De Toni-Pollazzon alla Torre di Valgrande

Metadiario – 138 – De Toni-Pollazzon alla Torre di Valgrande (AG 1986-004)

La vacanza dolomitica proseguiva, con l’aggiunta del mio nipotino quindicenne Paolo Cerruti, una compagnia sempre discreta, un affetto profondo. Quel 27 luglio 1986 volli portare lui e Nella su una delle salite più classiche delle Dolomiti: lo spigolo Piaz alla Torre Delago. L’arrampicata su quelle rocce un po’ lucide ma così esposte mi riportò agli anni in cui queste cose le facevo da solo: al posto di quella grandiosa solitudine, ora ero ben contento di avere con me due compagni che per me erano molto di più e poter condividere con loro la gioia d’essere insieme su una delle strutture più giustamente celebrate delle Dolomiti. Raggiungemmo il rifugio re Alberto I non dal rifugio Vajolet bensì dal rifugio Coronelle e il sentiero attrezzato di Passo Santner: questo per motivi fotografici relativi al mio progetto di guida escursionistica della Val di Fassa.

Paolo Cerruti e Nella Antonioli all’attacco dello spigolo sud-ovest della Torre Delago, 27 luglio 1986.

Eravamo ospiti sempre di Heinz e Luisa, anche se non proprio fissi. Così il giorno dopo Heinz portò me e Paolino di nuovo in Valle San Nicolò, dove salimmo Caterpillar. Assicurato da Paolino tentai B Negativo, ma ci volle poi la conduzione di cordata di Heinz per venirne a capo. Paolo ed io lo seguimmo malissimo.

Paolo Cerruti sullo spigolo sud-ovest della Torre Delago, 27 luglio 1986.
Discesa dalla Torre Delago, 27 luglio 1986.

Heinz aveva in progetto la salita di una parete vergine sul versante nord della Marmolada. Si trattava della Ovest del Col dei Bous, fino a quel momento ignorata dagli alpinisti. In circa mezz’ora fummo all’attacco, un luogo che potrebbe definirsi bucolico se non fosse situato proprio sotto al ghiacciaio. Mai avrei pensato che, essendo muniti di trapano elettrico, non saremmo arrivati in cima. E soprattutto mai avrei pensato che sarei tornato lì “solamente” ed esattamente trenta anni dopo, quando con Heinz Grill e Barbara Holzer ripetei l’itinerario da loro aperto pochi giorni prima, via dei Vecchi e Grigi. Quest’itinerario riprendeva il nostro tentativo con ampie varianti, migliorandolo dal punto di vista estetico.

Heinz Mariacher sulla prima lunghezza del tentativo al Col dei Bous, 29 luglio 1986
Heinz Mariacher sulla terza lunghezza del tentativo al Col dei Bous, 29 luglio 1986

Quel 29 luglio, giorno del mio compleanno, eravamo partiti da Carezza senza Luisa, la quale sosteneva che il suo particolare tipo di allenamento per le competizioni ormai mal sopportava una giornata di avventura sulle crode dolomitiche. Dopo un approccio abbastanza comodo, Heinz attaccò nei pressi di un masso con gancio di ferro e con un bel tiro di V+ guadagnò dopo 35 metri una prima cengia. Roccia stupenda, della miglior Marmolada. Continuai io, diritto fino a un caratteristico “orecchio”; da lì breve traversata a sinistra a un diedro, poi su placca zigzagando per un totale di altri 35 metri fino a una sosta che lui poi sistemò a spit. Anche qui difficoltà contenute di IV e V. Era la prima volta che scalavo in un’apertura che aveva accettato l’uso del perforatore elettrico, nell’ottica di aprire un itinerario che, invece d’essere rispettato e poi dimenticato, potesse essere ripetuto con nuova mentalità sportiva. Toccò a lui la terza lunghezza, 25 metri di diedri di massimo V grado, fino a raggiungere una bellissima e caratteristica cengia ricoperta di rododendri, che poi sarebbe diventata la copertina del mio libro Sentieri verticali.

Heinz Mariacher attrezza una sosta col perforatore elettrico durante il tentativo al Col dei Bous, 29 luglio 1986.
Heinz Mariacher sulla “Cengia dei Rododendri”, S3 del tentativo al Col dei Bous, 29 luglio 1986. Questa foto costituirà la copertina di Sentieri verticali.

Qui le cose si facevano più difficili e molto probabilmente ci sarebbe stato da fissare uno spit di passaggio, cosa che io non avevo intenzione di fare. Lasciai perciò in testa l’amico Heinz che s’impegnò per 20 metri in un obliquo a sinistra (VII-) seguito da un molto più facile diedro: in effetti fu costretto a piantare 3 chiodi, ma nessuno spit. Anche la S4 fu attrezzata con 4 chiodi normali. Lo stesso discorso si sarebbe potuto fare per la quinta lunghezza, obliqua a destra per 25 metri e assai complicata, con 2 chiodi normali. La S5 fu attrezzata con spit.

Ci eravamo convinti che non avremmo potuto terminare in giornata, così lasciammo nelle ultime due lunghezze tre chiodi di passaggio in posto (su dieci in totale). Poi, in effetti, buttammo le doppie per riscendere alla base. E, di preciso, non ricordo perché.

Sul Sentiero attrezzato del Gronton, 30 luglio 1986
Dal Gronton verso Passo Lusia, 30 luglio 1986

Il 30 luglio altra gita per la mia guida: questa volta con Paolo alla Cima Gronton dal Passo Lusia, con continuazione su Passo Bocche e Malga Nigritella, dove ritrovammo Nella che era venuta a prenderci.

Con tempo molto incerto il primo giorno di agosto portai Paolo sulla via dei Pilastrini alla Prima Torre di Sella; anche il giorno dopo fummo battuti al Piccolo Lagazuoi dove avevamo tentato un qualche itinerario nei pressi di quello che poi sarebbe diventato Orizzonti di Gloria (ma qui c’era anche Nella).

Perseguitati da quel tempo di merda, il 2 agosto andammo a quelle Cinque Torri che io avevo sempre un po’ snobbato: con Nella e Paolo non riuscimmo neppure a finire la via Miriam alla Torre Grande e, nella disperazione, ci buttammo su un monotiro subito a sinistra della via Miriam.

In rosso, il tracciato di Orizzonti di Gloria al Piccolo Lagazuoi. Foto: Sass Baloss.
Una cordata ci segue sul Gran Muro al Sass dla Crusc, 6 agosto 1986

La sera ci fu a Cortina l’incontro con i nostri amici bolognesi, sempre un grande piacere. Ma questo non bastò per avere un tempo migliore, così il giorno dopo tornammo ancora alle Cinque Torri: con Mirko Giorgi, Equipe 84 alla Torre Grande; poi con Paolino, sulla Torre Romana, di seguito il Diedro Nord, il Tetto di Destra e un tentativo alle Tette di Paola.

Con questo Paolino era giunto alla fine del soggiorno dolomitico, richiamato a Courmayeur dalla mamma. Con Nella tentai il 4 agosto la via Camerun al Grande Piz da Cir, ancora una volta respinti dalla pioggia.

Anche Piero Ravà con famiglia era in vacanza da quelle parti, così potemmo unire le nostre frustrazioni meteo: il 5 agosto con lui e il figlio quattordicenne Rocco salimmo finalmente la via Camerun, davvero nulla di speciale.

Piero Ravà sul Gran Muro al Sass dla Crusc, 6 agosto 1986
Piero Ravà all’uscita dal Gran Muro al Sass dla Crusc, 6 agosto 1986

Il sereno di quella sera ci incoraggiò per osare l’indomani 6 agosto la via di Messner sul Gran Muro del Sass dla Crusc,da lui apertail 18 settembre 1969 con Hans Frisch.

Questo si rivelò un itinerario davvero speciale, del resto ce lo aspettavamo, visto l’autore. Un’arrampicata libera così libera da non sentirla estrema neppure quando avremmo dovuto sentirla tale… Il passaggio della lastra staccata è un vero capolavoro. Piero ed io giungemmo sull’altopiano di vetta nel primo pomeriggio, decisamente soddisfatti: perché come ripagano gli itinerari che hanno fatto storia, nessun altro lo può fare.

Alessandro Gogna all’uscita dal Gran Muro al Sass dla Crusc, 6 agosto 1986
Alessandro Gogna in arrampicata sulla via delle Guide della Torre di Valgrande, 7 agosto 1986

Alla sera dormimmo a Forcella Alleghe e, il mattino dopo Piero dichiarò di non sentirsela ad accompagnarmi sulla via De Toni-Pollazzon (via delle Guide) alla Torre di Valgrande.

Il 10 settembre 1941 è stata una grande data. La bella Torre di Valgrande, già teatro dell’impresa di Raffaele Carlesso e Mario Menti sulla parete nord-ovest, aveva in serbo per i valligiani più volonterosi una bellissima fessura sul versante meridionale (200 metri).

Rocco Ravà e Alessandro Gogna in vetta alla Torre di Valgrande (Civetta) dopo la salita della via delle Guide alla Torre di Valgrande, 7 agosto 1986

Mariano De Toni, custode del rifugio Coldai e Cesare Ceci Pollazzon, entrambi di Alleghe, con l’uso di dodici chiodi salirono la fessura. Questa, dopo un periodo di indifferenza, nel 1951 fu valutata dai ripetitori per quello che è, e cioè un’estrema arrampicata di fessura. Dopo Attilio Tissi, dopo Gian Battista Vinatzer, furono ancora i valligiani a spingere oltre il limite. La via delle Guide, come fu chiamata in seguito, ebbe la prima ascensione totalmente in libera (rotpunkt) nel 1977 (Heinz Mariacher e Luisa Iovane).

La via Decima alla parete sud-ovest dello Scalet delle Masenade, 13 agosto 1986
Mirko Giorgi sulla via Decima alla parete sud-ovest dello Scalet delle Masenade, 13 agosto 1986

Con ciò si scoprì che si era nel VII grado. Il passaggio chiave, secondo loro, è più difficile della Pumprisse in Kaisergebirge, inizio ufficiale del VII. Dato che il tiro più duro è stato salito da De Toni e Pollazzon con soli otto chiodi, si può facilmente dedurre che essi toccarono certamente il VII grado della nostra odierna scala UIAA. Il capocordata De Toni si trovò ad improvvisare un off-width ante litteram, praticamente l’unico sistema per superare fessure che non permettono al corpo di entrare ma nello stesso tempo sono troppo larghe per l’uso del solo braccio: la più faticosa delle sofisticate tecniche di arrampicata ad incastro perfezionate in America! È pur vero che De Toni usò un cordino per staffa e che anche gli altri sette chiodi furono usati per progressione, ma chi ha fatto quella fessura è in grado di testimoniare quanta forza, resistenza e coraggio siano ancora oggi necessari.

Alessandro Gogna all’uscita della via Decima alla parete sud-ovest dello Scalet delle Masenade, 13 agosto 1986
Gli Spiz di Mezzodì (gruppo del Pramper) da nord. Da sinistra, Spiz Mary, Spiz Nord, Spiz Est, Spiz di Mezzo (con l’evidente spigolo nord-ovest tra sole e ombra) e Spiz Sud. Foto: Mario Verin.

Ero fermamente intenzionato a verificare di persona l’importanza storica di quella via. Quella mattina del 7 agosto 1986 mi stavo agitando nervosamente: per fortuna Rocco Ravà si propose come mio compagno e il padre non si oppose. Nella marcia di approccio consideravo che mi ero caricato di una bella responsabilità: ma, in effetti, la via vera e propria era solo di 200 metri e un ragazzino così mi sentivo di trascinarmelo ovunque di peso…! Naturalmente sapevo anche che non ce ne sarebbe stato bisogno, viste le sue ben provate capacità.

Alessandro Gogna (in piedi) e Mirko Giorgi al bivacco Gianmario Carnielli, 14 agosto 1986. Sul retro giganteggia lo spigolo nord-ovest dello Spiz di Mezzo di Mezzodì.
Mirko Giorgi sullo spigolo nord-ovest dello Spiz di Mezzo di Mezzodì, 15 agosto 1986.

La via si confermò meravigliosa, anche se alla fine ci trovammo in piena nebbia. Salii la fessura chiave in libera e questo mi fece galleggiare ben oltre le nuvole! Rocco mi seguì attento e preciso, veloce e sicuro. Tanto che scherzando, nell’allegria generale della sera, dissi al padre che ne avevo le palle piene di lui e che d’ora in poi, se dovevo scalare con un Ravà, l’avrei fatto con Rocco e non con Piero.

A fine pomeriggio ci eravamo trasferiti a Pian Schiavaneis, dove ci ritrovammo a prendere pioggia per tutto il giorno dopo.

Il 9 agosto, contraddicendomi, eccomi ancora con Piero sulla via Schubert al Piz Ciavazes, anche questa strappata al maltempo.

Il 10 agosto con Heinz in Valle San Nicolò e ancora su B Negativo: e ancora scornato, per di più da secondo.

Mirko Giorgi sullo spigolo nord-ovest dello Spiz di Mezzo di Mezzodì, 15 agosto 1986.
Ornella Antonioli e Mirko Giorgi in vetta allo Spiz di Mezzo di Mezzodì, 15 agosto 1986.

L’11 ancora palestra, il tempo non aveva pietà. Con Piero, Rocco, Mirko Giorgi e Marco Piva andammo alla Palestrina di Plan de Gralba, dove salii quattro vie senza nome tra il 6c e il 7a (questo da secondo).

Mirko ebbe l’idea di trasferirci a Erto, dove la parete così strapiombante ci avrebbe forse permesso di arrampicare comunque. Il 12 agosto salii con lui Pensionati, Mata Hari, Alien, la prima lunghezza di Pip Crash (male). E feci anche un tentativo sulla lucida Contessa e su Manolesta (che conclusi abbastanza male). Vedere come i ragazzi si issavano su quelle prese unte, in scioltezza, mi fece pensare a quanto allenamento avrei dovuto praticare per somigliare un po’ di più a loro. Non mi era mai piaciuto allenarmi, e quella constatazione non mi fece piacere. Non riuscivo comunque a vedere un motivo valido per andare contro alle mie tendenze.

Rocchetta Alta di Bosconero, via KCF, Mirko Giorgi nel Gran Diedro, 17 agosto 1986.
Rocchetta Alta di Bosconero, via KCF, Mirko Giorgi nel Gran Diedro, 17 agosto 1986.

Non appena il tempo si ristabilì un poco tornammo alla montagna, a respirare quell’aria di libertà totale che una palestra piena di sudore e di magnesite ostacolava.

Il 13 agosto con Nella e Mirko Giorgi ci concedemmo una grande via classica, la via Decima (ma chiamata anche via Todesco) alla parete sud-ovest dello Scalet delle Masenade. Salita nel 1976 da Luigi Decima, Fausto Todesco, Sonia Della Santa e Pier Costante Brustolon, questa via, ormai molto frequentata, è una delle più belle salite delle Dolomiti. Supera un marcato sistema di colatoi e diedri con caratteristica roccia a volte lisciata dall’acqua, a tratti però appigliata, rugosa e ricca di clessidre. Le difficoltà si tengono costantemente sul IV e V, con un passo di V+. E il tutto per 350 metri di sviluppo e con discesa sulla lunghissima Ferrata Costantini.

Rocchetta Alta di Bosconero, via KCF, Mirko Giorgi nel Gran Diedro, 17 agosto 1986.
Rocchetta Alta di Bosconero, via KCF, Mirko Giorgi esce dal Gran Diedro, 17 agosto 1986.

Ancora con il bel tempo, nel pomeriggio del 14 agosto, sempre con Nella e Mirko, risaliamo il lungo approccio al bivacco Carnielli che sembra essere stato costruito apposta per scalare, poi il giorno dopo lo spigolo nord-ovest dello Spiz di Mezzo di Mezzodì. Dopo uno splendido tramonto e una lussuosa cena (c’eravamo portati ogni ben di Dio), la mattina dopo partiamo, neppure troppo presto, e in breve arriviamo all’attacco di quel grande spigolo che avevamo avuto modo di ammirare per tutto il giorno prima. Anche lui, come suggerito da alcune relazioni, potrebbe essere il più bello delle Dolomiti: ai ripetitori l’ardua sentenza. La scarsa chiodatura e le difficoltà continue lo rendono comunque ben più impegnativo del più famoso Spigolo del Velo. E’ un itinerario continuo sul V grado con numerosi passi di V+ e un passaggio di VI-. Ha un dislivello di 350 metri e si sta sempre a destra del filo dello spigolo, dunque in realtà sempre in parete ovest. Salita consigliatissima anche perché non certo alla moda. Fu salito la prima volta il 13 agosto 1967 dai bellunesi Gianni Gianeselli, Pietro Sommavilla e Gianni Viel.

Alessandro Gogna sulla via Bonetti alla Croda Spiza (Moiazza). 19 agosto 1986.
Alessandro Gogna sulla via Bonetti alla Croda Spiza (Moiazza). 19 agosto 1986.

La sera del 16 agosto con Mirko risaliamo in tutta calma il sentiero per il bivacco Bosconero, allora non custodito. La salita che vogliamo fare l’indomani è un po’ troppo impegnativa per Nella che dunque preferisce risalire il giorno dopo per venirci incontro. Partiamo presto alla volta della parete nord della Rocchetta Alta di Bosconero: la KCF è la nostra meta.
Si tratta di una via di 600 metri aperta dal 26 al 28 luglio 1970 da Rüdiger Braumann e Jürgen Vehse. Nella parte inferiore, a sinistra della verticale calata dalla vetta percorre un caratteristico e grandioso diedro giallo. A poco più di metà parete interseca la via Navasa (aperta nel 1965 dai veronesi) per poi identificarsi con questa nell’ultima parte. Leggendo il libro del bivacco avevamo scoperto che la nostra sarebbe stata la dodicesima ascensione di questa via di VI grado con un po’ di A1. Non ho ricordo del perché non scegliemmo di salire lo Spigolo degli Scoiattoli (sul quale nel 1983 io ero già andato più o meno a metà). Probabilmente la KCF ci attirava di più perché senz’altro più difficile. Sulla via fummo dei fulmini, andammo in cordata alternata senza alcuna esitazione, tiro dopo tiro, apprezzando l’ambiente severo, la solitudine e la roccia stupenda.

Da sinistra, Gianni Calcagno, Walter Savio e Alessandro Gogna in vetta alla Croda Spiza (Moiazza), 19 agosto 1986.

Dopo questa salita Mirko ci salutò: doveva tornare a Bologna.
Ci era piaciuta tanto la zona del rifugio Carestiato, così il 19 agosto con Nella ci avviammo verso la Croda Spiza 2086 m, con l’intenzione di salire la via Bonetti (Gran Diedro Est). Ci trovammo casualmente con Gianni Calcagno e Walter Savio, ai quali piacque il nostro progetto, perciò decidemmo di andare tutti assieme. E fu lì che Nella, visto avevo trovato due compagni fortissimi, decise di non essere della partita… La via era stata aperta da Flavio e Paolo Bonetti con Mario Bottecchia nel 1967 e aveva già parecchie ripetizioni per la sua notoria bellezza, su difficoltà di V, VI e VI+ per uno sviluppo di 250 metri. Piuttosto atletica, offriva buoni appigli ma non tanti chiodi. Il ritrovarmi con Gianni in montagna dopo tanto tempo fu una festa per entrambi. Spesso scambiamo vie e compagni con molta facilità, ma alla fine quando si ritrova un rapporto solido c’è la soddisfazione più sincera.

Da sinistra, Walter Savio, Ornella Antonioli, Gianni Calcagno e Alessandro Gogna in vetta alla Croda Paola (Moiazza), 20 agosto 1986.

Il giorno dopo convincemmo Nella a seguirci su un’altra bellissima salita, la via Bonetti alla Croda Paola: anche lei di circa 250 metri, ha difficoltà inferiori, IV e V con un tratto di V+. Aperta nel 1967, i primi salitori sono gli stessi citati a proposito della Croda Spiza. Si segue una bellissima serie di diedri e fessure chiusa in alto da un prominente tetto rettangolare che si supera uscendone a destra.

I giorni dopo, fino al 24 agosto, li passammo con tempo brutto o incerto tra la Valle San Lucano, Gares e Caviola (dall’amico Bepi Pellegrinon). Il 25 dichiarammo chiusa la partita e tornammo a Milano.

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De Toni-Pollazzon alla Torre di Valgrande ultima modifica: 2023-07-05T05:11:00+02:00 da GognaBlog

11 pensieri su “De Toni-Pollazzon alla Torre di Valgrande”

  1. Si, ama qualcuno insegni al Drugo come quotare! 

    Sto insegnando al drugo come quotare!
     

  2. Drugo e Benassi due caiani super doc !

    Adriano, ora il Drugo lo fai incazzà.
     
    Comunque, bivacco Carnielli sotto lo Spiz di Mezzo di Mezzodì, posto solitario bellissimo.
     
    I pantaloni di Mirko Giorgi sono eccezionali, tipici di quei “be mi tempi” .

  3. Drugo che ci vuoi fà, son caiano. Non al livello del Crovella, ma caiano sono😂
    Si vero c’era già la Monica, la gestione era appena all’inizio, ricordo di avete dormito per terra.
    Quanto manca la Monica😔

  4. Prendendo in prestito la frase dagli alpini, purtroppo pare che Walter Savio sia andato avanti.

  5. era il 1984 a fare la NAVASA.  La casera Bosconero non era ancora un rifugio gestito ma un bivacco.
    non riesco a non cadere in questa trappola di autoreferenzialitudine vetero caiana…Alberto, guarda che allora era prima del ’84…Nell’agosto di quell’anno ci sono andato anch’io per la prima volta (non c’ero mai stato manco a camminare, ‘na vergogna…) e c’era già su la Monica con (credo) il fratello e il malefico mulo Filippo che non aspettava altro che uno appoggiasse uno zaino per assaggiare corde e imbraghi appesi…Ho ben poca memoria per date e affini, ma per ragioni “precipitevolissime” che fosse agosto ’84 non potrò mai dimenticarlo… ^_^… sorvolo sulla classifica viaria…che rincaianito si, ma non ancora a sto livello! ^_^ 😉

  6. Ho conoscito Walter Savio in Apuane d’inverno. E’  stato un grande amante dell’alpinismo invernale apuano dove ha fatto una grande attività.
    La prima volta che sono stato alla Rocchetta Alta di Bosconero era il 1984 a fare la NAVASA.  La casera Bosconero non era ancora un rifugio gestito ma un bivacco. Poi sono ritornato diverse volte per salire le altre vie perchè la Rocchetta Alta è proprio bella: Strobel, KCF e Dorotei-Masucci .
    La più impegnativa delle 4 che ho salito sulla rocchetta  è stata la Dorotei-Masucci a destra dello Strobel.
    La Martini-Tranquillini invece ci respinse, la giornata non era delle migliori, traversammo a destra e uscimmo per lo Strobel.

  7. Questi racconti sono sempre molto belli. In particolare mi ricordano l’epoca in cui vivevo già a Corvara e venivo visitato dagli amici cittadini in vacanza mentre facevo la guida e cercavo di ritagliarmi del tempo per scalare con loro. Di solito li raggiungevo di corsa al pomeriggio direttamente all’attacco di qualche via che terminavano di notte. A 25 anni ci si sente dei veri Superman e non si sa cosa sia la stanchezza.
    Ogni volta che sento dire che le 5 Torri sminuiscono le aspettative degli alpinisti più convinti mi chiedo perché. Sono quasi 50 anni che ci vado a fare la guida e ad arrampicare per il puro piacere di farlo. Non ho mai trovato un luogo così bello, vario e che non mi stuferà mai per queste sue caratteristiche. Certo, l’altezza delle pareti di 180m al massimo non sarà un’attrattiva per chi considera degne di essere percorse solo le vie dai 500m in su, ma la qualità dell’arrampicata è sempre superlativa.
    La De Toni-Pollazon alla torre di Val Grande, invece, non sono mai riuscito a considerarla una gran via. Sicuramente sarà stata salita a suon di chiodi e cunei di legno come tante altre analoghe e la sua lunghezza non supera i 120 m. tant’é vero che da quando si adottarono le corde da 60m, l’ho sempre fatta in 2 tiri.
    Concordo sulla bruttezza della via Camerun al Cir. Anzi, definirei il Cir come il più brutto gruppo dolomitico e la Camerun come la via più orribile delle Alpi. Mica è sempre tutto bello!
    A parte Calcagno mi hai fatto ricordare di Walter Savio, uno dei miei maestri genovesi, da qualche anno costretto all’immobilità dopo un brutto incidente a Finale mentre attrezzava alla Ricca degli Uccelli. Un alpinista dotato e maestro di semplicità di vita che ricordo con grande affetto.

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