Da Gian Piero Motti allo spit, e il muscolo batte la fantasia (RE 027)
di Francesca Colesanti
(pubblicato su ilmanifesto.it l’8 luglio 2018)
Un nome ricorre, protagonista indiscusso, nel libro di Enrico Camanni Verso un nuovo mattino, la montagna e il tramonto dell’utopia (Laterza, pp. 256, euro 18,00), ed è quello di Gian Piero Motti.
Tutti gli altri – e sono numerosi gli attori che popolano i «nuovi mattini» di Camanni – sono autorevoli comparse: a parte Reinhold Messner, noto al grande pubblico, le altre sono figure che raccontano epoche intere agli addetti ai lavori – da Casarotto a Comino, da Manolo a Grassi, da Profit a Gogna – ma che poco dicono a lettori meno navigati. Perché allora dedicare un libro intero a una lunga storia, a una parabola fatta di luoghi, nomi, pareti, oggetti, avventure e tragedie che tanti ricordi ed emozioni risvegliano in alcuni, ma che nulla significano per altri?

Questa è la scommessa dell’autore: voler raccontare un’epoca, che va dagli inizi degli anni Settanta fino all’altro ieri, attraverso la lente di un alpinista-giornalista torinese, incrociando questo lasso di tempo che corre da un’alba a un tramonto con alcuni momenti chiave della nostra storia recente: dall’assassinio di Guido Rossa al rogo del cinema Statuto, all’assassinio di Moro, John Lennon, fino ad arrivare a Berlusconi e al Nobel di Kosterlitz.
Ma chi era Gian Piero Motti? Forse un «fallito», come lui stesso aveva scritto coniando nel titolo di un suo articolo questa controversa definizione per la categoria di alpinisti cui apparteneva. Fallito al punto da decidere di togliersi la vita, lasciando un enorme vuoto, un tale silenzio dietro di sé che ancora oggi Camanni sente il bisogno – e non è la prima volta – di riprenderne le fila.
Ma sicuramente Motti era anche l’ispiratore e l’interprete di un nuovo modo di andare in montagna, o forse sarebbe meglio dire di andare in verticale, in parete, verso avventure senza conquiste né vette, di quel movimento insomma che venne poi riassunto col termine di «nuovo mattino» e cambiò per sempre il volto dell’alpinismo.
L’infinita passione per la montagna lo aveva portato – forse con sulle spalle il peso di un Sessantotto non vissuto appieno nelle strade e nelle lotte sociali – a considerare l’alpinismo come una forma di alienazione dalla realtà, una fuga dalla società, un’attività per «falliti» appunto. E per questo aveva cercato di spogliarla da qualsiasi enfasi eroica per ricercarne un volto umano, leggero, scanzonato. In una parola libero.

«Vorrei che su queste pareti potesse evolversi quella nuova dimensione dell’alpinismo spogliata di eroismo, impostato invece su una serena accettazione dei propri limiti, in un’atmosfera gioiosa, con l’intento di trarre come in un gioco il massimo piacere possibile da un’attività che finora pareva essere caratterizzata dalla sofferenza». Sono le sue parole. È una svolta.
E così, verso la fine degli anni Settanta, in Italia, l’alpinismo si scioglie, si libera, trasgredisce e vola con incredibili exploit verso l’alto, verso orizzonti e risultati inimmaginabili fino a pochi giorni prima.
Ma allo stesso tempo, quella che era un’arte per pochi eletti, si trasforma, si massifica e diventa sport. Una trasformazione che coglie quasi di sorpresa i protagonisti del Nuovo mattino, che partorisce un figlio, l’arrampicata sportiva, che loro non riescono a riconoscere.
«Il tempo della ribellione – scrive Camanni – è stato fulmineamente superato da quello dello sport, anche se uno sembra figlio dell’altro e osservando i due fenomeni li diresti della stessa famiglia. Non è cosi. I giovani hanno già altri modelli, altri riferimenti. E a tagliare definitivamente il cordone ombelicale con l’alpinismo arriva un oggetto concreto, lo spit, il chiodo a espansione».
«Se per l’alpinismo eroico il fine era la vetta e il Nuovo mattino inseguiva la via-vita in parete, ora gli atleti puntano alla difficoltà, la loro cima è il grado massimo».
In sintesi, scrive ancora Camanni, «l’avventura è per pochi, lo sport è per tutti».
Il Nuovo mattino combatteva l’eroismo della vetta con un romanticismo ribelle, mantenendo un legame con la storia che l’aveva preceduto; invece «tra arrampicata sportiva e alpinismo tradizionale non c’è alcun dialogo. Solo muri».
Motti denunciò la morte del Nuovo mattino spiegando come lo spit rappresentasse il trucco, il colpo basso con cui si concretizzava la vittoria del muscolo sulla fantasia. Un tradimento. E ciò che lo addolorava ancora di più era che i vecchi segnali di guerra, «le braghe di tela e le fasce nei capelli», sorridano al mercato dello sport, che ricambia il sorriso e fagocita immediatamente i giovani consumatori.
L’anticonformismo diventa omologazione e così si chiude il cerchio: dall’alpinismo eroico, alla trasgressione, allo sport. Con nuove regole. Altro non è che un gioco per tutti, con regole democratiche.
E adesso? Adesso si è aperta l’epoca degli «scalatori del pomeriggio», secondo la riuscita definizione di una sua interprete, Eva Grisoni, nata nel 1977: «Potendo fare di tutto, decidiamo soprattutto di fare quello che ci piace, che ci diverte».
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Ho avuto il piacere di conoscere Gianpiero Motti e di salire qualche sasso in Piemonto e qualche vietta a Finale Ligure.
Era una persona piacevolissima, allegra e divertente e anche un discreto arrampicatore. I suoi racconti (e vado a toccare un mito) sono schiacciati da una cultura enciclopedica, ritorti, lenti, appesantiti da enormi scarponi culturali. Mai un alito di leggerezza, di ironia, mai una allegra patatina che passasse di la…solo monti faticosi e di lacrime…oggi difficili da leggere…
Jacopo, ma non lo sai ancora che non puoi mai dire la verità sulla storia alpinistica ufficiale fornita dai guru torinesi ?!?!? 🙂
Articolo molto interessante
Da Sassista appassito, secondo me Camanni non ha saputo cogliere lo spirito della Val di Mello, la forza, la trasgressione, la leggerezza e l’allegria di un manipolo di giovani in esplorazione. La sua narrazione risente del piglio piemontese, satura di una tristezza infinita, paludosa. Anche il Mucchio Selvaggio non ne esce bene..anzi sconfitto dalla storia, lo stesso respiro triste che si respira nella valle dell’Orco. Mille miglia lontano dalla Val di Mello dove, fatto salvo l’integrità dell’ambiente naturale, si è anche avuto il coraggio di seppellire le vecchie generazioni
50 anni fa, nel 1970, all’inizio del libro “ghiaccio neve roccia” del “Gastone Rè Buffo”, tutto è stato spiegato molto bene, in poche pagine e con splendide foto.
Per me un alpinista colto, umile e modesto con una intelligenza, un cuore e una determinazione fantastici.
Concordo con il fatto che l’andare in montagna debba sottostare a regole, … ma che non siano troppo rigide! Credo che ci vogliano soprattutto norme di buon senso poi ognuno può viverla secondo le proprie inclinazioni e la propria psicologia assecondando il fascino che esercita su chi la pratica con passione.
Grazie per aver aperto un’altra porta sull’alpinismo del passato che, a mio avviso, riveste un valore molto più grande della pratica odierna.
Seguendo l’invito dell’autrice, che nel mio immaginario le ha passato il bastone della parola, eccovi anche i pensieri di Eva Grisoni:
https://www.planetmountain.com/it/notizie/alpinismo/la-scalatrice-del-pomeriggio-di-eva-grisoni.html
«Vorrei che su queste pareti potesse evolversi quella nuova dimensione dell’alpinismo spogliata di eroismo, impostato invece su una serena accettazione dei propri limiti, in un’atmosfera gioiosa, con l’intento di trarre come in un gioco il massimo piacere possibile da un’attività che finora pareva essere caratterizzata dalla sofferenza». questa frase mi sembra la perfetta rappresentazione di una piacevole giornata tra amici in falesia o su una multipitch plaisir. Il volo sicuro sugli spit rappresenta la serena accettazione dei propri limiti, il gioco non cadere e passare in libera e la gioia la condivisione di tutto questo in un clima di serena amicizia senza forme di eroismo ma semmai seguendo un percorso del tutto personale. Ed è certo per passare in libera non servono solo i muscoli ma anche molte altre capacità che però sembrano non essere mai considerate soprattutto dai non praticanti. In generale trovo molto riduttivo questo atteggiamento di trattare lo sport climbing in modo riduttivo o come una mossa del mercato il fagocitarlo e vomitarlo sui consumatori facendone business e competizione. Se poi tutto questo diventa moda tanto meglio perché è un’attività meravigliosa e a contatto con la natura e a ogni livello e ciascuno può trovarci una sua dimensione del tutto personale che va da semplice diporto allo spingersi su difficoltà estreme magari in free solo. E non dimentichiamo che ormai lo sport climbing o il bouldering sono la base irrinunciabile su cui cresce ogni alpinista di alto livello per poter chiudere con un’adeguata preparazione i suoi exploit su roccia. Direi che per una promessa di cambiamento tradita non è affatto male…Mi sembra piuttosto una grossa opportunità in più per tutti.