Di Ragno ce n’è uno solo: Gigi Vitali

Sono trascorsi cento anni (era il 2013, NdR) dalla nascita dell’inventore dei Ragni di Lecco: uomo complesso e sfortunato, precursore di talento che con Vittorio Ratti lasciò la sua firma sulla Cima Su Alto e sull’Aiguille Noire.

Di Ragno ce n’è uno solo: Gigi Vitali
di Alberto Benini
(pubblicato su Montagne360, agosto 2013)
Foto: Archivio Gigi Vitali

Era il 1° settembre 1945. Tita Piaz guardava dalle vicinanze del suo rifugio sul Catinaccio la parete della Punta Emma e quel lecchese, lassù, che saliva leggero e scattante in compagnia di Mariadele Gin Corti, una scalatrice milanese che sapeva il fatto suo come testimoniava la prima ascensione (1944) della difficile cresta sud-est del Pizzo Argent. E Tita era ben contento che qualcuno di così bravo si provasse sulla “sua” torre, quella che aveva scalato nel 1899 con Emma Dellagiacoma. «Sembra un ragno» pare abbia esclamato Piaz: leggero ed elastico sulle gambe, tanto che le difficoltà di quel tratto di parete scomparivano assorbite dall’eleganza del movimento. Solo in tempi recenti il fortunato ritrovamento, ad opera di Sergio Ghiraldini, della copia della guida del Catinaccio appartenuta a Germano Gigi Vitali (1913-1962) dove risulta tracciato il percorso della nuova via sulla Punta Emma, ha permesso di proporre un’ipotesi attendibile per circostanziare l’occasione della nascita di uno dei nomi più fortunati della storia alpinistica: quello dei Ragni della Grignetta o Ragni di Lecco. Un nome che Gigi regalerà ai suoi giovani amici del gruppo che all’inizio si chiamava “Sempre al verde”.

Gigi Vitali sulla cima del Sigaro in Grignetta

La sua leadership tra i lecchesi era diametralmente opposta a quella di Riccardo Cassin, ispirata a sicurezza e affidabilità innate. Gigi, al contrario, era lo scavezzacollo: sempre brillante, sempre divertente, che sapeva incantare per i suoi gesti sfrontati. Si trattasse di aprire la stagione il 21 marzo scalando in solitaria proprio la via Cassin sulla Corna di Medale o di esibirsi al Nibbio scendendo nel vuoto a testa in giù (e poi ripetere l’esperimento con la più vertiginosa delle calate a corda doppia della Grignetta: quella dalla cima del Fungo, che contava non pochi incidenti mortali). E ancora, una volta scesi a valle, proporre un bivacco improvvisato nel cimitero di un paese vicino a Lecco perché si era tirato tardi a far bisboccia ed era troppo buio (e si aveva troppo bevuto) per arrivare fino a casa. Gigi Vitali ha 32 anni e mentre scala la bella parete della Punta Emma, sotto gli occhi di uno dei padri dell’arrampicata, ignora a che punto sia la sua vita. Tutto sembra sorridergli. A casa lo aspetta una fidanzata che tutti gli invidiano. Cassin lo ha presentato al conte Aldo Bonacossa che ha iniziato a giovarsi del suo aiuto per il volume della collana “Guida dei Monti d’Italia” dedicato all’area compresa fra il Passo di Monte Moro e il Sempione.
Mentre aspetta la Gin alle soste, Gigi pensa a quel 1945 pieno di avvenimenti contrastanti: la fine della guerra ma anche la morte, pochi giorni prima, del suo amico comasco Carlo Valli sulla Solleder in Civetta e soprattutto quella di Vittorio Ratti a Lecco, all’angolo di piazza Garibaldi nei giorni della Liberazione.

Gigi scende a testa in giù dalla cima del Fungo

Che cordata formavano insieme? La potenza esplosiva di Vittorio, combinata con il senso dell’itinerario e la furbizia di Gigi. Dopo la loro vittoria sulla Cima Su Alto, nel 1938, la Rivista del CAI aveva pubblicato il resoconto in cui si legge: “Ratti si lega alla cintola due capi di una corda e di un cordino di 50 metri ognuno; due chiodi di sicurezza alla base, ed attacca con spostamenti rapidi del corpo a destra ed a sinistra sfruttando in modo meraviglioso il sistema Dülfer per le fessure; sale senza mettere un chiodo di assicurazione; ormai non può più fermarsi e l’assicurazione migliore è quella di proseguire senza soste“.

Gigi Vitali

Per scalatori nati sul calcare, dove (come si diceva un tempo) si impara davvero ad arrampicare e a prendere confidenza col vuoto, le Dolomiti erano state lo sbocco naturale. Già la sua prima via nuova sembrava destinarlo a uno scenario di pubblica ammirazione: infatti a soli 19 anni, nel 1932, aveva scalato con Rizieri Cariboni la parete ovest del Sigaro. Una delle vie più ammirate delle Alpi, considerato che gli scalatori la affrontano sotto gli occhi delle migliaia di escursionisti che salgono (o scendono) la Grignetta lungo la monotona cresta Cermenati. Poi (1933) la normale alla Torre Elisabetta, in compagnia di un giovanissimo Pio Aldeghi, in seguito uno fra i primi Ragni. E Gigi, insieme al leggendario Luigi Bastianel Pozzi, funge da partner di Riccardo Cassin nell’apertura della prima via nuova dei lecchesi nelle Dolomiti: la Cassin sulla Cima Piccolissima di Lavaredo, datata 1934.

Esercitazioni su ghiaccio prima della Ovest dell’Aiguille Noire

Un’annata, quella, che Vitali aveva aperto tracciando con Vittorio Panzeri (il Cagiada, uno dei più straordinari “liberisti” di quegli anni) e Bruno Citterio una nuova via sul Sasso dei Carbonari, una parete del Grignone che ha poco da invidiare per altezza e difficoltà a parecchie cime delle Dolomiti. E durante quell’estate Gigi si era levato parecchie altre soddisfazioni. Ma a casa lo attendeva la cartolina precetto che lo consegnava all’Arma Aeronautica, dalla quale verrà congedato provvisoriamente come “aviere scelto fotografo”.

Gigi sullo sfondo dello Staldhorn

Nel 1937 parte per l’Africa Orientale: un destino condiviso con almeno altri due compagni del Gruppo Arrampicatori Fascisti Nuova Italia: gli alpini Andrea Invernizzi e Ugo Tizzoni destinati a distinguersi nella conquista dell’Amba Uork. Ci resterà fino al gennaio del 1938 quando farà rientro in Italia. Ha perso il medio e parte dell’indice della mano sinistra a seguito dello scoppio di un detonatore raccolto avventatamente. Ma si riprende presto se in giugno, mentre si trova su iniziativa del comasco Luigi Binaghi nei monti della Mesolcina (circostanza narrata magistralmente da Angelo Recalcati) apre due nuove vie sulla Punta Rasella e sul Pizzo della Gratella (Catena della Mesolcina, NdR). Gli è compagno in entrambe Adolfo Anghileri, capo-stipite di una delle più rilevanti schiatte di rocciatori lecchesi, proseguita con il figlio Aldo e i nipoti Giorgio e Marco.

Vitali (a sinistra) e Ratti (a destra) sui Torrioni Magnagli! con due giovani sconosciuti alpinisti, poco prima della guerra

Nel 1939 Gigi viene ammesso nel CAAI e affronta con Ratti una nuova sfida: la diretta sulla parete ovest dell’Aiguille Noire, nel gruppo del Monte Bianco. E così, mentre Cassin e Tizzoni si concedono una nuova via sull’Aiguille de Leschaux, Ratti e Vitali salgono, osteggiati dal brutto tempo, un tracciato elegantissimo che non lascia spazio a discussioni o a repliche se, per migliorarlo con un’ardita variante diretta iniziale, dovremo aspettare Patrick Berhault e il 1992 (sì, avete letto bene sia nome sia data). Niente inquadra meglio il valore della Diretta Ratti (come viene spesso chiamata riconoscendo, come Gigi faceva esplicitamente, lo straordinario valore di Vittorio) quanto il nudo elenco di quanti vi si sono cimentati: prima ripetizione nel 1949 per Gaston Rébuffat e Bernard Pierre. Li seguono pochi giorni dopo Walter Bonatti, Andrea Oggioni e Mario Villa. L’anno dopo Cassin e Carlo Mauri. Prima invernale per Angelo Bozzetti e Luigi Pramotton (1967), prima solitaria ad opera di Giorgio Bertone (1975), prima solitaria invernale firmata da Renato Casarotto (1982). Che aggiungere? Forse i nomi degli autori delle altre vie sulla parete: Gabriele Boccalatte e Ninì Pietrasanta (1935), Jean Couzy e René Desmaison (1957), poi ancora Desmaison con Bertone (1973) e di Berhault si è già detto. Ed è tutto.

Nel 1941, in pieno periodo bellico, Vitali si concede sulle montagne di casa due vie di notevole valore in compagnia del forte quanto modesto Angelo Angiolo Longoni (l’epoca non è certo da trasferte). La prima sul Torrione Magnaghi Meridionale. La ripeteranno per primi (nel 1969!) Alessandro Gogna e Andrea Cenerini. L’altra addirittura è stata individuata solo di recente, comportando la riscrittura della storia alpinistica della “parete del lago” ovvero di quel tratto di bastionate verticali a nord di Lecco sovrastanti la ex statale 36. I compilatori di guide, in presenza della sola descrizione, si sono variamente arrabattati per trovarle una collocazione, anche “appiccicandola” su tratti di parete di incerta definizione. Ma le fotografie scattate da Vitali rendono indubitabile che si tratti di quel pilastro che, solo in seguito alla salita del 1975 (Panzeri, Riva, Passerini), è diventato per tutti il “Pilastro Rosso”. Una recentissima (2013) ricognizione di Ivo Ferrari ha permesso il ritrovamento nella prima fessura di alcuni dei 10 chiodi dichiarati da Vitali. In ogni caso, considerato che la via di Ercole Esposito sul Torrione Paolo Cereda rimonta al 1943, a Vitali va senz’altro attribuita la palma di scopritore delle “pareti del lago”. Se pensiamo quanto ciò apparve innovativo negli anni ’70, possiamo ben valutare i 30 anni di anticipo di Gigi.

Tutta questa dettagliata ricostruzione è stata resa possibile dalla scoperta di uno straordinario reperto: tre album fotografici appartenuti a Vitali che si credevano ormai perduti. Gigi vi ha documentato, oltre all’alpinismo, la vita familiare e la campagna di Russia dove giunge, assegnato all’intendenza del “Comando Aeronautico del Fronte Orientale” il 1° settembre 1942. Vi rimarrà fino all’aprile del 1943. Le fotografie, scattate nelle località di Woroscilowgrad, Odessa e Stalingrado, testimoniano le crudeltà della guerra: impiccagioni di partigiani russi, esequie di militari italiani e tedeschi, esiti dei combattimenti e dei bombardamenti, ma anche momenti della vita quotidiana. Per lui la Russia fu certamente meno terribile che per gli alpini, ma certo non priva di rischi e di drammatici episodi che certamente lo convinsero, una volta tornato in Italia, ad entrare nella Resistenza, dove non mancò di distinguersi. E siamo così tornati al 1945 e al Catinaccio. Il futuro di Gigi è certo molto meno roseo di come il rocciatore lecchese se lo immagina mentre riceve i complimenti del vecio Piaz: vivrà ancora due appassionanti stagioni nel 1946 e 1947 con Aldo Bonacossa, trovando modo anche di arrampicare in Grignetta tracciando vie nuove sul Sigaro e sull’Angelina con i giovani Ragni Giulio Bartesaghi ed Emilio Topo Ratti. Alla fine del 1947 si sposerà con Maria e grazie a Bonacossa compirà un viaggio di nozze che molti possono solo sognarsi: Capri, dove aprirà nuove vie sui faraglioni. Il 25 luglio 1948 sarà con l’amico conte e Giovanni Ratti sul Pizzo San Martino (Costiera Laugera, Alpi Pennine) per la sua ultima nuova ascensione. Giovanni, che è la memoria storica dei primi Ragni e senza il cui decisivo apporto sapremmo molto meno di quanto realizzato dal gruppo ai suoi albori, fra breve prenderà il suo posto a fianco di Bonacossa. Per Gigi, invece, il destino sta cominciando a tendere le sue trappole.

Sulla cresta nord del Pizzo Andolla

Il 1949 si apre con un incidente motociclistico in cui si rompe una gamba. Una frattura complessa che si avvia a risolversi grazie all’intervento di un luminare, raggiunto tramite il conte Bonacossa. La nascita del figlio Dario, nel 1951, sembra offrirgli nuove gioie, anche fuori  dall’alpinismo. Nemmeno il tempo per goderne che muore in Grignetta Luigi Castagna, uno dei Ragni cui è più legato. Sta riprendendosi dall’incidente, quando ne ha un secondo, scendendo dal Pian dei Resinelli. Malgrado i ripetuti interventi non riesce a riprendere il buon uso della gamba. È commovente, a questo proposito, ritrovare nei suoi album le molte cartoline inviategli dai “suoi” Ragni e da altri alpinisti. Ne spicca una proveniente dal campo base del K2. Alle firme dei componenti la spedizione Walter Bonatti aggiunge: “Al caro Gigi con la certezza di potermi un giorno legarmi con lui in cordata“.

Nell’aprile del 1961 il figlio Dario muore annegato sotto i suoi occhi. Gigi precipita nell’abisso, lasciandosi completamente andare. La morte, a seguito di un’emorragia cerebrale che lo ha colpito qualche mese prima, arriva finalmente a liberarlo l’ultimo giorno del 1962. E forse, dopo molti anni di crudele oblio calato su di lui principalmente per la sua smania di seduttore implacabile che gli procurò tanti successi e altrettanti odi, si può chiedere la prescrizione, magari citando a sostegno, la formula evangelica del “ti perdono perché hai molto amato”.

La pagina della guida Sassolungo Catinaccio Latemar di Arturo Tanesini (1942). La via è la prima tracciata sulla parete dopo quella (300 f) in solitaria di Piaz nel 1900

Approfondimento
L’ipotesi che sia stato Piaz a suggerire a Vitali la salita della Punta Emma è frutto di fantasia, come lo sono i pensieri attribuiti a Vitali durante l’ascensione. E mancano le prove di una correlazione diretta fra questa ascensione e la nascita del nome “Ragni”. La relazione della via in questione si trova nella Nuova guida del Catinaccio di Antonio Bernard (Mediterranee, 2008). Essa viene menzionata anche ne Le Dolomiti occidentali: le 100 più belle ascensioni ed escursioni di Gino Buscaini e Silvia Metzeltin (Zanichelli, 1988). Ringraziamo Gianni Magistris e Patrizia Vitali per averci favorito l’accesso agli album. La storia di Gigi Vitali è diventata, nel corso del 2012, una mostra costituita da 20 pannelli (formato 50×70 cm) disponibile a richiesta presso il CAI Lecco che l’ha promossa durante l’edizione 2012 di Monti sorgenti. La accompagna un breve documentario realizzato da Gianni Magistris e Luciano Riva del CAI Valmadrera, mediante un montaggio di immagini tratte dagli album di Gigi.

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Di Ragno ce n’è uno solo: Gigi Vitali ultima modifica: 2020-04-18T05:18:49+02:00 da GognaBlog

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8 pensieri su “Di Ragno ce n’è uno solo: Gigi Vitali”

  1. Gian Maria Mandelli devi ammettere che sarebbe bello per la storia dell’alpinismo se, oltre alla biografia ufficiale  di Alberto Benini, ben circostanziata, ma secondo me precisamente incompleta , se ci fossero anche i racconti di tutti gli altri.Aprirebbero la visione all’uomo Vitali, fondatore e finanziatore dei Ragni di Lecco, e non solo all’alpinista Vitali.
    Io purtroppo non posso farlo perché non esistevo ancora, loro sì.

  2. No, Gian Maria. Forse sono solo – ma non credo – però amo davvero tutte queste vecchie storie. Spesso il tempo trascorso le ha rese ancor piú affascinanti.

  3. Conosco Alberto Benini abbastanza bene per affermare che il suo articolo e le sue ricerche sono serie e molto circostanziate. Mi sembra abbastanza superficiale il commento di Paolo Panzeri riguardo al presunto romanzo imbastito dall’autore. Alcuni particolari che non si possono citare, non perché sono gossip, ma perché sono episodi di vita vera, accenderebbero un altra luce sugli avvenimenti, ma probabilmente al grande pubblico interessano solo le prestazioni sportive.

  4. Avevo letto con interesse l’articolo sulla rivista del CAI e la foto a testa in giù di Vitali mi aveva colpito, tanto da metterla sul mio frigo accanto a una di quelle di Gervasutti appeso alla corda con la pipa in bocca.
    Grazie per la pubblicazione!

  5. Complimenti all’autore. 
    Le storie dei protagonisti contribuiscono ad alimentare il fascino dell’alpinismo che ci ha contagiati per tutta la vita e che ancora, attraverso “corsi e ricorsi storici” attrae chi ama la vita avventurosa. 

  6. Fabio, si belle, ma poco veritiere, molto romanzate per mettere in primo piano un soggetto.
    Cassin  racconterebbe la vita del Vitali in maniera molto diversa, come lo farebbero anche parecchi anziani di quelle zone ancora vivi, vegeti e vagabondi, anche se un po’ acciaccati, pure alcuni che come Cassin non furono subito accettati nei Ragni.
    L’inizio è molto diverso: donne e soldi, liti e parancate ben pagate, con stemmi, linee e ragni di Cortina…. non alpinismo da primi. 🙂 
    Così mi dicevano sorridendo della “storia” a un convegno dell’acca.
    Sarebbe bello se lo raccontassero prima di morire, ma forse a loro, grandi alpinisti, le storie non interessano.

  7. Queste storie di alpinisti del tempo che fu si leggono sempre con interesse. Magari fossero piú lunghe!

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