“I bivacchi incarnano la quintessenza dell’abitare minimo e della sperimentazione con forme emancipate dalle imitazioni pittoresche delle costruzioni tradizionali”. Al di là di quest’affermazione, serva di un linguaggio volutamente tecnico e che in sostanza difende la sperimentazione di nuove forme, rimane il grande dubbio: che senso ha, oggi, un bivacco fisso nei luoghi solitari delle nostre Alpi e Appennini? Facciamo sempre più fatica ad accettare un colonialismo delle quote che lasci perennemente il suo segno: se da un lato si afferma un nuovo modo di andare in montagna che privilegia l’autosufficienza e sottolinea non tanto l’exploit sportivo quanto le condizioni in cui questo si è svolto, ecco che dall’altro quasi dieci luoghi che prima erano elencati nella wilderness oggi sono di proprietà umana. Perché il bivacco fisso è il primo (solo in apparenza non deleterio) segno che l’uomo lascia nella propria nociva colonizzazione in montagna. Ed è proprio con queste forti convinzioni che oggi vi proponiamo un articolo di chi invece è evidentemente di opinione contraria, sempre allo scopo di avere tutti gli elementi per poter meditare (la Redazione).
10 nuovi bivacchi sulle Alpi di Roberto Dini e Stefano Girodo (pubblicato su domusweb.it il 22 giugno 2020)
Nonostante la recente pandemia abbia scoraggiato la prossimità tra gli individui – elemento alla base del “riparo” tipico dell’alta montagna, dove gli ambienti sono ristretti e condivisi per ottimizzare spazio, calore e materiali – la montagna conserverà i connotati di spazio aperto per eccellenza: un luogo dove il distanziamento fisico e l’isolamento sono facilmente perseguibili, e dove allo stesso tempo resterà possibile trovare un contatto ravvicinato con un ambiente naturale preponderante.
Immersi in tale contesto, i bivacchi incarnano la quintessenza della sfida all’abitare minimo in condizioni estreme ed è proprio nell’essenzialità dei requisiti funzionali e di performance che risiede lo straordinario interesse di tali manufatti. Declinati in una moltitudine di forme astratte, questi sono totalmente emancipati da qualsiasi tentativo di mimesi con l’ambiente o di imitazione pittoresca delle costruzioni tradizionali delle quote più basse.
Molte recenti realizzazioni su tutte le Alpi sono caratterizzate da una forte ricerca sperimentale in soluzioni tecnico-costruttive e formali innovative. Nella maggior parte delle strutture attuali va affermandosi però la tendenza a un approccio progettuale più “low tech”, con tecnologie già consolidate e spesso più economiche.
L’alta quota si conferma dunque come “laboratorio” d’avanguardia per architettura e costruzione, in grado di intercettare e interpretare i mutamenti del contesto ambientale e culturale, affrontando numerosi temi dell’attualità come il rapporto con il paesaggio, la ricerca di soluzioni tecniche e materiali, l’approvvigionamento e la gestione dell’energia, la reversibilità, la sostenibilità economica e sociale degli interventi.
(Quasi) dieci zone wilderness in meno
ultima modifica: 2020-07-13T05:39:56+02:00
da GognaBlog
13 pensieri su “(Quasi) dieci zone wilderness in meno”
La fondazione Berti mi sembra avesse con i piccoli bivacchi rossi a semibotte intrapreso una strada molto semplice ed essenziale…bello sarebbe dove possibile poter utilizzare solo legno e pietra. Per la collocazione un criterio minimo sarebbe quello della distanza: bivacchi non dovrebbero essere raggiungibili con meno di 3 ore di cammino. Di nuovi bivacchi, come nuove ferrate non cè bisogno salvo la manutenzione o il rifacimento.
Per la purezza dei luoghi da preservare credo sia importante fare una riflessione piu organica: dopo aver ridotto i rifugi albergo, limitato le numerose strade asfaltate in quota, ridotto drasticamente il traffico aereo (per il quale oramai è rarissimo godersi il silenzio su qualsiasi cima), fermato le connessioni telematiche che permettono ai telefonini di squillare ovunque…allora si potrebbe togliere anche qualche bivacco !!
Sinceramente trovo molto più invadenti i numerosissimi rifugi piuttosto che i bivacchi
Diciamocelo: in molti casi si tratta solo di speculazione economica, in quanto con l installazione di bivacchi si riescono a mettere sul piatto i “fondi di confine”, o magari a dar da mangiare all’impresa e al progettista o all architetto amici del consigliere comunale. Peccato solo che rimuoverli richieda una grossa spesa. Avessi soldi da buttar via pagherei a mie spese la rimozione forzata dei vari bivacchi dolomitici, compreso, udite udite, il tanto apprezzato bivacco bedin. A costo di beccarmi una denuncia (e non sarebbe la prima volta 🙂 )Per i più politicamente corretti: quando non ci sarà piu nemmeno un metro quadro di wilderness e ne andrete disperatamente alla ricerca, capirete le mie posizioni che ora appaiono “estreme”. Per ora vedo, con una certa delusione, che continuate a discutere sulla tecnica di costruzione o sull’opportunità o meno di metterne in punti strategici “al servizio dell’alpinista”.
Signora Wanda, mi permetta, ma lei non ha capito un cazzo.
Mi piacciono tantissimo i bivacchi ..ahhhhh che pace dopo un’ intensa camminata
Nella storia dell’architettura tutta ci sono sempre stati progetti che rispondono all’utilizzo del manufatto in maniera minimalista e pratica e altri che non sono altro che il “prolungamento del pene” (in senso puramente metaforico perché vale anche per gli architetti femmina) dell’autore del progetto. Solitamente questi ultimi rispondono a esigenze di turbe psichiche del professionista anche quando tecnicamente sono azzeccati. Quindi i due aspetti possono convivere come non.
Spesso però, ci dobbiamo prendere il pugno nell’occhio di certi obbrobri che, secondo me, altro non fanno che “tramandare la meschinità del proprio spirito” come le scritte che sgorbiano i libri in essi contenuti.
Chi sa, sa e chi non sa, sassate. Detto sardo che spesso ripropongo quando ce vò, ce vò.
Nuovi bivacchi proprio adesso che c’è il Covid 19? La pandemia li renderà inutili o comunque superflui. Le forme avveniristiche sembrano fatte più per gratificare il realizzatore che per abbellire il luogo in cui vengono posati i manufatti.
Confermo quanto dice Marcello Cominetti: la lamiera posta all’esterno fa da barriera vapore inversa. Se esiste un’altra lamiera anche all’interno (ossia se si usa un pannello sandwich preisolato) allora la barriera vapore è fatta dalla lamiera interna e si può accettare anche la lamiera esterna perchè di fatto è quella interna che fa barriera (purchè sigillata!). E’ comunque di fondamentale importanza la ventilazione dell’ambiente (quando l’edificio è abitato) per evacuare l’umidità prodotta dalla respirazione delle persone. Tuttavia la ventilazione va attentamente studiata per evitare l’ingresso di acqua e pioggia dall’esterno. Da notare che l’uso di manufatti in pietra coibentati dall’interno dà esattamente lo stesso problema, perché la pietra ha elevata conducibilità termica ma quasi nulla permeabilità al vapore …..
Il progetto di un bivacco è come quella battuta della famosa cuccuma per il caffè ….. “sembra facile fare un caffè” …. ma se studiato seriamente è un piccolo condensato di tecnica costruttiva …… indipendentemente dall’aspetto architettonico che può piacere o non piacere e dalla necessità o non necessità all’interno di un’area selvaggia …
MS
In effetti noto una proliferazione esagerata di bivacchi, anche in località dove non se ne ravvisa la necessità. Il bivacco Genisio, poi, è stato posto al centro di un vecchio alpeggio e a mio parere stona decisamente con il paesaggio circostante. Forse era meglio ristrurare una baita già presente in loco.
Hanno messo bivacchi anche sulle vette delle montagne e molti hanno detto “che bello, così posso mangiare al riparo se fa brutto”
Mi pare di aver già espresso in passato anche su questo Blog la mia posizione ideologica, di semplice frequentatore (seppur assiduo) delle montagne: basta nuovi bivacchi! Infatti i posti “logici” dove mettere bivacchi e rifugi (intesi come logici punti di appoggio per successive ascensioni e/o per traversate) sono già stati utilizzati da tempo. Ovviamente ci saranno ancora delle lacune in questo tipo di localizzazioni (cioè alcuni posti “logici” ancore vuoti) ed è cosa buona riempirle, ma, nella stragrande maggioranza dei casi, i “nuovi” bivacchi (così come i “nuovi” rifugi) non hanno esigenza logistiche, bensì di altro tipo. Tra queste il desiderio di ricordare una persona, che in quanto tale è cosa ammirevole sul piano umano, ma da sola non giustifica la proliferazione di bivacchi (e, mutatis mutandis, di nuovi rifugi) che stanno diventando un fattore di “inquinamento” antropico. Tutte ‘ste forme “moderne”, poi, a me fanno venire il latte alle ginocchia (piemontesismo…): la montagna NON è una galleria d’arte dove esporre opere d’arte moderna di cui bearsi. Al massimo, se proprio si vuole mettere una base di appoggio (cioè un nuovo bivacco) per alpinisti-escursionisti, si ristrutturino casermette o baite o costruzioni diroccate oppure si opti per dei semplicissimi chalet, in pietra o legno spartani e molto ben inseriti nell’ambiente circostante. Questo se la localizzazione è di media montagna. In alta montagna (intendo ghiaccia ecc) mi aspetterei di vedere solo bivacchi a botte, magari con accorgimenti tecnologicamente avanzati (es pannelli solari per avere energia), ma senza “forme” strane. Le forme strane, sia in media che in alta montagna, “nascondono” qualcosa, cioè delle velleità che nulla hanno a che fare con la logica dei punti d’appoggio per alpinisti-escursionisti. Buona giornata!
Non ho capito bene il senso dell’articolo, pur interessante.
A quanto ne so io, il legno posto a rivestimento interno di una struttura esterna in lamiera, marcisce. Bio edilizia e edilizia odierna, prevedono che i materiali utilizzati per una costruzione a uso abitativo (struttura portante, isolamento, rivestimento interno ed esterno) permettano al vapore generato dai corpi umani e dalle attività domestiche (es. cucinando), di passare all’esterno attraverso le pareti stesse. Quando una casa non “respira” il legno marcisce. Comunque ne sono d’esempio i bivacchi a botte Ravelli con il loro caratteristico tanfo da lagno marcio.
La fondazione Berti mi sembra avesse con i piccoli bivacchi rossi a semibotte intrapreso una strada molto semplice ed essenziale…bello sarebbe dove possibile poter utilizzare solo legno e pietra. Per la collocazione un criterio minimo sarebbe quello della distanza: bivacchi non dovrebbero essere raggiungibili con meno di 3 ore di cammino. Di nuovi bivacchi, come nuove ferrate non cè bisogno salvo la manutenzione o il rifacimento.
Per la purezza dei luoghi da preservare credo sia importante fare una riflessione piu organica: dopo aver ridotto i rifugi albergo, limitato le numerose strade asfaltate in quota, ridotto drasticamente il traffico aereo (per il quale oramai è rarissimo godersi il silenzio su qualsiasi cima), fermato le connessioni telematiche che permettono ai telefonini di squillare ovunque…allora si potrebbe togliere anche qualche bivacco !!
Sinceramente trovo molto più invadenti i numerosissimi rifugi piuttosto che i bivacchi
Diciamocelo: in molti casi si tratta solo di speculazione economica, in quanto con l installazione di bivacchi si riescono a mettere sul piatto i “fondi di confine”, o magari a dar da mangiare all’impresa e al progettista o all architetto amici del consigliere comunale. Peccato solo che rimuoverli richieda una grossa spesa. Avessi soldi da buttar via pagherei a mie spese la rimozione forzata dei vari bivacchi dolomitici, compreso, udite udite, il tanto apprezzato bivacco bedin. A costo di beccarmi una denuncia (e non sarebbe la prima volta 🙂 )Per i più politicamente corretti: quando non ci sarà piu nemmeno un metro quadro di wilderness e ne andrete disperatamente alla ricerca, capirete le mie posizioni che ora appaiono “estreme”. Per ora vedo, con una certa delusione, che continuate a discutere sulla tecnica di costruzione o sull’opportunità o meno di metterne in punti strategici “al servizio dell’alpinista”.
Signora Wanda, mi permetta, ma lei non ha capito un cazzo.
Mi piacciono tantissimo i bivacchi ..ahhhhh che pace dopo un’ intensa camminata
Nella storia dell’architettura tutta ci sono sempre stati progetti che rispondono all’utilizzo del manufatto in maniera minimalista e pratica e altri che non sono altro che il “prolungamento del pene” (in senso puramente metaforico perché vale anche per gli architetti femmina) dell’autore del progetto. Solitamente questi ultimi rispondono a esigenze di turbe psichiche del professionista anche quando tecnicamente sono azzeccati. Quindi i due aspetti possono convivere come non.
Spesso però, ci dobbiamo prendere il pugno nell’occhio di certi obbrobri che, secondo me, altro non fanno che “tramandare la meschinità del proprio spirito” come le scritte che sgorbiano i libri in essi contenuti.
Chi sa, sa e chi non sa, sassate. Detto sardo che spesso ripropongo quando ce vò, ce vò.
Nuovi bivacchi proprio adesso che c’è il Covid 19? La pandemia li renderà inutili o comunque superflui. Le forme avveniristiche sembrano fatte più per gratificare il realizzatore che per abbellire il luogo in cui vengono posati i manufatti.
Confermo quanto dice Marcello Cominetti: la lamiera posta all’esterno fa da barriera vapore inversa. Se esiste un’altra lamiera anche all’interno (ossia se si usa un pannello sandwich preisolato) allora la barriera vapore è fatta dalla lamiera interna e si può accettare anche la lamiera esterna perchè di fatto è quella interna che fa barriera (purchè sigillata!). E’ comunque di fondamentale importanza la ventilazione dell’ambiente (quando l’edificio è abitato) per evacuare l’umidità prodotta dalla respirazione delle persone. Tuttavia la ventilazione va attentamente studiata per evitare l’ingresso di acqua e pioggia dall’esterno. Da notare che l’uso di manufatti in pietra coibentati dall’interno dà esattamente lo stesso problema, perché la pietra ha elevata conducibilità termica ma quasi nulla permeabilità al vapore …..
Il progetto di un bivacco è come quella battuta della famosa cuccuma per il caffè ….. “sembra facile fare un caffè” …. ma se studiato seriamente è un piccolo condensato di tecnica costruttiva …… indipendentemente dall’aspetto architettonico che può piacere o non piacere e dalla necessità o non necessità all’interno di un’area selvaggia …
MS
In effetti noto una proliferazione esagerata di bivacchi, anche in località dove non se ne ravvisa la necessità. Il bivacco Genisio, poi, è stato posto al centro di un vecchio alpeggio e a mio parere stona decisamente con il paesaggio circostante. Forse era meglio ristrurare una baita già presente in loco.
Hanno messo bivacchi anche sulle vette delle montagne e molti hanno detto “che bello, così posso mangiare al riparo se fa brutto”
Mi pare di aver già espresso in passato anche su questo Blog la mia posizione ideologica, di semplice frequentatore (seppur assiduo) delle montagne: basta nuovi bivacchi! Infatti i posti “logici” dove mettere bivacchi e rifugi (intesi come logici punti di appoggio per successive ascensioni e/o per traversate) sono già stati utilizzati da tempo. Ovviamente ci saranno ancora delle lacune in questo tipo di localizzazioni (cioè alcuni posti “logici” ancore vuoti) ed è cosa buona riempirle, ma, nella stragrande maggioranza dei casi, i “nuovi” bivacchi (così come i “nuovi” rifugi) non hanno esigenza logistiche, bensì di altro tipo. Tra queste il desiderio di ricordare una persona, che in quanto tale è cosa ammirevole sul piano umano, ma da sola non giustifica la proliferazione di bivacchi (e, mutatis mutandis, di nuovi rifugi) che stanno diventando un fattore di “inquinamento” antropico. Tutte ‘ste forme “moderne”, poi, a me fanno venire il latte alle ginocchia (piemontesismo…): la montagna NON è una galleria d’arte dove esporre opere d’arte moderna di cui bearsi. Al massimo, se proprio si vuole mettere una base di appoggio (cioè un nuovo bivacco) per alpinisti-escursionisti, si ristrutturino casermette o baite o costruzioni diroccate oppure si opti per dei semplicissimi chalet, in pietra o legno spartani e molto ben inseriti nell’ambiente circostante. Questo se la localizzazione è di media montagna. In alta montagna (intendo ghiaccia ecc) mi aspetterei di vedere solo bivacchi a botte, magari con accorgimenti tecnologicamente avanzati (es pannelli solari per avere energia), ma senza “forme” strane. Le forme strane, sia in media che in alta montagna, “nascondono” qualcosa, cioè delle velleità che nulla hanno a che fare con la logica dei punti d’appoggio per alpinisti-escursionisti. Buona giornata!
Non ho capito bene il senso dell’articolo, pur interessante.
A quanto ne so io, il legno posto a rivestimento interno di una struttura esterna in lamiera, marcisce. Bio edilizia e edilizia odierna, prevedono che i materiali utilizzati per una costruzione a uso abitativo (struttura portante, isolamento, rivestimento interno ed esterno) permettano al vapore generato dai corpi umani e dalle attività domestiche (es. cucinando), di passare all’esterno attraverso le pareti stesse. Quando una casa non “respira” il legno marcisce. Comunque ne sono d’esempio i bivacchi a botte Ravelli con il loro caratteristico tanfo da lagno marcio.