Dalla terra degli indigeni alle nostre tavole

In Europa e in Italia le spedizioni di carne bovina dall’azienda che ha tra i suoi fornitori allevatori che hanno occupato i pascoli degli indigeni MyKy in Brasile.

Dalla terra degli indigeni alle nostre tavole
(il viaggio della carne bovina dalle aree deforestate nei territori indigeni dell’Amazzonia)

di Francesco De Augustinis
(pubblicato su video.corriere.it/esteri il 2 ottobre 2022)

Carne bovina proveniente da aree deforestate nei territori indigeni in Amazzonia continua a raggiungere l’Italia attraverso centinaia di spedizioni l’anno, secondo dati commerciali ottenuti nell’ambito di un’inchiesta giornalistica internazionale, coordinata dal Bureau of Investigative Journalism.

Sono oltre 1000 le spedizioni tracciate di carne bovina che hanno raggiunto i porti di Livorno, Genova e Vado Ligure tra il 2014 e il 2022, partite dal macello dell’azienda Marfrig di Tangará da Serra, in Mato Grosso, nel cuore dell’Amazzonia brasiliana, che ha tra i suoi fornitori aziende che hanno occupato con i pascoli aree indigene, dove prima sorgeva la foresta.

«Prima vivevamo in quell’area, poi sono arrivati i bianchi, hanno preso la nostra terra e la foresta», afferma Paatau Myky, artigiana, esponente del gruppo indigeno dei Myky. Il gruppo vive nella parte meridionale del Mato Grosso, in Brasile, e fino agli anni ‘70 era uno dei pochi rimasti senza contatti con il resto del mondo.

Negli anni successivi le cose sono cambiate molto. Già negli anni ‘80 sono apparsi i primi pascoli, ma oggi il territorio di questa popolazione è finito nelle mire espansionistiche dell’agribusiness, con aziende che si appropriano di terreni, deforestano e insediano pascoli e monocolture.

Secondo i dati del sistema brasiliano di gestione rurale (Sicar) elaborati dalla Fondazione nazionale dell’Indio (Funai), nel 2022 erano 142 i terreni privati registrati all’interno del territorio Myky.

«In quell’area andavamo a prendere il tucum per fare delle corde per le nostre reti, mentre oggi è diventato un luogo per l’allevamento del bestiame», afferma Paatau, facendo riferimento a una fazenda che sorge poco distante, circondata da una rete metallica.

Oggi i Myky stanno combattendo una battaglia legale presso la corte suprema brasiliana per veder riconosciuti i propri diritti sul territorio, garantiti dalla costituzione brasiliana ma non tutelati per effetto di una controversa normativa sul diritto alla terra varata nel 2021 dal governo del presidente Jair Bolsonaro, che di fatto ha incentivato negli ultimi anni l’occupazione e la trasformazione in superfici agricole dei territori indigeni.

Dove finisce la carne?
La carne proveniente dai pascoli sorti in territorio dei Myky arriva anche in Europa attraverso le esportazioni di un macello dell’azienda Marfrig, che si trova nella stessa regione di Tangará da Serra, a circa 5 ore di auto di distanza.

Marfrig è una delle principali aziende del settore carni in Brasile, con 32 mila dipendenti e un fatturato nel 2021 di circa 15 miliardi di dollari. Solo negli stabilimenti in Sud America macella circa 5 milioni di bovini l’anno.

Sebbene i dati sui fornitori dei singoli macelli dell’azienda non siano pubblici, attraverso alcuni documenti commerciali incrociati ai dati di trasporto del bestiame è stato possibile verificare che tra i fornitori del macello Marfrig di Tangará da Serra rientrano alcune aziende che si trovano nel territorio dei Myky. Tra queste, ad esempio, l’azienda Cascavel ha consegnato del bestiame a Marfrig nel 2019. L’azienda non ha risposto a una richiesta di commento.

La Marfrig invece ha replicato appellandosi proprio alla controversa normativa del governo Bolsonaro, sostenendo di «considerare terra indigena solo quella approvata dal presidente». L’azienda ha comunque rinnovato il proprio impegno a mitigare qualsiasi collegamento con la deforestazione illegale.

Dall’Amazzonia all’Italia
Una banca dati che abbiamo visionato per la stesura di questo articolo rivela che il macello Marfrig di Tangará da Serra tra il 2014 e il 2022 ha esportato carne bovina – in genere congelata – a diversi produttori in tutto il mondo, in particolare Cina Europa (Italia, Germania, Spagna, Olanda e Regno Unito), per un valore complessivo di oltre 1,1 miliardi di euro.
Per quanto riguarda l’Italia, tra il 2014 e la prima metà del 2022 si contano oltre mille spedizioni partite dal macello Marfrig di Tangará da Serra, per un totale di oltre 25 mila tonnellate, che hanno raggiunto i porti italiani di Genova, Livorno e Vado Ligure, importate per conto di pochissime aziende Italiane del settore carni.

Nonostante le ripetute inchieste che negli ultimi anni hanno denunciato il legame tra allevamenti bovini in Brasile e deforestazione dell’Amazzonia, l’Italia continua ad essere di gran lunga il principale importatore europeo di carne bovina e pelle dal Brasile e non ha adottato politiche specifiche per contrastare l’importazione di queste materie prime a rischio dal principale «polmone verde» del mondo.

Secondo i dati Eurostat, nel 2021 l’Italia ha importato 23,5 mila tonnellate di carne bovina congelata, per un valore di 137 milioni di euro, e 1,1 mila tonnellate di carne bovina refrigerata, per un valore di 8,2 milioni di euro. Sempre dal Brasile nel 2021 l’Italia si è confermata il principale importatore europeo di pelle, per un valore di altri 175 milioni di euro.

In Italia la carne di manzo brasiliana è utilizzata principalmente per produrre Bresaola della Valtellina e carne in scatola, con una piccola fetta destinata al mondo della ristorazione.

Il macello Marfrig di Tangará da Serra è presente anche nell’elenco dei fornitori della multinazionale Nestlé, pubblicato sul sito dell’azienda stessa. Nestlé utilizza carne di bovino per alcune linee di alimenti per neonati e di cibo per animali, ma da tempo si è impegnata a eliminare completamente dalla produzione materie prime legate alla deforestazione entro il 2022. La multinazionale ha replicato a questa inchiesta dicendo di aver «eliminato gradualmente» Marfrig come fornitore già nel 2021, e che quindi l’azienda brasiliana non comparirà nel prossimo aggiornamento annuale dell’elenco dei fornitori.

Il 13 settembre il Parlamento Europeo ha votato a favore di misure più stringenti da includere in una proposta normativa per contrastare l’importazione di materie prime collegate alla deforestazione tropicale, come l’olio di palma, la soia, la carne di manzo.

Per vedere il video clicca qui.

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Dalla terra degli indigeni alle nostre tavole ultima modifica: 2022-12-06T04:16:00+01:00 da GognaBlog

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6 pensieri su “Dalla terra degli indigeni alle nostre tavole”

  1. Ma siamo pieni di alberi in montagna, in campagna, in città, tutti luoghi  dove due secoli c’era il deserto.  Appena un faggio o una roverella raggiungevano il diametro sufficiente erano immantinente trasformati in carbonella!  Basta guardare foto storiche.  IL DISBOSCAMENTO in ITALIA non esiste.

    Vero!
    Posso portare l’esempio dellle pendici intorno ai monti Procinto, Nona e Matanna  in Apuane, zona Alpe della Grotta dove c’è il rifugio Forte dei Marmi 860 metri di quota.
    Un tempo tutta terrazzata e coltivata senza bosco. Ci sono tanto di foto storiche.
    Adesso completamente abbandonata e con bosco molto fitto che ha ripreso possesso di tutto.
     

  2. Quando il Drugo si scatena, diventa una belva umana. 😡🤬👿👹
     
    P.S.
    “[…] porca nutria!”.
    La nutria è un animale importato in Europa non molti decenni fa.
    Signor Belva, prima che dicevi? Porca ciabatta?

  3. Gent.ma Grazia, di grazia, piantiamola di dire “inesattezze” che non servono a una mazza quando si parla di interessanti temi di spessore, comesisuoldire.
    Dopo due interventi circostanziati, ecco che viene versato il solito piagnisteo su un paio di pioppi tagliati .  E allora?  Due pioppi mi permettevano di emettere un po’ di CH4 dopo un piattone di fagioli con la cipolla senza sentirmi in colpa?
    Cortesemente, basta.  Piantiamola di considerare l’albero un totem.
    L’albero è come l’insalata, ma con un ritmo di crescita diverso. E per fortuna molte altre prerogative, ma questo adesso non c’entra.  Ti scandalizza che venga tagliato un albero?  Allora non mangiare neppure l’insalata.
    La FORESTA PRIMARIA ha ormai la dignità di un totem.  Non l’albero di per sé. E neppure la foresta coltivata (ebbene si, le foreste sono coltivate da tempo immemore…. prima con l’accetta, poi il segòn, quindi la motosega e ora, dove l’orografia lo permette, con l’harvester).
    SE un pioppo ha 100 anni come viene affermato, è VECCHIO, può avere carie ed essere oggettivamente pericoloso. E allora perché non si dovrebbe tagliarlo?  Ti assumi tu la responsabilità di risarcire e confortare i parenti di chi se lo piglia in testa?  Che se il pioppo è in mezzo al nulla nessuno spende soldi per abbatterlo.  Ma se il pioppo è in mezzo a una lecceta giovane, tanto per dire, LO TAGLIO prima che schianti naturalmente e mi cagioni 500 metri quadri di chiarìa indesiderata. Tantoperdire.
    A ragione dell’abbandono delle attività tradizionali, in italia abbiamo pacchi di superficie forestale in più rispetto al passato.Poi si può ragionare  su quale sia la qualità della stessa (in merito Gogna ha postato tempo fa un articolo tecnico, peraltro criticato da molti altri tecnici).
    Ma siamo pieni di alberi in montagna, in campagna, in città, tutti luoghi  dove due secoli c’era il deserto.  Appena un faggio o una roverella raggiungevano il diametro sufficiente erano immantinente trasformati in carbonella!  Basta guardare foto storiche.  IL DISBOSCAMENTO in ITALIA non esiste. Esistono la perdita di habitat di pregio o il degrado degli stessi ecc. Ma sono ALTRI DISCORSI.  Piantiamola con i lamenti perché qualche cattivone ha tagliato un kaiser di albero, porca nutria!
     

  4. Caro Luciano, la deforestazione avenza molto più velocemente della piantumazione di nuovi alberi.
    Pensa solo all’espansione dei quartieri cementificati delle aree urbane, che non fanno che accentuare la desertificazione.
     
    Oggi ero in Val Listrea, nel bresciano, dove sono stati abbattuti due pioppi secolari con la scusa della sicurezza. 
     
    Questo genere di articoli non vengono neppure letti perché non si ha il coraggio di vedere.

  5. Pochi sanno che i gas serra non sono tutti uguali, e che esiste una scala di efficienza che li qualifica, quantificando il loro potere (GWP).
    Fatta 1 l’efficienza della CO2, si definiscono le efficienze degli altri gas-serra.
    Ad esempio, il CH4 (metano) ha un valore di GWP=28. Significa che è 28 volte più efficiente per l’effetto serra rispetto alla cara CO2.
    Il protossido di azoto (N2O) ha un GWP=265.
    Poi ci sono fluoro-carburi, come PFC14 ed SF6 (solo origine antropica, a meno delle solite fratture spazio-temporali), che hanno un GWP>6000; per l’SF6 si arriva anche a GWP=23000.
    Questo per dirti Luciano che, ad esempio, nella “coltivazione” del bestiame, oltre al trasporto, che cuba tantissimo in termini di CO2 (come hai messo in evidenza bene), ci sono anche, in somma aritmetica, il CH4 ed il N20, entrambe gas emessi nei processi agricoli all’uopo.
    CH4 ed N2O in parole povere, sono anche le scoregge delle bestie.
    Se si fanno conti più precisi (numeri meccanicistici), che comprendono anche, ad esempio, di quanto è cambiata l’Amazzonia per diventare un “coltivatoio” di bestie, e se a questi numeri si aggiunge l’efficienza-serra (il GWP), i conti diventano subito molto fastidiosi ed assai pessimistici.
    Il CH4 è in costante aumento dal 1980. I fluoro-carburi sono quasi raddoppiati in concentrazione atmosferica dal 1990. Per vedere i grafici, cercare “Global Monitoring Laboratory trends”.

  6. “Per quanto riguarda l’Italia, tra il 2014 e la prima metà del 2022 si contano oltre mille spedizioni partite dal macello Marfrig di Tangará da Serra, per un totale di oltre 25 mila tonnellate (di carne bovina) (…) l’Italia continua ad essere di gran lunga il principale importatore europeo di carne bovina e pelle dal Brasile.”
    Nessun commento ancora per questo articolo/denuncia che focalizza perfettamente quella che è la causa principale dell’aumento di emissioni di gas serra, che produce più della somma di macchine, camion, aerei, cioè il settore dei trasporti sul Pianeta. Se non si cambia in fretta questo paradigma hai voglia di piantare alberi o chiedere al singolo azioni che, pur eticamente importanti, sostanzialmente non cambieranno se non di un alito di vento il destino del pianeta.

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