delle vittorie, ma interessa meno agli sponsor.
Anche grazie a questi costruttivi dibattiti, sto focalizzando meglio alcuni concetti che magari organizzerò in un futiro articolo strutturato secondo una sequenza logica. Quindi non scarico per il momento tali considerazioni qui. Pero’ confermo la mia sensazione di fondo, cioè che il fenomeno della montagna no limits estesa a chiunque stia perdendo “momentum”. Il momentum è l’accelerazione, non la velocità del trend. Immaginate di colpire una palla da tennis con la racchetta: all’inizio il momentum è in crescita e la palla accelera progressivamrnte, poi c’è una fase in cui la palla procede ancora nella stessa direzione, ma il momentum ha gia’ iniziato a calare. In parole povere sta prevalendo la decelerazione, è l’inizio della fine del trend: la palla sta andando ancora avanti ma, rallentando, prima o poi si fermerà. Fuor di metafora: proprio nel pomeriggio, alla TV, ho sentito Herve’ Barmasse riconoscere che, anche da parte dei normali alpinisti e sciatori, è sempre più necessaria l’attenzione (quella che io chiamo il cervello), perché la montagna è pericolosa. Due affermazioni pubbliche in pochi giorni. È un altro segnale che il mondo mediatico non diffonde più indiscutibilmente il modello “godo sicuro”. Il modello si sta incrinando. Non dico che domattina tutti si defileranno: ci vorranno alcuni anni. Ma sta iniziando ad emergendo una generalizzata sensazione di paura. Questo rallenterà l’indiscussa fruizione della montagna, estiva o invernale. Non dico che moriranno tutti. Dico che, spinti da questa paura che finora non avevano mai percepito in modo evidente, si dirigeranno verso altre attività. Bisognerà riparlarne fra almeno 5 anni, ma vedrete che potrebbe davvero andare così.
Assolutamente ok Enry. Credo che Salomon dovrebbe fare qualcosa di preventivo con Killian come Patagonia ha fatto con Honnold nel film per ragioni etiche, umane e legali. Poi ognuno è arbitro della sua fortuna.
Cosi come ho dichiarato che per me tutti possono fare le gare che vogliono sui sentieri, allo stesso modo dico che quanto descritto nell’articolo e’ effettivamente un problema. Questi non sono trail runner, sono trail runner che pensano di poter andare a fare i runner anche su ghiacciaio. E questo non e’ possibile. In questo senso mandano in malora anni di informazione e formazione su come andare in montagna, che hanno avuto il fine di far diminuire gli incidenti. Purtroppo anche a me e’ capitato di vedere gente in salomon sul ghiacciao del Lys, cosi come gente, in pantaloni corti e scarpe da trail, chiedermi sopra il rifugio Orionde se mancava tanto per la Capanna Carrell. Ero anche in zona il giorno in cui quel ragazzo di Cuneo (se non erro) ha perso la vita correndo verso la Capanna Carrell, perdendo la presa sulla corda della Cheminee. Da cui e’ poi seguita uns storia commovente, scritta da sua Mamma. Ma io dico pero’: se quel giorno si fosse fermato 300 metri sotto avrebbe avuto un’intera vita davanti. Questi sono eventi davvero gravi.L’avvento di Kilian ha spalancato un mondo. Quando vidi il suo filmato da courmajeur al Bianco per l’innominata e giu’ a chamonix, rimasi tanto affascinato di fronte a quell’impresa mostruosa, quanto seriamente preoccupato per lui, nel guardarlo salire solo soletto il ghiacciao del brouillard… ricordo che pensai: questo non dura molto… sono rimasto affascinato dalla sua salita al Cervino e di nuovo veramente perplesso nel vederlo correre e scendere su quelle corde, chi e’ salito su di la’ sa che basta un nulla e sei giu’. Il problema e’ l’emulazione. Purtroppo il fatto che kilian sia stato recuperato un paio di volte sul versante nord ovest della Aguille du Midi per aver sottovalutato difficilta’ meteo ecc. non viene molto pubblicizzato, e li’ ha rischiato grosso. Cosi come proprio nel record sul Bianco dal versante francese, pochi ricordano che il suo compagno ha fatto un bel volo dentro un crepaccio…. fortunatamente erano legati. Il problema e’ l’emulazione. Da parte di gente che ha un miliardesimo delle capacita’ di kilian e nessuna esperienza di montagna. Aspettare che cadano tutti e che quindi si estinguano mi sembra troppo cinico. Purtroppo ci saranno altri casi, il soccorso alpino dovra’ rischiare a sua volta per andare a recuperarli in qualche buco. Forse una bella campagna di informazione stile Il Fumo Uccide… non lo so. Questo si e’ un problema perche’ non ha nulla a che vedere con l’incidente che puo’ capitare una volta che si e’ fatto tutto il possibile per prevederlo ed evitarlo, ma e’ il fatto stesso di decidere preventivamente di voler affrontare la montagna con mezzi e modi rischiosi, cioe’ una sciocchezza.
Un ultimo commento: una delle runner dell’articolo dice che ha volte e’ questione di sfortuna. Beh per me la sfortuna non esiste.
Attenzione cannibali e perversi, imitatori potenziali suicidi del divino Killian: Crovella porta Iella😁☠️😊👻
Dove aver fatto i dovuti scongiuri e se siete persone normali ed equilibrate che vogliono muoversi velocemente in ambienti fantastici senza rischiare la pelle, consultate il sito della società di Doug Mayer “Run the Alps”. Portano in giro per le Alpi piccoli gruppi di trailer e legittimamente fanno pubblicità ma il sito contiene anche indicazioni e suggerimenti utili, oltre a fantastiche foto di Dan Patitucci, uno dei fotografi di montagna secondo me più bravi oggi sulla piazza e anche un bravo alpinista. Hanno pubblicato una guida Run the Alps Svizzerland ,putroppo solo in inglese. Descrive 30 itinerari bellissimi, alcuni dei quali ho fatto rigorosamente da solo e che mi hanno permesso di andare in posti meravigliosi e poco frequentati che non conoscevo, pur essendo un assiduo frequentatore della Confederazione.
https://runthealps.com/
Più in generale, io sono convinto che il trasferimento in montagna, specie in alta montagna (ghiacciai, pendii innevati ecc), della mentalità stile “no limits” verteva sulla convinzione che fosse possibile garantire il massimo dell’adrenalina con l’assoluta sicurezza. In pratica: godimento a mille con nessun rischio. Invece non è così e sto già verificando le prime crepe (nella mentalità comune) di questo modello idilliaco. Per esempio nei gg scorsi in TV, a latere di un incidente mortale (in montagna), ho sentito un espinente del soccorso alpino affermare pubblicamente che “in montagna il rischio zero non esiste”. È una novità rispetto all’ubriacatura del “godo sicuro” sbandierato fino a pochissimi mesi fa. È la prima incrinatura. Se si diffonde, fra i frequentatori domenicali della montagna, la sensazione che non è assicurata l’incolumità…beh questo farà da deterrente e piano piano scremara’ le fila. Ci vorrà del tempo, ovviamente, ma basta attendere… Un 15 anni fa circa il fenomeno dello snowboard alpinismo, ovvero scialpinismo con lo snowboard, sembrava vivere una crescita inarrestabile: invece ha velocemente “scollinato” lo spartisce statistico e si sta ridimensionando in termini numerici. Non dico che sia sparito del tutto (né affermo che mj auguro ciò), ma si e autocontratto a dimensioni umane che lo hanno riposizionato in termini di fenomeno marginale, statisticamente parlando. La mia speranza personale è che più o meno capiti lo stesso anche ad altri fenomeni che, oggi come oggi, sembrano inarrestabili, come questz assurdità dei runner sui ghiacciai. Per i tradizionalisti come me basta tenere le posizioni ed “esserci” quando la montagna passerà di moda e tornerà a disposizione di pochi intenditori.
velocità + resistenza + difficoltà
non tutti lo fanno per divertimento o battere record
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/01/05/trapani-dalla-tunisia-a-pantelleria-in-windsurf-limpresa-di-hamza-elawras/5652318/
In realtà è accaduto il contrario. La montagna attira. È il surf che si è trasferito in montagna a partire dal 1965 sotto forma di snowboard. Da qualche anno è in crisi per ragioni economiche, costa molto, e poca neve, ma è ancora molto popolare tra i giovani. Velocità + destrezza + fascino estetico di abbigliamenti e movimento:una ricetta micidiale per attirare un certo target.Per aggiungere irritazione che si sono inventati una nuova specialità: Mountain Bike + Snowboard. Sesso e sport: infinite sono le perversioni dell’animo umano. Anche qui prevalgono i gusti “ fluidi” sopratutto nelle nuove generazioni.
Non occupo altro spazio web ripetendomi. Mi limito ad osservare che questa è la punta dell’iceberg di un “mondo” che a me produce solo voltastomaco. È la “contro-montagna” per antonomasia. Per carità: non sono gli unici che “sporacano” le montagne con la loro ideologia, ma certo danno un bel contributo. Cinicamente auspico che il descritto trend acceleri ulteriormente, in modo tale da diffondere timori e paure e far nascere il desiderio di cambiare attività di tempo libero. Per esempio il surf è molto bello e si pratica lontano dalle montagne.
Gli elementi classici degli sport alpini: Rischio, Velocita’, Resistenza, Difficoltà tecnica si combinano oggi in forme nuove. Killian Jornet, ma ancora di più il suo incalzante competitore Karl Egloff, che ha battuto il record di salita al Denali per il West Butress, sono figure ibride tra l’alpinismo, la corsa, lo sci. Egloff è una guida alpina che ha fatto di tutto, Jornet arrampica su difficoltà elevate e corre con gli sci. Curiosamente sono figli d’arte, hanno padri guide. Lo stesso Honnold si è messo ultimamente a battere record di velocità. Diventerà l’alpinismo più veloce o il trail più alpinistico? Vedremo, Certo la velocità ha sempre un grande fascino sull’uomo soprattutto se combinata alla difficolta, anche se molti altri preferiscono la versione slow della montagna, ma fanno meno notizia. E qui c’è il solito problema di chi cerca di imitare gli influencer senza averne le capacità con il conseguente carico di morti.