Degni di nota solo per il grado espresso
di Sergio Soraci
Chi all’anagrafe risulta nato tra gli anni ’60 e ’70 a volte si sente un po’ usurato dalle vicende arrampicatorie, dai lavori di chiodatura frenetici, dalla scoperta di nuove falesie, da un nuovo agire e dal passare degli anni. In un contesto storico e ambientale come quello della Sicilia orientale, privo di una tradizione culturale indirizzata all’arrampicata e al suo sviluppo, si avvertì, con l’entusiasmo e la creatività che ci trainavano tra gli anni ’80 e ’90, l’esigenza di trovare falesie dopo aver assaporato un po’ di alpinismo, falesie palermitane e “crag forestiere”.
Successivamente il numero degli arrampicatori aumentò per motivi antropologici e culturali, ma anche grazie a chi nei decenni precedenti si era adoperato a scoprire e chiodare itinerari di ogni genere e grado di difficoltà, con la sincera speranza che altri, anche più giovani e forti, godessero del lavoro svolto e che continuassero a sviluppare il numero di falesie praticabili. Dico sincera speranza perché così era il sentire di quegli anni, con incontri sempre più frequenti nelle falesie che sino ad allora contavano pochi climbers e un confronto intergenerazionale auspicato dal primo momento.
Alcuni di noi avevano avuto esperienze più o meno fruttuose ed emozionanti con chi ci aveva preceduto ed il rapporto con costoro continuò ad essere, allo stesso tempo, di rispetto ed affetto. Certo, saltuariamente, i rapporti avvenivano anche all’insegna di confronti conflittuali, anche duri, ma altrettanto si ricomponevano empaticamente. Poi, all’improvviso, a causa della quantità dei praticanti, degli scontri generazionali, della mentalità tutto è cambiato in maniera travolgente. Ma sono soprattutto i social (alcuni li usano, alcuni poco, alcuni per niente) che cambiano lo scenario. La realtà diventa mediatica, perde di sostanza come una nube ai primi raggi di sole, si dissolve nonostante gli sforzi di chi fa e non ritrova, tra le sue corde, una capacità dell’uso sociale comunicativo. C’è chi scrive, fotografa, messaggia, chatta. Gli altri spariscono in un limbo indefinito, nonostante le capacità realizzative.
Evidentemente è questo un osservare gli eventi dalla parte della riservatezza, di chi si ostina a non pubblicizzarsi, dalla parte di chi ritiene che non sia necessario apparire ad ogni costo e modo. Tuttavia, qualcosa da qualche anno si è ulteriormente modificato, si è ingarbugliato, il corto circuito generazionale in molti casi si è avverato, il grado detta legge (che tristezza!); e qualcos’altro ancora è deflagrato con il concorso dei “professionisti” del verticale, sempre pronti ad ergersi come unici referenti dell’outdoor, dei locals con interessi di vario genere, che hanno portato alla chiusura della falesia storica della Sicilia orientale, istigando il proprietario del terreno sottostante, che ha deciso, a sua volta, di applicare il suo ruolo di “latifondista” grazie a leggi vetuste non più accettabili, soprattutto facendo prevalere il mancato utilizzo del terreno stesso a 27 anni di uso alpinistico della parete. Ma questo, credo, accade anche altrove.
Manifestazioni di sudditanza, provincialità, ignoranza, oltre a vecchi dissapori, si sono aggiunti. Mancanza di collaborazione, invidie, colpi di mano si sono susseguiti con cancellazioni di amicizie e storie in perfetto stile dittatoriale, quando si spariva dalle foto ufficiali e venivano cambiati i libri di testo. Ciò avviene anche oggi, ed è per questo che le reazioni si esasperano.
Io resto umano, ma non fisso, come si dice da noi, disposto a cambiare idea solo ed esclusivamente nel caso in cui coloro che hanno generato questa atmosfera siano disposti a modificare atteggiamento.
Questa onda lunga dell’apparire, del considerare gli altri degni di nota solo attraverso il grado espresso, dell’andare in falesia senza rispetto dei presenti mettendo musica a palla mentre si arrampica, urlando e, ancora peggio, mettendosi in competizione con tutti spargendo inimicizia e contrasti, mi pone in uno stato di reazione quasi uguale e contraria, conducendomi a pensieri e comportamenti che avrei volentieri evitato.
Osservo i cambiamenti e sono deluso, uno sguardo forse un po’ severo per chi si era prefigurato che questo ambiente fosse immune da una rovinosa decadenza sociale, ma, inevitabilmente, è lo specchio di un più vasto degrado che coinvolge ogni aspetto della vita. La conseguenza, in un ambiente, tutto sommato marginale, è il susseguirsi di amicizie che si spengono, amicizie prima considerate inossidabili e poi mandate a farsi strafottere da episodi di prevaricazione, mancanza di rispetto per gli altri, condita da una buona dose di superficialità.
L’amicizia ha ancora un valore, l’etica ancora di più, ma l’esposizione dell’io e il tentativo di sminuire l’altro annullano qualsiasi rapporto in essere. Continueremo ad arrampicare perché è appagante, ma, come forse è giusto che sia, lo faremo con gli amici veri, con chi è più affine, alimentando nuovi incontri e sperando di essere più fortunati. Sì, viaggiare, evitando le buche più dure.
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Oggi ho visto per la prima volta Swissway to Heaven, tra le righe di una grande impresa trovo messaggi altalenanti di una retorica che si spaccia per amore per la montagna ma che, a mio avviso, è l’ennesima espressione d’amore per la performance. E così il protagonista, Lachat, uno per me irraggiungibile dal punto di vista prestazionale, leggendo tra le righe di un libro di storia dell’alpinismo Svizzero, si lascia andare a commenti leggeri sui materiali, sulla tecnica e dulcis in fundo “tornassimo indietro saremmo macchine da guerra” quasi a dire “non capivano niente”. Neanche farlo a posta poco prima guardo “Pionieri” che documenta il record di Moser sulle Pale di San Martino, e lì trovo un bellissima testimonianza di Zanolla che in sostanza afferma “È un peccato non essere più i pionieri di questa disciplina e vivere il piacere della scoperta, il mondo si è fatto incredibilmente piccolo, sono cambiate conoscenze, tecniche, tecnologie, materiali, oggi è tutto troppo semplice mentre all’epoca ti potevano guidare giusto i bracconieri” quindi ripenso alle decine di record, a tutti questi atleti sponsorizzati che devono inventarsene di ogni tipo, e l’unica sensazione che si prova è nostalgia per tempi che non ho potuto vivere. Poi vedi le nuove generazioni, come i miei coetanei, e se gli chiedi cosa sia per loro Finale pensano ad Andrea Gallo, anche lui fortissimo ma che i tempi recenti ha fatto pessime uscite, e se invece gli chiedi chi fossero i fratelli Calcagno e Vaccari scrollano le spalle, se gli chiedi cosa fosse Finale nel 68 ti dicono che non gliene frega niente e che il documentario fa pure pena. Alla fine i modelli odierni sono i climber della IFSC, gente sempre prossima ai 9a (se non oltre), l’apice della bravura, inarrivabili, e ciò nonostante tutti cercano di imitarli, ma alla fine non sono poi tanto diversi da quei calciatori si serie A arroganti e maleducati che fanno continuamente notizia. E va bene che andando avanti con gli anni si maturi, eppure di generazione in generazione mi sembra di vedere solo dei gran peggioramenti…
io ci sono.Organizza
Non ci resta che organizzare una spedizione nelle falesie della Sicilia orientale per portare ordine, disciplina, posizioni dominanti e una manciata di spit inox possibilmente del 12……
Allora io ho frainteso quello che dicevi a proposito di chiodatura.
Sono d’accordo sul fatto che proteggere una via con strumenti tradizionali sia un’arte da imparare , la mia invettiva e’ diretta a quelli che guardano con sufficienza ogni chiodo dicendo che non era da mettere , sempre perche’ loro ce l’hanno smisuratamente lungo…
Prima di tutto POVERETTO da bar ci sei te!
Ma siccome non sei altro che un provocatore lo so già che a darti del poveretto non ti fa caldo ne freddo, comunque te lo dico ugualmente, magari ci rifletti…
Chiodare è un arte perchè per farlo bene, bisogna saperlo fare. Bisogna avere tecnica, fantasia, occhio, esperienza e anche un certo muso. Riuscire a mettere un buon chiodo nel posto giusto è una soddisfazione. Per te non è così? Peggio per te. Del resto non tutti arrivano a capire certi dettagli. Quelli come te sono tra coloro che trasmettono l’insegnamento che portarsi chiodi e martello non serve.
Vai a prendere qualche lezione da Ivo Rabanser, magari impari qualcosa.
Non vedo come la chiodatura possa dare qualcosa a chi scala per il suo piacere , e non per tirarsela al bar.Di una via mi restano impresse la varietà dei movimenti e la qualità della roccia e dell’ambiente ; quelli che vivono del mezzo grado in più o dei tre chiodi in meno sono dei poveretti che lascio parlare al bar del “loro” alpinismo , perchè se non ci fosse un bar in cui vantare le loro eccelse “virtù” , smetterebbero di arrampicare.
63) DM , non mi riferivo a te, ma a quello che ha scritto Expo al n. 59 .
Expo hai fatto un’affermazione genereca, facendo un minestrone, alla quale ti ho fatto una richiesta di chiarimento ben precisa a cui noi hai risposto di nuovo. bravo sai bleffare,
@ 60
E’ l'”arte” di fare una faccia intelligente e maschia mentre si spiega perche qualche sciocchino e’ volato fino a terra in palestra di roccia e adesso e’ in ospedalecon qualche osso rotto.
Alberto sto parlando di falesia; le vie alpinistiche sono tutt’altro discorso.
Direi che il discorso di Riky al 62, di Expo e il Fetido sono da me, per quel che vale, condivisi; i concetti guida condivisi dovrebbero essere quelli delle “linee guida” pubblicate dalle GA che sono del tutto simili a quelle pubblicate da CAI nei manuali, fotocopia di quelle fissate molti anni fa in Francia da COSIROC perchè sono regole di buonsenso.
se parliamo di chiodatura, i termini sono complicati. Il più grosso problema è che uno dovrebbe chiodare sul “suo” grado, per capire esattamente dove è meglio piantare la protezione. Spesso succede che uno “forte” chiodi un tiro facile (per lui) e qualunque presa gli sembra ugualmente buona per rinviare, e spesso e volentieri va lungo, tanto lui non cade! Salvo poi chiodare al metro un tiro per lui troppo impegnativo! Se la regola base che dovrebbe essere “lungo o corto che sia, si chioda laddove la rinviata non interferisce, o lo fa il meno possibile col movimento e la progressione. Si proteggono con particolare attenzione i passi sopra cenge o ostacoli che potrebbero in traiettoria in caso di caduta”, questa regola diventa purtroppo difficilmente applicabile nei tiri dove c’è una sequenza magari di 6-7 movimenti che fa il grado. Dove lo metto lo spit? In qualunque punto risulterà “scomoda” ovvero contribuirà alla difficoltà del tiro. Quindi o chiodo con un notevole runout o… o cosa faccio? Cerco di limitare i danni prendendo una decisione che so non farà mai contenti tutti! Detto questo è pieno di falesie con qualche tiro chiodato “sparando spit con la fionda” (cit.), e questo è male. Ma direi che nella stragrande maggioranza dei casi le chiodature sono buone e dignitose, forse non lo sono le nostre dita 😉 O non abbiamo voglia di ingaggiarci anche se è palese che il volo anche se volevo sarebbe senza conseguenze! Poi il mio modus operandi è estremamente lento e laborioso, e pochi lo applicano. Ma io faccio così, poi ditemi voi: metto la sosta dove spero finisca il tiro. Lo scalo da secondo mettendo bolli dove penso sarebbe corretto. Lo faccio provare a qualche amico che simula le rinviate. Conveniamo se spostare o meno qualche bollo, lo riproviamo e quindi infine lo chiodiamo. Risultato: quando il vento soffia in poppa faccio due tiri al giorno… (poi bisogna anche pulire, disagiare etc). Non chiodo mai tiri che superino di uno massimo due gradi il mio livello massimo. So che farei cazzate e aspetto chi si tiene di più per mettere i bolli.
Un altro problema si pone quando la roccia non è perfetta (cioè quasi sempre, di Ceuse ce n’è una sola) e il punto dove mettere lo spit è sufficientemente solido per la scalata ma non abbastanza per metterci un chiodo (es: lama solida ma fratturata dietro). Ecco: lì è un casino, sai già che sarà scomodo ma… non ci puoi fare quasi nulla. Ma per approfondire di più ci vorrebbero ore e ore…
quanto agli svizzeri, gente che non ha da insegnare nulla nessuno
a cosa ti riferisci? alla sola chiodatura dei tiri di arrampicata sportiva? Oppure la tua affermazione è generalizzata anche alle vie lunghe e alpinistiche? Perchè se così fosse è un’emerita cazzata. La chiodatura è un arte.
@57
Condivido quello che dice DM.
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Spesso le vecchie vie restano in ostaggio della mentalita’ di taluni , sempre persone che sui forum ce l’hanno piu’ lunghissimo di tutti , e semplicemente vengono abbandonate e lasciate all’obilio.
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La bellezza di una via sta nei passaggi , mica nella chiodatura…
Gli svizzeri l’hanno capito , gli italiani no.
57. Esattamente quello che penso….però che piaccia o meno perché le cose funzionino, cercando di fare meno errori possibili, bisogna stabilire delle linee guida condivise , delle regole di base …altrimenti si corre il rischio di fare delle porcherie pericolose ….
Le vie, a mio modo di vedere, non vengono “banalizzate” dalla chiodatura; i tiri sono belli per la varietà di movimenti e del tipo di arrampicata. Vedo invece spesso tiri “rovinati” dalla chiodatura con runout insensati e pericolosi, spittaggi fuori equilibrio, spit messi in modo scorretto. Il rischio zero non esiste nemmeno in falesia, ma la chiodatura deve consentire di spingere al limifte tecnico della scalata dove volare è la norma.
Detto che non vedo questo nugolo di chiodatori che lavora e snatura, ovviamente non esiste una soluzione unica e unico modello. Dipende dalla falesia, dal tipo di vie, dallo stile etc ect. Il lavoro richiodatura è lungo e difficile e deve essere fatto da persone capaci che, prima di mettere mano al trapano, sanno valutare i passaggi ed intervenire dove serve. Restano tutti i problemi, in caso d’incidente, che non permettono di liquidare il problema semplicemente.
Mi sembra ci sia un problema di comunicazione…o stiamo dicendo le stesse …non me ne frega niente della sicurezza al 100 x100 o dell’ arrampicata indoor o menate del genere…. però per chiodare o ancora più difficile richiodare dobbiamo metterci d’accordo altrimenti viene fuori un casino della.madonna…..
Personalmente pratico l’arrampicata sportiva da quando è nata e mi piace ancora.
È ovvio che l’attrezzatura di una falesia dev’essere di buona qualità per evitare di accopparsi ma è anche vero che quando si inizia a parlare di controllo, manutenzione, regole (oltre a quelle del buonsenso) e omologazioni varie, si intraprende una strada che, con la scusa della sicurezza, fa diventare tutto piatto e banale.
Oltre ad essere brutto e noioso è anche pericoloso perché porta ogni fruitore a credere di essere in una struttura come quelle indoor. E invece all’aperto quella troppo spesso sbandierata sicurezza non potrà mai esserci al 100%.
Preferisco che ogni climber sia in grado di riconoscere se una sosta è marcia, un moschettone di calata troppo usurato o se dopo un temporale una lama può essere instabile.
Non dimentichiamo che l’arrampicata si pratica a proprio rischio.
Veramente cercavo di dare consigli sul non pretendere che la falesia sia adeguata alla propria idea sempre, comunque e dovunque.
Vale per falesia, parete, montagna, neve, fiume…per il mare ormai è tardi e l’abbiamo bel che sputtanato.
Si esatto Tommaso, tranqui , ci si può anche divertire
La teoria è condivisibile, però ci sono problemi pratici che vanno affrontati e risolti. Non credo che una Guida porti un cliente a fare una mezza giornata in falesia facendogli fare vie top rop su una sosta marcia.
Poi così senza offesa,mi sembra alquanto particolare parlare di arrampicata sportiva con persone che affermano che è un’attività che non praticano e non apprezzano, e comunque sanno dare consigli sulla richiodatura….forse ho capito male….ciao
Non scherziamo, ci sono tante persone che hanno cura delle falesie vicine, le tengono pulite e fanno manutenzione quando serve, senza snaturare o banalizzare niente.
Non per forza deve essere tutto negativo.
Poi sicuramente ci vuole buon senso quando si fanno le cose.
D’accordissimo con Matteo!48!
Non propongo niente, non ne ho né la voglia né tantomeno i titoli (non amo troppo la falesia e l’arrampicata sportiva).
Mi limito a far osservare che quando si iniziano a usare espressioni come “gestione delle falesie”, “pulizia e ordine”, attrezzate come cristo comanda” (per non parlare di “figura dominante” e “ordine e disciplina”!) si imbocca una strada che abbastanza inevitabilmente e anche abbastanza velocemente porta alla banalizzazione, alla regolamentazione, all’intervento dei tribunali e alla snaturalizzazione (oltre che essere fonte di liti e faide patetiche). E ritengo che sarebbe meglio pensare bene come giudicare e come muoversi, perché quanto sopra non avvenga o avvenga il meno possibile.
Ho aggiunto che la traiettoria sopra esposta è così storicamente evidente e quasi inevitabile che penso che le falesie trad non siano altro che un tentativo quasi istintivo di risposta.
Tutto qui, senza polemiche, anatemi o soluzioni uniche da imporre.
E quindi casa proponi per la manutenzione delle vie in falesia??? Aspetti che si dissolvano gli spit così se voli al secondo ti spacchi le vertebre per terra ??? Una legge non c’è però, un minimo di accortezza per te e per glia altri ….arrampicata sportiva e una cosa , vie trad un’altra cosa, e poi da certe vue trad come ti cali? , non da tutte si scende a piedi….
“Spesso richiodare itinerari storici è necessario perché il materiale è fatiscente”
E quindi? Mica c’è una legge che in via tu debba trovare materiale collaudato e certificato…
Ovviamente in falesia potrebbe essere differente, ma comunque la tendenza alla modifica/snaturalizzazione, all’ “appropriazione del naturale”, è andata così (perversamente) avanti che iniziano a nascere le falesie “trad” come possibile risposta o reazione
In questo senso avere una regia unica può aiutare. Riporto l’esempio toscano dove nella Garfagnana/ rocchette hanno chiodato tutti ( cani e porci) e nel Camaiorese dove hanno chiodato in pochi e soprattutto richiodato in pochissimi ( quasi tutti professionisti) ….la differenza è palese. Spesso richiodare itinerari storici è necessario perché il materiale è fatiscente ma spesso il chiodatore storico è morto o irreperibile ……apriti cielo ….tutti profeti ….auguri!
Caro Tommaso, che ti devo dire? E’ ovvio che lo si fa notare, ma se gli rimbalza e la linea/falesia/via l’ha aperta lui ha tutto il diritto (morale) di pretendere che così rimanga.
Gli si da del coglione e si va altrove.
Non è un sacrilegio ammodernare. per usare il tuo termine, una via storico e qualche volta è anche giusto farlo.
Ma occorre andarci con i piedi di piombo, perché la storia dimostra che con il “mettere in sicurezza”, con “l’evitare pericoli inutili”, con “l’ammodernamento” insomma si sa dove si comincia ma non dove si va a finire.
Anzi no, lo si sa benissimo: in breve si arriva alla pretesa di spittare tutto, alle righe di spit che intersecano le vie classiche, alla banalizzazione e al limite alle ferrate sportive
Io nel dubbio preferirei evitare qualunque intervento …
Quanto all’essere o non essere schiavi del grado, non mi permetto di giudicare. Ognuno fa quello che gli piace, che gli dà più soddisfazione. E per raggiungere certi risultati, oltre ad avere del talento, bisogna darci dentro.
Enri, quando affermo che non sono un arrampicatore sportivo dico quello che sono. In falesia ci vado parecchio, ma l’ho sempre vista in funzione di prepararmi per le vie che poi andavo a fare in montagna, oppure perche in montagna era brutto. Non lo faccio perchè ritengo l’arrampicata sportiva inferiore, ma perchè quella è la mia indole. A me piace molto fare attività invernale su ghiaccio e misto, ci sono stati inverni che fra cascate e vie in montagna su misto, non ho mai scalato su roccia, non sono mai stato in falesia. Il risultato era che fine inverno avevo tanto fiato e gamba ma a scalare su roccia dovevo ricominciare quasi da zero. Se poi ci metti che a me allenarmi ha fatto sempre tanta fatica, e non sono mai riuscito ad essere continuo, ecco che non posso dire che sono un arrampicatore sportivo.
C’è una via famosa a cui è stato dato il nome tribe..non a caso..ognuno dovrebbe avere la sua di tribù ….io sono troppo polemico di natura, salto la discussione sulla chiodatura…..per quanto riguarda la Sicilia mah??? Se va avanti così forse ci si potrà scalare una mese all’anno…
Sai Alberto, non è’ secondo me tanto questione dì essere o non essere arrampicatori sportivi quoto dì saper leggere la parete o la via che hai davanti. In questo senso io in falesia mi sono portato tutto quello che prima ho imparato in montagna e dì questo percorso mi ritengo fortunato. Le due cose devono funzionare come vasi comunicanti. Per stare in tema dell’articolo, generalizzare a mio avviso è’ sempre sbagliato. Ho incontrato gente che si allenava sette giorni su sette e da fuori poteva ben essere considerata schiava del grado ma invece assolutamente innamorata della roccia dei luoghi e dotata dì un’etica rigorosa. Come invece gente apparentemente più morbida e meno “ingaggiata” ma che alla fine non ho mai capito se veramente apprezzasse il regalo che ti fa la vita quando vai a scalare.
@Matteo nel primo caso andrebbe fatto notare a chi l’ha chiodata, sperando che abbia l’umiltà di mettere in dubbio le proprie valutazioni.Ma visto che spesso non è così, che si fa?
Per quanto riguarda le vie tradizionali non lo so, la questione è molto più complessa, ma personalmente non mi sembra un sacrilegio ammodernare una via aggiungendo una sosta a spit, ad esempio.
Su questo non si discute.
Enri, hai perfettamente ragione! Infatti ho premesso che io non sono un arrapicatore sportivo, anche se in falesia ci vado.
Mi passate una battuta? Ogni volta che ho sentito muovere critiche a gente accusata dì scalare solo per il grado o perfino dì non divertirsi perché schiava della prestazione ho pensato solo e soltanto ad una cosa: invidia. Detto questo io sono sempre stato attratto da vie che mi richiedessero dì migliorare e dì mettermi al limite ma anche che fossero affascinanti e coinvolgenti. Ho scalato anche in cave a buchi trapanati ma l’innamoramento per certe linee dì Finale, del Muzzerone, dì Candalla o dì tante altre falesie francesi resterà indimenticabile. Non vedo conflitto fra un sano mettersi in gioco per fare gradi più alti e essere comunque in grado dì apprezzare la bellezza dì una linea. Così come succede allo stesso modo in montagna.
Per rispondere alla domanda di Alberto la mia opinione (ma non solo mia) è che spesso una chiodatura mal fatta o pericolosa (in dipendentemente dalla lunghezza del volo) va cambiata. Se si riesce a fare con il consenso dell’apritore, meglio, sennò va fatta in ogni caso. Una chiodatura pericolosa rovina tecnicamente la via e spesso viene “corretta” con lunghi fissi, o con l’utilizzo del bastone.
Benassi, , se su un tiro ci si può far male vuol dire semplicemente che è’ chiodato male. Non è’ mai stato insito nel concetto di arrampicata sportiva introdurre un rischio che può portare a farsi male. Diverso e’ quanto riguarda via la cui chiodatura implica anche una gestione psicologica perche sono chiodate lunghe. Un esempio per tutti: Ceuse, la chiodatura almeno a mia esperienza, non era mai pericolosa ma quasi sempre distanziata allontanandosi da terra. Che vuol dire che non arrivi per terra ma devi avere nervi saldi perché quando il chiodo si allontana di molto va bene che razionalmente sai che se cadi non ti fai male ma certamente ti richiede un po’ di testa. Naturalmente l’esempio di Ceuse vale per vie strapiombanti. Vie di placca verticali o perfino leggermente appoggiate dovrebbero essere sempre chiodate in modo non troppo lungo perché non si da mai come si cade. Detto questo richiodare le vie tipo Ceuse sopra descritte non avrebbe senso a mio avviso. Richiodare vie dove invece il pericolo dì farsi male e’ alto per via del fatto che i chiodi sono messi male mi sembra doveroso. Di fatto valgono comunque i concetti alpinistici: se sei ad una sosta ed il primo cadendo si schianta sul terrazzino sarà’ bene mettere un po’ dì protezioni ravvicinate per poi eventualmente diradare poi in alto.
Al 19 ho scritto che ogni sensibilità, su questo argomento, è rispettabile. Tralascio le vie a più tiri e mi concentro sulle falesie. Anni addietro, se uno si faceva male in falesia erano solo problemi suoi; oggi si apre un ‘indagine e il giudice nomina un perito, normalmente una GA. Le GA hanno normato la chiodatura delle vie da falesia, peraltro fatta bene, pertanto la perizia non può discostarsi troppo dai criteri ufficiali. Detto questo se il tiro è chiodato non a norma si cerca il responsabile. Quì si aprono più ipotesi, nessuna di esito felice. Siccome poi la “psicologicità” non riguarda i primi 8/9 metri vale la pena di fare in modo di seguire la normativa almeno fino al 4°spit e poi mantenere lo stile di spittatura originale a patto che non si sbatta su cenge o altro in caso di volo. Se gli spit sono messi male, ruggini e/o artigianali vanno sostituiti. Tutto ciò per rispetto di tutti gli atri chiodatori che hanno lavorato bene e non si meritano l’eventuale chiusura del sito d’arrampicata.
o non sono un arrampicatore sportivo, quindi non è che posso dire molto, anzi pongo una domanda. Nella storia dell’arrampicata sportiva credo ci siano dei tiri dove la difficoltà oltre ad essere puramente tecnica è anche psicologica perchè il tiro è stato chiodato severo. Dove in alcuni punti non è bene volare, pena farsi male. E’ giusto che questi tiri, magari tiri storici, siano richiodati per renderli sicuri , quindi vega eliminato l’aspetto psicologico?
“c’è da dire che non tutte le vie sono chiodate/attrezzate come cristo comanda”
Tommaso, intervengo solo per dire che credo che in questa tua frase si annida un possibile tarlo.
Infatti crist0, che sia dio o meno, non comanda proprio nulla sulle chiodature e tantomeno comanda di chiodare, quindi c’è poco da discutere o da mettere in discussione:
Se una via o una falesia sono chiodate bene dall’apritore, bene.
Se sono chiodate amminkia, lo si dica perché chi vuole ripetere lo sappia.
Se non sono chiodate per nulla, che nessuno pensi o osi chiodarle senza il permesso dell’apritore
Su questo non ci sono dubbi. A tal proposito ti consiglio CROVELLA…..
@crovella, neanche perdo più tempo… non ce la puoi fare
pace
Ad ogni buon conto.
Il testo l’ho trovato estremamente confuso e non ne colgo il punto. O meglio, si lo colgo. Ma mi pare sinceramente molto, troppo soggettivo legato a una persona che ha avuto sfortuna nei rapporti. Generalizzare e portarlo a esempio mi pare inappropriato!
Mi pare di capire che l’autore sia rimasto molto deluso da certi rapporti umani.
Dove in nome del grado o di qualche tipica micragniosità tipica del servo del grado, delle amicizie che reputava solide alla lunga non si sono rivelate tali.
Me ne dispiaccio.
Ma beh, capita. Mi spiace ma talvolta succede. Anche in altri ambiti. Penso in tutti.
Io scalo solo con persone con cui poi bevo tante birre e parliamo di tutto.
Persone cui do qualcosa e da cui prendo qualcosa. Amici? Non so, amicizia è una parola importante. Di sicuro persone cui voglio bene, che stimo.
Ma quando scalo, quando mi metto le scarpette lo faccio per migliorare, per essere migliore di com’ero prima, vincere una sfida con la gravità, la paura, il grado o anche il mio socio della giornata, e mi piacerebbe essere il migliore (come scalatore). Fare il 9b anche in via lunga. Sono anche contento quando ci riesce un mio amico. Ma se lo faccio io sono più contento. Sarei falso a negarlo.
Come sarei falso se dicessi che sono più contento quando faccio una bella via rispetto a quando ne faccio una dura. Se ne faccio una bella… bene. Se ne faccio una dura: BIRRA!
E se in falesia conosco molti sinceri egoisti, servi del grado, in montagna ne conosco molti di più. Gente forte, ma con cui non ho piacere a legarmi. Gente che scala SOLO per sé stessa. Alcuni anche estremamente schietti e sinceri. Non li giudico e non li critico, fanno benissimo e li capisco. Ma non mi ci lego. E se lo faccio so che il rapporto che si svilupperà non sarà di vera amicizia, ma sarà più un contratto di mutuo supporto al fine di fare quel tiro o quella via.
Se non lo capisci prima…
Inoltre non mi sono mai legato a sconosciuti o a avventurieri. È una cosa che non concepisco. Andare in vacanza e fare autostop col grigi è una cosa che non mi appartiene. come prima: non giudico. Liberissimi di fare tutto. Ma anche di avere amare delusioni. Salvo poi venire qui a piangere? Bah.
Vado in falesia o in montagna solo con amici di cui mi fido.
E certo, qualche delusione l’ho avuta, ma chi se ne frega? una ogni cento? Ho sicuramente più amici che ex amici. Proprio per i principi di cui sopra.
Hai ragione, ho dimenticato gli allievi, ma sono convinto che spesso avere un buon maestro faccia una grande differenza.
Ti direi che da noi il discorso “vie” è un po’ meno sentito, si tratta per il 99% di monitiri sportivi, anche se questo non elimina del tutto le discussioni al riguardo.
Rispetto a parte, c’è da dire che non tutte le vie sono chiodate/attrezzate come cristo comanda e ogni tanto bisognerebbe anche sapersi mettere in discussione…
Credo ci siano da fare alcune precisazioni:
Non ci sono solo bravi o cattivi maestri, ma anche bravi e cattivi allievi.
Non ci sono alpinisti sempre buoni e/o climber sportivi sempre cattivi. Queste sono etichettature della minchia, di parte e disoneste. I troiai sono stati fatti da tutti. La differenza la fa la persona.
Il rispetto non va dato solo all’ambiente o alle persone , ma anche alle vie. Se una via sportiva (o alpinistica) è stata attrezzata in un determinato modo, chi la va a ripetere , la dovrebbe rispettare, e non rendersela a sua immagine e somiglianza per potersi garantire salirla.
Sono un “climber” pugliese, scalo solo da 3 anni e il primo insegnamento che la mia associazione mi ha trasmesso è il rispetto per l’ambiente e le persone.
Qui siamo molto lontani (fisicamente e mentalmente) dall’alpinismo di cui parlate, spesso arrampichiamo per il grado, eppure andiamo in falesia anche per goderci l’ambiente, per divertirci in compagnia e sappiamo avere cura dei luoghi che ci accolgono, forse perchè sono pochi e li sentiamo come la nostra casa.
Perciò farei molto attenzione a fare questa distinzione tra l’alpinista (buono) e il climber sportivo (cattivo). Io credo ci siano solo bravi e cattivi maestri e sono convinto che sarei in grado di trovarli in entrambe le categorie.
Il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi, te l’ho già detto (warning o non warning). Invece fa davvero ridere approcciare i dibattiti seri con ironia (che tra l’altro appare forzata): è come giocare a pallacanestro (toccando la palla con le mani) quando gli altri giocano a calcio (e toccano la palla con i piedi)
si scala anche per il gusto di farlo, perché ti piace.
L’articolo penso parlasse dell’ambiente dell’arrampicata sportiva nella Sicilia orientale.
Mi ricordo una volta di essere stato ad una specie di climbing rave notturno in una falesia in Slovenia…..con tanto di generatori illuminazione musica ….ogni situazione va vissuta e presa per quello che vuole essere ….l’arrampicata è anche questo.
io scalo da 30’anni solo e unicamente in osservanza del Dio Grado, unica e indiscutibile divinità universalmente riconosciuta. Non capisco di cosa si stia parlando.
Tutti scalano per dimostrare a sé stessi e/o agli altri di avercelo dignitosamente lungo, se possibile molto lungo.
Non è così?
PS è una risposta in tema coi commenti, l’articolo non ho capito di cosa parli
ps2 @crovella. ti avviso: c’è il warning “ironia” fattelo spiegare prima di rispondermi
Scusate mi sembrava si parlasse di arrampicata sportiva…non di alpinismo vie storiche in montagna…..mah????poi Non capisco state dicendo che se uno non va in montagna allora non va bene che vada in falesia ??? Soliti discorsi da vecchiacci alpinisti depressi che arrancano, ….. tornando all’articolo Mi piacerebbe sentire l’opinione di qualche arrampicatore siciliano.
Credo che conoscere la storia dei propri luoghi aumenti il fascino dell’attività…chi è il chiodatore? In che anno? La prima libera? La storia dietro ai nomi delle vie, Le diatribe sui gradi, realizzazioni on sight…..ben vengano i giovani che scalano con passione…..
Fa un po’ ridere parlare di arrampicata sicula, arrampicata toscana, arrampicata visigota e ostrogota. Ma cosa siamo, nell’800?
Con quanto gira la gente oggigiorno mi sembra fuori luogo. Le beghe locali vedo che ci sono dappertutto ma credo sia colpa di chi si prende troppo sul serio.
La competizione fin che resta limitata è una roba sana e stimolante, quando diventa l’unico obiettivo è patetica. Purtroppo l’ho notata in quei posti che hanno una storia arrampicatoria breve alle spalle. Un po’ di leggerezza non farebbe male.
Quello che sta diventando un problema serio (consumo della roccia) sono quelli che si mettono a provare tiri che sono nettamente sopra le loro possibilità. Con un po’ di occhio si vede subito e un bel “provati vie di 3 gradi in meno e vedrai che ci sali” non ci starebbe male.
Ricordo dei ragazzi che a Montesordo (Finale) provavano Viaggio nel Futuro (un 7c+ gradato strettissimo e di difficile interpretazione) dopo essersi cimentati in maniera oscena su un 6b poco distante, con le scarpette sporche di terra. Ovvio che non si alzavano a più di 30 cm da terra ma stavano contribendo a rovinare un capolavoro storico senza saperlo.
Ovviamente non sono stato zitto.
Poi c’è la “gestione” delle falesie quindi la manutenzione, pulizia e ordine dei siti. Su questo argomento esistono, inevitabilmente, sensibilità diverse tutte egualmente rispettabili. Tuttavia occorre considerare i tempi in cui viviamo e soprattutto la diversa sensibilità alla sicurezza; c’è il rischio che un incidente possa determinare la chiusura del sito e quindi cancellare le fatiche di molte persone che, nel corso degli anni si sono impegnate. Ecco allora che il rischio di cadere a terra nei primi 4 spit deve essere ridotto al minimo, i materiali usati devono essere certificati, l’installazione deve essere fatta a regola d’arte. Questi concetti spesso non vengono percepiti dal chiodatore storico che, erroneamente a mio avviso ( e non solo) percepisce la via come “sua”. In realtà la roccia non è del chiodatore e i siti, le vie, vanno tenute in ordine e tenute in buone condizioni poichè il mondo attorno a noi è cambiato.
Personalmente, pur frequentando assiduamente le falesie NE non vedo tutto sto disastro. Poi ci sono quelli della musica o chi lascia il cane razzolare a infastidire tutti; ma non dipende dall’età ma solo dall’educazione personale. Non capisco a chi possa interessare il grado che uno fa; certo se ti metti in competizione allora nascono rivalità e invidie. Ma ha senso una competizione in cui poi arriva un Ondra e fa il tiro con una mano in tasca?
Mi tocca scrivere per rispondere a il fetido. Non so chi sia questa figura che ha dominato l’ambiente in Toscana, un nome ho in mente ma spero non sia lui, perchè anzi, ha solo portato zizzania. Sicuramente abbiamo una storia alpinistica ben più radicata e sviluppata di quella in Sicilia, ma anche la Toscana ha avuto e ancora ha le sue “derive trash”. Tantissimi itinerari storici e alpinistici in Apuane sono stati strafalciati da valorizzatori o ignoranti. Nel settore valle dei porci ad Avane, alcuni itinerari storici e bellissimi non sono più agibili per proprietà private, molto probabilmente a causa di falesisti irrispettosi. In falesia vedo soprattutto gente che vive l’arrampicata in maniera molto superficiale, senza frequentare montagne o porsi domande sulla storia. Bastano due fotine e storie per Instagram in posa e poi tutti a casa felici per aver dimostrato di essere meglio degli altri. Tutto il mondo è paese. E la Toscana non è da meno.
L’articolo si riferiva all’ambiente dell’arrampicata sportiva siciliana, in particolare all’area orientale. Anche se personalmente conosco molto bene quelle falesie non ho mai avuto il piacere di incontrarci scalatori locals ne tantomeno i chiodatori. Ho l’impressione che spesso siano stati i soliti tedeschi cechi ecc in vacanza ….però potrei sbagliarmi.
Per quanto riguarda la situazione toscana, è abbastanza evidente a tutti gli arrampicatori sportivi che dagli anni ottanta ci sia stata per fortuna una regia centrale nello sviluppo della chiodatura e negli itinerari sia per stile che per difficoltà. Probabilmente questo fatto, cioè avere un’élite di scalatori che ha dominato costantemente la scena,ci ha permesso di avere omogeneità e portato fuori da derive “trash”.
Pure io sono toscano anzi Apuano visto che abito hai piedi di queste montagne e arrampico dalla fine degli anni 70 e ho sempre arrampicato dove come e con chi mi pare sempre nel rispetto del posto e delle persone che vi abitano e che sono passate prima di me, e chi sarebbe questa figura mitologica dominante che dagli anni 80 porta ordine e disciplina che io non lo mai incontrato?
Pure io sono toscano anzi Apuano visto che abito hai piedi di queste montagne e arrampico dalla fine degli anni 70 e ho sempre arrampicato dove come e con chi mi pare sempre nel rispetto del posto e delle persone che vi abitano e che sono passate prima di me, e chi sarebbe questa figura mitologica dominante che dagli anni 80 porta ordine e disciplina che io non lo mai incontrato?
Sai noi arrampicatori e alpinisti siamo molto convinti e radicati nelle proprie idee .
certo che siamo stati fortunati
E si Alberto ma ti ci sei scontrato anche tu….comunque menomale che esiste …siamo stati fortunati , poi tu sicuramente hai anche un certo peso nell’ambiente toscano ….però certe scene le saprai e le avrai vissute, comunque ripeto siamo stati fortunati meglio così !!!!!
io sono toscano e arrampico dal 1976, non mi sono fatto dominare , ne sculacciare da nessuno.
Non conosco l’ambiente dell arrampicata in Sicilia però direi alquanto chiuso e bizzarro….in toscana abbiamo avuto la fortuna ( nel bene e nel male) di avere una figura dominante dagli a anni 80 ad oggi, che ha mantenuto ordine e disciplina nell’ambiente….per quanto riguarda l’arrampicata sportiva il confronto è necessario e utile, a tutti i livelli. Io scalo per il mio piacere , e ho piacere a stare con la mia piccola tribù, poi se incontro gente maleducata o che non sa comportarsi provvedo con metodi discutibili…..
Nella corsa inarrestabile verso l’intelligenza artificiale sembra in forte aumento la stupidità umana. L’avviamento del trapano a batteria è stato solo il primo atto – ergo, di questo passo si rischia di trovarsi a competere sul 12° grado con l’ausilio di sofisticatissimi software negli auricolari e tanto di beep beep tipo auto a sfioro di caduta? Oppure per il Gri-Gri ci si porterà il robottino tuttofare di casa per non dipendere più da alcuno?
Scusate la provocazione, torno a leggere i miei preferiti: Bonatti, Rebuffat, Messner ecc…che diventeranno in un futuro assai vicino i “cavernicoli” della montagna vera.
…..oramai …ma questo oramai lo si vede dal 2003 almeno…..le falesie sono diventate un luogo di confronto e non di incontro…..
Nel cartello manca l’indicazione : PER CHI LO FA A VISTA ……PER CHI LO PROVA DA TRE ANNI…. Sembra banale però in realtà sarebbe una buna livella per mettere in riga molti ottavo gradisti che si appendeno malamente sul 6b……ahahahahahah
Articolo a mio avviso di scarsa utilità’ ( come quello sul caro vita in montagna).
Siamo ancora qui a parlare del fatto che c’è’ gente che pensa solo al grado…..
Tra l’altro per uno che critica il web e i social farsi fotografare con il cellulare in mano non è’ il massimo.
Per farla breve. L’arrampicata indoor è’ altra cosa che l’arrampicata sportiva, cominciamo a chiamare le cose con il loro nome.
Io ho scarsa considerazione della scalata indoor e della gente che la pratica come se andasse in piscina ma questo è il mio pensiero. Per quanto all’arrampicata sportiva, limitandomi a Finale, i giovani negli ultimi 10 anni hanno alzato il livello, chiodato vie, liberato tiri rimasti non saliti da anni, dimostrando non solo notevole bravura ma anche affetto per l’ambiente. Vero che le falesia spesso sono un casino ma non generalizziamo. La logica che se uno nella sua passione ha anche aspetti più tipicamente sportivi la possiamo applicare a tutti: scialpinisti alpinisti climber …. Ma non per questo possiamo trarne la conclusione che quindi tutti se ne infischiano dell’ambiente in cui praticano , dei compagni di avventura, perché significa fare una generalizzazione completamente sbagliata basata su un processo alle intenzioni . E non mi sembra ancora nato colui che legge nel pensiero delle persone e ha il relativo database mondiale. Le generalizzazioni sono per definizione sbagliate.
mmmmmmmmmm……….. sarà che ho una visione parziale, ma mi sa che, nelle falesie, il bicchiere non è solo mezzo vuoto…… è vuoto al 90%. cioè c’è di sicuro una frangia di giovani climber che ha lo spirito “sano”, ma sono una sparuta minoranza. ovviamente ognuno esprime considerazioni sulla base della percezione che ha visionando di persona la realtà che lo circonda. magari la realtà che mi circonda è statisticamente non rappresentativa della realtà nazionale (a naso direi che lo è, ma potrebbe non esserlo).
Crovella, come sempre vedi le cose esclusivamente a compartimenti stagni.
Ci sono moltissimi giovani arrampicatori che scalano sulla roccia e ne hanno rispetto. Com’è anche vero che per molti altri la roccia e dintorni sono visti esattamente come il muro indoor.
Pur notando e condannando questa situazione, sono molto più propenso a vedere il bicchiere mezzo pieno e a guardare con ammirazione i giovani che si allenano duramente e con passione per arrivare a fare il grado.
Poi gli stronzi esistono in tutti i campi e a tutti i livelli.
A dimostrazione che le insinuazione a mio carico circa le mie posizioni sul tema sollevato da Soraci pochi giorni fa (“Dolomiti care”) fossero frutto delle solite malignità, e non tagliate sulla persona dell’autore dei testi, sottolineo che le considerazioni di Soraci sono profonde e, purtroppo fondate. Il “grado detta legge” è la definitiva consacrazione (in negativo) che arrampicare è uno sport è basta. Intendo dire che chi ragiona così pensa all’arrampicata né più né meno come il centometrista valuta il millesimo di secondo sui 100 metri corsi o il cestista valuta qanti punti ha fatto in partita. Non ho nulla contro l’arrampicata sportiva, costola dell’alpinismo, che tra l’altro ha visto anche a Torino un laboratorio della sua nascita. Ma fin tanto che c’era un distacco emorivo fra la performance puramente tecnica e l’amore per l’outdoor, l’arrampica è cmq stata una delle tante manifestazioni dell’ampio concetto di alpinismo. Ora mi guardo in giro e vedo che i climber di oggi sono a maggioranza NON-alpinisti, cioè sono nati fuori dal grande alveo concettuale dell’alpinismo. Io giudico questo fenomeno estremamente negativo per lwe conseguen ze che comporta, non ultimo l’approccio verso l’ambiente e la sua tutela: se ciò che interessa è “solo” fare il grado, la superficie sulla quale realizzi la performance diventa del tutto irrilevante. Non c’è più differenza fra il muro di cemento con le prese tassellate e la roccia “naturale”. Nessuno si preoccupa se il muro di cemento si rovina e, se non vedi differenza fra il cemento e la roccia naturale, non ri preoccupi della tutela di questa. E’ una delle tante conseguenze negative. In generale il ridurre l’arrampicata a puro sport ne spersonalizza quel carattere che ha avuto per alcuni decenni. e’ un fattore negativo e chi è interessato alla corretta impostazione psicologica dei giovani climber, dovrebbe porsi questa come obiettivo principale e non battere sul “fare il grado” (che invece spinge nella direzione opposta. In falesia non dobbiamo registrare quanti ragazzi “scalano forte”, ma la qualità etica, emotiva, ideologica del loro scalare
Attaccato al Gri-Gri ci dev’essere un amico.
Troppo spesso c’é qualcuno che fa solo da contrappeso. E non è cosa buona.