Diplomazia scientifica

Diplomazia scientifica
(tutto quello che avreste voluto sapere al riguardo, ma non avete mai osato chiedere)
di Luca Carra
(pubblicato su scienzainrete.it il 2 marzo 2023)

In un momento in cui c’è particolare bisogno di diplomazia, arriva sugli scaffali il libro Ragione di Stato, ragione di scienza di Giacomo Destro (Codice edizioni, 2023), dedicato per buona parte alla diplomazia scientifica. Ma anche, come vedremo, alle varie forme – non tutte entusiasmanti – in cui si è declinato il rapporto fra scienza  e politica negli ultimi due secoli.

Con diplomazia scientifica si intendono parecchie cose, ma in prima approssimazione possiamo dire che ci troviamo nel campo dei rapporti fra scienza e politica internazionale, vale a dire quelle attività gestite tipicamente da agenzie internazionali che si sostanziano in accordi e trattati sui più diversi temi ed emergenze planetarie. 

La ricerca scientifica ha spesso bisogno della diplomazia per proiettarsi sulla scena internazionale con grandi sfide e progetti. La politica a sua volta ha bisogno della scienza, per esempio per tenere aperto un dialogo altrimenti difficile fra Paesi in conflitto, oppure per governare alla luce di dati e conoscenze situazioni complesse come il cambiamento climatico o una pandemia.

Dalla lettura del libro Ragione di Stato, ragione di scienza di Giacomo Destro (Codice edizioni, 2023) si può affermare grossolanamente che se la scienza è stata negli ultimi secoli il motore dei grandi cambiamenti tecnologici e quindi sociali ed economici, ma con un rapporto ancillare con la politica, con il passare del tempo è cresciuto anche il suo peso nella governance delle questioni di rilievo internazionale, com’è normale che sia in una “società della conoscenza”, o, come preferisce chiamarla Destro, “dei Big Data”. Tuttavia sarebbe un errore pensare che gli scienziati si possano sostituire a diplomatici e politici, come vedremo nella disamina del libro.

Il Technion e la politica scientifica del Sionismo
Il libro si apre con la suggestiva ricostruzione della nascita del Technion nel 1912 a Haifa. Ben prima che nascesse lo Stato di Israele nel 1948, la tessitura diplomatica delle cancellerie europee e mediorientali consentì infatti l’istituzione del primo Politecnico voluto dalla comunità ebraica proprio in Palestina, affinché, almeno nelle intenzioni dell’epoca, tutti potessero godere dei frutti dell’innovazione tecnologica. Ragione per cui anche le autorità arabe presenziarono alla posa della prima pietra del Technion a Haifa. Poi, come noto, la storia si andò complicando con la nascita dello Stato d’Israele, ma probabilmente la situazione dei rapporti arabo-israeliani sarebbe ancora più critica senza le collaborazioni scientifiche della rete di atenei in Medio Oriente.

Uno dei centri di maggior collaborazione fra israeliani, palestinesi e ricercatori di stati arabi è l’acceleratore di particelle SESAME (Synchrotron-light for Experimental Science and Applications in the Middle East), attivo da pochi anni in Giordania dopo una lunga gestazione. SESAME in realtà non è altro che il “vecchio” Sincrotrone BESSY1 di Berlino, che, grazie all’iniziativa del CERN e dell’Unesco, si decise di ricollocare in Giordania proprio per favorire la cooperazione scientifica in Medio Oriente. 

Il capolavoro diplomatico del CERN
Il libro di Giacomo Destro fa luce anche sulla storia politica del CERN, pietra miliare della diplomazia scientifica. Con quello che nel 1954 venne chiamato Consiglio Europeo per le Ricerche Nucleari, infatti, la nascente Comunità Europea vide la possibilità di avviare un programma di ricerca di respiro continentale costruendo a Ginevra un acceleratore di particelle che doveva essere più potente di quello in costruzione a Berkeley, in California, e che oggi ospita il Large Hadron Collider (LHC). 

Con i suoi migliaia di ricercatori provenienti da tutto il mondo, il CERN rappresenta una sorta di ONU della ricerca e di fatto tiene aperta una collaborazione nel campo neutro della fisica delle particelle, anche se con qualche problema, vista l’impasse sulle affiliazioni dei ricercatori russi e bielorussi negli articoli che riguardano gli esperimenti condotti nell’LHC dopo l’invasione russa dell’Ucraina, e al momento risolta con un compromesso.

Altri grandi progetti come ITER sulla fusione nucleare, il radiotelescopio SKA in costruzione in Sudafrica e Australia, e la Stazione spaziale internazionale (ISS) sono esempi di collaborazione scientifica dopo la Guerra Fredda. 

Solo con un grande impulso diplomatico sono potute sorgere – spiega Destro – queste cattedrali della Big Science, che a loro modo costituiscono occasioni di dialogo e coesione in un mondo tutt’altro che pacificato.

Ma certo la diplomazia non può tutto, a volte nemmeno salvaguardare i buoni rapporti fra le diverse comunità scientifiche nazionali investite dalla guerra. Un esempio l’abbiamo proprio ora sotto gli occhi: dalla prima invasione russa della Crimea (2014), e ancora di più dopo l’invasione iniziata il 24 febbraio scorso, le collaborazioni scientifiche dei ricercatori russi e ucraini sono profondamente cambiate. Come documenta una analisi condotta da Nature, gli ucraini hanno via via abbandonato i lavori in comune con i russi per aumentare quelli con i polacchi, mentre i russi hanno aumentato decisamente le collaborazioni con cinesi e indiani e ridotto quelle con Stati Uniti e Germania. 

Il difficile equilibrio fra scienza e politica e la figura del “mediatore onesto”
La geopolitica può interferire non poco sull’attività scientifica e la sua aspirazione alla neutralità e all’universalismo. In alcuni ambiti, tuttavia, come la ricerca spaziale e la sfida climatica, la diplomazia scientifica può contare su istituzioni capaci di garantire un processo politico e scientifico condiviso. È il caso per esempio dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), di cui Giacomo Destro ricostruisce la genesi nel 1988 e il complesso modus operandi dei suoi periodici rapporti, che costituiscono poi la base dei “Riassunti per i decisori politici” (Summary for policy makers) e dei negoziati climatici che hanno luogo nelle Conferenze delle parti (COP). 

In questo denso e interessantissimo capitolo del libro si possono apprezzare i diversi ruoli degli attori che partecipano alle COP, dai lobbisti e attivisti, agli esperti scientifici, ai veri e propri negoziatori: ciascuno a suo modo un insostituibile ingrediente di quella che Destro chiama la “zuppa della diplomazia”. «Una zuppa che si cucina molto lentamente. Ma spesso, una volta cotta, è assai nutriente».

I ricercatori giocano un ruolo chiave nei negoziati sul clima, in diverse vesti a seconda delle attitudini: scienziati puri e volutamente impolitici, scienziati lobbisti al servizio di qualche causa o interesse, quindi particolarmente “vocali” e schierati. Oppure, ricorda Destro, consulenti scientifici al servizio delle decisioni politiche che possono essere ricompresi nella figura ideale del “mediatore onesto” (honest broker), proposta anni fa da Roger Pielke jr nel suo omonimo libro.

Scrive Destro: «La caratteristica principale del mediatore onesto appare quella di sforzarsi di rendere esplicite le varie opzioni per il decision maker. Se il lobbista si presenta come portatore di una risposta universale (anche se ciò è parzialmente falso) e l’arbitro invece si ritira nel proprio recinto di conoscenza laddove la domanda sia troppo “politica”, il mediatore onesto, nel modello di Pielke, è colui il quale chiarisce che esistono più opzioni di risposta, ma contestualmente fornisce anche gli strumenti per ridurre tale scelta». 

Sembra quindi essere questa la figura chiave che rende le competenze scientifiche necessarie, anche se non sufficienti, alla deliberazione politica. 

Le quattro sfide della diplomazia scientifica
Ma quali sono le sfide principali che deve affrontare oggi la diplomazia scientifica? Se il clima è al momento la più visibile, secondo Destro se ne possono citare almeno altre tre: 

– la regolamentazione dell’esplorazione e colonizzazione dello spazio, che vede crescere la competizione privata in una sfera gestita solo fino a pochi anni fa da grandi programmi nazionali pubblici; 

– la regolamentazione dei dati e delle tecnologie che su di essi si basano; altra dimensione in cui i grandi monopoli digitali privati giocano un ruolo cruciale, con risvolti etici, economici e politici altrettanto rilevanti;

– infine il pieno coinvolgimento delle comunità scientifiche dei Paesi in via di sviluppo, ancora ai margini del progresso della conoscenza scientifica globale. 

Su questo ultimo punto, in particolare, l’Italia può giocare un ruolo importante, sia per la sua posizione geografica, sia per l’esistenza di istituzioni come la Sissa (dove peraltro lavora l’autore del libro) e il Centro internazionale di fisica teorica Abdus Salam di Trieste, che richiamano molti ricercatori e studenti anche dai Paesi in via di sviluppo.

La scienza alle prese con la volontà di potenza degli Stati-Leviatano
Come suggerito dal titolo Ragione di Stato, ragione di scienza, il libro di Giacomo Destronon tocca solo il tema della diplomazia, ma più in generale il rapporto fra scienza e politica che fra Ottocento e Novecento è segnata dal coinvolgimento degli scienziati sia nell’avventura imperialista, sia nella due guerre mondiali, con la lunga coda della guerra fredda. 

Soprattutto in questa parte del libro, Destro racconta con felice vena narrativa alcuni episodi e personaggi che ci mostrano il volto obliquo e talora agghiacciante della ricerca. La mente corre al progetto Manhattan e alle successive conversioni pacifiste di molti fisici. Per restare nella galleria delle infamie, pochi invece conoscono la storia del medico e generale dell’esercito giapponese Ishi Shirō che, a capo di circa tremila fra scienziati e tecnici dell’Unità 731, sperimentò epidemie provocate da vari patogeni su villaggi della Manciuria dal 1939 al 1945, sterminando in veri e propri esperimenti di guerra batteriologica circa mezzo milione di cinesi. Proprio come i volenterosi carnefici di Josef Mengele nella Germania nazista. Sulla scorta di queste conoscenze, Shirō architettò un’offensiva finale contro gli Stati Uniti, nota con il nome di “Operazione fiori di ciliegio nella notte”, che fu tuttavia bruciata sul tempo dalle atomiche su Hiroshima e Nagasaki il 6 e 9 agosto 1945. 

Il medico giapponese, pur consapevole di venir meno al giuramento di Ippocrate, non rinnegò mai la superiore istanza di fedeltà all’Impero del Sol Levante, che lo ricompensò lasciandolo uomo libero fino alla morte per malattia nel 1959, non prima di aver riferito al responsabile medico dell’Esercito statunitense Murray Sanders tutto quello che aveva appreso con i suoi mortiferi esperimenti.

Si dipanano quindi nel libro altre avvincenti storie di guerra, spionaggio e intrighi internazionali, dove la ricerca scientifica è piegata di volta in volta agli interessi del colonialismo, del nazionalismo o dell’ideologia, come la surreale vicenda della biologia anticapitalista di Lysenko, responsabile di carestie e milioni di morti in terra sovietica. 

Ma ho spoilerato fin troppo. Leggetevi il libro, è come un romanzo.

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Diplomazia scientifica ultima modifica: 2023-11-07T04:43:00+01:00 da GognaBlog

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