Cortina prima del turismo e il Lago di Bràies
Nel 1886, nella sua Guida storico-alpina del Cadore, Ottone Brentari scriveva: «La bellissima conca, chinata leggermente a mezzodì, ove siede Ampezzo, è senza dubbio una delle più belle valli delle Alpi italiane. È percorsa dal Bòite, vestita di verdissimi prati coronati da neri boschi, e cinta dagli eccelsi e nudi giganti dolomitici che la difendono a settentrione, lasciando largo e libero il passaggio al sole di mezzodì».
Cortina d’Ampezzo 1211 m, la nota stazione turistica, regina delle Dolomiti d’estate e d’inverno, deve ancora oggi la sua fama all’incanto della sua valle, così ben descritto dal Brentari. Parole che ancora oggi suonano convincenti, perché sono proprio la solarità dell’esposizione e le ampie dimensioni della conca in cui l’abitato si adagia a determinare l’unicità di questo luogo. Sembra che il nome Cortina derivi da «località chiusa, recintata», «cimitero». Mentre grande disaccordo v’è sull’origine di Ampezzo, per alcuni «località disabitata e cespugliosa», da amp, una radice preindoeuropea, per altri avrebbe origine da peccio, cioè abetaia.

Anche se i primi stanziamenti risalgono certamente ai tempi di Roma, la locale organizzazione della pastorizia, come pure le tecniche agricole e di allevamento (il famoso cavallo avelignese), sono un po’ differenti rispetto a quelle cadorine e tradiscono un’evidente influenza germanica.
Accanto al primitivo cimitero sorse una modesta chiesa e quindi le viles, cioè le corti ladine equivalenti ai masi dell’Alto Àdige. Ancora oggi alcune di queste si possono ammirare, per esempio Campo di Sopra e di Sotto, Stadin o Col. Ma la maggior parte sono state assorbite nella grande Cortina. Accanto alle gloriose abitazioni sono scomparse tutte le colture, fave, granturco, patate, orzo, tabacco, lino e canapa. È rimasta solo l’erba, ma anche il fieno è «fatto» non dagli abitanti ma dagli allevatori della Pusteria o della pianura veneta. Anche il patrimonio zootecnico è fortemente ridotto (240 bovini nel 1989): nonostante la sua lungimiranza, Cortina in questo non ha seguito l’esempio del turismo svizzero e austriaco che al contrario hanno fatto sopravvivere, accanto alla nuova economia turistica, la vecchia economia pastorale.
Il più antico documento in cui l’Ampezzano è stato nominato è del 1156 ed è conservato nell’Archivio Comunale di San Vito di Cadore: è una compravendita in cui si parla del Territorio de Ampicio. In un altro documento, del 1241, il notaio scrive Actum in Ampicio Cadubri, stipulato in Ampezzo di Cadore. Era questo il tempo in cui Cortina dipendeva, come Decima Centuria, dal potere amministrativo di Pieve di Cadore. Dopo grandi attriti e a lungo andare, l’Ampezzano passò a Massimiliano d’Absburgo e a questo seguirono le immancabili questioni relative ai confini. Ancora oggi a Cortina si discute se rimanere nella veneta provincia di Belluno oppure passare all’amministrazione di Bolzano…
Grandi litigi vi furono con Auronzo per il possesso di Misurina, con San Vito per i pascoli di Giau. Cortina si sentiva diversa dal Cadore: «Dimmi pur ladro, dimmi anche assassino, ma non dirmi Cadorino»! La lite per i pascoli di Giau iniziò nel 1543 e terminò soltanto con il Trattato di Rovereto del 1752. I pascoli vennero assegnati a San Vito, al quale fu dato però il compito di erigere, dai Lastoni di Formin fino ai piedi del Nuvolau, la famosa Muraglia di Giau alta sei piedi e larga al fondo cinque e in cima due piedi. Ancora oggi si possono osservare i resti di questo muro, il più esplicativo segno dei cattivi rapporti tra ampezzani e cadorini.
Ma il Trattato del 1752 ebbe anche risvolti più positivi: segnando la fine di secolari diatribe, diede luogo ad un periodo di particolare floridezza per gli ampezzani, che indubbiamente erano cittadini austriaci privilegiati, malgrado l’intervallo napoleonico e l’adesione un po’ avventata al movimento di Andrea Hofer. Cortina divenne importante per il commercio del legname che dalla Pusteria, prima su pesanti carri trainati da buoi poi attraverso il Bòite, veniva convogliato al Piave e quindi «fluitato» a Venezia. Si distingueva tra legname da ardere, il «legnatico», che era suddiviso assieme a tutti i cascami della lavorazione direttamente tra i «Regolieri», e il legname da commerciare.
Questo era lavorato in «taglie», cioè tronchi semilavorati dal diametro di oltre venti centimetri e lunghi almeno quattro metri. Cortina produceva dalle 50 alle 60.000 taglie all’anno, dalla Pusteria ne transitavano almeno 80.000.

Allorché da Brunico, attraverso i bei villaggi di Säge (Corte) e Schmieden (il capoluogo di Bràies), si sale tra boschi e praterie lungo la valle del rio di Bràies, il cambio di paesaggio è repentino e stupisce il viaggiatore come spesso in molte altre località dolomitiche. D’improvviso il fitto bosco dà luogo ad una conca profonda, quasi in ombra, invasa da uno specchio d’acqua verde, regno dei riflessi delle sovrastanti crode. È il Lago di Bràies (Pragser Wildsee) 1489 m, famoso e noto come quello di Carezza. L’intensità della cintura verde è come riflessa all’infinito, sottolineata dal chiarore della doppia chiostra di rocce, quella ottica disegnata nell’acqua e quella reale della Croda del Becco e dello Herrstein. Oltrepassata l’ingombrante ma elegante costruzione absburgica dell’albergo, ad un piccolo imbarcadero siamo soli di fronte al lago, lungo 1200 metri e largo dai 300 ai 400 metri, con una profondità massima di 36 metri. Un tempo si stendeva per più dei 35 ettari attuali e si addentrava fino al prato della Valle della Foresta, ma i riflessi del bianco con frequenti inflessioni di rocce gialle o rossastre sono la vita di questo lago, specie all’alba o al tramonto. Le misure non ci dicono nulla. L’eco delle voci, ben nitida, è un altro riflesso o è, come raccontano, il lamento dello spirito del luogo che si è rifugiato sulle rocce più precipiti per sfuggire all’uomo o magari alla sua nuova fede, suggerita e imposta dalla graziosa e bianca chiesetta costruita sulla riva occidentale?
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Sarebbe stato meglio per tutti se Cortina fosse rimasta austriaca!
Il lago di Braies è bellissimo, ma non bisogna andarci ad agosto. In quel mese si parcheggia a diversi chilometri dal lago, prima di Ferrara di Braies, dove si deve prendere la navetta (tutto a pagamento, naturalmente), insieme a migliaia di altre persone… L’effetto di “A un passo dal cielo”?
lasciare montagne solitarie, ecco la soluzione