Il recente lavoro sulle croci in vetta alle montagne condotto dalla Dottoranda dell’Università della Tuscia Ines Millesimi, già docente di storia dell’arte, di primo acchito potrebbe essere colto come una provocazione. Non è proprio possibile ridurre uno studio scientifico e sociologico nei ristretti confini di una provocazione, magari ideologica. Il volume è molto di più ed è opportuno coglierne le mille sfaccettature che ci offre e lo rende prezioso.
Presentazione del libro Croci di vetta in Appenino di Ines Millesimi (Ciampi Editore – Roma 2022)
di Luigi Casanova
In Italia, da tempo, si sentiva il bisogno di un libro che affrontasse il tema delle croci in vetta. A quanto ci risulta fino a ieri era stato edito nel 2019 un solo volume di Hans-Joachim Löwer, un’interessante descrizione, per lo più fotografica, di 100 croci sulle Alpi.
Nel nostro paese, se non con interventi schierati a favore o contro l’installazione di croci sulle vette, non era possibile trovare una documentazione ampia sul tema. I tempi erano più che maturi per dare il via a riflessioni approfondite. Grazie a Ines Millesimi lo sguardo apre nuovi orizzonti, l’autrice non si sofferma a una comunque utile rassegna di croci diffuse sulle montagne dell’Appennino suddivise per fasce altimetriche (72 schede di croci di vetta). Come evita risposte secche sul fatto che questi manufatti (simboli antropici complessi) disturbino, interferiscano con i paesaggi, limitino o meno delle libertà, siano per lo più di scarsa qualità estetica: oppure, in positivo, risultino essere componenti attive e complesse dei paesaggi, ma anche del pensiero umano e delle comunità che in montagna vi vivono. Una croce in vetta più risultare essere alimento per diffuse sensibilità, non solo afferenti il campo religioso. Si tratta sempre di lavori dell’uomo che raccontano storie, anche profonde, individuali, quasi sempre collettive. Il libro ci permette una sintesi storico-artistica sull’evoluzione del simbolo della croce fino al contemporaneo, ma porta anche riflessioni inedite nel campo della sociologia, della geografia e degli aspetti giuridici. Di chi in montagna vive, di chi la montagna la frequenta da turista, in vari modo, arrampicando, camminando o anche semplicemente contemplando. É anche importante sottolineare come sul tema il libro segni l’avvio di un percorso scientifico, che andrà ulteriormente coltivato. Questo è un consolidato e inatteso valore che l’autrice ci presenta, avendo voluto svolgere in un lavoro raccolta dati creando una community di ricerca partecipata. Senza giungere a esprimere giudizi netti, anzi a rimarcare quanto sia oggi importante un senso di maggiore consapevolezza nella regolamentazione complessiva del territorio ha messo in relazione i segni tangibili dell’uomo con le loro conseguenze negli spazi di libertà e di forte naturalità. Il lettore viene portato a osservare quanto coglie l’attento e complesso modo di vedere dell’autrice: paesaggi, interferenze ambientali, storie e passioni, conflitti. Con grazia lascia senza risposta alcune domande per ulteriori riflessioni future, affinché ognuno venga lasciato libero di seguire la propria sensibilità spinto anche da interviste inedite (dal Vescovo di Verona Pompili a Messner per esempio).
Partiamo quindi da questo primo volume ricco di schede e di fotografie, di mappe con georeferenziazione, di riferimenti bibliografici e di dati, che ci aiutano a ricordare le montagne che abbiamo salito o ammirato, a recuperare storie che avevamo dimenticato, o di cui non sapevamo traccia.
La prefazione dello scrittore Erri De Luca ci aiuta a entrare nella complessità del libro, come del resto le brevi e intense frasi della postfazione di Paolo Cognetti che apportano un valore aggiunto nell’uso – anche ironico – della parola.
Il libro è stato presentato a Roma presso l’Università LUMSA venerdì 20 gennaio 2023. L’evento era patrocinato da Club 2000m e dal Gruppo Terre Alte-Comitato Scientifico Centrale del CAI.
Dopo i saluti dei professori Francesco Bonini, rettore dell’Università ospitante, e Claudio Carere (associato di Scienze ecologiche e biologiche Unitus), hanno arricchito il confronto i professori Mauro Varotto, associato di Scienze storiche e geografiche presso l’Università di Padova, e Bartolomeo Schirone, professore ordinario di Scienze agrarie e forestali, Università della Tuscia. E’ seguita una tavola rotonda moderata da Francesco Mancini (Consiglio direttivo Club 2000m) con interventi di Oscar Gaspari (Comitato Giubileo 1900 – 2025, Università LUMSA), Ines Millesimi (autrice del libro e dottoranda Università della Tuscia), Antonio Pica (dottorando Università della Tuscia), Giuseppe d’Annunzio (docente di Storia dell’arte presso il Convitto nazionale “Domenico Cotugno” di L’Aquila), Marco Valentini (Consigliere di Stato e docente all’Università del Sacro Cuore) e Giampaolo Boscariol (già componente del Consiglio direttivo del CAI centrale).
Dalla premessa di Ines Millesimi (p.19)
Prendendo ispirazione dal titolo e dall’ordito del suggestivo iper-romanzo di Georges Perec La vie mode d’emploi (1978), ricco di personaggi inusuali e racconti delle cose inanimate, costruito come un complicato dispositivo che illumina relazioni, collegamenti e interdipendenze nella frammentarietà del tutto, abbiamo realizzato uno studio sul tema delle croci di vetta in Appennino evitando di cadere nelle polarizzazioni. Ad oggi non è mai stata scritta una storia culturale, sociale e geografica sulle croci di vetta mappandola per fasce altimetriche. Si tratta evidentemente di un tema tanto affascinante quanto divisivo e complesso, trattato sulla stampa a ondate cicliche e sviluppato più sul piano della contrapposizione che su quello della comprensione del fenomeno. In realtà, una selezione delle più significative e belle cento croci di vetta che insistono sull’arco alpino e transalpino, accompagnate da un ricco repertorio fotografico e dalla cronaca delle vicende degli uomini ad esse legati, figura nel volume del giornalista e scrittore Hans-Joachim Löwer, Gipfelkreuze. Träume, Triumphe, Tragödien, pubblicato in Alto Adige dove è più sentita questa tradizione. Tuttavia non sono stati finora indagati alcuni importanti interrogativi sollevati da questa pratica: cosa significhi il simbolo della croce oggi; cosa rappresenti nel paesaggio montano soprattutto a quote elevate e se vi è una sua utilità; se apporre una croce in cima a una montagna comporti un impatto paesaggistico o un qualche disturbo; se esistano delle regole a cui attenersi, affinché il fenomeno dilagante di manufatti, artefatti, insegne e infrastrutture non diventi estemporanea espressione personale, frutto per lo più di iniziativa privata, o anonima, o di associazioni non ben identificabili, senza una storia radicata alle spalle con il luogo in cui operano. Una prima catalogazione delle croci di vetta è apparsa in tal senso un passo indispensabile per tentare risposte a queste domande di ricerca (…).
L’impatto antropico sulle Terre alte sta assumendo proporzioni sempre crescenti, legittimato da diversi tipi di necessità, economiche, culturali e sociali; lo spazio viene sempre più invaso, si assiste a un vero e proprio horror vacui contemporaneo che se analizzato in termini quantitativi nella sua persuasiva ripetizione e delocalizzazione mostrerebbe una propagazione fuori controllo. Sembrerebbe – e lo è quasi certamente – indizio di un bisogno ancestrale di marcare il territorio, di una pratica di appropriazione della montagna e non di una manifestazione identitaria percepibile di segni così significanti, necessari per l’intera collettività.
Le storie delle croci in Appennino – quantificarle tutte è impossibile – si intrecciano tra loro e ricostruire le vicende di ciascuna è stata impresa non facile per tentare di ricomporre una prima mappa geografica. Si è scelto quindi di limitare e circoscrivere il campo d’indagine rintracciando tutte quelle apposte sulle cime appenniniche superiori ai 2.000 metri di altezza poiché si voleva verificare la quantità e la qualità dei segni antropici in rapporto ai dislivelli più significativi sulle «montagne intermedie», tenendo conto della maggiore difficoltà di accesso per apporre appunto una croce in vetta piuttosto che su una collina. Seguendo un criterio progressivo la ricerca è partita dalle vette dei Monti Reatini oltre i 1.200 m, cuore del Centro d’Italia dove è nato questo studio grazie all’Università degli Studi della Tuscia (…).
Attraverso questa prima catalogazione, si auspica che ogni comunità possa prendersi ancor più cura delle Terre Alte, della rete dei sentieri e della segnaletica, dei manufatti a bassissimo impatto (omini di pietra) e di infrastrutture – croci comprese – apposte sulle vette e ormai storicizzate, affinché venga assicurata continuativa manutenzione e scongiurato ogni abbandono. Le infrastrutture ammalorate e poi disperse nei valloni e nei ghiaioni in quota, soprattutto se di metallo, generano rifiuti difficilmente smaltibili, che nessuno raccoglie e porta più a valle. L’auspicio è che si diffondano l’autodeterminazione come cultura permanente e un forte investimento di responsabilità collettiva per sospendere ulteriori nuove apposizioni di simboli sulle cime, a vantaggio di uno spazio che non limiti le esperienze abbassandone l’intensità. Lasciata alla sua bellezza metafisica e spirituale, la vetta rappresenterà realmente l’estetica del vuoto. Come è dato incontrare su alcune sommità e laddove risulti possibile, la cima può essere segnalata costruendo preferibilmente un cumulo di pietre raccolte in quell’area. In altri casi croci e targhe in memoria sono raccolte e custodite insieme più a valle in piccole cappelle dedicate, facilmente accessibili a tutti. Si viene incontro così al bisogno di spiritualità di ognuno senza incappare in posizioni ideologiche riduzioniste e di parte. Recuperando in tal modo la concezione olistica della realtà e del pensiero, dell’essere umano percepito come unione di corpo, mente e anima, lo spazio della Natura è lasciato libero dai prodotti effimeri dell’uomo poiché in montagna, il luogo dell’altitudine per antonomasia, siano applicati solennemente i principi del rispetto della Natura, della legittimazione dell’altro, della pari dignità di diverse posizioni.
Dalla Prefazione di Erri de Luca (pp.11-12)
(…) Al termine di una salita, quando mi avvicino alla sommità vedo stagliarsi la croce conficcata sul punto più alto, a capolinea. Di solito è vuota, senza il corpo. Mi viene spesso in mente la domanda: è in attesa del condannato o è già stato deposto? Per un momento ho la vertigine di essere arrivato in anticipo sull’esecuzione.
Attraverso la croce ogni cima richiama il Golgota. Ogni cima è il trampolino per un tuffo in cielo. Le ali spiegate di un corvo che sfrutta da fermo la corrente ascensionale, ripete la forma della croce in aria.
Ce ne dovrebbero essere tre. Tale era la formazione del dispositivo di quella condanna a morte. I due colpevoli di reati comuni condividevano la sorte dell’eroico intruso, che affrontava il supplizio per quanto aveva detto e non per aver fatto.
Dei suoi ultimi giorni mi colpisce la fermezza tenuta durante il suo processo, senza concedere niente a un’attenuante, a una ritrattazione. Il suo comportamento resta esempio d’insuperabile integrità.
La croce di cima mi ricorda che mancano le altre due.
In Val Badia sul monte Cunturines non c’è n’è. Sul Campanile di Val Montanara c’è opportunamente una campana.
Dalle pagine di questo libro vengo a sapere che la prima croce di montagna fu piantata sul Großglockner, grande campanile. Meglio ci sarebbe stata una campana.
La meticolosa ricerca di Ines Millesimi rende omaggio al simbolo sacro che più di ogni altro indica il messaggio della cristianità.
Quando inizio la discesa, cima e croce alle spalle, mi sembra di lasciare un luogo di culto: pochi passi più giù mi volto per un ultimo sguardo, in forma di saluto.
Dall’introduzione del Prof. Mauro Varotto, Università di Padova, Coordinatore Gruppo Terre Alte, Comitato Scientifico Centrale CAI (pp. 15-16)
(…) Possiamo immaginare oggi un nuovo significato per la croce di vetta, al di là della stratificazione di memorie, credenze, riti, eredità del passato peculiari di ciascun territorio? L’idea di fondo che anima il lavoro è provare ad immaginare, in un mondo in profondo cambiamento dal punto di vista climatico ma anche demografico e sociale in chiave multiculturale, un rinnovato significato universale da attribuire alla croce, ricongiungendo il manufatto alla sua origine simbolica, rendendolo manufatto inclusivo e non escludente, sostenibile e non impattante, che parli a tutti e non soltanto agli appartenenti a una confessione religiosa o a un territorio peculiare. Per fare ciò è necessario ritornare all’origine simbolica del segno della croce, una benedizione ebraica che risale al Tau, l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, l’alfa e l’omega del mondo, e all’auspicio di essere in armonia con il creato. In questo senso la croce con le sue quattro braccia potrebbe richiamare oggi i punti cardinali che danno ordine al cosmo, o la quadruplice apertura heideggeriana (Geviert), in direzione di Cielo, Terra, Divini e Mortali, per allargare e dare profondità alla nostra esistenza individuale, rendendola parte integrante di un Tutto che in fondo è un diverso modo di chiamare l’eternità e la divinità. In tempi in cui la scissione tra Uomo e Natura ha generato disastri ambientali e climatici quasi irreparabili, la croce più che punto di arrivo di performance alpinistiche e sportive o soggetto di selfie ripetuti e autoreferenziali, può assumere un nuovo significato di riconciliazione, come sentinella meteorologica dove possibile, ma anche come luogo che ispiri un messaggio sul nostro rapporto con il creato, riducendo all’essenziale l’impatto che essa produce negli ambienti di vetta in nome di un insegnamento superiore. Ci sembra questo il monito più forte di questo lavoro, e ci auguriamo che nel suo piccolo contribuisca a sviluppare un dibattito su questi temi, per fare delle croci di vetta una rinnovata bussola per il nostro andare.
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Cominetti. Francamente non la conosco. Però vedo la forte attrazione esercitata dai social su alcuni comportamenti espulsivi della nostra specie che hanno una funzione salutare fondamentale come ruttare, sputare e scoreggiare, ma che, come dice un mio amico pneumologo, raggiungono nei maschi fin da piccoli un livello di virtuosismo e piacere collettivo straordinario, dando luogo a riti sociali di grande importanza, anche in montagna. Se ne dovrebbero in verità aggiungere altri due, non nominabili, così arriviamo ai famosi Big Five. Ad maiora.
La barzelletta della sputacchiera!!! Un must intramontabile dello schifo.
Bertoncelli. Sono d’accordo. Le cose si fanno parlando e dialogando e sono sicuro che troveresti tanti uomini di fede in sintonia con te. Purtroppo c’è gente che ha obiettivi diversi e alimenta le polarizzazioni anche dove non ci sono perché gli fa comodo, trovando nel pubblico seguaci entusiasti. Guarda anche qui il successo del fare a botte virtuale. Su questa storia poi ho visto commenti su FB pubblicati da frequentatori del blog che per fortuna hanno scelto un’altra sputacchieta risparmiando così il lavoro di pulizia alla Redazione con la quale solidarizzo perché pulire le sputacchiere è un lavoro brutto e un po’ disgustoso.
Roberto, se dovessi decidere io, proverei a convincere i cattolici a sostituire il colossale traliccio del Corno alle Scale con un’umile croce di legno, alta tutt’al piú un paio di metri.
Sul Rondinaio (Appennino Modenese) ne esisteva per l’appunto una cosí, eretta soltanto nel giugno 2006. Vi era riportata la famosa esortazione di papa Giovanni Paolo II:
«Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo».
Io, che sono agnostico, mi commuovevo.
P.S. Ora la croce non esiste piú: è stata spezzata dalle intemperie o da un fulmine.
Bertoncelli. Appunto. È esattamente il tema affrontato dai relatori del famoso convegno alla Cattolica da cui è nato tutto, Monsignore presente compreso. Chi sono davvero le persone che vogliono cercare di tutelare nei limiti del possibile quell’elemento di spiritualità, credente o non credente, che è presente in molte persone, non certo tutte, che vanno per monti? Questo è l’obiettivo comune al di là della grida di opportunisti e cialtroni.
Salite sul Corno alle Scale (Appennino Bolognese). Seduti ai piedi del colossale traliccio a forma di croce, alto una dozzina di metri, e tra la gazzarra di tante comitive provenienti dalla vicina seggiovia di Punta Giorgina, tentate di ripetere l’esperienza del Balzo Nero.
Poi mi direte come sarà andata a finire la meditazione.
Il fatto che sia breve non mi pare possa giustificare, per esempio, usare un elicottero per andare a meditare su una vetta…o portarci una croce
Andate in solitudine sul Balzo Nero (Appennino Lucchese). Di lassú, seduti in pace accanto alla pignatta che custodisce il libro di vetta, contemplate il panorama che spazia sconfinato all’intorno. E meditate.
Meditate anche se convenga battagliare sempre su qualsiasi aspetto delle umane vicende: la vita è breve.
Con la direzione di Ferrari la rivista del cai sarebbe migliorata e soprattutto sarebbe stata più libera di affrontare, parlare con spirito critico i problemi della montagna .
Non poteva reggere questa cosa, sarebba stata una spina nel fianco.
Quindi via, scaricare!!
Ferrari si è guadagnato la direzione di Life, se esiste ancora.
Le Alpi ma tutta la montagna in generale, sono già anche troppo aggredite da manufatti. Quindi perchè volerne installarne altri. Aspriare ad un freno, mi sembra un pensiero, una aspirazione lungimirante.
Come si fa a dare peso ed affermazioni da parte di mercanti nel tempio, il cui valore primario è il denaro, il capitale, il lusso. Altro che paladini di Cristo.
Enri. Ferrari, in continuità con quanto ha scritto nel suo ultimo libro “Assalto alle Alpi”ha sostenuto una posizione di buon senso che molti anche qui hanno espresso più volte. Prima di piazzare nuovi manufatti e inpianti sulle montagne pensiamoci bene. C’è gia un passato che pesa ed è inopportuno aggiungere altro. Il problema è che in questo discorso ha toccato il tema croci e in questo paese quando si affrontano temi che hanno a che fare in qualche modo con la religione cattolica si rischia sempre tanto e bisogna pesare bene le parole, non solo a proposito delle croci, vedi fine vita, matrimoni omosessuali and company. La cosa paradossale è che spesso i più accaniti e scatenati non sono i veri credenti o le autorità ecclesiastiche, che hanno in molti casi un atteggiamento più aperto alla comprensione degli orientamenti emergenti nella società, ma persone che nella loro vita sono ben lontane da essere testimoni dei valori cristiani e che magari esibiscono il rosario e poi se ne fottono dei morti in mare, donne e bambini compresi. Questo è purtroppo il risvolto opportunista, furbo e ipocrita della nostra vita politica e non solo la nostra. Ferrari da questo punto di vista è stato poco “politico” ma andava difeso contro la cagnara e non scaricato in quel modo. Come già detto, quel comunicato della Presidenza, oltre ad essere ingiusto nei contenuti, è stato scritto da qualcuno che non sa fare il suo mestiere di comunicatore istituzionale.
Quanto a non installare nuove croci sulle vette, ma anche altri simboli, statue, budda, big panchine, ect. mi sembra il minimo. Le vette sono luoghi di tutti e di nessuno. Non hanno bisogno di simboli, sono già un simbolo!!
Questi sarebbero i paladini dei valori di CRISTO ?!?!?
Ma non siamo offensivi!!!
@47. Io mi riferivo al fatto che Ferrari abbia detto basta a ulteriori croci ( non che abbia detto dì voler togliere quelle esistenti).
Tra l’altro Ferrari avrebbe tutte le ragioni per fare causa al CAI e al suo Presidente. Intanto Ferrari rischierebbe del suo mentre Montani avrebbe legali ed eventualmente risarcimenti coperti dalla solita Pantalone SPA.
Però, mentre la causa va avanti con i soliti ritmi italici, potrebbe andarsene a Papeete per stare tranquillo.
A parte i due ministri coinvolti, che meritano la stessa considerazione che si può dare a due bambini dell’asilo, in questa vicenda si scontrano chiaramente professionalità e dilettantismo.
Ferrari è infatti un professionista che vive di editoria, mentre Montani è il solito dilettante che si è ritrovato a presiedere un ente che, per quanto scapestrato, è un grosso dinosauro tentacolare.
Inevitabile l’incongruenza.
Infatti il risultato è emerso subito.
Probabilmente Ferrari voleva “accasarsi” e ha visto nel CAI il classico posto fisso, ma non ha considerato che avrebbe avuto un superiore/banderuola con cui confrontarsi.
L’errore di valutazione è stato di entrambi. E si vede!
Il presidente generale del cai DOVEVA difendere il suo collaboratore. Lo doveva difendere , uno perchè Ferrari è una persona preparata e valida per il ruolo a cui era stato chiamato; due dagli attacchi di politici che di montagna non sanno nulla e mettono in bocca agli altri, per il loro tornaconto, cose che non hanno mai detto.
Ma ha preferito lavarsene le mani.
Enri. Albino Ferrari è stato smentito dal Presidente del Cai per una cosa che non aveva mai detto e a seguito della veemente reazione di due autentici e ispirati paladini e testimoni della fede e dei valori cristiani: l’uomo del Papeete e la Signora del Twiga. Inevitabile che desse le dimissioni. Forse c’è ancora qualcuno che comprende il significato dell’espressione “dignità personale”. Ora gli chiedono di ritirarle, come se le persone fossero stracci del pavimento che prima si strizzano e poi si riutilizzano. Una vicenda imbarazzante.
Stavolta ho trovato nei commenti di Stefano tratti condivisibili, perlomeno quando afferma che non esiste una comunità’ di persone senza valori morali e in qualche modo anche religiosi. Di solito smetto di seguirlo quando diventa eccessivamente complottista ( Stefano non ti offendere, del resto del mio giudizio immagino te ne infischi) ma ognuno ha diritto di percorrere la sua strada.
In Italia la tradizione religiosa e’ oggettivamente presente, non dobbiamo scandalizzarci se, perlomeno alcuni decenni orsono, salire in alto avesse un significato ulteriore rispetto alla sola fatica fisica. Se questo afflato diciamo metafisico e insito nella tradizione religiosa o solo che culturale italiana ha portato croci in cima ai monti che male c’è’? Tra l’altro se c’è’ un oggetto essenziale e poco invasivo è’ proprio un bastone a croce. Ferrari poteva risparmiarsi quell’affermazione. Avrebbe dovuto capire che avrebbe causato un polverone e la bravura di un direttore editoriale del suo livello sta anche e soprattutto nel non dire ciò’ che non serve dire. Proprio al giorno d’oggi in cui un eventuale nuova croce in cima ad un monte incide un miliardesimo di miliardesimo rispetto a funivie, strade ecc.Detto che Ferrari ha sbagliato a mio avviso in questo caso, aggiungo che lo considero la miglior penna vivente in tema di montagna ed alpinismo, non dimenticando quello che per me rimane un capolavoro insuperato e cioè’ Freney 61. Senza contare alcuni numeri di Meridiani super. Mi spiace che si sia dimesso. Sarà’ stato un pretesto?
Il simbolo religioso è degradato a simbolo identitario, come ha dimostrato la recente polemica. È un terreno di scontro per dimostrare potere politico. Il vero segno di rispetto per la Croce sarebbe ormai togliere le croci
Santanché-Salvini-CAI, come direbbe Frassica: uno scontro tra Titanic.
Invece di perder tempo a parlare di croci sulle vette, che più sono alte e arzigogolate più vengono scalate per le foto di rito, bisogna incominciare a discutere del posizionamento sulle vette di sculture rappresentanti cani e biciclette che sempre più le calcano.
«Siamo stupiti di come la presidenza Cai — si legge nella nota — non abbia difeso chi con passione e professionalità si occupa di raccontare le nostre montagne e la nostra cultura, riportando la discussione nel merito dei reali contenuti degli articoli». A Ferrari e Lacasella i collaboratori esprimono solidarietà, invitandoli a tornare alla guida della testata. Ai vertici del Club, invece, si chiede «una presa di posizione chiara e trasparente»: «Finché non la assumerà, ci asterremo dal produrre nuovi contenuti per il portale».
https://www.ilmessaggero.it/AMP/italia/croci_sulle_vette_montagna_cai_cosa_sta_succedendo_dimissioni_marco_albino_ferrari-7488788.html
È evidente che il nuovo presidente Cai non sia partito con il piede giusto, già ad inizio incarico si era espresso in modo tutt’altro che condivisibile, in questa circostanza mi sembra che abbia dato dimostrazione di eccessivo zerbinismo nei confronti dei potenti e debolezza nel difendere chi lo meritava. Pollice verso.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/06/26/fake-news-ad-alta-quota-via-le-croci-dalle-vette-salvini-e-santanche-si-indignano-ma-il-cai-smentisce-la-stampa-ha-generato-lequivoco/7208205/#cComments
Perché il Presidente del CAI si è scusato con il Governo? Ma siamo proprio un Paese dove funziona tutto alla rovescia, sono Salvini e compagnia cantante che devono scusarsi!
https://www.loscarpone.cai.it/dettaglio/croci-di-vetta-qual-%C3%A8-la-posizione-del-cai/
“L’iniziativa era infatti volta a riflettere sulle tematiche proposte nel libro Croci di vetta in Appennino di Ines Millesimi.”
“Ed è proprio il presente, un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il CAI a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne.
Che poi, a ben guardare, è lo stesso metro che il sodalizio ha adottato con i rifugi e con le vie ferrate, prendendosi cura delle strutture esistenti e, al contempo, dichiarandosi contrario alla realizzazione di nuovi innesti.”
Ma se questa è la posizione ufficiale del CAI, perché non la espongono in modo chiaro ed inequivocabile anche alle sezioni e ai soci, che sembrano esserne completamente all’oscuro, visto il continuo proliferare di nuove croci e ferrate?
Per tutti gli interessati, segnalo che domani MARTEDI’ 14 marzo alle ore 21 il CAI Lazio organizza l’evento di presentazione con slides del volume Croci di vetta in Appennino. Invito tutti voi a partecipare in piattaforma facendo domande o una riflessione. Ecco il link GOOGLE MEET ztd-fctp-wyb
Stefano, forse non mi sono spiegato bene.
Non sono contro le croci in montagna in assoluto. Le croci storiche o quelle poste dalla pietà popolare, che restino: sono una traccia della storia delle nostre montagne.
Sono però assolutamente contrario alle croci, alle madonne e agli angeli nuovi e ai rifacimenti (che di solito sono sguaiati sovradimensionamenti)
Come sono contrario ai bivacchi e ai rifugi nuovi o ingigantiti
Perché sono una pura opera di colonizzazione, speculazione e degrado.
Che sia la nuova croce di cresta Croce, quella del Baldo o il rifugio Santner, il rifugio Auronzo o il Dolomiti Mountain Resort al passo Sella (che almeno ha il buon gusto di non chiamarsi rifugio!).
O anche l’orrenda Skyway a punta Helbronner.
Dibattito stantio.
Già fatto, già letto decenni or sono.
Finito con una statua di Budda buttata giù dal Badile.
Astrattamente si può anche concordare con l’idea che una cima possa essere un simbolo in se, da lasciare intatto. Ma anche questa idea non è che il risultato di una scelta antropocentrica, ideologica, spirituale o qualsivoglia tanto quanto quella opposta.
Qualunque segno io trovi in vetta, sia una croce, una madonnina, un ometto, una targa in ricordo di qualcuno, purchè proporzionato e non sguaiatamente invasivo, assumo derivi da una forma di rispetto e rapporto spirituale sincero di qualcuno con la vetta, e non mi disturba affatto. E può anche essere la traccia di una piccola o grande storia che ha sinceramente coinvolto un certo numero, piccolo o grande, di miei consimili e come tale merita rispetto. Per questo trovo l’idea del libro di cui si parla molto intrigante. Del resto, la connessione tra montagna e spiritualità/religiosità è ben trasversale: abbiamo vie crucis lungo i nostri percorsi montani così come abbiamo monti sacri in giappone, senza parlare delle duali scelte opposte di montagne sacre insalibili.
Poi come in ogni manifestazione umana possiamo avere eccessi, strutture arrogantemente giganteggianti o sguaiate, o semplicemente ormai svalutate: una singola targa in ricordo di uno sconosciuto mi suggerisce un momento di raccoglimento, una raccolta di targhe degna di un colombaio cimiteriale mi pare un pessimo servizio a ciascuno dei ricordati. Giusto discutere su una nuova installazione, ma superfluo farne una questione di principio assoluta e retroattiva.
Io mi ricordo anche una lanterna in legno in cima alla punta Rossa della Grivola, trent’anni fa… E sarà che sono genovese, ma non mi è dispiaciuta. Chissà se c’è ancora.
Ho letto Benassi e Matteo.Le vostre argomentazioni sono corrette, non posso dire: avete detto delle fesserie.
Si sotto certi aspetti Gesu’ faceva politica, ma era una politica trasversale. Ma a me forse per rispetto per la figura, piace vederlo come sopra tutto e tutti. Quindi oltre la politica. Ma è vero, se guardiamo il dato non si puo’ escluderlo.
Ma “vola” talmente alto che è una bestemmia dire che fa politica… Non so se mi sono spiegato.
Ho fatto parecchie cime, ma facile meno di voi, pero’ a me vedere la croce, un pezzo di legno piantato in cima mi da piu’l’idea di meta raggiunta. Poi Mi si dice… e se invece delle croci mettiamo solo un palo? Va benissimo…
Poi pero’ aggiungo anche questo. Tutta questa laicita’ non mi piace. Nel senso che non c’è nulla di male ma non avete ancora capito che è l’assenza di una figura religiosa morale che manca oggi. Infatti oggi i grandi vogliono togliere le religioni e instaurare la loro religione… la religione del Covid, la religione dei cambiamenti climatici etc. la religione dell’emergenza, della continua paura….
Cioè la base morale è fondamentale per la tenuta del tessuto sociale e infatti oggi la societa’ è molto lacerata.
La moralita’ è connessa alla religione, voi direte, puo’ esserlo senza…vero… ma la religione permette un attecchimento omogeneo (poi mi direte, ma le cerchie ecclesiastiche sono portatori di moralita’? sni)
Ora un individuo senza religione è come una zattera in mezzo all’oceano, la religione fa da collante e fa da mappa, da guida per lui e gli altri.
Poi francamente non sono un gran praticante. Ero il migliore a catechismo della parrocchia e fui nominato per andare a recitare il rosario al Duomo con il vescovo con tutti i migliori delle parrocchie della Provincia.
Voi direte…un pretino…no quella fu la mia ultima presenza, eccetto funerali e messe in ricordo dei cari.
Spesso mi chiedo se c’è qsa dopo. Ma dopo un evento non mi pongo piu’ il dubbio. C’è.
Mia madre non c’è piu’… la notte esatta e l’ora esatta un anno dopo la sua scomparsa suona la sveglia a mio padre. Guardiamo la lancetta era chiaramente alle 7 per l’allarme ma è suonata alle 2e30. Guardiamo la sveglia la giriamo, tutto a posto, ma continua a suonare.
La spegniamo. Poi la riattiviamo e suonera’ correttamente alle 7… Non è mai piu’ accaduto.
Le vostre argomentazioni sono legittime…perché una croce…ma quello che mi stupisce di voi, e degli altri anticroce.. è perché no una croce. Ma cosa vi fa? È un simbolo per indicare il vertice… come un punto anzi da distante sembra quasi un punto.
Ma dovete prendervela con la croce? C’è ben altro al giorno d’oggi con cui prendersela.
Vivete e lasciate vivere… vi è troppo caos in cima, ok allora si non va bene, ma se c’è un solo manufatto…una croce, una Madonna, o che ne so anche una simbologia che richiama il Corano, etc… ma a voi che problemi fa? Vi toglie spazio? Siete così grossi da non stare su una cima?, vi toglie aria… non direi… boh.
Poi intervengo su questo argomento perchè veramente sembra di essere ad una sezione di un centro sociale….occorre riequilibrare il blog. 🙂
Non solo in cima alle montagne e sui percorsi di salita ma pure in fondo al mare con relative visite e cerimonie popolari e turistiche. Anche questo sarebbe un bel tema. Lo proporrò a qualche amico marino.
Professor Stefano la ringrazio per il Dott.
Certo Cristo sosteneva i diritti universali. Quindi, non è far politica questo!!!
E detto fra me e Lei dotto Professore, tanto non ci sente nessuno, è una giusta politica.
Non ho nulla contro le croci o altri simboli. Fanno parte della nostra storia, della nostra cultura. I sentieri delle Apuane sono pieni di marginette (o maestà) che oltre a riparare il viandante dalle intemperie, hanno simboli o immagini religiose. Quindi una doppia funzione: pratica e mistica.
Ma sulle vette delle montagne, croci o altri simboli, quali panchine, Madonne, Budda o i tuoi pali e capanne indiane, non ce li vorrei!
Le vette sono universali, non hanno bisogno di simboli.
Sono già un simbolo!!!
Le vette delle montagne ci avvicinano già a qualcosa che è oltre. Non c’è bisogno di nulla. Hanno già tutto!
se poi andiamo a dibattere ma perché croci lo trovo veramente stucchevole…
“La croce siete voi che le date la valenza religiosa”
ma voi chi, esattamente?
“la croce puo’ essere come un palo piantato in cima. Li attribuite valenza religiosa anche al palo? O potrebbe esserci una combinazione di pali a fare come una capanna indiana…”
potrebbe, ma non è.
E infatti tu per primo Stefano ci vedi la connotazione religiosa e politica, e parti in quarta, trinciando giudizi sul libro a partire da Erri de Luca, pensiero dem, connotazione di sinistra e sproloquiando su diritti civile, tolleranze di questo e di quello e vaccinazioni.
Perché allora non cambiare in pali tutte le croci, se non per il valore (pseudo) religioso, ma in realtà di imposizione, di appropriazione, di colonizzazione?
A certificazione di questa valenza, consiglio un giro a cima Giovanni Paolo II (toponimo proposto) in Adamello e guardate cosa c’è e perché c’è.
Poi scendete al sottostante rifugio e confrontate con la vecchia croce di legno.
Millesimi. Ho visto la foto del Cristo in croce che hai pubblicato su FB. Mamma mia, che roba brutta. Forse è per questo che di solito le croci sono senza Cristo. Ovviamente scherzo. In realtà penso che la ragione sia più sottile. Avrei varie ipotesi, funzionali, estetiche e forse teologiche ma non mi azzardo. Tu hai studiato il tema. Certo ha ragione Erri De Luca : sembra di essere arrivati tardi o prima del supplizio. Poi c’è il tema mariano. Qui dove sto io adesso c’è un diffuso culto mariano. Prevalgono decisamente i simboli mariani rispetto a quelli cristologici. Anche questo è interessante. Penso che i culti locali abbiano un certo peso. Anche la faccenda dei santi e dei riti sarebbe intrigante. Siamo in piena antropologia culturale montana.
28 e 29 Gogna e Pasini va bene, spero che l’editore non me ne voglia. E mi spiace non poter pubblicare qui le foto, molte delle quali sono soggette a vincoli.
Più che un estratto, preferisco entrare nel merito di uno degli aspetti, il libro è un puzzle e a questo punto consegno al Blog di Gogna una tessera, nel solco dello spirito della mia introduzione metodologica. Il gusto del puzzle è il suo farsi, il suo essere un rompicapo a mosaico, con il rischio che alla fine ti resta in mano la tessera sbagliata. Questo è stato il mio lavoro, un rompicapo di scatole cinesi di problemi e dati.
Dunque un estratto di tanti aspetti mi diventa ancor più complicato e richiede tempo, accuratezza. Meglio proporre qui il saggio più attinente all’interesse montano. Non credo sia una lettura che si presti a un blog (scusatemi), ho cercato di essere chiara, non ho detto semplice.
Quanto al commento comparso su Amazon è di uno psicoanalista di Roma, Emilio Masina. Grazie!
Riprendiamo il consiglio di #28 Pasini e riprendiamo il commento di “Psicoterapeuta”
Ormai venticinque anni fa mi trovai a risalire con un pulmino scalcagnato e un gruppetto di altrettanto scalcagnati amici la conca di La Paz, in Bolivia e poi, percorrendo strade sterrate affacciate su orridi precipizi, le pendici della montagna Illimani che con i suoi 6849 metri è la più alta della Cordillera Real. Arrivati a quota cinquemila dovemmo scendere e percorrere gli ultimi cinquecento metri di dislivello a piedi. Il punto di arrivo era una grande croce che dominava le vallate sottostanti e sembrava posta a protezione di alcune baite abbandonate. Con il fiato corto per la mancanza di ossigeno, masticando foglie di coca che illusoriamente avrebbero dovuto proteggerci dal mal di quota, ci muovemmo verso quell’artefatto che almeno per un momento, forse per la scarsa lucidità o per il bisogno che avevo di conforto, scambiai per un gigante che ci attendeva con le braccia spalancate in un abbraccio. Quando vi giunsi mi sembrò di toccare il cielo con un dito.
Ho rievocato questa esperienza leggendo il libro, bellissimo, di Ines Millesimi, “Croci di vetta in Appennino”, in cui l’autrice – storica dell’arte, Dottoranda di Ricerca presso il Dipartimento di Ecologia e Biologia dell’Università della Tuscia, scalatrice e attivista del CAI, fornisce un catalogo ragionato delle croci di vetta dell’Appennino over 2000 metri di quota. Il volume – che include una prefazione di Erri De Luca e una postfazione di Paolo Cognetti, è illustrato da centinaia di suggestive fotografie e riporta brevi interviste a personaggi autorevoli come Reinhold Messner – effettua un’analisi del fenomeno delle croci dal punto di vista simbolico e storico-artistico, ambientale e giuridico. Sulle cime delle montagne, là dove la terra e il cielo sembrano volersi toccare, le croci segnano il passaggio dell’uomo e rappresentano un simbolo di ringraziamento cristiano finalizzato a rimuovere la componente pagana insita in particolari luoghi di culto – le alture ma anche i ripari delle grotte e delle foreste; luoghi che proprio per il loro isolamento e la loro natura selvaggia rispondono alla necessità dell’uomo di meditare sul mistero della vita e sulla paura della morte. Nel rilevare che anche il fenomeno delle croci va inserito nel contesto della montagna come straordinario laboratorio di sperimentazione tecnica, ingegneristica e architettonica, l’autrice si chiede se apporre una croce in cima a una montagna comporti un impatto paesaggistico o un qualche disturbo, se possano essere poste delle regole a cui attenersi affinché il fenomeno dilagante dei manufatti, insegne e infrastrutture non diventi estemporanea espressione personale, frutto di iniziativa privata o anonima. Un libro, insomma, ricco di suggestioni non solo per gli appassionati ma anche per chi ha sempre guardato la montagna dal basso, senza spingersi sulla cima che, scrive Erri De Luca, è come un trampolino per tuffarsi in cielo.
Millesimi. Ho ordinato il libro attraverso Amazon e così troverò le risposte per esteso. Tra l’altro in Amazon c’è una bella recensione anonima che rende lo spirito del libro forse meglio dei pezzi qui pubblicati. Ripeto la mia proposta: perché non pubblica un estratto dei temi chiave qui sul blog? Non penso brucerebbe il libro e sono sicuro che Gogna lo pubblicherebbe. Il libro è molto intrigante per chiunque sia interessato al tema montagna come costruzione umana e al fenomeno tipico della nostra specie di segnare il territorio, tutti i territori, con oggetti simbolici. Viviamo di simboli.
Mi fa piacere che ci siano 25 pensieri sul tema, sebbene il libro non sia stato letto o sfogliato. Per me è indice di curiosità. Il libro si può acquistare su Amazon e – ribadisco – io ho rinunciato ad ogni royalties per etica, primo perché sono nel CAI che ha concesso il patrocinio (Comitato Scientifico Centrale- Gruppo Terre Alte), secondo perché l’editore ha fatto un grosso investimento economico pubblicando mille copie (per ora quasi 700 acquistate, mi sembra un buon risultato essendo uscito a dicembre 2022). Infine faccio serate di presentazione perché tante persone sono interessate al fenomeno e chiedo solo il rimborso della benzina. Gli abruzzesi che sono tosti hanno speso parole di grande apprezzamento per il libro perché lo hanno letto tutto, pronti giustamente a criticarlo se si scrivevano banalità o stupidaggini sui “loro” monti. Ribadisco: il lavoro è stato visionato dai miei due tutor accademici che non hanno avuto nessun indugio, essendo persone coltissime, ad accettare quella presentazione (De Luca) e quella postfazione (Cognetti), pur essendo uno un professore anticlericale e l’altro invece molto più vicino alla sensibilità cattolica. Ribadisco: sono onorata di avere quei brevi testi da scrittori tradotti in oltre 28 lingue nel mondo.
Rispondo ai quesiti e ai pensieri a cui devo per necessità ribattere, intanto ringrazio i commenti positivi che hanno compreso lo spirito della ricerca, ripeto svolta in ambito accademico e scientifico. La politica non c’entra. C’entrano invece la cultura e la conoscenza senza paraocchi. Questo libro non pretende di essere esaustivo perché il tema non lo è affatto. Vi posso però dire che come inquadratura, mappatura e schedatura del fenomeno in Appennino è un punto di inizio importante, che lascia traccia, un punto necessario da cui partire. Perché è un modello di lavoro esportabile su altre cime e il metodo della catalogazione (sono una storica dell’arte di professione) è fondamentale per comprendere quello che si sa dei manufatti o artefatti fino ad oggi.
Rispondo a 19) Pasini, se mi invia su Messanger di FB la sua mail posso inviarle un estratto. Nel libro c’è una risposta essenziale a tutte quelle domande che lei pone. Per il resto sto preparando delle tabelle statistiche per un articolo nella rivista scientifica indicizzata ECO.MONT, il libro aveva infatti un taglio più divulgativo e non si poteva pretendere di più. Per quanto riguarda il Cristo Crocifisso ne ho trovati 2 appena sotto i 2000 m, uno è pubblicato nel volume, un altro (e mi è preso un colpo per la bruttezza del lavoro dell’intagliatore) l’ho trovato una settimana fa su una cima al posto di un’esile croce che avevo pubblicato (la storia delle croci è anche quella dei palinsesti di croci). E’ stato apposto questa estate quando avevo finito con i collaboratori la campagna di sopralluoghi. Per vederlo basta scorrere il mio profilo FB.
Per quanto riguarda il pensiero di Giulia 22): sicuramente l’inizio del dialogo interreligioso è iniziato ad Assisi nel 1986 grazie a Papa Giovanni Paolo II (nel Parco Nazionale del Gran Sasso vi è una cima con croce di vetta a lui dedicata, l’ho salita, è molto bello il percorso di salita). Ma “lo spirito di Assisi” ha avuto bisogno di molto tempo per sedimentarsi tra i cattolici e non, e penso (ma è una mia opinione di cui non si fa menzione nel libro) che sia merito di Papa Francesco di averlo fatto proprio facendolo diventare “IL” segno dei nostri tempi. Dunque, un dialogo cruciale e non episodico.
Per il pensiero 25 Sgambelluri: francamente del tutto fuori luogo, il mio libro non è stato finanziato proprio da nessuno. Di quali soldi parla? Come se la ricerca italiana fosse paragonabile ai soldi di un influencer, di un dirigente di azienda o di un calciatore. Che volgarità! Inoltre di rifugi ne abbiamo fin troppi e per quelli del CAI si fa fatica a fare manutenzione ordinaria e straordinaria. Quanto alla messa in sicurezza dei sentieri dipende che cosa intende. Ne facciamo delle carrarecce per portare i pellegrini in cima? Rimodelliamo la montagna snaturandola? Se il sentiero è troppo impervio per alcuni, non ci si va. Come per gli itinerari alpinistici, non sono alla portata di tutti i canali, le vette innevate, i passaggi su misto.
Roberto Pasini hai detto quel che andava detto. Bravo.
Le opinioni laiche o religiose che siano, credo, si farebbe meglio a sostenerle sul divano di casa propria.
È uno studio, non la difesa del crocefisso.
Se ci si ferma a contrapposizioni filosofiche qualcuno potrebbe arrivare a proporre di demolire le abbazie arroccate.
Che a molti le croci non piacciono sulle cime è lecito. Che diventi uno scontro di coscienza è un campo minato etico.
Per conto mio si dovrebbero eliminare dalle alte vette già quelle croci che ci sono. Le cime delle montagne non sono abitate dagli dei, questi non esistono, sono solo raggiunte dagli scalatori uomini o donne che siano. La dottoranda dell’Università della Tuscia, Ines Millesimi, farebbe molto meglio se investisse quei soldi nella costruzione di rifugi e nei controlli di passaggi pericolosi che portano in vetta.
Tutto il nostro territorio, urbano e non è pieno di simboli religiosi devozionali che si sono accumulati nel corso dei secoli. Non solo in occidente. E questo è un fenomeno molto interessante e significativo per la nostra specie. La montagna non è dunque un’eccezione, sia sulle cime che lungo gli itinerari di accesso, i passi, i poggi. È particolarmente interessante che qualcuno abbia voluto studiare in modo sistematico il fenomeno in uno specifico ambiente montano. Prima capire. Un altro grande tema sarebbe quello dei “cammini” che oggi conoscono una popolarità di massa, ma hanno radici storiche, religiose, spirituali antiche. Il libro di Millesimi potrebbe essere uno stimolo a focalizzare anche questo aspetto in aree specifiche del nostro paese. Capire le radici e le diverse epoche che vivono come strati in ognuno di noi è un viaggio straordinario, individuale e collettivo. Grazie a chi ci fornisce delle guide, anche se inevitabilmente parziali. Il resto è rumore bianco, irrilevante.
può dare un contributo alla sua diffusione
ok, vero anche questo… grazie
Quanto a interventi schierati Luigi Casanova è stato un maestro. Curiosa questa sua salomonicità.
@Autrice: non è stato certo questo papa ad aprire il dialogo interreligioso… Assisi 1986 dice niente? Pare di no.
Dott. Benassi 🙂 vengo a sapere da te che Gesu’ era anche hai gazebo a fare politica. Chissa’ se ha conosciuto Giulio Cesare, e i senatori romani.
Vabbe’ scherzi a parte, l’affermazione che faceva politica è incommentabile. Gesu’ sosteneva i diritti universali dell’uomo questo al piu’, era sopra tutto e tutti. Non è imbrigliabile con la sx, ne dx, ne centro anche se l’uomo l’ha convenzionalmente messo al centro (vedasi DC).
Ora francamente non trovo nulla di male censire le croci, se poi andiamo a dibattere ma perché croci lo trovo veramente stucchevole con tutte le problematiche che ci sono di tutti i giorni e anche di tutti i giorni in montagna (il blog bene lo evidenzia con varie tematiche sull’affollamento).
A me se ci fosse la miniatura della Mecca su ogni cima francamente non turberebbe, vuol dire che vi sono tradizioni del luogo e le rispetterei. In Asia ci sono le bandierine, le trovo un’ottima cosa basta che non ci siano altre enne cose, ma solo perché ci sono limiti fisici in cima.
es. sul monte Peralba ci sono 2 croci e una Madonna. Insomma mettine una che simboleggia il vertice e poi basta. Vi è la targa in onore del Papa Giovanni II piu’ in basso e va beh, poi stop.
Anche i ricordi che trovi dei vari morti messi dalle famiglie a volte incementati quelli li trovo fuori posto… vogliamo dare spazio ad essi? Occhei facciamo un piccolo luogo alle pendici delle montagne dove metterli, luogo circoscritto e alle pendici, le pendici sono larghe e non sono strette come le cime dove questi manufatti diventano invadenti dello spazio.
La croce siete voi che le date la valenza religiosa, la croce puo’ essere come un palo piantato in cima. Li attribuite valenza religiosa anche al palo? O potrebbe esserci una combinazione di pali a fare come una capanna indiana…dareste connotazioni religiose?.
La croce sta bene come simbolo religioso o come simbolo non religioso che indica il vertice. A me non danno fastidio, basta essere un po’ tolleranti.
Peccato che proprio quelli che sono per i diritti civili, la tolleranza di questo e quell’altro poi non lo sono in caso di chi ha fatto una libera e meditata scelta di vaccinarsi che non crea danno a nessuno oppure quando si tratta di crocefissi.
Buona giornata
Stefano. Mi pare che nonostante i suoi studi paretiani lei non sia pienamente consapevole di come funziona il business editoriale. Il cuore del libro di Ines Millesimi mi pare di capire sia una dotta e rigorosa tesi di dottorato. Per quanto semplificata ai fini della pubblicazione non certo un prodotto “popolare”. Una prefazione di De Luca e una postfazione di Cognetti, due star del momento (tipo Fedez e Ferragni diciamo 😀) può dare un contributo alla sua diffusione. Niente di male. Anzi. La politica non c’entra. Poi il mitico Erri non è più quello che comandava il servizio d’ordine di Lotta Continua. Mi sembra si sia abbastanza “arrotondato”, almeno sulle tematiche a sfondo spirituale, pur rimanendo sempre secco e magrissimo.
Mi procurerò il libro e lo leggerò con interesse. Nell’attesa vorrei fare a Millesimi qualche domanda su temi che nei testi qui pubblicati non sono trattati 1.quando si è cominciato ad installare simboli religiosi sulle cime censite? Ci sono state epoche dove la pratica è stata più frequente? 2. Chi le ha installate con maggiore frequenza? 3. La simbologia mariana quanto e’ diffusa rispetto alla croce? 4. È possibile individuare delle “correnti” estetico/simboliche nei manufatti e nei materiali (dimensioni/forme/ stili..) Ad esempio io non ho mai incontrato croci con il Cristo crocifisso, a differenza della simbologia devozionale che si trova spesso lungo i percorsi. Grazie per le risposte. Senza “bruciare” il volume, se lo ritiene potrebbe anche pubblicare un pezzo riassuntivo. Penso che molti sarebbero interessati ad entrare più nel merito dell’argomento, al di là delle tematiche diciamo del pro e del contro e del richiamo al piccolo e bello. I simboli in vetta fanno parte di quella montagna “mentale” creata dall’uomo nel corso dei secoli e di cui spesso si è parlato anche a proposito dell’alpinismo, quindi l’argomento è molto interessante.
Perchè secondo te questa non è politica?!?!?
Cristo non era ha fatto politica…?
Dai…!!
Le montagne sono gli altari della terra. Non hanno bisogno di simboli. Sono già un simbolo!
Più delle croci in vetta, giustificate dalla devozione popolare, mi preoccupa la proliferazione di insulse installazioni artistiche lungo i sentieri, perlopiù esibizioni di vanità individuale.
Poi dare la prefazione a tale Erri De Luca è gia’ dare una connotazione di sinistra, del pensiero Dem, etc.
Esordire, voglio un lavoro che faccia sorgere dibattito è giusto, poi metti questo scrittore e diventa subito roba politica insomma … Roba che le croci sono simbolo religioso, Cristo, etc. quindi vanno tolte. Gia’ questo squalifica il lavoro. Così penso.
Credo che la gente abbia veramente troppo tempo per disquisire di stupidate.
Adesso nemmeno le croci vanno bene sulle cime, che poi la croce puo’ essere benissimo interpretata come un FINE, una meta non occorre il simbolo darli connotazione religiosa.
Chi si lamenta puo’ sempre andare nei paesi Arabi, e vedra’ che non trovera’ tante croci.
Sono invece da evitare teatralita’ con croci, Madonne troppo grandi quello si.
Ad ogni modo condivido il commento 1, che mi sembra il piu’ moderato e sensato
Sulle punte Cusidore, Corrasi e Sos Nidos nel Supramonte di Oliena, quando ci andai (ma sono trascorsi molti anni) c’erano solo ometti di pietra, mi auguro che siano rimaste così!
10. Sì, me le immagino! I motivi che ci spingono a faticare in montagna sono innumerevoli, ma nei miei non è contemplata la presenza della croce o di qualsiasi altro simbolo sulla cima, nemmeno come motivo di orientamento o di semplice meta finale.
Marcello Cominetti grazie per la imperdonabile segnalazione di errore, menomale che sul libro non ho scritto questa stupidaggine grossolana. E’ che sto catalogando le croci di vetta sopra i 3000 m in Dolomiti, e le vedo dappertutto…mi scuso con tutti i lettori. E se posso correggo il commento
Scusate, ma io che sono ateo e la montagna mi appartiene come a voi cattolici, musulmani, buddisti e quanto altro, perché mi devo trovare ste croci e madonne o bandierine tra i piedi? È un imposizione assolutamente violenta nei confronti di chi non crede. Io non “marco” il territorio col mio credo. Voi lo fate come fanno i cani pisciando in ogni dove e imponendo il loro potere. Il pianeta terra è inquinato ovunque, non potreste / potremmo lasciare immacolate le vette?
Ines 10, il monte Baldo non è nelle Dolomiti.
Concordo sull’inutilità di opere antiestetiche e di grandi dimensioni su cime, sentieri e un po’ ovunque.
Signori ma Ve le immaginate le foto di vetta del Cervino senza la sua croce?!
O del Gramparadiso senza la statua?!
E di tante altre ?!
No, io sinceramente non riesco a disgiungere certi simboli dalle loro cime.
Chiunque alza lo sguardo alla ricerca del simbolo di vetta mentre sale.
Diverso e il discorso sul buongusto dei manufatti.
Censiamoli, ricostruiamone la storia ma, per favore, non abbattiamo i simboli, ci son già gli americani per queste ignoranti bullerie.
Paolo Fissore e Nico Zuffi, ho citato infatti anche questi temi, in Appennino ci sono i centrini trigonometrici ma anche le colonnine di ferro, ben più visibili. Il GPS è un valido aiuto ma visivamente questi segni hanno ancora un senso. Curiosamente coesistono a pochi metri di distanza, croce e punto trigonometrico. E’ uno dei motivi delle croci che non infastidiscono, la certezza di essere arrivato sul vertice, il punto più alto da cui si può solo scendere, dopo il selfie. E una volta pubblicato sui Social, è la croce che permette di riconoscere ai più la vetta, non il paesaggio, il panorama, lo skyline delle montagne (ahimè).
Per fortuna nessuna panchina gigante a 2000 m di quota in Appennino, ma l’obiettivo “valorizzazione” dei territori montani è in agguato, sempre. In una cava storica delle Alpi Apuane campeggia un gigantesco lavoro di Street Art con l’effige del David di Michelangelo (opera di Kobra, osannata da parecchi) per portare gente e turisti per il selfie nelle cave. In Dolomiti che dire della costituenda croce astile sul Monte Baldo candidato alla Biosfera (18 m, illuminata, spero che il progetto sia bocciato definitivamente)?
Nuovi sentieri, nuovi percorsi e nuovi affari.
Le ultime 3 righe del commento 2 dell’autrice, secondo me dicono molto se non tutto. “Segnare il territorio”, specie quando si passa da un “segno”, un ricordo di un momento unificante per, ad esempio, gruppi parrocchiali e simili (più da anni ’60 e seguenti) che frequentavano assiduamente una certa vetta, a veri monumenti con dimensioni spropositate. Stando dalle mie parti, provincia di Cuneo, segnalo alcuni “non sense” (ma ce ne sono molte decine di altri), Bric Costarossa, Bric Mindino (il top, una “normale” croce e dieci metri dietro un crocione di 25 metri), Pelvo d’Elva, Monte san Bernardo.
E siccome oggi la Chiesa ha meno oratori, e impera un maggior esibizionismo mediatico, è iniziato il proliferare delle panchine giganti in montagna e su vette (argomento già trattato su questo blog), fatto, se si può, ancora più immotivabile e al limite del disgusto.
Non bisogna dimenticare che fino a pochi anni fa le croci in vetta costituivano la SEGNALAZIONE di Punti trigonometrici necessari per rilevamenti e misurazioni topografiche su ampia scala, funzione ora sostituita dall’uso del GPS. Per il gitante/ alpinista giunto quasi alla fine delle sue energie fisico/mentali, costituisce lo stimolo per non desistere dal concludere l’ascensione programmata, di cui conserverà con orgoglio un buon ricordo.
L’Emilia-Romagna è la terra natale del fondatore e capo supremo del Partito Nero e ora, da settantotto anni, dominio pressoché incontrastato del Partito Rosso (in verità adesso il colore è un po’ sbiadito; invece tirano molto le tinte sulle banconote di grosso taglio).
Qui qualcuno ha pensato bene di risolvere il problema delle croci di vetta: le sega nottetempo.
È accaduto sul M. Cusna, sul M. Spigolino e sul Corno alle Scale, col suo orribile traliccio metallico alto una quindicina di metri.
Io sono contrario a qualsiasi manufatto di vetta, tranne che i cari e vecchi ometti di pietre.
Ma sono ancor piú contrario ai vandalismi, soprattutto se i baldi eroi agiscono di notte.
Sì, esatto… quello è davvero uno scempio! Ma per l’entità della struttura, non perché sia una Madonna. Grazie per info. Ciao!
Forse ti riferisci alla Madonna “nostra Signora d’Europa, sull’Alpe Motta, sopra Madesimo. Sono 13 metri.
Ho cominciato a imparare muovermi sulle Alpi proprio da lì. Vecchia buona Alpe Motta…
Con un pianeta sempre più invaso da esseri umani (dagli attuali 8 mld ai previsti 10 mld nel 2040 o 2050, non ricordo) e soprattutto con sempre maggior facilità di “sposamento” (per globalizzazione, flussi migratori ecc), sarà inevitabile una sempre maggior propensione dei residenti a marcare il loro territorio. La differenza fra utilizzo di croci, foto del Presidente della Repubblica o sciarpe di calcio poco rileva in merito.
Bisogna evitare nuove croci/madonne in vetta non per motivi ideologici (=”inclusione”), ma per inquinamento (sintetizzo per semplicità, il discorso è invasione antropica degli spazi naturali). Però è certo che una croce/madonna in vetta, a meno che sia quella alta 20 m non ricordo dove l’hanno messa, inquina meno di un bivacco.
Nel volume non prendo una posizione, analizzo un fenomeno che nessuno ha avuto il coraggio di approfondire in modo laico, senza polarizzazioni e con rispetto di tutte le sensibilità. Sarà che finalmente papa Francesco ha aperto al dialogo interreligioso. Mi sono chiesta: perché ci si ferma a pregiudizi e stereotipi? Il mio lavoro all’inizio non aveva trovato molto sostegno, proprio perché è duro cambiare il punto di vista ereditato. Ho cercato le origini: parto dal simbolo della croce nella Storia dell’arte e ricostruisco la storia polisemica di questo segno culturale. Il libro infine chiede più sobrietà, di prendersi cura di quello che c’è, di rispettare la regolamentazione globale dei territori con la richiesta di autorizzazioni per le nuove apposizioni e soprattutto di limitare nuovi progetti di segni antropici sulle vette che creano impatti di tanti tipi. Credo che questa pubblicazione sia l’incipit per nuovi studi e catalogazioni, bisogna comunque avere cura della memoria. Spesso non si fa, se non in modo puntiforme. Interessante è stato ricostruire ogni storia di croce di vetta senza badare alla valenza estetica intrinseca ma dando a ogni croce, anche orrida o poverissima, diritto di essere conosciuta e riconoscibile (che non significa diritto di cittadinanza). Mi piacerebbe creare un sito internet dove inserire, monitorare e aggiornare una catalogazione con foto minimali per fasce altimetriche con una scheda a campi chiusi nella modalità di ricerca della Citizen Science.
Comunque grazie del tuo apporto sul tema Carlo Crovella, sulle croci in Appennino ho trovato appesi rosari, bandierine tibetane, la bandiera dell’Italia, la bandiera della pace, in Dolomiti la bandiera dell’Ucraina (poche settimane e poi è sparita), sciarpe di squadre di calcio, fiori di plastica, foto, ho trovato adesivi di ogni tipo. Una babele, sarebbe da legare tutti i significati e fare una canzone dell’assurdo da portare a Sanremo!
Forse dal 2023 in poi è meglio contribuire a realizzare meno “posatoi” possibili. In fondo servono solo a noi per farci credere nell’eternità e nella futura memoria, ma in realtà servono a marcare il territorio come animali in questo presente smemorato e molto kitsch.
Non so se vado troppo fuori tema, ma approfitto dell’argomento per alcune riflessioni personali.
Non sono (“purtroppo”, aggiungo sempre io) pervaso da una fede religiosa. Na difendo a spada tratta il nostro diritto, di occidentali “giudaico-cristiani” (come oggi sento dire ogni tre per due), di posizionare i nostri simboli nel territorio (Europa), dove risiediamo e abbiamo messo radici. Il crocefisso e la foto del Presidente della Repubblica in carica stanno (o dovrebbero stare, a volte non si capisce…) appesi ai muri delle stanze di luoghi cardine della nostra architettura istituzionale, dalla Caserme dei Carabinieri agli uffici dei sindaci.
In Himalaya, sulle montagne (anche sui loro fianchi) mettono le bandierine delle preghiere. Sono i corrispondenti ai “nostri” simboli religiosi e ideologici. Nessuno osa obiettare su tali bandierine, anzi chi va a fare un trekking da quelle parti, almeno una foto con le bandierine se la fa di sicuro. I social sono pieni di selfi del genere.
Detesto quindi la generale ipocrisia per cui dobbiamo “rinunciare” a noi stessi simboli pur di essere inclusivi con tutti. Vale per il crocefisso nelle aule scolastiche, vale anche per le Croci e le Madonne sulle vette delle montagna.
Certo c’è stato un abuso numerico, ne abbiamo troppi dio sti simboli in vetta, ma è il risultato di circa 200 anni di alpinismo… Io non sono a favore della smantellamento ideologico delle Croci di vetta, bensì ad un plafonamento di nuove croci. Come per i rifugi e i bivacchi (questi ultimi, nella nuova “moda” vengono posizionati sulle vette: non sono più punti di appoggio per la salita dell’indomani).